Irisina, la molecola “sportiva” alleata della salute
Specialmente conosciuto per favorire il dimagrimento, l’ormone irisina, oltre a possedere ulteriori proprietà, è prezioso rinforzante dell’apparato scheletrico e la sua produzione derivante dai muscoli in seguito ad attività fisica, gli è valso il soprannome di “ormone degli sportivi”.
Il corpo umano è la Cattedrale più grande che Dio abbia mai costruito.
Christiaan Barnard
Sono state le pagine della rivista scientifica Nature ad accogliere, nel gennaio del 2012, la comunicazione dell’irisina, identificata dal professor Bruce M. Spiegelman.
Durante attività fisica è stata inoltre ipotizzata la produzione, da parte del tessuto muscolare, della stessa molecola, con ruolo stimolante l’attività metabolica e di conseguenza favorevole a regimi dietetici che prevedano dimagrimenti, ovviamente in contemporanea sostenuti da un’alimentazione equilibrata, seguendo dunque uno stile di vita, in un connubio di movimento e nutrizione sana, ricca di vegetali, che secondo gli esperti potrebbe perdipiù proteggere dall’Alzheimer, la forma maggiormente diffusa di demenza senile.
Dopo percorsi di sperimentazione tenuti all’Harvard Medical School, nella Boston University, in Massachusetts, i primi entusiastici test non raggiunsero tuttavia l’unanimità dei consensi scientifici ed in alcuni casi furono fortemente contestati, con particolare parere in antitesi, nel 2015, del professor Harold Erikson. Ripetizione degli stessi, con modifica dei fattori nelle procedure di svolgimento, scaturì da successivo interessamento da parte degli acerrimi studiosi bostoniani, portando nuovamente alla ribalta l’ormone oggetto di controversie, oltre a scoprirne la capacità produttiva da parte dell’uomo ed a delinearne i meccanismi attraverso i quali la stessa riesca ad interferire sul metabolismo, trasformando il tessuto adiposo bianco in tessuto adiposo bruno, che è maggiormente attivo dal punto di vista metabolico.
Il tessuto adiposo è struttura connettiva deputata, tramite le cellule adipociti, all’assorbimento dei grassi sotto forma di trigliceridi. Il bianco, in realtà di colore tendente al giallo, costituisce la maggior parte delle riserve, mentre il bruno, tipico dei mammiferi in stato di letargo, nell’uomo si trova in quantità irrisorie che, durante le varie fasi di crescita, si trasformano nel bianco, situazione strumentalmente dimostrabile dalla presenza di minuscole quantità di bruno all’interno del bianco e comunque a riserve sempre miste.
A differenza del tessuto adiposo bianco in cui la massa dei trigliceridi contenuta è d’unica e notevole dimensione, nel tessuto adiposo bruno la stessa è suddivisa in cellule di dimensioni decisamente più ridotte e divise fra di loro in una sorta di minuscole gocce di trigliceridi, variazione di morfologia alla quale si associa differenziazione funzionale per quanto riguarda lo smaltimento dei grassi. Nel tessuto adiposo bianco, infatti, la scissione dei trigliceridi dipende dalle richieste energetiche dell’organismo, in quello bruno essa avviene per calo termico corporeo, procedimento durante il quale gli adipociti bruni, in caso di ipotermia, catabolizzano i trigliceridi al fine di produrre calore.
L’intero procedimento avviene grazie ad una proteina disaccoppiante (UCP-1), attraverso l’attività dei recettori B3-adrenergici che ricevono lo stimolo e lo reinviano, mettendo in moto il tutto il processo. Da alcune sperimentazioni sui topi è stato dimostrato che la privazione di tali recettori porta il tessuto adiposo bruno a transdifferenziarsi nel bianco, con conseguenti stati d’obesità non risolvibili da semplice movimento o alimentazione mirata.
La particolare tendenza di conversione da bianco a bruno (browning) che parrebbe appartenere all’irisina, risulterebbe quindi fondamentale nel mantenimento di un peso corporeo equilibrato e nella prevenzione di stati d’obesità che poi negativamente vanno a ripercuotersi sullo stato di salute generale, in particolar modo sull’apparato circolatorio.
L’effetto benefico dell’irisina nello scongiurare stati di sovrappeso passa anche per l’ipotalamo, dove la stessa entrerebbe in azione sui centri regolatori l’appetito ed il senso di sazietà.
Di parallela importanza all’ottimale funzionamento degli organi interni è il buon mantenimento dall’apparato scheletrico, prezioso ed essenziale sostegno fisico sulla cui integrità ossea l’irisina sembrerebbe essere medicamento.
Il tessuto osseo, ovvero la struttura biologica connettiva e di sostegno al corpo, è formato da tre componenti, quali:
• l’organica, anche denominata “matrice ossea” e costituita da fibre proteiche, soprattutto da collagene, delegate al mantenimento di compattezza ed elasticità strutturale;
• la cellulare, formata da tre tipi di cellule, gli osteoblasti, gli osteoclasti e gli osteociti, rispettivamente con funzione di formazione del nuovo osso, di disintegrazione del vecchio e di controllo dei due processi;
• la minerale, raggruppante tutti gli elementi, in particolare fosforo e sali di calcio, situati tra le fibre e responsabili della resistenza dell’ossatura.
Le tre parti vanno nel complesso a costituire due tipologie d’osso, il corticale, la parte esterna, e il trasecolare, la parte interna; l’osso corticale rappresenta quasi l’80% della totalità e la sua percentuale è variabile a seconda delle ossa, essendo infatti lo stesso rappresentato in maggior percentuale nelle ossa lunghe, al contrario del trasecolare, tipico invece di ossa piatte e corte.
Sotto la guida del professore di anatomia umana e direttore del Centro sull’Obesità dell’Università di Ancona Saverio Cinti e dell’istologa, anatomista e ricercatrice Maria Grano dell’Università Politecnica di Bari (UNIBA), un gruppo di scienziati, supportati dalla SIOMMS (Società Italiana Dell’Osteoporosi de Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro), analizzando l’irisina attraverso sperimentazioni sui topi, ha osservato come la stessa abbia positivi effetti sull’osso corticale, aprendo di fatto la strada ad approfondimenti mirati alla prevenzione ed alla cura dell’osteoporosi, la malattia sistemica caratterizzata da una deleteria riduzione della massa ossea, con conseguente compromissione del tessuto scheletrico e maggior probabilità di fratture.
Sull’iniziale ed entusiasta identificazione di Spiegelman, la contrapposizione di Erikson e le ricerche nel frattempo protratte da più studiosi, nuove sperimentazioni nello spazio, su brevetto italiano ed europeo, condotte da un’equipe dell’UNIBA, sotto coordinazione della dottoressa Grano, sarebbero in attesa di risultati ad ulteriore conferma del fatto che l’irisina sia in grado di fissare il calcio e di attivare le cellule generanti matrice ossea, gli osteoblasti. Avendola spedita all’interno del modulo Dragon, partito il 2 aprile del 2018 da cape Canaveral, la speranza è quella che il progetto conduca a confortanti risultati per intraprendere la strade di una massiccia sperimentazione sull’uomo, a partire dagli astronauti.
Ben consapevole di quanto il loro apparato muscolo scheletrico sia messo a dura prova da lunghe soste nello spazio, la stessa Grano ha guidato l’intero progetto (In Vitro Bone) grazie al quale, nei laboratori della NASA del Kennedy Center Space, un’ingegneristica apparecchiatura apposita è stata concepita per una permanenza mensile della sostanza nella Stazione Spaziale Internazionale. L’ipotesi alla base dell’esperimento si basava sulla convinzione che l’irisina potesse stimolare la formazione ossea e prevenire sia le fratture che la perdita di massa muscolare ed il poterlo valutare su corporature nei quali lo spazio velocizza ed anticipa i processi d’invecchiamento offre nuovo materiale da analizzare, allo scopo di sintetizzare dei farmaci che possano essere d’utilità terapeutica sia s’egli astronauti che per le patologie terrestri.
Irisina e attività fisica
Positiva constatazione è che la quantità d’irisina necessaria alle ossa risulta essere minima rispetto a quella essenziale al dimagrimento, ragion per cui, oltre ad un maggior vantaggio ottenuto con minor attività fisica, le produzione di farmaci mirati a sostituire gli effetti produttivi del movimento in coloro che ne siano impossibilitati, diviene salutare traguardo allo scopo di mantenere in ottimali condizioni di salute l’intero apparto osseo con minime dosi.
Ulteriore beneficio della stessa parrebbe derivare dal miglioramento della tolleranza al glucosio e maggiore sensibilità all’insulina, per cui divenendo interessante oggetto di ricerca nell’ottica farmaceutica in ambito di prevenzione e cura delle patologie diabetiche, specialmente per quanto riguarda il diabete mellito di tipo 2, per il quale è ancora l’Università di Bari a rendersi fiore all’occhiello d’uno studio condotto dal Gruppo di ricerca di Endocrinologia del Dipartimento dell’Emergenza e dei trapianti di Organi, valutando l’utilizzo dell’irisina per mantenere funzionanti le cellule beta-pancreatiche, il cui deterioramento è appunto causa di diabete mellito di tipo 2.
Dove possibile per età e condizioni fisiche personali, al di fuori di particolari situazioni critiche che richiedano supporto farmacologico, la migliore alternativa ad eventuali integratori rimane senza alcun dubbio l’attività fisica, il sistema più sicuro ed economico per scongiurare una serie di problematiche proprie delle società occidentali, quali ipertensione, disturbi cardiaci, obesità, considerando inoltre come il corpo umano, dotato di oltre 750 muscoli, è tutti gli effetti concepito per il movimento. La scoperta dell’ormone, come detto avvenuta recentemente, è ancora in fase di sperimentazione e probabilmente servirà tempo prima di aver risposte certe, tuttavia, la somministrazione di irisina resta una viva speranza per tutti coloro che soffrano di particolari patologie e non siano quindi in grado di dedicarsi a nessun tipo di sport o movimento, che, sebbene sia scelta da prediligere, richiede in ogni caso attenta e preventiva analisi per comprendere in base a quali modalità sperimentarsi, qualora lo si voglia intraprendere nell’esclusivo intento di dimagrire.
Ne esistono difatti due tipologie: attività aerobica, ossia praticabile anche con moderata applicazione su un periodo di tempo prolungato, come ad esempio avviene nel caso di corsa, ciclismo, camminata, nuoto od esercizi da palestra appositi ed attività anaerobica, la quale prevede invece un gesto intenso e conseguentemente compiuto in un intervallo di breve durata, similmente a pesistica oppure i suddetti sport però affrontati con intensità tale da implicare fasi di riposo più o meno prolungate.
Diversi fra loro sono i processi fisici messi in atto:
• nell’attività aerobica il corpo carpisce energia dalle riserve zuccherine, durante la prima manciata di minuti, per poi utilizzare le riserve adipose quando lo sforzo si fa maggiormente sostenuto. La costanza nel praticare questo tipo d’attività, garantisce un buono stato di salute generale, agendo in particolar modo sul rafforzamento dell’intero apparato cardio-circolatorio e respiratorio, migliorandone la resistenza e giungendo, nel tempo, a dimagrimento dovuto al continuo attingere alle riserve di grasso, ovviamente in presenza di regimi alimentari equilibrati che non vanifichino il movimento, con effetti fisici di prevenzione alle più comuni malattie derivanti da sovrappeso, quali ipertensione e diabete, oltre che sulla sfera psicologica nel correre in sostegno a stati ansiosi o di semplice stress.
• nell’attività anaerobica, essendo la richiesta energetica e d’ossigeno maggiore in rapporto alla fatica estrema, le riserve zuccherine alle quali il fisico attinge sono le muscolari e le epatiche, tuttavia non sufficienti a protrarre nel tempo la fatica, con immediata necessità di riposo anche dovuta alla crescente produzione di acido lattico, quindi a crampi ed affaticamento conseguenti. Il maggior sforzo risulta utile a ben delineare ed aumentare la massa muscolare interessata, accrescendo la tenacia di muscoli, ossa e legamenti.
Nonostante entrambe le modalità giovino alla salute ed al raggiungimento del peso forma, parrebbe che i risultati ottenuti tramite attività anaerobica siano più duraturi nel tempo.
In tal senso, nel 2014, su PubMed, vennero pubblicati i risultati di uno studio in cui 6 uomini sedentari furono sottoposti a due sessioni, non effettuate nel medesimo giorno, di allenamento su tapis roulant, la prima di 20 minuti a bassa intensità (40% di VO2max), mentre la seconda di 40 minuti ad alta intensità (80% di VO2max) e rilevando un consumo energetico blandamente differente, le concentrazioni di irisina nel sangue, raccolto pre e post prove, dopo la fase a minore intensità andarono riducendosi significativamente, al contrario, a distanza di 6 e 19 ore dalla corsa più impegnativa fu riscontrato un aumento di irisina rispettivamente di 18 e 23 punti percentuale. Motivo per cui si ritiene che l’High Intensity Interval Training (HIIT), ossia l’allenamento a intervalli in circuiti ad alta intensità, sia uno dei metodi più efficaci per la stimolazione e la sintetizzazione di irisina, di conseguenza, provocando un valido effetto metabolico in termini di termogenesi e dimagrimento.
All’attività aerobica possono dedicarsi tutti coloro che, al netto di problemi fisici, desiderino mantenersi in forma e salute, a qualsiasi età. Per quanto riguarda invece l’anaerobica, ovviamente sconsigliata a persone anziane, è preferibile riferirsi ad esperti che sappiano condurre il praticante ad esercizi mirati, eseguiti correttamente e generalmente con utilizzo di attrezzi, ai quali avvicinarsi con graduale allenamento e lentamente migliorare la composizione corporea aumentando le percentuali di massa magra, parallelamente diminuendo la massa grassa.
La differenza si potrebbe meramente racchiudere nel confronto fra due vocaboli, ossia dimagrire o tonificare, quelle che sono poi le aspettative cha andranno a condurre in una direzione o nell’altra.
Sostanzialmente, si può riassumere il concetto affermando che entrambe le modalità consumino energia, ma la differenza sta nel fatto che la molecola energetica denominata Adenosin tri-fosfato (ATP), necessaria per l’attività muscolare, nell’esercizio aerobico viene prodotta in presenza d’ossigeno, nell’anaerobico in assenza dello stesso.
Pertanto, oltre alla produzione d’irisina, il tentar di raggiungerne determinati livelli nel proprio corpo senza ricorrere ad integratori, permette di arrivare a generali benefici derivanti dal movimento, sia esso aerobico che anaerobico, quali, oltre ai già citati:
• la riduzione della cellulite;
• la prevenzione di rotture capillari;
• la diminuzione del colesterolo;
• l’ abbassamento della pressione arteriosa;
• la regolarizzazione dell’attività ormonale;
• il miglioramento della postura;
• la prevenzione di processi artrosici.
Da sempre l’attività sportiva resta la migliore alleata della salute, pratica alla quale costantemente riferirsi in attesa di nuove teorie scientifiche che confermino il valore aggiunto dell’irisina come portentosa panacea in caso di necessità.
Malgrado ridotti a numeri ristretti di persone, sperimentazioni condotte ad Harvard su due schiere di persone suddivise in base all’intensità dell’attività fisica, sembrerebbero comunque aver riscontrato maggiori quantità di irisina in coloro che si siano dedicati ad attività intensa, suggerendo dunque che l’esercizio fisico ad alta intensità sia il più proficuo alla sintetizzazione della molecola.
Fra metabolismo ed ossatura, la produzione dell’irisina a seguito di pratica sportiva rimane la meraviglia del corpo umano che non finisce di stupire, il punto di partenza da cui proseguire amplificando prospettive importanti che le rinomate pagine dell’importante rivista americana Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) hanno orgogliosamente raccolto in sé, facendosi portavoce dello studio italiano di riferimento: The myokine irisin increases cortical bone mass.
L’irisina sembrerebbe essere la nuova frontiera ancora da scoprire nella sua completezza, pur lasciando intravedere in sé delle potenzialità che, qualora si confermassero nel superamento dei test destinati agli umani, aprirebbero un varco, preventivo e terapeutico, d’immane valenza. Chissà dunque quali notizie a riguardo porterà la sperimentazione fra le stelle, quale arcano messaggio arriverà dallo spazio, tutto da decifrare, quasi fosse un messaggio degli dèi, simbolicamente in richiamo all’etimologia dell’ormone, battezzato irisina in onore alla dea greca Iris, o Iride, colei che, divina messaggera, figlia della divinità marina Taumante e dell’oceanina Elettra, portava nei suoi piedi la velocità del vento. Celerità di passo con la quale, camminando sull’arcobaleno, graziava l’umanità di messaggi celesti, perfettamente in grado d’immergersi nelle più oscure profondità del mare e della terra, ricolma di beltà, adornata da un paio d’ali dorate ed avvolta nella sua giovinezza da scintillanti vesti dalle mille sfumature e descritta nell’Iliade dal remoto Omero, poeta inconsapevole del fatto che al cavalcar dei secoli, il nome da lui fissato su pergamena sarebbe stato posto in capo ad una molecola altrettanto sorprendente, soffiata dai muscoli in venoso circolo per allietare mente e fisico di chiunque possa pregiarsi di giovarsene.
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