Fiori di Loto: storia, simbologia e le molteplici virtù

 
 
Ottanta milioni di anni fa, suolo americano, australiano ed asiatico, si fecero terre ospitanti d’un meraviglioso fiore sui cui petali giocarono a sfumarsi meravigliose nuances, giallo, viola, rosso, rosa e bianco, divennero decori cromatici di quello che comunemente viene chiamato fiore di loto.

Genere unico appartenente alla famiglia delle Nelumbonaceae, se ne distinguono due specie, la Nelumbo lutea, tipica dell’America, e la Nelumbo nucifera, originaria di Asia ed Australia, candido-paglierina la prima, tendenzialmente di tonalità rosate la seconda. Da alcuni ricondotto alla famiglia delle Nymphaeaceae, si differenzia dalle stesse ninfee per la forma del fogliame, ma, soprattutto, per il suo elevarsi verso il celeste, fuoriuscendo abbondantemente dall’ambiente acquatico in dolce rivolgersi al sole. Particolarità della foglia è l’essere rivestita d’una cera idrofobica, caratteristica che ne mantiene intatta la pulizia in quanto le gocce, scivolando sul dorso, inglobano le impurità e le trasportano altrove. Da qui il cosiddetto effetto loto, ovvero la capacità riprodotta attraverso la nanotecnologia ed applicata a vernici, tessuti e superfici varie, al fine di mantenerle asciutte ed autopulenti. Di radici allungate e ramificate nel terreno, particolarità di genere è l’habitat acquoso, prevalentemente stagnante, dalla cui superficie il loto emerge in tutta la sua grazia, quasi fosse simbioticamente posato a filo d’acqua, fra poetico splendore e delicatezza di petalo. Protetti ed adagiati in ampie foglie che ne paiono il giaciglio, gli incantevoli fiori producono frutti che, una volta maturi, perdono i loro semi nell’acqua, dando origine ad un processo di moltiplicazione che rende l’estendersi ad oltranza un naturale spettacolo alla vista.

Radicato nel fango e d’ecosistema paludoso, beltà e candore rimandano facilmente, nell’apparente contrasto fra “piedi e capo”, ad un simbolismo che ne allegorizzi resiliente rappresentazione della vita che, non soccombendo alle difficoltà, da esse rinvigorisce.

 

Storia e spiritualità

Nella concezione esistenziale induista e buddhista, redenzione di corpo ed anima si metaforizzano nel sacro loto come repulsione della materialità, in virtù d’una crescita spirituale in cui la fanghiglia sia a rappresentare il richiamo venale al quale non assoggettarsi, al fine d’una trascendentale elevazione etica. L’immagine stessa del Buddha è associata all’immacolato fiore e seduta sullo stesso, leggenda vuole che dai suoi primi passi nascessero fiori di loto, naturali compagni all’atto della meditazione in più religioni asiatiche.

L’originarsi in illibatezza dalle torbide acque, oltre che assumere un significato di rinascita, coincide con la purificazione del corpo in crescendo, ossia assimilandone il primordiale stato dell’animo che, originariamente radicato nel materialismo, evolve attraverso l’esperienza, rappresentata dall’acqua, in tendenza all’astro solare, ritenuto illuminazione prima verso il quale tendere, alla ricerca del benessere mentale che solamente l’affrancamento dalle ricchezze concrete può garantire. Essendo che i fiori del loto, rispetto ad altre specie acquatiche, emergono di molti centimetri dalla superficie dell’acqua e che le foglie, idrorepellenti, conservano intatta la loro pulizia, la pianta, nella sua totalità, è ritenuta l’esempio primo da seguire in un percorso di vita tendenzialmente ascetico ed immateriale.

Rudy Harderwijk, uno fra i principali studiosi europei del Buddhismo, nato nel 1955 in Olanda, egli stesso allievo del Dalai Lama, dell’abate Kirti Tsenshab Rinpoche e del Lama Thubten Zopa Rinpoche, associa ad ogni colore dei petali un significato ben preciso, ossia compassione e bontà di cuore (hrdya) al rosso, kamala in lingua sanscrita, purezza mentale (bodhi) al bianco, pundarika, saggezza, conoscenza e supremazia dello spirito al blu, utpala, ed infine divinità assoluta al loto rosa (padma), il supremo, ritenuto il loto del Buddha per antonomasia.

Se nella sacra buddità è la rosea sfumatura di petalo ad esser protagonista indiscussa, il candor di fiore resta invece il prediletto nell’Induismo, ove bellezza e fertilità s’aggiungono in significato simbolico all’idea d’incontaminazione ed immortalità dell’animo, ricollegandosi a numerose divinità, fra le quali Laksmhi, dea della prosperità raffigurata seduta sulla punta di un loto bianco aperto, sbocciato dall’ombelico del dio Viṣṇu ed al centro del quale religione induista immagina Brahmā, il dio stesso della creazione.

Varietà bianca e blu furono le più diffuse nell’antichità egizia, tonalità alle quali, solo in un secondo momento, s’aggiunse quella rosa sebbene, fra i tre colori, per gli antichi Egizi la sfumatura turchese assunse importanza assoluta, come raffigurato dai numerosi geroglifici rinvenuti, seppur sia probabile che non si trattasse di Nelumbo, ma di Nymphaea.

Accento particolare al fiore fu posto dagli abitanti del Nilo in riguardo al suo comportamento d’apertura mattutina e richiusura serale dei petali, ciclico atteggiamento naturale al quale gli stessi associarono l’idea della creazione, in particolar modo riferita all’astro solare nel suo perenne cammino fra alba e tramonto, conseguentemente traslata alla concezione della morte e conseguente resurrezione.

Divinità egizia generatasi da sé ed incarnazione del sole che tramonta venne venerata nel dio Atum, idolatrato e considerato il primo degli dèi, originatosi da ancestrali acque definite Nun (divinità considerata la parte maschile dell’oceano preesistente alla creazione del mondo, la femminile nella dea Net) e rappresentanti il caos in origine dal quale egli si creò, elevandosi in seguito in maniera del tutto simile al loto.

Alla ciclicità della vita, la cui brevità in Giappone è rappresentata per eccellenza dai fiori di ciliegio, la Nucifera in suol nipponico rappresenta la spiritualità che resiste e si afferma sulla cattiveria e sul male del mondo, riaffiorando incontaminata come lo stesso fiore nel suo percorso di crescita in melmose acque verso la catarsi suprema. Tipica concezione di pensiero orientale che il mito tramanda tatuata in immagine di loto sulla spalla delle sirene affioranti dalle acque, in allegoria di rinascita alla quale s’aggiunga un profondo senso d’unione fra cielo e terra.

Ormai frequente in ogni parte del mondo, il tatuarsi fiori di loto rappresenta un imprimersi sotto pelle significati ben precisi d’amore, bellezza, equilibrio, spiritualità e riscatto, spesso associati all’Unalome, ossia il simbolo di tradizione buddhista rappresentato da una spirale, una linea a zig-zag, una retta ed un puntino che, nell’insieme, rappresentano il percorso esistenziale umano. Fra i tanti, tipica associazione in chiave taoista con lo Yin Yang o Taijitu e Tai Chi, simbolo orientale conosciuto in tutto il mondo secondo il quale la dualità rappresenta l’intero universo in rapporto complementare fra lato oscuro (Yin) e lato luminoso (Yang), secondo il comune concetto in cui vi sia sempre un po’ di bene nel male e viceversa, tatuando il quale all’interno del loto, il contrasto fra gli stessi raggiunge intensità simbolica estrema.

Tipico femminile è l’abbinamento del loto alla farfalla, nascendo infatti quest’ultima dal bruco, il processo di metamorfosi animale si lega in similitudine di significato, a quello vegetale, in una sorta di rinnovamento interiore marchiato fra pelle e pensiero. Associato alla carpa, il tatuaggio rimanda al pensiero giapponese secondo il quale lo stesso pesce, il koi, rappresenta il coraggio e la volontà dell’individuo che, in accompagnamento al fiore, rafforzano la concezione dello spirito in prevalenza sulla materia.

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Unalome
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Yin Yang
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Carpe Koi

Proprio in Giappone, nel 1951, furono ritrovati tre semi di loto risalenti a circa duemila anni fa e sopravvissuti sotto uno spesso strato di torba, poi ripiantati e rinati nel Loto Ohga, a tutt’oggi il fiore più antico del mondo, così rinominato in onore al suo ritrovatore, l’appassionato botanico Ichiro Ogha (1883-1965), dedito allo studio degli stessi semi il quale, nel secolo scorso, li ritrovò durante una ricerca fra la terra del Kemigawa, vicino a Tokyo, decidendo di prendersene cura e riportandoli a fioritura nell’unicità di esemplare, fino ad allora sconosciuto. Il fiore, una ventina abbondante di petali in rosea sfumatura, apre le proprie meraviglie, in acque poco profonde, nelle mattinate estive, offrendo ad occhi e cuore il seducente fascino della secolarità.

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Fiori di Loto Ohga

 

I molteplici usi del fiore di loto

In ambito culinario il loto si presta per differenti utilizzi a partire dalla radice e dal rizoma, ossia la parte interrata e modificata del fusto, ingrossata, tipica delle varietà acquatiche, allungata e solitamente a decorso orizzontale, talvolta breve e cilindrica, in tal caso verticale nell’espandersi, con preziosa funzione di riserva fondamentale nel superamento delle varie fasi climatiche.

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L’orientale renkon, d’aspetto simile ad una patata allungata, forata all’interno, popola le tavole giapponesi, lessata o cucinata in sottili rondelle, l’apporto di fibre e vitamine lo rende inoltre alimento nutritivo completo, dal sapore delicato, simile a quello della rapa, ma privo di amarezza e, qualora appena scottato, leggermente croccante al morso. Se non in loco d’origine, trovarla fresca risulta difficoltoso, la si può reperire essiccata o in polvere, presso negozi biologici o macrobiotici.

Aromatizzante d’infusi utilizzandone i petali essiccati, i fiori possono essere consumati sia crudi che cotti, da soli o come ingredienti aggiuntivi a fantasiose insalate dal gusto esotico, in aggiunta a zuppe o come preparazione alla base di dolciumi. Se il rizoma viene utilizzato prevalentemente per il condimento, le radici pure vengono solitamente consumate fritte. I semi, da consumare freschi, disidratati o cucinati, si trovano in doppia versione, bianchi, raccolti dal baccello ancora verde, o marroni, la cui raccolta è conseguente alla maturazione dello stesso.

Proteici, poveri di grassi, ricchi di ferro, magnesio, zinco, potassio, fosforo, vitamine (in particolare dei gruppi B e C) e flavonoidi, le proprietà terapeutiche, oltre ad uso millenario nella medicina cinese come antipiretico e protagonista indiscusso della medicina ayurvedica, spaziano dalla funzione antinfiammatoria, sedativa, di regolazione intestinale ed urinaria, protezione renale e cardiaca, di rinforzo immunitario, antiossidante, digestiva ed altro ancora.

Nella cosmesi il loto si distingue per gli effetti astringenti e rinfrescanti, recenti studi parrebbero supporre una probabile azione lipolitica, così fosse, potrebbe essere in futuro utilizzato come prodotto anti cellulite. L’olio estratto dai petali ha proprietà calmanti, oltre ad essere prezioso alleato nell’aromaterapia, favorendo concentrazione e meditazione mentre, a favor d’abbronzatura, giocano ruolo d’accelerazione sulla stessa le radici, qualora masticate, inibendo anche le macchie solari in quanto ad effetto drenante sul ristagno di liquidi, oppure utilizzate come rimedio sotto forma di maschera.


Grattugiare un cubetto di radice di loto e mescolarlo a 1 cucchiaio di semi privi della parte esterna, aggiungere 1 cucchiaio di farina di riso, 1 cucchiaino di miele e 1 di latte di mandorle. Ottenuta la crema, stenderla sul viso la mattina prima di esporsi al sole tenendola in posa 10 minuti, per poi sciacquare e applicare la protezione solare.

L’utilizzo della sacra pianta in ogni sua parte, ne vede il gambo protagonista d’alta sartoria essendo che, in Birmania, per lo stesso si preveda una filatura a mano per il confezionamento degli abiti dei monaci buddhisti d’alto rango.

La coltivazione ne richiede l’ambiente ideale in acque poco profonde, di circa venti centimetri, se possibile con esposizione totale ai raggi solari, nonostante il loto riesca a destreggiarsi anche in zone di penombra, seppur questa non risulti essere la condizione di luminosità ottimale. Il terriccio, terra da giardino od argilla, dovrebbe raggiungere una profondità di almeno quaranta centimetri, ben nutrito organicamente, con strato di sabbia garante della pulizia dell’acqua, la cui temperatura favorevole sia fra i 15 ed i venti gradi, mai inferiore. Il diametro dei vasi varia in base alla grandezza delle piante, partendo da un diametro minimo di trenta centimetri fino ad ottanta centimetri ed oltre, per le varietà più grandi, mentre l’altezza, per le più piccole, non dovrà superare i quaranta centimetri. Da seminare a primavera, in quanto la fioritura avverrà dopo due o tre mesi e quindi in elevata temperatura estiva, la buona resistenza alle temperature invernali non esclude fioriture l’anno successivo. Si dovrà aver cura, all’atto dell’invasatura, di posare le foglie al di fuori dell’acqua, ove le prime si adageranno, mentre le superiori tenderanno a svettare verso il cielo.

Da un punto di vista ornamentale, l’impatto estetico dei fiori di loto negli stagni di giardino arricchisce gli sguardi d’una poetica che sembra fuoriuscita dal pennello del miglior pittore, una coperta sull’acqua dall’inebriante fragranza che satura le narici giungendo al cuore.

Sognare il fiore di loto riporta ad un percorso individuale di crescita interiore che ponga come traguardo primo la spiritualità dell’essere, nel tentativo di riconoscere e varcare le proprie oscurità, al fine di raggiungere piena consapevolezza del valore armonico a cui si desidera tendere, privo di contaminazioni che soffochino l’ego ed in bramoso scioglimento di quelle catene che la materialità avvolge a mente ed animo. Un riaffiorare umano che al vegetale s’ispira e si ricollega, nella profonda convinzione che l’unica strada percorribile sia l’esser fedeli a se stessi, indipendentemente da oggetti o forzature esteriori. Un difficile percorso che nasce dal fango e dalla stessa poltiglia brama la luce, allungandosi in stelo ed esplodendosi in apertura al mondo come petali che si rivolgono ai raggi solari, forti delle proprie radici e direzionati alla luce sul filo delle proprie ombre, in una sorta di riaggancio con le proprie potenzialità, in esperienza onirica che trasli al reale.

L’amabile Nelumbo e la sua crescita su tre livelli differenti, terra, acqua ed aria, simbolizzati in ignoranza, desiderio in itinere ed illuminazione, che ricondurre ad esperienza umana come insegnamento primo rafforza nel momento in cui ci si renda conto della ricchezza che il Pianeta offre costantemente ed instancabilmente, nonostante i soprusi e le ferite quotidiane che ne portano fauna e flora verso l’estinzione. Un piccola sfera blu in costante abbraccio all’uomo, generosa nel nutrimento, nobile nel donarsi ed immensamente commovente nell’essere terreno di spunto dei suoi stessi figli. Barbarica irriconoscenza che ferisce nel profondo, lenita dal posar sguardo sui pollini che, imperterriti, proseguono il loro cammino sospesi dal vento.

Il polline di loto, soffiato via dalla distesa
di fiori aperti e fatto girare in cerchio
nell’aria dai venti di tempesta,
prende la forma di un parasole d’oro.
Bhāravi, poeta indiano


Renkon saltato con sesamo e porro per 2 persone

Lavare la radice di fiori di loto, sbucciarla e riporla in una pentola; coprire con acqua e portare a ebollizione, dopodiché spegnere il fuoco e scolare. Nel caso in cui non si utilizzi nell’immediato, asciugare bene la radice di loto, tagliarla a fette, riporla negli appositi sacchetti da congelatore e conservarla per un massimo di 30 giorni.

1 radice di fiore di loto
1 porro verde affettato
1 cubetto di zenzero privato della buccia
1 spicchio di aglio
1 cucchiaio di salsa di soia
1 cucchiaino di aceto
1 cucchiaino di zucchero grezzo
olio extra vergine di oliva q.b.
semi di sesamo q.b.
peperoncini freschi q.b.

Procedimento:

Riscaldare una padella con olio extra vergine di oliva, facendovi soffriggere lo spicchio d’aglio e il cubetto di zenzero affettati grossolanamente. Aggiungere le rondelle di renkon dopo averle ben asciugate dall’acqua secondo il precedente procedimento e continuare la cottura fino a quando le fette non raggiungeranno un colore opalino, momento in cui andranno girate sull’altro lato.

Aggiungere le fettine di porro, la salsa di soia e lo zucchero grezzo, lasciando soffriggere e quando le fettine cominciano ad assumere un aspetto caramellato, aggiungere i semi di sesamo e i peperoncini precedentemente affettati; pochi minuti di ulteriore cottura e spegnere.

 
 
 
 

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