Gyanganj, il misterioso regno dell’eternità
Gyanganj, la città degli immortali di cui si parla da secoli, ma che rimane sconosciuta alle mappe e celata ai satelliti. Esiste davvero?
Tradizione vuole che si trovi nei pressi del Tibet, nascosta nelle profondità delle valli formate dalla catena montuosa himalayana, una delle regioni più suggestive e immacolate del nostro pianeta e che da sempre, attrae oltre agli esploratori vogliosi di conquistarne le vette e persone che intraprendono un viaggio puramente spirituale.
Secondo alcuni, sarebbe situata nello stato di Uttarakhand, vicino a Dahrchula, lungo l’antica strada che porta al lago Manasarovar, specchio d’acqua considerato sacro sia in India che in Tibet.
Riferimenti si trovano in molte antiche scritture, tra cui Mahābhārata e Rāmāyaṇa, i grandi poemi epici dell’induismo (il secondo considerato anche fra i più significativi testi sacri di questa religione e filosofia) che insieme ai Purana costituiscono l’Itihasa, parola sanscrita che letteralmente significa ‘così dunque fu’, più semplicemente perciò la si può intendere come ‘storia’.
Dal sanscrito trae origine anche il nome Gyanganj, composto dalla parola Gyan, ovvero saggezza, illuminazione, e dal termine Ganj, tesoro, per cui la traduzione è ‘Tesoro di ogni conoscenza’.
E’ inoltre conosciuta come Siddhāśrama, ovvero ‘eremitaggio dei siddha’, aggettivo quest’ultimo che significa ‘potere miracoloso’ e con il quale si fa riferimento agli appartenenti della tradizione ascetica del siddha yoga.
Gyanganj perciò, è un antico e potente Yogashram, molto più di un luogo di meditazione dove nutrire l’anima, sia esso un eremo o un monastero. Qui vi hanno accesso e possono vivere solo anime divine, grandi Yogi e Sadhu che attraverso una disciplina fisico-mentale particolarmente rigida acquisiscono poteri sovrannaturali e raggiungono l’eternità, rimanendo poi in costante connessione con questa terra mistica.
Gyanganj, la dimora di Mahavatar Babaji
Yogananda dichiarava che questa antica forma di meditazione era nota anche a Gesù e ai discepoli; spesso faceva riferimento al Messia nei suoi discorsi ed altrettanto faceva con Francesco d’Assisi.
Nel 1946, con lo scopo di divulgare gli insegnamenti ricevuti dal suo maestro Sri Yukteswar, a sua volta istruito da Lahiri Mahasaya, diretto discepolo di Mahavatar Babaji, l’immortale illuminato dell’Himalaya, pubblicò ‘Autobiografia di uno Yogi’, un libro che tra l’altro, è stato fonte d’ispirazione per artisti come Ravi Shankar, George Harrison e pare fosse particolarmente apprezzato da Steve Jobs. Nella biografia scritta da Walter Isaacson, si dice che il genio della Apple l’avesse letto da ragazzo, poi una seconda volta durante una permanenza in India ed infine se lo scaricò nell’IPad, riscoprendone le parole almeno una volta all’anno.
Tradotto in 35 lingue, tra le pagine sono narrati gli incontri con molti personaggi, come il già citato Gandhi, la mistica tedesca Teresa Neumann o ancora Mâ Ananda Moyî, da molti considerata reincarnazione di Kali, fino a Chandrasekhara Venkata Raman, Premio Nobel per la fisica nel 1930.
Soprattutto è raccontato l’incontro proprio con Mahavatar Babaji, il Grande Avatar in grado di assumere qualunque forma e descritto ad un livello spirituale «al di là della capacità di comprensione umana». Avvenne nella regione himalayana di Badrinath ed è riportato come un uomo incredibilmente dall’aspetto giovane in quanto capace di rigenerarsi, così come si crede che la sua dimora sia Gyanganj e Yogananda lasciò la seguente promessa: «Non abbandonerò mai il mio corpo fisico, che rimarrà sempre visibile almeno a un piccolo gruppo di persone su questa terra».
Da Gandha Baba a Narayan Dutt Shrimali
Altrettanto connesso a questo regno celeste era il guru Gopinath Kaviraj (1887-1976), filosofo, studioso di Tantra e preside del Government Sanskrit College di Benaras. Kaviraj venne a conoscenza della città grazie al suo insegnante, il siddha yogi bengalese Vishuddhananda Paramahansa (1853-1937), il quale gli aveva riferito di esserci stato per studiare la Surya Vijnan, letteralmente Scienza Solare, secolare disciplina che mediante una perfetta conoscenza dei raggi solari, permette di determinare mutamenti nella struttura atomica della materia.
Quest’ultimo ne scrisse nel suo libro ‘A search in secret India’, affermando che lo vide creare qualsiasi profumo, potere che gli valeva il nome con cui è più noto, ovvero Gandha Baba, ‘Santo del profumo’, ma dichiarava di averlo visto riportare in vita un uccello morto.
«Siddhashram è reale e autentico – afferma Shrimali – è il più grande luogo di spiritualità e molto è stato detto a riguardo in varie scritture antiche. È un Ashram divino che si estende per molte miglia, a nord di Mansarovar e Kailash. Ma essendo ricoperti da uno spesso strato di ozono, nessuno può vederlo e non è nemmeno possibile scattare foto aeree o satellitari. In questa terra celeste non esiste niente di simile alla morte. Ognuno è libero da ogni sorta di dolore, debolezza e ansietà, ma tutti assaporano gli effetti del piacere, della giovinezza e della felicità. Ancora oggi si possono vedere i grandi Yogi come Vashistha, Vishwamitra, Garg, Atri, Kanad, Shri Krishna, Shankaracharya e altri. Vagano e puoi conversare con loro per acquisire guida in vari Sadhana. In effetti, è compito di Siddhashrami mantenere l’equilibrio tra materialismo e spiritualismo e, di tanto in tanto, creare gli straordinari yogi presenti in questo mondo. Una persona può entrare in Siddhashram solo attraverso poteri spirituali e solo allora raggiunge la totalità della vita.»
Shrimali ha descritto Gyanganj, come a suo tempo fece Gopinath Kaviraj e le versioni sono del tutto simili. La collocano su una pianura a nord del monte Kailash, vicino al lago Mansarovar, in Tibet. Si estende in un’area di molte miglia quadrate ed è circondata da un fossato con acqua cristallina e per accedervi c’è un ponte levatoio a forma di arco.
Qui gli Yogi avrebbero un forte impatto sull’intero Universo e sarebbero impegnati a trasformare la coscienza del mondo, influenzando persino la vita degli esseri umani per avviare cambiamenti sia in campo spirituale, sia sociale, sarebbero quindi in grado mutare il nostro destino. Se è vero che la coscienza collettiva è in aumento, forse Gyanganj si mostrerà maggiormente e magari potrà essere più accessibile agli esseri umani che vorranno visitare il luogo in cui vivono gli immortali, quello che il Dalai Lama, nel 1985, ha definito come luogo non fisico, ma visibile solo attraverso connessione karmica:
«Sebbene coloro con una congiunzione straordinaria possano effettivamente avere la facoltà di visitarla attraverso la loro connessione karmica, non è un luogo fisico effettivamente rintracciabile. Possiamo solo dire che è una terra pura, una terra pura nel regno umano. E a meno che una persona abbia merito e legame karmico, non può effettivamente raggiungerla.»
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