Biodiversità, il segreto della vita che sta scomparendo
La biodiversità è il patrimonio del Pianeta, essa infatti in ecologia indica l’affascinante coesistenza in continuo perfezionamento di eterogenei organismi, abbracciando così la variabilità genetica, di specie e ogni ecosistema con le sue unità viventi e non viventi che interagiscono fra loro.
Piante, batteri, i grandi predatori, la fauna marina e le barriere coralline sono appena alcuni dei componenti di tanti universi, l’uno indispensabile all’altro, e fra loro connessi attraverso un complesso scambio di informazioni, che costituisce il serbatoio dal quale attingono i processi dell’evoluzione. Un insieme di cui l’essere umano è parte integrante al pari di qualunque altra forma animale o vegetale, pertanto la qualità della vita e dunque la sopravvivenza, sono strettamente legate al rispetto e alla protezione di tali delicati equilibri.
Soltanto la diversità biologica propria del mondo vegetale, garantisce materie prime per la produzione di energia, fibre per indumenti, strumenti industriali e da costruzione; la metà dei farmaci autorizzati contiene sostanze derivate dalle piante, tanto che a scopi medicinali ne sono utilizzate circa 70.000 specie. La biodiversità è perciò di capitale importanza tanto per i sistemi non gestiti, quanto per quelli guidati dall’uomo: pascoli, acquacolture, piantagioni, allevamenti.
Il 36% delle terre emerse è sottoposta ad attività agricole e zootecniche, le superfici arabili corrispondono invece a 1,4 miliardi di ettari e solo mais, riso e grano, forniscono il 50% della forza alimentare a livello mondiale. Tutelare la diversità biologica significa preservare le attività di decomposizione della materia organica che rigenerano i terreni trasferendo sostanze nutritive; lasciare alle foreste il compito di fermare le alluvioni, rallentare le erosioni e non ultimo, vuol dire conservare la fondamentale e incessante opera di bombi, farfalle, pipistrelli, uccelli e soprattutto api, mellifere e selvatiche, alcuni degli impollinatori senza i quali verrebbe a mancare quella fertilizzazione da cui deriva più di 1/3 degli alimenti, quando l’andamento demografico fa presagire che entro il 2050 la Terra sarà abitata da 9 miliardi di individui, una crescita del 20% circa ch’è stimata essere la medesima che aumenterà il numero di persone afflitte da fame cronica, un’ingiustificabile moltitudine che attualmente si aggira intorno agli 820 milioni.
La biodiversità fa sì che selezione naturale e scienza possano migliorare le specie conosciute e svilupparne di nuove, organismi vegetali più produttivi, in grado di resistere a condizioni climatiche e altrettanto rendere gli animali più forti difronte alle malattie. Un vantaggio per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, così come per ogni consumatore che può così avvalersi di una più ampia scelta e di conseguenza avere una dieta più completa e ricca. Permettere, o peggio, causare l’impoverimento di una simile e inestimabile risorsa è quindi un suicidio, non solo per l’insicurezza energetica la precarietà alimentare e il conseguente impatto negativo sulla salute, ma anche per la maggior esposizione e vulnerabilità a disastri naturali come tempeste e inondazioni.
La prima conferenza mondiale sull’ambiente, conosciuta come Summit della Terra, si tenne nella città di Rio de Janeiro, dove a giugno 1992 più di 100 capi di Stato si riunirono e sottoscrissero la convenzione contro la desertificazione; l’intesa sui cambiamenti climatici che ha poi trovato seguito con il protocollo di Kyōto e l’Accordo di Parigi nel 2016; ed infine venne adottato il trattato sulla diversità biologica, una dissertazione che ovviamente ha per obiettivo la conservazione e l’uso sostenibile delle componenti della biodiversità, ma è anche volta a regolamentare l’accesso alle risorse genetiche tramite una condivisione equa e corretta delle stesse come dei risultati della ricerca, prevedendo quindi cooperazione tecnico-scientifica fra Paesi e altrettanto prevede la diffusione della conoscenza affinché la società possa avere un’accurata educazione e consapevolezza.
Ad oggi le uniche firme mancanti sono quelle di Stati Uniti d’America e Vaticano, eppure, i dati riportati nella Red List che dal 1948 è annualmente stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, parla di 26.500 specie a rischio estinzione su 96.500 valutate. Nel 2004 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, a tutti nota come FAO, ha stimato che nell’ultimo secolo sono «scomparsi 3/4 delle diversità genetiche delle colture agricole», riscontrando inoltre che la produzione mondiale di bestiame si basa su 40 specie di animali domestici, con 7.745 razze individuabili e circa il 26% di esse è in pericolo.
Nel 2018 il Direttore Generale dell’Agenzia, José Graziano da Silva, lanciò un appello per una produzione alimentare sostenibile, un cambiamento in grado di offrire cibi sani senza incidere sull’ambiente, affermando come la biodiversità sia fondamentale «per la tutela della sicurezza alimentare e la nutrizione globale, per migliorare i mezzi di sostentamento e per rafforzare la capacità di resilienza delle persone e delle comunità». Secondo il DG gran parte delle responsabilità sono da attribuire ad un industria del cibo incapace di andare oltre i principi della cosiddetta Rivoluzione Verde iniziata iniziata in Messico nel 1944, affermando che si «fondava sull’uso di input ad alto contenuto chimico, con un notevole costo per l’ambiente».
FAO: Lo stato della biodiversità globale
Il 22 febbraio scorso, in occasione della presentazione del 1° e allarmante rapporto Stato della Biodiversità Mondiale per l’Alimentazione e l’Agricoltura, è arrivata puntuale una nuova ammonizione da parte di José Graziano da Silva: «Dobbiamo usare la biodiversità in modo sostenibile, per poter rispondere meglio alle crescenti sfide del cambiamento climatico e produrre cibo senza danneggiare il nostro ambiente. Meno biodiversità significa che piante e animali sono più vulnerabili ai parassiti e alle malattie».
Maggiore è il grado di diversità biologica e più importante è infatti anche la capacità di un ecosistema di reagire e resistere a perturbazioni indotte dall’esterno come può essere l’inquinamento, minaccia anch’essa a lungo ignorata nonostante i tanti avvertimenti culminati con il Global Warming, dossier attraverso il quale il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ha sottolineato la necessità di una drastica e rapida riduzione delle emissioni di gas serra per evitare la catastrofe.
Un pericolo per la natura che com’è ovvio si riflette sulla salute umana, in quanto la «nostra dipendenza da un numero sempre minore di specie per nutrirci – ha precisato da Silva — sta mettendo la nostra già fragile sicurezza alimentare sull’orlo del collasso».
Redatto dalla FAO sotto la guida della Commissione sulle risorse genetiche, lo studio è frutto di cinque anni di lavoro compiuto da 175 autori e revisori che hanno esaminato 27 relazioni di organizzazioni internazionali e i dati raccolti in 91 nazioni da oltre 1300 collaboratori. Analizzando la condizione d’ogni protagonista della produzione agricola, il rapporto mette in evidenza una preoccupante diminuzione della biodiversità, puntualizzando come la perdita sia irreversibile.
Oltre al numero crescente di animali domestici, l’insidia estinzione incombe sul 20% dei 9.600 generi di cibo selvatico; 1/3 delle specie di pesci d’acqua dolce e tristemente, da tempo ormai sono in sensibile diminuzione gli impollinatori, seguiti da microrganismi, altri insetti, uccelli e chirotteri di vitale importanza anche per il ruolo svolto di guardie contro i parassiti. Inoltre, osserva lo studio, delle 6.000 specie vegetali coltivate, meno di 200 contribuiscono concretamente alla produzione alimentare globale e solamente 9 coprono il 66% del totale.
Tutto questo a causa di un errato utilizzo e gestione del terreno e dell’acqua, dell’inquinamento, del degrado e distruzione degli habitat naturali e non meno, per il sovrasfruttamento delle risorse come dimostra il 33% degli stock ittici monitorati ed ancora dalla caccia e bracconaggio in paesi come l’Africa, mentre in Europa e Asia centrale la piaga è rappresentata dal disboscamento, urbanizzazione e intensificazione dell’agricoltura.
Foreste, pascoli, mangrovie, praterie di alghe, barriere coralline e zone umide in generale – gli eco-sistemi chiave che forniscono numerosi servizi essenziali per l’alimentazione e l’agricoltura e ospitano innumerevoli specie – sono anch’essi in rapido declino.
Il documento però, si fa anche testimone delle attività in rispetto della diversità biologica che l’80% dei 91 paesi dichiara di adoperare: «agricoltura biologica, gestione integrata dei parassiti, agricoltura conservativa, una gestione sostenibile del suolo, agro-ecologia, gestione forestale sostenibile, agro-forestazione, pratiche di diversificazione in acquacoltura, un approccio eco-sistemico alla pesca e al ripristino dell’ecosistema». Un impegno riconosciuto, ma non è ancora sufficiente, la FAO denota come debbano essere approfondite le conoscenze, intensificato il monitoraggio dei fattori che attentano la biodiversità per l’alimentazione e agricoltura, per cui rivendere e in caso proibire le applicazioni nocive, al contempo dare maggior sostegno alle tecnologie esistenti e promuoverne di nuove affinché possano favorirne la conservazione anche in virtù dei cambiamenti climatici.
Il tema esige uscire dall’ambito specialistico per diventare bene comune come previsto dalla convenzione, perché entri nelle scuole, appartenga al consumatore che quotidianamente acquista cibo, come ai ristoratori che lo propongono, così come a chi promuove i prodotti e a coloro che programmano le politiche territoriali. Il rapporto non manca infatti di richiamare l’attenzione delle persone nella scelta degli alimenti, boicottando quelli considerati insostenibili per rivolgersi ai mercati degli agricoltori. In fondo le leggi del commercio le scrivono gli utenti finali e l’essere umano, ha un solo Pianeta che da troppo invoca gentilezza, un minimo di cura ed esclusivamente per continuare a offrire le sue meraviglie.
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