Il mare, un mondo da salvare e dal quale dipendiamo
"Un atomo nell'universo", la poesia di R. Feynman che dovremmo tenere a mente
Il mare, un mondo a noi distante e in gran parte sconosciuto, ma che oltre ai tanti benefici che le sue acque apportano alla salute, svolge un ruolo essenziale per la vita sul Pianeta. Mari ed oceani hanno infatti un’influenza determinante sul clima, sono la fonte principale di ossigeno, coprendo il 71% della superficie terrestre contengono la quasi totalità della biosfera, in essi vivono svariate forme di vita animale e vegetale.
Nonostante ciò, l’uomo ne continua a mettere a repentaglio lo stato di salute ed è per questo che si fa sempre più astringente l’esigenza di imparare a rispettarli, prendendo altresì coscienza dei limiti di interazione con essi, ovvero fruire senza distruggere.
L’opera umana esercitata sulla natura, dovrebbe avere come fine ultimo quello di favorirne la crescita, ma così fin ora non è stato. Nel corso degli ultimi 500 milioni di anni, la vita sulla Terra ha rischiato di essere quasi del tutto eliminata più volte e per differenti ragioni. Cambiamenti climatici, attività vulcaniche, piogge di corpi extraterrestri. Sono i fenomeni conosciuti come le cinque estinzioni di massa e molti i segnali suggeriscono che stiamo avvicinandoci alla sesta.
Stavolta però non sarà a causa di eventi naturali. Già nel 2015, uno studio pubblicato su Science Advances, mostrava che il tasso di estinzione era di circa 100 volte più elevato del normale. E la ricerca teneva conto solo delle specie a noi note. Negli abissi e probabilmente non meno sulla terra ferma, non è neanche immaginabile il numero di creature di cui non sappiamo nulla e che rischiano quindi di scomparire prima ancora di essere state scoperte.
Cause ed effetti sulla salute del mare
Sono molteplici le cause che colpiscono l’ambiente marino.
I pesticidi, sostanze cancerogene capaci di alterare il sistema endocrino ed immunitario. Essendo volatili possono essere trasportate dai venti ed altrimenti raggiungere il mare trasportati dalle acque dilavanti, ossia quelle provenienti da precipitazioni e che non penetrano nel sottosuolo. Sono responsabili di un profondo mutamento dell’equilibrio ambientale: contaminazione dei terreni, riduzione di animali selvatici ed una vera e propria scomparsa di fauna ittica dai fiumi e dai mari. Tra di essi sono annoverati i clorofluorocarburi, divenuti di uso comune dal 1950 per poi scoprirne il noto effetto negativo sull’ozono stratosferico, lo “scudo” che ci protegge dalla parte biologicamente nociva delle radiazioni solari.
A loro si uniscono i fertilizzanti, trasportati anch’essi dalle acque dilavanti, ma differenti per il fatto che non sono sostanze tossiche. Largamente utilizzati in agricoltura, vanno però ad accumularsi nelle falde acquifere dando vita a improvvise fioriture di fitoplacton. Quest’ultimo ricopre un ruolo fondamentale negli ecosistemi acquatici, ma nel momento in cui l’aumento diviene eccessivo – anche a causa di liquidi reflui di origine domestica o industriali, frequentemente contenenti metalli pesanti – si crea il fenomeno detto eutrofizzazione. Il termine indica un accrescimento di microrganismi vegetali, dovuto alla presenza di elevate dosi di sostanze come l’azoto e non essendo compensato, determina un incremento dell’attività batterica che sua volta, fa sì che ci sia un aumento del consumo di ossigeno e va da sé, che la mancanza di quest’ultimo provoca la morte dei pesci.
Non meno significativa è la selvaggia deforestazione, in quanto non è solo un trauma che riguarda il mondo terrestre. Senza contare le alluvioni e i dissesti ai quali sono esposte le zone in cui è stata praticata una drastica riduzione delle aree verdi, una recente ricerca dell’Università del Vermont, condotta su 300.000 bambini di 35 Paesi, ha dimostrato come coloro che abitano in bacini fluviali maggiormente ricchi di vegetazione, abbiano meno probabilità di ammalarsi di dissenteria, seconda causa di morte al mondo in soggetti sotto i 5 anni. Le piante infatti, hanno la capacità di raccogliere le risorse idriche e depurarle, rendendole così adatte al consumo umano. La qualità dell’acqua perciò, è strettamente legata alle piante, inoltre, la privazione di vegetazione fa sì che le acque piovane esercitino un effetto di erosione ed esportazione del terreno, sedimenti che giungono al mare opprimendo tutti quegli organismi che vivono sui fondali.
Non è finita. Il mancato assorbimento di anidride carbonica da parte delle piante, contribuisce all’acidificazione dei mari. Questi infatti, sono in grado di assorbire fino a un quarto di CO2 prodotta dall’attività umana e se da un lato ne riduce la presenza nell’aria, rallentando così l’effetto serra, dall’altro, appunto, aumenta l’acidità degli oceani con devastanti conseguenze per molti dei suoi ecosistemi. A farne le spese sono le barriere coralline, habitat di circa un quarto delle specie marine conosciute; l’insieme di organismi che costituiscono il plancton, nutrimento degli fauna marina ed in grado di produrre ossigeno che respiriamo per mezzo della fotosintesi; rende più difficile la costruzione di gusci e scheletri calcarei a causa di una riduzione dei livelli di carbonati.
Inutile evocare gli scenari apocalittici successivi alle perdite di petrolio, in cui animali e organismi vegetali nella migliore delle ipotesi vengono intossicati, risultato questo, anche indotto dalle materie plastiche e derivati che invadono fiumi, mari e oceani. Residui sono stati trovati nell’acqua di rubinetto e in quella in bottiglia, ma ancora nel sale, nel miele e chiaramente in pesci e molluschi, tanto che ormai, la plastica è entrata a far parte della catena alimentare ed uno dei problemi, è che non è ancora dato sapere con esattezza quale sarà nel medio e lungo termine, l’impatto sulla salute umana.
La pesca e la sopravvivenza del mare
Quanto detto evidentemente influisce sulla qualità e quantità del pescato e proprio quest’attività, è un’altra grave piaga. Se come è vero l’inquinamento è una delle principali cause di devastazione del mare, è ormai acclarato come anche la pesca, in particolar modo quella illegale, rappresenti una grave minaccia. Da anni esperti ed organizzazioni ambientali tentano di richiamare l’attenzione sull’argomento, avvisando come entro breve tempo, i fondali potrebbero rimanere privi di pesci.
Oltre a vanificare gli sforzi rivolti a una gestione sostenibile, anche la pesca illegale compromette la biodiversità dalla quale l’ambiente acquatico trae ricchezza, è infatti questa la spia dello stato di salute di ogni ecosistema.
Unità funzionale fondamentale in ecologia, quest’ultimo è l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali i primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia in un’area delimitata, sia essa un fiume, un lago, oppure una foresta.
Al suo interno sono compresi diversi habitat e differenti nicchie ecologiche e mantenere una elevata biodiversità è di fondamentale importanza, in quanto rende gli ecosistemi maggiormente resilienti, ovvero capaci di assorbire gli sconvolgimenti naturali e di fare altrettanto con quelli provocati dall’uomo, evitando così una diminuzione delle funzioni.
La pesca illegale si verifica sia in alto mare che nelle aree soggette a giurisdizione nazionale e va ad interessare tutte le fasi, dalla cattura all’uso del pesce, per cui, non solo mette a rischio collasso le attività e le piccole realtà che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sono particolarmente vulnerabili, ma i prodotti derivati possono essere introdotti nei mercati. Ne consegue che, oltre ad aggravare la povertà, mette anch’essa a repentaglio la sicurezza alimentare.
A danneggiare il mare non è solo pesca illegale (ivi comprese le azioni indiscriminate protratte dai sub) la quale ricorre persino ad esplosivi con conseguenze catastrofiche. Il cosiddetto metodo “a strascico”, ad esempio, consistente nel trainare una rete poggiata sul fondo da una o più barche, distrugge tutta una serie di organismi che vivono a stretto contatto con esso, per di più diminuendo la profondità dell’area in cui giunge la quantità di luce necessaria per la fotosintesi sopracitata.
Non è facile provare empatia verso la fauna e la flora sottomarina, nell’immaginario collettivo, considerando anche solo i pesci – termine generico ed inappropriato – non fanno parte di quella schiera di animali per cui è spontaneo aver compassione, eppure ogni volta che una rete viene calata sul ponte di una nave, centinaia di silenziose vite finiscono soffocate e agonizzanti.
Se questo aspetto riguarda un’idea ed una sensibilità del tutto personali, verità è che i mari sono letteralmente depredati, la pesca intensiva sta distruggendone gli ecosistemi e a dirlo, il rapporto ‘The State of World Fisheries and Aquaculture’ pubblicato dalla FAO a luglio del 2018, da cui emerge che il 33% delle specie ittiche vengono pescate a livelli biologicamente insostenibile, contro il 10% di appena 40 anni fa, e che il Mediterraneo e il Mar Nero con il 62,2%, hanno registrato la percentuale più alta.
Per troppo tempo l’essere umano, ha sottovalutato il fatto che la natura non ha energia inesauribile per far fronte agli squilibri e traumi a cui è stata sottoposta. Alla pesca deve essere garantita continuità, è indispensabile per combattere fame e malnutrizione, ma altrettanto, deve essere salvaguardato il mare ed è ancora la FAO a far notare che gli Stati, «non sempre adempiono in modo soddisfacente», laddove è invece necessario «rafforzare le leggi e i regolamenti in materia di pesca ed agire in maniera efficace contro i responsabili per scoraggiare la non conformità.»
Gli oceani, i mari e l’ambiente in generale, è ormai chiaro che non sono in grado di depurarsi e rigenerarsi, perciò, senza per questo demonizzare il progresso e le attività economiche e commerciali marittime, compresa la crescente navigazione, è doveroso porre attenzione su come e quanto queste influiscano sulla salute del mare. Nondimeno, è fondamentale l’educazione al rispetto del singolo, affinché si crei un atteggiamento collettivo responsabile, dato che la sopravvivenza dell’uomo, dipende da tutto ciò che lo circonda.
Richard Phillips Feynman, è stato un geniale quanto anticonformista fisico e divulgatore scientifico statunitense. Insignito del premio Nobel nel 1965, per i contributi nel campo dell’elettrodinamica quantistica, espresse in poesia cos’è il mare e il mistero della umana creatura. La recitò nel 1955 durante il discorso tenuto all’autunnale riunione dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Verrà pubblicata nel 1988, pochi mesi dopo la prematura scomparsa, tra le pagine del suo libro ‘«Che t’importa di ciò che dice la gente?» Altre avventure di uno scienziato curioso’.
Un atomo nell’Universo
Ci sono onde che si frangono,
montagne di molecole,
ciascuna stupidamente intenta ai fatti suoi,
milioni di milioni, divise,
eppure formano spuma bianca, all’unisono.
Un’era dopo l’altra,
prima che occhi potessero vederle,
anno dopo anno,
rimbombare contro la riva come ora.
Per chi, per cosa?
Su un Pianeta morto,
senza nessuno da intrattenere.
Senza posa, torturate dall’energia
sprecata prodigiosamente dal Sole
riversata nello spazio.
Una pulce fa ruggire il mare.
Nelle profondità marine,
tutte le molecole
ripetono la struttura delle altre,
finché se ne formano di nuove e più complesse.
Queste ne creano altre come loro
e una nuova danza ha inizio.
Crescendo in dimensioni e complessità,
esseri viventi,
masse di atomi
DNA, proteine,
danzano in strutture sempre più intricate.
Fuori dalla culla,
sulla terra asciutta
eccolo, in piedi:
Atomi con la coscienza,
materia con la curiosità.
Di fronte al mare,
stupito dallo stupore: io,
un universo di atomi
un atomo nell’universo.
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