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We Shall Overcome, canto gospel, inno dei diritti civili

Martin Luther King, Lakeview, New York, 12 maggio 1965

 
Nell’evocativa magia insita alla musica, We Shall Overcome fu il gospel dal tempo elevato ad inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l’assoluto valore umano.

Io sono inferiore a qualsiasi uomo i cui diritti calpesto sotto i piedi.
Horace Greeley

Imprescindibilmente legato alla musica sacra cristiano-metodista, il gospel diramò radici in territorio statunitense durante la tratta di schiavi Africani, divenendo strumento al quale affidare sofferenze e speranze di futura libertà, fuoriuscendone le prime note dalle accorate ugole di schiene spietatamente piegate ed impietosamente umiliate in forzato e spossante lavoro nei campi, dalla medesima terra trasformando l’amarezza del disincanto in unione di voci, nell’intento di trasmutare utopie in bramati sogni.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Illustrazione stivaggio degli Africani deportati nella nave negriera britannica Brookes, ai sensi della legge sulla tratta degli schiavi del 1788 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Illustrazione stivaggio degli Africani deportati nella nave negriera britannica Brookes, ai sensi della legge sulla tratta degli schiavi del 1788

 
All’inesorabile passaggio dei secoli, la tradizione orale afroamericana s’arricchì di vissuti che gli anni Settanta avrebbero caritatevolmente accolto in grembo, screziando di modernità l’originario black gospel in sottogeneri serbanti il fuoco spirituale sino alle forme più recenti come lo Urban contemporary gospel, da esplodere trasversalmente alle folle destando simultaneamente ragione e coscienza, sull’onda delle problematiche dell’epoca inerenti a tematiche di eguaglianza, democrazia e nella moltitudine di canzoni ambasciatrici di tali ideali attraverso voci di numerosi artisti, We Shall Overcome, è pietra miliare, preziosa testimonianza d’assoluta ed indiscussa liberalità.
 

Charles Tindley, il Padrino del Gospel e le origini di We Shall Overcome

 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Charles Albert Tindley • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Charles Albert Tindley

 
Ritenuta principale canto di vittoria dei diritti civili degli Stati Uniti, We Shall Overcome è generalmente riconosciuta figlia di I’ll Overcome Some Day, intensa lirica del compositore di musica gospel e ministro metodista americano, nato nella cittadina di Berlin, contea di Worcester, stato del Maryland, Charles Albert Tindley (1851-1933), colui che venne considerato il principe dei predicatori in virtù del suo votato dedicarsi alla comunità afroamericana, a tale scopo creatore di una confraternita della stessa a sostegno, in costante fede ai principi del Metodismo, manifestazione del protestantesimo, ad elevata coscienza mistica e incondizionata disciplina morale, iniziata dall’evangelista e teologo inglese John Wesley (1703-1791), in ambito della trasformazione della Chiesa anglicana, e dallo stesso divulgata tramite propagatori itineranti che spronassero il prossimo ad operare secondo etiche in avvallo alla giustizia sociale, fra le altre cose auspicando una riforma carceraria, spendendosi con spirito abolizionista e attivamente impegnandosi, dapprima fra Gran Bretagna ed Irlanda, in seguito nelle colonie americane, tramite generose opere di misericordia a conforto dei più bisognosi.
 

I’ll Overcome Someday
(pianoforte: Annastasia Victory; voce: Caroline Disnew)

This world is one great battlefield,
With forces all arrayed;
If in my heart I do not yield
I’ll overcome some day.

Both seen and unseen powers join
To drive my soul astray,
But with God’s Word a sword of mine,
I’ll overcome some day.

A thousand snares are set for me,
And mountains in my way;
If Jesus will my leader be,
I’ll overcome some day.

I fail so often when I try
My Savior to obey;
It pains my heart and then I cry,
Lord, make me strong some day.

My mind is not to do the wrong,
But walk the narrow way;
I’m praying as I journey on,
To overcome some day.

Tho’ many a time no signs appear,
Of answer when I pray;
My Jesus says I need not fear,
He’ll make it plain some day.
I’ll be like Him some day.

 
All’interno delle differenti branche della dottrina protestante, John e il fratello reverendo Charles Wesley (1707-1788), si erano infatti contrapposti alla tradizione ideologica calvinista, aderendo agli antecedenti dogmi dell’Arminianesimo, ossia la branca del Protestantesimo i cui perni ideologici s’originarono nell’olandese cultore di teologia Jacobus Arminius (1560-1609), colui che in pieno periodo di riforma della cristianità occidentale, si discostò gradatamente dalla teologia di Giovanni Calvino (1509-1564), affrancandosi dalla sua visione dell’uomo come anima predestinata alla dannazione eterna, al contrario fermamente credendo in una grazia divina tramite di salvezza, in particolare modo diversificandosi in alcuni aspetti quali depravazione e libero arbitrio, elezione divina, redenzione, grazia e chiamata, salvezza e perseveranza (nel 1611 screditati da contro-documentazione, a medesima elencazione di punti, dai fautori del Calvinismo) che, ad un anno dalla sua morte, ad opera dei seguaci vennero esplicitati nei cinque Articoli di Rimostranza, dal nome del movimento sorto nei Paesi Bassi in fede allo stesso Arminius ed in seguito alla separazione dalla Chiesa riformata olandese.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Charles e John Wesley ritratti da Louise Huntington Rosenberger, Christ Church, Savannah, Georgia • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Charles e John Wesley ritratti da Louise Huntington Rosenberger
Christ Church, Savannah, Georgia

 
La peregrinazione dei fratelli Wesley, partita posando orme sulla concretezza spirituale arminiana e in riferimento alla stessa forgiatasi nell’intento d’evangelizzare il popolo alle proprie credenze, avvenne spesso al di fuori di rigide regole ecclesiastiche, una su tutte la mancata ordinazione dei gregari che ne diffondevano la visione e ciò sottopose i due uomini, dal 1739 in avanti, a tenaci vessazioni per mano d’un clero timoroso di perdere proseliti, conseguendone scelta wesleyana di formare predicatori o predicatrici locali, laici o diaconi che fossero, allo scopo di garantire la massima espansione del Metodismo attraverso un certosino diffondersi fra la popolazione, senza la necessità di promulgarla esclusivamente all’interno delle chiese, bensì avvalendosi di qualsiasi luogo si rendesse idoneo, portando la parola di Dio fra indigenti ed emarginati, manifestandola nel concreto per mezzo di pia assistenza agli stessi oltre all’adoperarsi nella gestione di orfanotrofi e fondazioni benefiche, lo stesso John viaggiando e cavallo e predicando anche per tre volte al giorno fino al suo settantanovesimo anno d’età, a meno da un anno dalla sua morte.

Valore aggiunto all’ideologia fu impresso dall’opera del fratello Charles, autore d’oltre seimila inni d’ispirazione religiosa, a postumi notevolmente influenti anche sull’intero apparato teologico moderno, che contribuirono alla crescente popolarità del movimento in questione, espandendosi a macchia d’olio in più paesi e tramandando il Metodismo di generazione in generazione, certamente in eco a quella di Tindley, uomo dal cuore trafitto per prematura scomparsa della madre Hester, a soli quattro anni d’età e per la separazione dal padre Charles, soggetto a schiavitù, l’anno successivo, tuttavia determinato nell’istruirsi senza possibilità d’accedere agli studi, dunque costruendosi una discreta cultura fra spirito autodidatta, altruismo d’una frangia del prossimo che lo aiutò nei suoi propositi, maritandosi nel 1858, appena diciassettenne, con Anna Daisy Henry (1862-1924) e con la donna trasferendosi a Philadelphia nel 1875, nel mentre giovandosi delle possibilità d’apprendere greco ed ebraico per corrispondenza, alla Boston University School of Theology, in seguito superando prove a pieni voti e servendo differenti congregazioni, nel 1902 ritornando come pastore alla Calvary Methodist Episcopal Church, anche detta East Bainbridge Street Church, della quale in giovane età, era stato sagrestano, che nel 1924 rinominata Tindley Temple United Methodist Church in onore alla sua attività che portò la congregazione a raggiungere il traguardo di circa 12500 presenze, fra afroamericani, ispanici, ebrei ed europei.

La sua energica ed accattivante capacità predicatoria calamitò alla sua congregazione numerosi animi da ogni dove, attratti dal suo saper accogliere le difficoltà d’ognuno, elargendo programmi educativi e d’alfabetizzazione per differenti fasce d’età, donando assistenza sanitaria e portando il suo edificio religioso ad essere una delle rare chiese multietniche nazionali, ad oggi inserito nel National Register of Historic Places, all’immane attività filantropica, scrivendo più di 60 inni, il soave cantautore intrecciando credo a musicalità in un’epoca in cui, parallelamente, sanguinanti cuori afroamericani esplodevano su note jazz e blues i loro tormenti interiori, rendendosi Tindley pioniere d’un genere che sentitamente seppe fondere la densità dei remoti spirituals ad un gospel personalmente vissuto e rivisitato, con il quale lenire patimenti negli animi maggiormente affranti.

Considerato come uno dei padri fondatori della music gospel americana, i suoi testi videro pubblicazione a partir dal 1901, fra cui quello che per antonomasia è ritenuto lo sprone d’eccellenza su cui infervorare le coscienze nella brama di conquista dei diritti civili, vale a dire la succitata I’ll Overcome Some Day sull’onda della quale, allo scorrer dei decenni, melodia venne carpita dalla storica ed indelebile We Shall Overcome.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Tindley Temple United Methodist Church • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Tindley Temple United Methodist Church

 
We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Charles Albert Tindley • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
 

La musica è forse l’unico esempio di quello che avrebbe potuto essere — se non ci fosse stata l’invenzione del linguaggio, la formazione delle parole, l’analisi delle idee — la comunicazione delle anime.
Marcel Proust

We Shall Overcome, da gospel a inno dei diritti civili

Per la sua I’ll Overcome Some Day, il compositore metodista probabilmente attinse da O Sanctissima, canto latino d’autore ignoto altresì noto come Preghiera dei Marinai Siciliani e con tale titolo, popolarmente attribuito in quanto da essi recitato in prece serale sebbene siano assenti fonti a conferma, pubblicato per la prima volta a Londra, nel 1785, nella raccolta A miscellaneous collection of French and Italian Ariettas, curata dall’arpista e compositore gallese Edward Jones (1752-1824), incontrando il favore di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) e Ludwig van Beethoven (1770-1827), entrambi realizzandone arrangiamento, mentre in lirica portato dal contralto statunitense, Marian Anderson (1897-1993), ella stessa afroamericana in prima linea nella lotta degli artisti di colore contro ogni pregiudizio razziale.
 

O Sanctissima O Piissima
Dulcis Virgo Maria!
Mater amata, intemerata
Ora, ora pro nobis

Tota pulchra es, o Maria
Et macula non est in te
Mater amata intemerata
Ora, ora pro nobis

Sicut lilium inter spinas
Sic Maria inter filias
Mater amata intemerata
Ora, ora pro nobis

In miseria in angustia
Ora Virgo pro nobis
Pro nobis ora in mortis hora
Ora, ora pro nobis

 
Diversi adattamenti postumi, sia musicali che di testo, alla melodiosa perla di Tindley proseguirono fino al 1945, anno in cui si narra che, nel mese d’ottobre, la musicista americana, organizzatrice di comunità, folclorista, educatrice Zilphia Norton (1910-1956) — consorte dell’educatore americano, socialista, Myles Falls Horton (1905-1990), entrambi attivisti per i diritti civili ed egli cofondatore dell’allora Highlander Folk School, odierna Highlander Research and Education Center, centro culturale in Tennessee, a formazione di leadership per la giustizia sociale — si trovò ad ascoltare la canzone per la prima volta durante la sua partecipazione ad uno sciopero, mentre alternativa versione racconta di due manifestanti che gliela cantarono a voce fra le mura della scuola e al di là di quale sia l’evento realmente verificatosi, la donna ne aggiunse alcuni versi, trasmutandola a canzone sindacale e ulteriormente modificandone il testo in cooperazione con il cantante e compositore Peter Pete Seeger (1919-2014), colui che, in particolare affiatamento al musicista e cantautore Woodrow Woody Wilson Guthrie (1912-1967), con cui mantenne intense e lunghe collaborazioni professionali e insieme al poeta, cantautore, compositore e musicista Bob Dylan, è considerato uno dei tre più noti folk-singer statunitensi, in speciale maniera Seeger ritenuto tra le personalità musicali più importanti del XX secolo, con attività protratta oltre l’ottantennio di vita e in continua ricerca della tradizione americana di genere e a tale proposito gli fu mentore e guida verso nuove scoperte l’etnomusicologo, produttore discografico e antropologo statunitense Alan Lomax (1915-2002), il cui viaggiare per tutto il pianeta gli rese un bagaglio di materiali sonori d’ampia ed eterogenea varietà, prelibato pane per un Pete affamato di vecchie e dimenticate ballate, canzonette alle quali si dedicò anima e corpo nel rispolverarne l’anima folcloristica e ridarne voce, ad esse affiancando, dopo l’esperienza militare durante il secondo conflitto mondiale, un radicato sentore etico e civile da trasmettere a quello che la sua musica avrebbe rappresentato dagli anni Quaranta fino a fine carriera.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Pete Seeger • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Pete Seeger

 
Fra le varie composizioni a sua mano, ardentemente testimoni del suo impegno di protesta su più fronti politico-sociali, a We Shall Overcome, oltre ad aggiungere strofe, testualmente riferendosi a Tindley, l’ispirato musicista seppe infondere sfumatura folk può essere attingendo melodicamente a No more auction block, canto blues del XIX secolo che con «auction block» fa riferimento all’abominio della pietra sulla quale venivano fatti salire gli schiavi per essere ispezionati al fine di concludere un buon acquisto, trattati come bestie da coloro la cui bestialità di riflesso era travestita da acquirenti erroneamente convinti di poter vantare una qualsiasi forma di superiorità nei confronti di un loro simile.
 
We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Auction Block, Fredericksburg, Virginia • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Auction Block, Fredericksburg, Virginia

 

Ella Jenkins, No More Auction Block

 
Modificandola, Pete ne ottenne, a colpi di banjo, una versione pubblicata per la prima volta nel 1948, con introduzione della stessa Zilphia Horton in qualità di direttrice dell’Highlander Folk School, da People’s Songs, l’organizzazione fondata nel 1945 da Seeger, che ne fu presidente, Lomax, Guthrie e altre personalità della comunità folk di New York, allo scopo di pubblicizzare canzoni popolari americane ed affrontare importanti tematiche sociali, dove ruolo di segretario esecutivo spettò al cofondatore e cantautore Lee Hays (1914-1981), che intera esistenza dedicò al contrasto del razzismo, delle disuguaglianze e della violenza.

Il poetico ed eclettico chitarrista statunitense e cantautore Bruce Frederick Joseph Springsteen, natali al 1949 in Long Branch, New Jersey, renderà in seguito omaggio a Seeger pubblicando, nel 2006, l’album in suo tributo, We Shall Overcome: The Seeger Sessions, tredici tracce, più un paio incluse in dvd, con We Shall Overcome in dodicesima posizione, ripescate da testi tradizionali portati a popolarità da Pete e reinterpretati dal Boss.

Membro del People’s Song fu anche il cantautore, musicista americano, educatore e collezionista di canzoni popolari, oggi ottantaseienne, Frank Hamilton, cofondatore, nel 1957, dell’Old Town School of Folk Music, consacrandosi a musica ed insegnamento, fra banjo e chitarra, forse effondendo ai propri allievi quel paterno trasporto che a lui stesso nefasta sorte aveva negato, rapendone i cieli il padre prima ancora della sua nascita.

Accogliendo in sé ed integrando We Shall Overcome nella versione di Seeger, Hamilton a sua volta la trasmise all’amico e compagno di viaggio Guy Carawan (1927-2015), il musicologo e musicista folk che nel 1953 aveva visitato l’Highlander Folk School, poi nuovamente invitato nell’istituto dallo stesso Seeger e, nel 1959, purtroppo deceduta da tre anni la Horton, alla stessa subentrò come direttore musicale della scuola da lei precedentemente diretta, dunque proponendo We Shall Overcome come testo con cui arricchire cultura e animo dei propri studenti, in più inserendolo nello Student Nonviolent Coordinating Committee, una fra le più significative organizzazioni degli Stati Uniti legate al Civil Rights Movement, definizione raggruppante il complesso dei movimenti sociali e manifestazioni verificatisi, fra il XIX e il XX secolo su suolo statunitense, in strepitante dissenso e ribellione nei confronti di segregazione razziale e discriminazione che s’abbattevano sugli afroamericani, per loro auspicando parità di diritti.

Forti del loro lungo peregrinare nel mondo a sostegno degli attivisti, Carawan e la moglie, la cantante e autrice americana per i diritti civili, Carolanne MarieCandieAnderson, nata a Los Angeles nel 1939, in un soffio di vento recepirono la smisurata potenzialità di We Shall Overcome, da sempre intimamente fedeli ad una concezione della musica come mezzo per antonomasia per scuotere le coscienze ed influire su questioni politiche, contemporaneamente instillando nei leader futuri la preziosa gemma della libertà, da ramificare in seno ai popoli.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • Guy e Candie Carawan • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Guy e Candie Carawan

 
Nel 1960, per escludere eventuali tentativi di vantaggio da parti di terzi, al celebre quartetto Horton, Seeger, Hamilton e Carawan, vennero imprescindibilmente legati i diritti d’autore della popolare versione del brano che solo tre anni prima, il 2 settembre del 1957, aveva emozionato anche il nobile animo di Martin Luther King Jr (1929-1968) quando, fuoriuscendo dalle labbra di Pete Seeger, al suo udito giunse durante una visita all’Highlander Folk School.

Le fibrillazioni intrinseche agli anni Sessanta costituirono fertile terreno sul quale una canzone come We Shall Overcome non avrebbe potuto che divenire una miccia, fra i tanti accesa, il 28 agosto del 1963, dalla cantautrice e attivista statunitense Joan Chandos Baez, nata nel 1941 nel distretto newyorkese di Staten Island; il delicato e cristallino timbro vocale de l’usignolo di Woodstock, dall’animo profondamente pacifista e degna interprete di brani d’artisti colleghi ed amici, fra i quali Seeger e Guthrie, si elevò in canto, nel corso della March on Washington for Jobs and Freedom, marcia in difesa dei diritti delle comunità afroamericane alla quale parteciparono circa 300000 persone, davanti al Lincoln Memorial, lì dove un appassionato reverendo King lasciò in dote al Pianeta lo storico discorso I Have a Dream, in seguito, il 31 marzo 1968, quattro giorni prima di essere assassinato, nel suo ultimo sermone tenuto nella National Cathedral di Washington, citò il brano gloriosamente celebrandolo, inconsapevole che le note della medesima canzone lo avrebbero accompagnato durante il suo tragitto funebre, in scorta corale da parte delle circa 50000 persone che, il 9 aprile del 1968, sarebbero accorse a darne l’ultimo affranto saluto.
 

Martin Luther King Jr, We Shall Overcome
(National Cathedral, Washington, 31 marzo 1968)

 

We shall overcome – deep in my heart I do believe we shall overcome. I’ve joined hands so often with students and others behind jail bars singing it, We shall overcome.
Sometimes we’ve had tears in our eyes when we joined together to sing it, but we still decided to sing it, We shall overcome. Oh, before this victory’s won, some will have to get thrown in jail some more, but we shall overcome.
Don’t worry about us. Before the victory’s won, some of us will lose jobs, but we shall overcome. Before the victory’s won, even some will have to face physical death. But if physical death is the price that some must pay to free their children from a permanent psychological death, then nothing shall be more redemptive.We shall overcome.
Before the victory’s won, some will be misunderstood and called bad names, dismissed as rabble-rousers and agitators, but we shall overcome.We shall overcome because the arc of the moral universe is long but it bends toward justice.
We shall overcome because Carlyle is right, «No lie can live forever». We shall overcome because William Cullen Bryant is right: «Truth crushed to earth will rise again». We shall overcome because James Russell Lowell is right: «Truth forever on the scaffold, wrong forever on the throne, yet that scaffold sways the future and behind the dim unknown Standeth God within the shadows keeping watch above his own». We shall overcome because the Bible is right, «You shall reap what you sow».

We shall overcome.

Deep in my heart, I do believe we shall overcome. And with this faith we will go out and adjourn the counsels of despair and bring new light into the dark chambers of pessimism and we will be able to rise from the fatigue of despair to the buoyancy of hope. And this will be a great America! We will be the participants in making it so.

And so as I leave you this evening I say, walk together children! Don’t you get weary! There’s a great camp meeting in the Promised Land!

 
In seguito all’esplosione planetaria conseguita all’esibizione della Baez, We Shall Overcome ascese in trasversale fama, divenendo il grido di libertà per eccellenza, quello sfiatato in ogni contestazione, in ogni atto di violenza, in ogni esecuzione, in ogni sfruttamento, in ogni sopruso, forse in pionieristica ed antecedente versione moderna ad opera di Lucille Simmons Whipper, natali nel 1928 a Charleston, prima donna afroamericana eletta alla camera dei rappresentanti del South Carolina, della quale si narra che, nel 1945/1946, avrebbe coniato, modificando originario ritornello in We’ll Overcome, una variante da vociare durante uno sciopero di lavoratori afroamericani contro l’American Tobacco Company.

Certezze assolute su quello fu il primo seme di We Shall Overcome non ve ne sono e probabilmente mai ve ne saranno, ma meravigliosa verità è data dal fatto che un melodico miscuglio di vocaboli, scivolato fra più mani e dalle stesse con ardore tessuto di volta in volta di nuovi vocaboli, nel corso del tempo ha incarnato il sublime concetto della libertà che dovrebbe di diritto appartenere ad ognuno, allo stesso modo lasciandosi cullare da una molteplice varietà di strumenti e timbri vocali, attraversando e simbolicamente adattandosi ad ogni genere musicale e lasciando sua orma anche nel panorama reggae, di per sé intriso d’umanità e calor di popolo, da spalmare su ogni individuo indipendentemente dalla sua tonalità epidermica.

Nel quasi mezzo secolo d’intervallo trascorso fra il 1969 e il 2013, due furono rispettivamente le reinterpretazioni, fra le tante, pubblicate in giamaicana soavità, ossia quelle del cantautore e polistrumentista Frederick Nathaniel ‘Toots’ Hibbert (1942-2020) e del re della dancehall, Yellowman (1956), al secolo Winston Foster:

la prima inclusa nell’album in studio Sweet and Dandy, quattordici tracce su due lati con We Shall Overcome al sesto posto del lato A — in quello che fu il terzo Lp, ad innovativo sound dei Toots & the Maytals, una delle band di maggior spicco nel genere ed il cui leader Toots, recentemente scomparso, leggendario e veterano artista, ritenuto il padre del termine reggae, offrendogli esordio col brano Do the Reggay, ad aprire il lato B;

la seconda di recente pubblicazione, comparve quasi otto anni fa in Reggae Essential, in decima e ultima postazione dell’album ad opera di Yellowman, mirabile esempio umano ed artistico temprante reazione alle avversità della vita, domate vincendo abbandono genitoriale, contro albinismo e conseguente discriminazione, ictus e una patologia oncologica, reso concreto dal successo professionale caratterizzante la sua esistenza.
 

We Shall Overcome, la storia del brano gospel che divenne inno del Movimento per i diritti civili degli Afroamericani, intonato da innumerevoli ed imperituri artisti, omaggiantine l'assoluto valore umano • King Yellowman • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
King Yellowman

 
Ultimogenito di sette figli, Toost profumò la sua tenera età di musica iniziando a cantare nella chiesa avventista dove i genitori erano ministri, in adolescenza trasformando canto d’infanzia ad appassionato mestiere; Yellowman fin da piccino scrollandosi di dosso, non senza sofferenza, l’emarginazione conseguente all’anomalia congenita, nel paese natio, all’epoca tradotta in lettera scarlatta, tuttavia marciando imperterrito sulla sua strada elevandosi a leggenda.

Due animi nati sul medesimo suolo, a circa 170 km di distanza, May Pen per Toots, Negril per Yellowman, uniti in quel grande eco d’una terra, la Giamaica, in cui la musica è staffetta fra uomini, nota fra cuori, messaggio fra continenti ed ai quali una canzone come We Shall Overcome non poteva non arrestarsi fra le mani, vibrandone corde vocali.

La gente vuole sentire un messaggio, un messaggio di Dio. Questo messaggio può passare attraverso di me o attraverso altri. Io non sono un leader, sono solo un messaggero. Le parole delle canzoni, non chi le canta, sono importanti e attraggono la gente.
Bob Marley

 

Pete Seeger, We Shall Overcome

 

Joan Baez, We Shall Overcome
(BBC Television Theatre, London, 5 giugno 1965)

 

Bruce Springsteen, We Shall Overcome
(The Point, Dublino, 2006)

 

Guy Carawan, We Shall Overcome
(Newport Folk Festival, 1° gennaio 1961)

 

Toots and the Maytals, We Shall Overcome

 

Yellowman, We Shall Overcome

 
 
 
 

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