Giordania, un viaggio fra storia, meraviglie e natura
La Giordania è un Paese dal fascino eterno, ricco di tradizioni, con una memoria che si perde fra le pagine della Bibbia, e in un Medio Oriente afflitto da continue tensioni di carattere geopolitico, esso rappresenta un’oasi di pace e incanto, meta suggestiva per un viaggio fra storia, cultura e natura. Situato nella regione della Mezzaluna fertile, il Regno Hascemita di Giordania è un magnetico rigoglio di colori, arte e siti archeologici, una terra mistica che si lascia altrettanto vivere contemplando la magnificenza di valli, montagne e deserti, dov’è possibile avventurarsi a dorso di un cammello oppure in sella a un cavallo e respirare le atmosfere degli antichi popoli nomadi, fino ad abbandonarsi ai tramonti sulle acque accoglienti e cristalline del Mar Rosso.
Amman, la capitale e la sua Cittadella
Passato e presente convivono nella capitale Amman, il cui caratteristico colore pallido delle case e palazzi le ha donato l’appellativo di Città Bianca. Liberale e bohémien, è stata abitata sin dal Neolitico, per poi essere dominata nel corso dei secoli da Ammoniti, Assiri, Persiani, poi dai Greci, i quali la battezzarono Philadelphia. Le fu reso il nome con il quale è conosciuta durante l’era dei Ghassanidi, arabi cristiani che emigrarono dallo Yemen per stabilirsi nei territori meridionali della Siria, facendo di Damasco la propria capitale.
Dopo aver conosciuto un periodo di splendore con le facoltose dinastie califfali arabe degli Omayyadi, Amman cadde in declino a causa di eventi naturali e tornò a vivere ed espandersi solo nel 1921, quando ‘Abd Allāh ibn al-Ḥusayn, primo re del Regno Hascemita del Giordano, la scelse come sede del governo per il nascente Emirato di Transgiordania e poi la volle capitale.Crogiolo di etnie, culture e religioni, essa si erge sopra una zona collinare ed il cuore è rappresentato dall’antica Jabal al-Qala’a, Collina della Cittadella, un complesso cinto da 1,7 chilometri di mura che un tempo ebbe funzione di fortezza, altrimenti di agorà, dove si svolgevano le attività politiche e commerciali. Qui si trova l’impattante Palazzo degli Omayyadi edificato verso il 720 d.C. come dimora del governatore, ma circa 20 anni dopo venne distrutto da un terremoto e non fu mai ricostruito del tutto.
Con una pianta a forma di croce, dell’edificio rimangono tuttavia il grandioso ingresso, quattro nicchie a volta e la magnifica cupola che sovrasta la Sala delle Udienze. Altro elemento di rilievo è il Tempio di Ercole costruito fra il 162 e il 166 d.C., durante l’epoca in cui Giulio Geminio Marciano governò la Provincia d’Arabia sotto l’impero di Marco Aurelio. All’interno è visibile la mano dell’eroe mitologico scolpita nella pietra e date le dimensioni si pensa che l’intera opera possa essere stata alta almeno 12 metri.
A nord-ovest del Tempio è situato il museo archeologico dove sono presenti le statue rinvenute ad ‘Ayn Ghazāl, Fonte della Gazzella, un insediamento individuato nel 1974 durante la costruzione di una strada e secondo le successive ricerche, il sito era abitato in un periodo databile fra il 7250 e il 5000 a.C., per cui allo stato attuale delle cose tali manifatture sono considerate le più antiche al mondo. Ai piedi della Cittadella vi è Piazza Ashemita, nei pressi della quale sono altre preziose testimonianze di epoca romana: il Ninfeo, l’Odeon e il Teatro fatto innalzare fra il 138 e 160 d.C. dall’imperatore Antonino Pio e ancora oggi, con i suoi 6000 posti è ancora utilizzato per gli spettacoli. Amman inoltre, nella sua parte orientale, lontano dai grattacieli e centri commerciali, è un vorticoso labirinto che si lascia vivere fra i colori dei mercati noti come suq, avventurandosi tra i profumi di spezie, shisha, frutta, verdure, trovando altresì preziosi prodotti artigianali come elementi d’arredo, arazzi, abiti tradizionali fino a meravigliosi manufatti in oro.
Jerash, l’eredità dell’Impero Romano
A circa 50km a Nord di Amman antico e moderno si uniscono altrettanto a Jerash, capitale dell’omonima regione giordana dove si trovano le rovine d’immenso valore storico, fra le più importanti eredità dell’Impero Romano presenti nel territorio e uno dei siti archeologici meglio conservati di tutto il mondo. Sebbene esistesse già durante il neolitico, il primo rilevante insediamento ebbe luogo in età ellenistica, ma è con il successivo avvento dei romani che Jerash, allora conosciuta come Gerasa, raggiunse il suo massimo splendore.
Con la conquista operata da Pompeo nel 64 a.C., fu annessa alla provincia romana della Siria e in seguito entrò a far parte dell’alleanza militare e commerciale costituita da un totale di 10 città, sodalizio appunto denominato Decapolis. Essa ne divenne il centro più prospero anche grazie a un proficuo legame con i Nabatei che le permise di crescere e fiorire. Dopo essere stata annessa alla provincia Araba nell’anno 90 d.C., sotto l’imperatore Traiano subì notevoli ristrutturazioni e i lavori trovarono continuità con il successore Adriano, in onore al quale, a sud della città venne edificato l’Arco trionfale alto 13 metri e ancora oggi visibile. All’alba del III secolo a Jerash fu conferito il titolo di colonia e continuò a svilupparsi anche nelle susseguenti epoche, sotto il dominio dei bizantini e dopo il declino sofferto con la crescita del Regno dei Sasanidi, ebbe la forza di rialzarsi con l’arrivo del califfato omayyade, ma gradualmente, le sue dimensioni erano andate diminuendosi e nulla poté per resistere a una serie di terremoti che la colpirono a partire dal 747.
Nel complesso di scavi, a memoria di un luminoso passato sopravvive la grandiosa Piazza Ovale, un’area di 90 metri per 80, lastricata con fini pietre di calcare e adornata da 56 colonne ioniche. Da essa si accede al Tempio di Giove del 162 d.C. e accanto vi è il Teatro Meridionale con una capienza di 5000 posti e un’acustica ancora perfetta. Proseguendo verso Nord s’incontrano invece le tre chiese d’occupazione bizantina dedicate ai Santi Cosma e Damiano, San Giorgio e San Giovanni Battista, edifici che si assommano alla Chiesa di San Teodoro e alla cattedrale eretta sopra quello che un tempo fu il Tempio di Dionisio. Andando oltre, si apre il Tempio di Artemide fiancheggiato da 12 colonne e dal più piccolo Teatro Settentrionale. E poi il già citato Arco di Adriano, nei pressi del quale si trova l’ippodromo dove si svolgevano le corse di bighe e gare di atletica davanti a 15mila persone.
Quṣayr ʿAmra, il castello del deserto
Nel governatorato di al-Zarqa, a circa 80 chilometri a est della capitale, sorge Quṣayr ʿAmra, tra i primi e più importanti esempi di arte e architettura islamica. Di epoca omayyade, il piccolo palazzo di Amra, insieme al Qaṣr al-Kharāna e Qasr al-Azraq, compone quelli che per definizione s’intendono i Castelli del Deserto della Giordania, benché ve ne siano almeno altri 6. Costituito da basalto e calcare, venne fatto costruire agli inizi del 700 dal califfo al-Walīd I, come angolo di pace in cui ascoltare musica, dedicarsi alla lettura e praticare attività sportive.
Della struttura originale sono attualmente accessibili soltanto la Sala delle Udienze e l’ḥammām, ma lo straordinario valore del palazzo che nel 1985 ha portato l’Unesco ad inserirlo fra i patrimoni dell’umanità, è dato dagli affreschi raffiguranti il califfo in persona, scene di caccia, panorami marini, costellazioni, donne danzanti, nude e seminude, opere che nel loro complesso vanno coprire circa 350 m² delle superfici interne.
Il significato delle immagini è tutt’ora oggetto di studio e tra le varie interpretazioni, ricercatori hanno suggerito possano trattarsi di una traduzione visiva della poesia araba e rappresentino il periodo di transizione tra la cultura bizantina e islamica, influenzata dall’arte e dall’iconografia sasanide.
Madaba, la città dei mosaici
Dirigendosi invece a sud di Amman, percorrendo la penta millenaria Strada dei Re, si raggiunge Madaba, luogo citato nella Bibbia come Medeba, uno degli insediamenti distribuiti dalle dodici tribù di Israele ed il suo nome compare anche nella stele in basalto nero conservata al Museo del Louvre, che nell’840 a.C. il re moabita Mesha fece erigere come immagine delle sue vittorie sugli israeliti.
La città, è detta dei mosaici per i suoi capolavori d’arte omayyade e bizantina, fra i quali spicca la Mappa di Terrasanta del VI secolo d.C., dove sono rappresentati i punti più significativi della Vecchia Gerusalemme e l’itinerario per arrivarvi partendo da più di 150 località. Fu rinvenuta verso il 1890, quando sui resti di un edificio sacro bizantino venne costruita la greco-ortodossa Chiesa di San Giorgio.
Interni sontuosi, colonne finemente decorate e ovviamente il suddetto mosaico la rendono una tra le più belle e rilevanti della Giordania, benché l’opera di maggior risalto, la Mappa, oggi si presenta con una larghezza di 5 metri per 16 di lunghezza, mentre in origine copriva una superficie di ben 175 m² ed era composta da qualcosa come 2 milioni di tessere. Certosine maestrie sono inoltre conservate nella Chiesa della Vergine Maria all’interno del Parco Archeologico, dov’è anche la Chiesa del profeta Elia e la Sala di Ippolito, fastosa residenza bizantina del VI secolo.
Monte Nebo e la visione di Mosè
A una decina di chilometri a ovest di Madaba, vi è il Monte Nebo, dalla cui sommità è possibile posare gli occhi sul Giordano e Mar Morto, spaziando da Gerusalemme fino a Gerico. Un luogo estremamente suggestivo e non meno ammaliante del Sinai, perché ad aggiunger fascino alla natura sono anche qui le sacre scritture, quando a conclusione del secondo capitolo del Deuteronomio, quinto e ultimo libro del Pentateuco, viene raccontato che dalla sua vetta, Mosè poté contemplare la Terra Promessa destinata al Popolo Eletto popolo.
Dio gliela indicò, si narra, ma non gli concesse raggiungerla: «Poi Mosè salì dalle pianure di Moab sul Monte Nebo, in vetta al Pisgah, che è sulla sponda opposta a Gerico. E l’Eterno gli fece vedere tutto il paese di Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al mare occidentale, il Neghev e la pianura della valle di Gerico, città delle palme, fino a Tsoar. L’Eterno gli disse: “Questo è il paese che ho promesso con giuramento ad Abrahamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: “Io lo darò alla tua discendenza”. Io te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!”». (Deuteronomio, 34:1-4)
Il liberatore del popolo d’Israele dall’Egitto, concluse quindi il suo Esodo sul Monte Nebo e la Bibbia prosegue raccontando che il «servo dell’Eterno, morì là, nel paese di Moab». Parole che hanno reso il posto oggetto di culto sin dai tempi più remoti, tanto che la prima testimonianza della presenza di una chiesa risale al IV secolo e giunge dal diario di viaggio di Egeria, donna di cui poco è conosciuto se non quanto scritto nel suo Itinerarium; un diario di viaggio che lo storico Gian Francesco Gamurrini trovò nel 1884 fra i libri della biblioteca di Arezzo, in Toscana, sua città natale. Ella si recò in pellegrinaggio in Terrasanta fra il 381 e il 384 appuntando ogni particolare dei santuari e riti religiosi e nel 1932, quando iniziarono gli scavi per realizzare la Basilica del Memoriale di Mosè, gli archeologi hanno potuto avvalorare i resoconti, osservando una sorta di stratificazione di chiese e monasteri.
Gli arredi liturgici e le decorazioni in metallo battuto all’interno del santuario, sono opera dell’artista fiorentino Fantoni, il quale pose all’esterno anche una scultura cruciforme con serpenti di rame intrecciati, ricordando sia il sacrificio di Gesù, sia il miracoloso bastone di Mosè, il Nehushtan: «Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita». (Numeri 21:9)
Il sepolcro della guida del popolo ebraico non è mai stato trovato, ma dopo aver consultato l’Oracolo, si dice che Geremia abbia nascosto l’Arca dell’Alleanza, la Tenda e l’Altare dell’Incenso sul Monte Nebo.
Al-Karak, fra Crociati e il leggendario Saladino
Continuando lungo l’antica Via Regia, l’attenzione non può non soffermarsi su Al-Karak, città le cui radici affondano nell’Era del Ferro ed è anch’essa citata nella Bibbia con il nome di Qer Harreseth, oltre ad esser menzionata fra le pagine dei Libri dei Re e del Libro del profeta Amos come luogo dove giunsero i Siriani prima di viaggiare verso i territori a Nord della Palestina. Divenuta capitale dei Moabiti intorno al 900 a.C, venne poi conquistata dai Nabatei, Romani, Bizantini, ma le opere architettoniche di maggior rilievo videro la luce durante l’epoca dei Crociati e del leggendario Saladino, padre della dinastia degli Ayybidi, nonché sultano di Egitto, Siria, Yemen e Hijaz.
Al-Karak sorge su un altopiano triangolare e all’estremità meridionale, a dominare la valle del Giordano, è la roccaforte issata dai Crociati per controllare le rotte carovaniere che conducevano da Damasco a La Mecca.
La sua costruzione ebbe inizio negli anni quaranta del XII secolo per volontà di Pagano, vassallo di re Folco, e le fu dato il nome di Kerak di Moab. Nel 1176 ne prese possesso Rinaldo di Chatillon, cavaliere francese partito per la Terra Santa in occasione della seconda crociata e vi rimase diventando Principe consorte d’Antiochia dal 1153 al 1160 e a partire dal 1176, sino alla morte, Signore d’Oltregiordano.
Egli si rese presto protagonista di numerosi assalti alle carovane, di incursioni nei porti sul Mar Rosso e arrivò persino a minacciare La Mecca, spezzando quindi la pace che i musulmani avevano sancito con il Regno di Gerusalemme. Saladino infatti reagì immediatamente e si abbatté sulla fortezza scagliando una prima offensiva nel 1183, ma l’allora re Baldovino IV, seppur contrariato dai comportamenti di Rinaldo, raccolse le milizie necessarie e riuscì a respingere l’assedio. Baldovino IV morì nel 1185 e in un clima mai restaurato, il castello venne definitivamente conquistato all’indomani della battaglia di Hattin del 1187, in cui le forze ayyubide ebbero la meglio su quelle crociate decretando l’inizio della riconquista islamica di gran parte dei territori della Palestina.
Al-Karak divenne fulcro di una vasta area della Giordania, rivestendo per lungo tempo un ruolo centrale nelle politiche del Medio Oriente e oggi, rappresenta un esempio di coesistenza fra musulmani e cristiani.
Petra, il gioiello della Giordania
Autentica perla fra le più celebri della Giordania è la prodigiosa e magnetica Petra, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1985 ed inserita fra le 7 meraviglie del mondo moderno.
Ritrovamenti effettuati nell’area hanno evidenziato stanziamenti umani collocabili già fra il X e VIII millennio a.C., ma fu il colto e industrioso popolo dei Nabatei a plasmarla scavando nella nuda roccia, realizzando così un’opera architettonica unica, prezioso lascito e tangibile prova di genio assoluto.
Essi erano una tribù nomade originaria dell’Arabia del Nord e come molte altre usavano vagare per il deserto, fermandosi ovunque potessero trovare acqua e pascoli per le mandrie. Cominciarono ad insediarsi nel territorio verso il 600 a.C. e con il tempo, spinsero gli Edomiti a spostarsi altrove nonostante stanziassero nella zona da almeno 3 secoli. Quest’ultimi s’installarono nella regione di Hebron e i Nabatei resero Petra il portentoso risultato dell’incontro tra uomo e natura, facendola altresì diventare un cruciale snodo per le rotte commerciali che collegavano oriente e occidente.
Tuttavia, il tempo avrebbe dimenticato la città.
Nel 363 venne colpita e danneggiata da una scossa tellurica, un secondo sisma si abbatté su di lei nel 551 e di nuovo nel 419, finché un quarto terremoto avvenuto in epoca nel 749 ne provocò lo spopolamento. Più tardi venne conquistata dai Crociati e rimase loro sino all’avvento di Saladino del 1189, dopodiché cadde definitivamente nell’oblio e per 5 lunghi secoli, fu come se Petra non fosse mai esistita.
Venne riscoperta soltanto il 22 agosto 1812 dall’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt, nel corso dei 2 anni passati in Siria per perfezionare l’arabo e approfondire le conoscenze sulla fede islamica. Conosciuto anche con il nome Jean Louis, viaggiò per il Medio Oriente mantenendo come base Damasco e date le tensioni politiche e religiose dell’epoca, girava indossando abiti arabi e si presentava come Cheikh Ibrahim. Durante una delle tante escursioni venne a conoscenza di una roccaforte naturale, così trovò una guida e si finse pellegrino desioso di sacrificare un agnello sulla tomba del profeta Aronne, fratello di Mosè, situata sulla vetta del monte Jebel Haroun, non distante da Petra. Burckhardt vide così le rovine ed anche se la situazione non gli permise di soffermarsi, era certo d’aver incontrato il miracolo dei Nabatei. Diffuse quindi la notizia e lo fece anche attraverso le pagine del libro Travels in Syria and the Holy Land, ma il 15 ottobre 1817 la morte lo colse all’età di 33 anni e come non riuscì a vedere la pubblicazione della sua opera letteraria, non poté assistere ai primi scavi archeologici, iniziati nel 1828 e da allora mai terminati.
Attraversando il Siq, una faglia geologica di circa 1,5 chilometri avvolta da pareti che in alcuni tratti raggiungono i 180 metri di altezza, Petra si mostra nella sua maestosità con il vermiglio volto del Tesoro del Faraone, El Khasneh, un imponente monumento di pietra rosa la cui facciata è alta 40 metri e larga 30 ed è così chiamato, perché leggenda vuole che all’interno vi sia appunto custodito un tesoro.
Ma è solo il primo delle tante meraviglie, il Parco archeologico di Petra copre infatti un’area di oltre 260.000 m² e presenta templi, un teatro in stile romano in grado di ospitare 3000 persone, viali colmi di colonne, il Monastero di Ad-Deir, visitabile dopo aver superato una gradinata di 800 scalini e poi centinaia di sepolcri recanti complesse incisioni. Tombe in gran parte ricavate nell’arenaria, roccia sedimentaria caratterizzata da sfumature di colori che variano dal rosso al blu, dal giallo al bianco e forse, questo è il motivo per cui in antichità Petra era nota come Raqmu, ossia Variopinta.
Inoltre, ennesima attestazione di un lavoro epico, vi è il Jebel al-Madhbah, l’Altura del Sacrificio, una montagna che dall’alto dei suoi 1000 metri domina la valle. La vetta, raggiungibile salendo 900 scalini, dai Nabatei fu livellata, ornata di luccicanti obelischi intarsiati dedicati alle divinità Al-‘Uzza e Dushara, e poi da un altare dove veniva celebrato il pasto comune dopo il dono votivo.
Il Wadi Rum, la Valle della Luna
Se Petra era la città dove i Nabatei vivevano e seppellivano i propri defunti, a una distanza di 14 chilometri, nelle pietre del Siq al-Barid, il canyon freddo, crearono un altro più piccolo e non meno affasciante centro, noto come la Piccola Petra o Petra la Bianca, pensata per offrire ospitalità ai carovanieri provenienti dall’Arabia e dall’Oriente, diretti in Siria ed in Egitto, dandogli quindi modo di sostare dopo aver attraversato il Wadi Rum.
Anche detto Valle della Luna, è uno dei teatri desertici più suggestivi al mondo e con le caratteristiche formazioni rocciose che svettano al posto delle dune, ammaliò anche archeologo e scrittore gallese, nonché ufficiale dei servizi segreti britannici, Thomas Edward Lawrence, a tutti noto semplicemente come Lawrence d’Arabia, il personaggio capace d’ispirare con il suo alone romantico il colossal cinematografico del ’62, vincitore di 7 Premi Oscar. Egli vi trascorse molto tempo durante la Rivolta Araba del 1916 e nel libro di memorie I Sette Pilastri della Saggezza lo descrisse «Vast, echoing and God-like», vasto, echeggiante e simile ad una divinità.
Abitato da una flora che comprende una varietà di circa 360 specie di piante e una fauna selvatica composta da gatti delle sabbie, volpi rosse, stambecchi, lupi grigi e dalle eleganti Orici, nel Wadi Rum sono stati rinvenuti decine di migliaia di petroglifi, attribuiti in particolare a Nabatei e Thamudeni, popolazione, quest’ultima, araba preislamica stanziata fra il III e il I secolo a.C. nei pressi della regione del’Hijaz ed è menzionata da autori greci, latini, da iscrizioni assire e numerose volte compare anche nel Corano.
Il Mar Morto e il Mar Rosso
Lago dell’Asfalto, della Pianura, lago Orientale, di Sodoma, lago Salso e ancora Mare Salato, del Deserto, del Destino oppure di Zoar, sono alcuni dei nomi con i quali la storia ha chiamato il Mar Morto, senza dubbio uno dei luoghi più straordinari del Pianeta. Situato nella Valle del Giordano e con una superficie pari a 650 km², com’è noto si tratta di un lago, privo di emissari e con la peculiarità di trovarsi nel punto più basso della Terra, oltre 400 metri sotto il livello del mare. Il bacino è infatti una depressione morfotettonica posta lungo la faglia trasforme che separa la placca africana da quella arabica, ma la sua esistenza è in preoccupante pericolo.
I principali affluenti del Mar Morto sono il Giordano e il Wadi Mujib, rivo che nella Bibbia è citato con il nome di Arnon, ma la quantità di acqua immessa potrebbe essere insufficiente e come sempre, l’uomo non è esente da responsabilità. Estrazione dei minerali, dighe, lo sfruttamento dei fiumi per irrigazione su larga scala hanno sottratto energia al Mar Morto per anni, gravando su di una natura già di per sé complicata per il clima caldo e arido, l’estrema scarsità di piogge e non ultimo il primato di profondità: il lago è significativamente esposto al calore terrestre e la conseguenza è una potente e perpetua evaporazione. Tuttavia, tale fenomeno, insieme alle condizioni atmosferiche e al fatto di essere un lago endoreico con un afflusso continuo di acque cariche di minerali asportate dalle rocce e dal suolo, sono gli elementi che gli conferiscono elevate capacità terapeutiche.
Le proprietà benefiche del Mar Morto sono conosciute sin dalla notte dei tempi, esso infatti è in grado di favorire il rilassamento nervoso, stimolare il metabolismo, contrastando al contempo vari tipi di allergie, infezioni delle vie respiratorie, dolori articolari, muscolari, disfunzioni ghiandolari, malattie cutanee e questo perché i fattori precedentemente detti, determinano eccezionali concentrazioni di sostanze come cloruro di magnesio, calcio, potassio, bromo e sodio. Il livello di salinità medio raggiunge addirittura il 33,7%, 8/10 volte superiore a quella degli oceani, il che rende le sue acque talmente dense da permettere praticamente a chiunque di galleggiare senza la necessità di nuotare.
Inospitale per quasi ogni forma di vita, motivo per cui ha tale nome, il Mar Morto dunque abbonda in virtù, ma tale fonte di benessere sta riducendosi a un ritmo allarmante, tanto che alcuni ricercatori hanno prospettato la sua scomparsa entro il 2050. Per garantirne la sopravvivenza, nel corso del tempo sono state avanzate varie soluzioni, fra cui la controversa e onerosa realizzazione di un collegamento con il Mar Rosso, in modo tale da incanalare linfa e permettergli di salvarlo, ma non pochi sono i dubbi degli ecologisti circa il progetto, in quanto permane l’incognita circa un possibile impatto negativo sull’equilibrio ambientale innescato dalla miscela delle diverse acque.
All’estremo sud, la Giordania è difatti lambita dal mare che il Corano e il Libro dell’Esodo vedono aprirsi sotto il bastone di Mosè, consentendo agli israeliti di fuggire dagli inseguitori egiziani. Su di esso si affaccia l’unica città portuale del Paese, Al-‘Aqaba, centro amministrativo dell’omonimo Governatorato, la cui posizione geografica, crocevia fra Africa, Asia ed Europa, le ha garantito sin dal VI millennio a.C., un ruolo strategico e di particolare rilevanza per l’economia della regione.
Come la maggior parte delle acque costiere del Mar Rosso, anche il tratto che costituisce il Golfo di Al-‘Aqaba, oltre ad essere un’affermata meta turistica, è un importante sito per le osservazioni e immersioni marine, basti pensare alle oltre 230 specie di coralli, animali tanto fragili e incantevoli agli occhi, quanto fondamentali per la sopravvivenza di numerose forme di vita. In queste acque, calde e cristalline per le correnti pacate trovano l’habitat ideale e lo è altrettanto per l’innumerevole gamma di pesci, tartarughe, crostacei con balene e delfini che non raramente si uniscono a un mare di colori.
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