Il Molise, attraverso i tesori custoditi nei borghi
Meravigliosi borghi molisani s’estendono all’interno di un’incantevole area montuosa e collinare, protetti e preservatisi in tutto riserbo nella piccola regione parte delle cui coste si dona all’Adriatico, attorcigliando i rimanenti bordi in abbraccio ad Abruzzo, Lazio, Puglia e Campania, in arcaica custodia delle proprie intime perle naturali.
La varietà del paesaggio molisano è singolare; è terra senza riposo che talvolta, massime nella parte più alta, nel circondario di Isernia, ha qualcosa di convulso: una specie di tormento geologico raggelato in tempo immemorabile.
Francesco Jovine
Il Molise, dove prima presenza umana risale al Paleolitico, racchiude in sé una variegata geografia fisica, offrendo svariate possibilità a chiunque desideri appagarsi tanto della beatitudine di paesaggi marini, nelle cui onde immergersi, quanto di percorsi montani da esplorare tra salutari camminate e pratiche sportive, trasversalmente gratificando il palato con pietanze locali da assaporare nelle loro tipicità.
Nel corso dei secoli, ciò che portò all’edificazione di numerosi borghi fortificati fu la necessità di difendersi dalle invasioni di popoli in brama d’espansione, motivo per cui gli stessi vennero eretti in zone recondite e ben protette dalla vegetazione, posizione che attualmente aggiunge ulteriore carisma alle piccole frazioni che narrano di storie passate attraverso le loro costruzioni, per la maggior parte colonie romane, come testimoniano antichissimi e variopinti mosaici, ritrovati in perfette condizioni e visibili nella zona di Larino, a riprova dell’invasione che, dal III secolo a.C. in avanti, ne assoggettò completamente le originarie popolazioni sannitiche.
Alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, ufficialmente datata al 476 d.C., estrema devastazione della regione seguì alla Guerra Gotica, lo scontro tra l’impero bizantino e gli Ostrogoti verificatosi fra il 535 e il 553.
La gotica battaglia dei Monti Lattari sul Vusuvio, 1890
Frazionamento di territorio in circoscrizioni amministrative, denominate “gastaldati”, avvenne sotto il dominio longobardo a partire dal VII secolo fino all’XI, lasciando questo intervallo di tempo riscontrabili tracce negli specifici castelli tuttora esistenti, nell’arte e nei toponimi che via via variarono a seconda delle dinastie alternatesi, quindi la normanna, la sveva, l’angioina, l’aragonese ed altre aristocratiche famiglie, oltretutto influenti artisticamente ed architettonicamente nel susseguirsi dei decenni, contribuendo poi l’epoca rinascimentale al sorgere di palazzi signorili nei contesti dei manieri medievali e la successiva pittura di matrice barocca ad abbellire ed impreziosire le mura d’innumerevoli chiese.
Ulteriormente provato dalle sommosse antiborboniche sul finire del XVIII secolo e violentemente abbattuto dal terrificante sisma del 1805, alla ricostruzione del territorio indubbiamente giovò l’edificante impronta apportata dal governo del generale francese, e re di Napoli, Gioacchino Murat (1767-1815), affacciandosi il Molise al Risorgimento, non solo riedificato, ma anche riorganizzato da un punto di vista infrastrutturale e burocratico, tuttavia rimodificato nella disposizione delle province, dapprima in conseguenza all’annessione al Regno d’Italia e posteriormente, nel 1927, sotto direttive del periodo fascista, quindi attraversato il secondo conflitto mondiale e in più parti raso al suolo dai bombardamenti tedeschi, infine lentamente rinascendo ed arrivando ad ottenere la tanto desiderata indipendenza dall’Abruzzo, con il quale sino ad allora costituiva un’unica regione, nel 1963.
Essendo l’odierna area regionale l’esito di intensi mutamenti territoriali, visitarne i borghi significa pertanto non solamente potersi pregiare delle bellezze offerte allo sguardo dai seducenti paesaggi e dagli edifici in essi serbati, ma arricchire la propria conoscenza storica nel soffermarsi a riflettere sulle loro origini, nella possibilità di carpire il valore umano ed universale delle differenze dialettali, folkloristiche e culinarie che fanno della cultura di un luogo la particella mnemonica da fissare, accostandola all’insieme di tutte le tradizioni assaporate in tragitto di viaggio e che cinque borgate molisane, volendo ingratamente citarne alcune al posto di altre, si prestano ad elargire in dono a chi abbia il piacere di visitarle.
Agnone
Comune della provincia di Isernia, nell’alto Molise, Agnone è antica e ammaliante cittadina sannita racchiusa fra colline, boschi e praterie, poco più di 800 metri di altitudine sul livello del mare.
L’architettura che ne riveste il suolo racconta dell’influenza veneziana del passato, la cui capacità artigiana venne condotta sul luogo dall’autorevolissima e nobile famiglia Borrello, originaria di Pietrabbondante e insediatasi in zona nel 1139 dopo essere stata a servizio del Doge di Venezia, fondando quello che inizialmente venne nominato Angolum, quindi Agnolum, infine Agnone nel 1507, la cui pietra miliare appartiene al monte Caraceno, dove risiede il rione più antico della città, oggigiorno conosciuto come Ripa e abitualmente soprannominato quartiere Veneziano.
Agnone ha il privilegio di ospitare una delle aziende familiari più antiche al mondo, trattasi della Fonderia Pontificia Marinelli, impresa metallurgica costituita attorno all’anno 1000 dall’omonima famiglia e protagonista assoluta, in fedele passaggio di generazioni, della creazione di campane d’indubbio prestigio, alcune di esse, realizzate con tecniche medievali, visionabili nel Museo Internazionale della Campana Giovanni Paolo II, sorto nel 1999 e contiguo alla fonderia, all’interno del quale i sacri bronzi, fra cui la riproduzione della pregiata campana dell’anno mille, sono esposti insieme a fotografie che riportano in vita la storia passata, oltre che a preziosi e rari manoscritti, il più importante l’edizione olandese, datata 1664, del trattato De Tintinnabulis redatto dal poeta, giurista e ingegnere aretino Girolamo Maggi (1523- 1572) durante la prigionia a Costantinopoli, ritenuto il sacro e basilare tomo di riferimento per ogni fondatore di campane che desideri considerarsi tale.
Attraverso visite guidate nella ditta è per di più possibile seguire le varie fasi di lavorazione, interessanti sotto molto punti vista, in special modo tenendo conto del fatto che la realizzazione di una campana comporta lavorazioni di mesi, inizialmente creandone l’anima, poi cospargendo con dell’argilla il modello costruito, seccatasi la quale vengono incise sulla superficie le decorazioni previste, dunque un secondo strato d’argilla che precede la finale colata di bronzo.
Sono più di un decina le realtà parrocchiali da dove, in questo borgo, le campane dei Marinelli effondono i loro melodici rintocchi e una delle principali è la Chiesa di San Francesco, monumento nazionale eretto nel XIV secolo e caratterizzato dalla porta principale in stile gotico, sovrastata da un caratteristico rosone degno d’attenzione per la sua bellezza, egualmente propria alla peculiare cupola a tamburo e campanile che termina con una guglia in ferro battuto.
La parte interiore è ornata dalle opere dell’architetto e scultore comasco Ambrosio Piazza (XVIII secolo – ?), mentre gli affreschi presenti richiamano alla mente l’abilità del pittore molisano Paolo Gamba (1712-1782); interesse la vita di San Francesco può invece soddisfarsi nella struttura adiacente, che fu il Convento dei padri conventuali, alle pareti del cui chiostro sono raffigurate scene di vita del santo, mentre nella Biblioteca comunale, anch’essa contenuta nel monastero, vengono mostrati permanentemente testi di straordinaria rarità, fra i quali un’edizione del 1567 dell’Opera Omnia del filosofo greco Platone (428/427 a. C. – 348/347 a.C.).
L’architettura civile è riscontrabile in vari edifici cittadini, il più attraente fra i quali è senza dubbio il Palazzo dei Conti Minutolo, anche noto al nome di Palazzo Nuonno, edificato nel XIII secolo in stile prettamente veneziano e nel complesso avvolto nel mistero di una leggenda che ne vuole la presenza di fantasmi all’interno, spirante attorno alla cella dove venivano giustiziati i condannati a morte.
Passeggiando per il centro storico vari sono i piccoli negozi veneziani da visitare, il cui lontano insediarsi sembra ruggire nelle fauci dei leoni in pietra e notevole d’interesse è l’Antica bottega orafa, testimone della migrazione di artigiani lagunari in ere lontane.
Di forte impatto folkloristico è la tradizionale ‘Ndocciata, la sfilata d’antiche origini e riconosciuta manifestazione Patrimonio d’Italia. di enormi fiaccole costruite con tronchi d’abete bianco retti in spalla da portatori che, indossando la storiche vesti dei pastori, in rappresentanza delle contrade del borgo, ossia Capammonde e Capabballe, Colle Sente, Guasto, Sant’Onofrio e San Quirico, attraversano Agnone dall’8 al 24 dicembre dicembre, illuminando calorosamente le vie del paese ed attirando con il suo rituale e brillante fiammeggiare migliaia di turisti.
Il Molise è per me un sogno.
È un mito tramandatomi dai padri e rimasto nel mio sangue e nella mia fantasia.
Francesco Jovine
Bagnoli del Trigno
Come Agnone appartenente alla provincia di Isernia, Bagnoli del Trigno, sulle cui origini storiche non vi è certezza, permanendo al contrario una miriade di leggende a riguardo, è minuscola frazione popolata da poco meno di 700 abitanti, situazione causata dalla corposa emigrazione di molti bagnolesi nel secolo scorso, molti fra i quali trasferitisi a Roma in cerca d’occupazione.
L’annualità del paese è scandita da eventi per la maggior parte commemorativi santi, celebrando inoltre un rito del fuoco del tutto simile all’agnonese, al nome di ‘Ndocce, torce marcianti durante il periodo natalizio nei i vicoli del minuscolo borgo che, arroccato fra enormi rocce, sembra prendere le sembianze di un presepe vivente, soprattutto durante la notte quando la calda e aranciognola illuminazione proveniente dalle abitazioni, crea un’atmosfera di rasserenante calore.
Nonostante la ridotta superficie del luogo permetta di visitarlo completamente in poche ore, una piacevole giornata può essere trascorsa partendo dalla visita della Chiesa di San Silvestro Papa, costruita fra il XIII e il XIV secolo, e restaurata negli interni a seguito dei terremoti, sul pietroso sperone che domina il sottostante panorama, magicamente ammirabile dal campanile; il fitto incastro nella roccia ne concede alla vista esclusivamente le pareti laterali e il gotico portale maggiore, essendo inoltre l’accesso al pubblico purtroppo non concesso.
Altri quattro sono gli edifici religiosi presenti, tra questi il più ampio di Bagnoli del Trigno, che si trova invece in zona bassa, con relativa campana della succitata fonderia Marinelli, è la Chiesa di Santa Maria Assunta, la cui epigrafe, posta sopra l’arco trionfale, ne asserisce l’origine al XVIII secolo e nonostante le varie ristrutturazioni apportate negli anni cinquanta ne abbiano travisato la condizione, all’interno dell’unica navata si mantengono dorati e policromatici stucchi del periodo tardo barocco.
La architetture militari si manifestano nella loro imponenza sia nel longobardo Castello ducale San Felice, che nelle rovine del Castello di Sprondasino: il primo fu innalzato nell’XI secolo, a poco meno di 800 metri di altezza ed ebbe come ultimo proprietario l’omonima famiglia, che ne fece dimora per secoli, sin al termine dei diritti di feudo; il secondo situato in zona di collegamento tra Bagnoli del Trigno e Civitanova del Sannio, anticamente utilizzato, data la strategica posizione, con intenzioni di controllo sugli individui in entrata.
Piacevolmente passeggiando per gli stretti vicoli di borgata, ovviamente in erta salita, per lenire la quale si può utilizzare la Scalinata San Felice, si possono via via osservare diverse costruzioni civili e pubbliche, alcune delle quali in strettissimo collegamento alle attività domestiche che dall’avvento degli elettrodomestici sono scomparse, insieme alla fatica delle donne impiegate nelle stesse, attività quotidiane di tutte coloro che si ritrovavano mani in acqua nel lavatoio comune, denominato Fonte Vecchia, come la via che lo comprende, guardando il quale l’immaginazione permette un immediato confronto fra la benevola evoluzione del lavoro domestico al trascorrere del tempo.
In Molise sento che dolcemente mi ritorna nel sangue il senso profondo del luogo, che la memoria si riapparenta egualmente ad odori, suoni, rumori.
Francesco Jovine
Termoli
Lungo il costiero adriatico, in provincia di Campobasso, si estende il borgo di Termoli, risalente al V secolo, ma le cui notizie storiche sono purtroppo limitate a conseguenza del saccheggio turco del 1566.
L’ampia area è racchiusa dalle mura che la dividono dalla sua moderna cittadina ed appare come un’intrigante acropoli fortificata, decorata di piazzette collegate da un dedalo di pittoriche stradine, di cui il vicolo detto A Rejecelle, dal francese «rue», situato nel cuore del borgo, con una lunghezza di circa otto metri e una larghezza compresa fra quaranta e sessanta centimetri, è considerato uno dei più angusti d’Europa.
Raggiunta la Piazza del Duomo, un quadrilatero contornato da abitazioni di modica altezza adiacente al Palazzo Vescovile, è possibile visionare la Cattedrale di Santa Maria della Purificazione, chiesa madre innalzata tra XII ed il XIII secolo su di un preesistente edificio religioso, a sua volta costruito nel 1307 sui resti di un tempio pagano dedicato ai figli gemelli di Zeus, Castore e Polluce. avente un’altezza di ventidue metri con la struttura inferiore originaria, mentre la superiore restaurata dopo il terremoto del 1456, dunque affiancando rispettivamente un’architettura romanico-pugliese ed uno stile gotico.
La parte bassa presenta sette archi adornati di bassorilievi ed in quello centrale, il più alto di tutti, vi è l’ingresso principale e nella zona al di sotto del pianterreno è posizionata la cripta nella quale, oltre a resti di sculture e di parti architettoniche dell’antica facciata, sono conservate le reliquie di San Timoteo, fortuitamente rinvenute l’11 maggio 1945, fino ad allora nascoste in un loculo che si trovava a un metro scarso dal piano odierno, celato da una marmorea lapide.
La roccaforte maggiormente rappresentativa, ubicata appena al di fuori del borgo, è il Castello Svevo, che fece capolino sul territorio in epoca normanna allo scopo di difenderne i confini da eventuali offensive provenienti tanto via mare, quanto da terraferma, a sua volta recintato da una massiccia cinta muraria a quattro cilindriche torrette merlate ed una torre superiore; in vetta a quest’ultima si dedica alla propria attività la stazione meteorologica dell’aeronautica militare e l’intero complesso è sito dedicato agli eventi culturali cittadini, dei quali enormemente rievocativo è quello che periodicamente si svolge ogni 15 agosto, durante il quale tutta la zona scintilla di giochi pirotecnici a memoria dell’incendio causato dal lontano assalto dei Turchi.
Il fortilizio è monumento nazionale dal 1885 e come tutti i castelli che si rispettino anch’esso accoglie il proprio fantasma, un leggendaria entità che s’aggirerebbe per l’intero paesello durante la notte, perseguitandone gli abitanti.
L’antico borgo di Termoli s’è sempre mantenuto ben distinto dalle modernità della cittadina, pregiandosi della sua realtà storica e mantenendola intatta, tuttavia permettendo di rendersi piacevolmente familiari entrambe le zone, gradatamente discendendo lungo tutta la cinta muraria fino al porto attraverso la Passeggiata dei Trabucchi, così nominata dalle palizzate sul mare che in passato vennero congegnate dai pescatori, il primo trabucco risalente al 1850, installate sugli scogli al fine di potersi dedicare alla pesca anche in condizioni atmosferiche di burrasca sfavorevoli alla navigazione e ai tempi collegate alla costa con passerelle ancora percorribili.
Completezza di panoramica è invece realizzabile sulla via Montecastello, che parte in prossimità del castello e si prolunga ad altitudini che permettono allo sguardo di abbracciare il lungomare, la zona portuale, il centro cittadino, le isole Tremiti e il golfo di Vasto, in tal modo concludendo fra storia e natura un’avventurosa gita fra passato e presente.
Frosolone
Località annoverata ne I Borghi più belli d’Italia, Frosolone, come Agnone e Bagnoli del Trigno appartenente alla provincia di Isernia, è immersa nell’idillico paesaggio dell’Appennino centrale, a circa 900 metri d’altitudine, sull’altopiano di Colle dell’Orso, dove, come suggeriscono reperti di mura riconducibili agli insediamenti d’altura a scopo difensivo, i popoli sanniti stanziarono fin dal V secolo.
La zona abitata risale all’era medievale, gradatamente urbanizzandosi il centro, con altalenante frammentarietà residenziale dovuta ad eventi storici e sismici, fino al suo annoverarsi, sin dal XIX secolo, fra i centri abitati a maggior densità demografica, con fenomeni migratori acuitisi dopo il secondo conflitto mondiale e conseguendo a ciò il generale invecchiamento della popolazione attualmente rimasta.
L’atmosfera contemporanea si pregia di un invariato spirito agreste che si respira semplicemente lasciandosi permeare dall’eco delle passate transumanze, fissatesi in aroma nel caciocavallo prodotto e contribuendo la natura circostante a farsi narrazione della vissuta ruralità innata agli uomini che della propria terra intrisero le loro vite e i loro cuori, ancor oggi dedicandosi al pascolo del bestiame in stupefacente libertà.
Abbandonandosi mente e corpo alle tali straordinarietà, possibilità di pratica sportiva è concessa nella Falesia della Morgia Quadra, i cui versanti calcarei si prestano ad attività d’arrampicata nella quale allo stesso tempo assimilare al senso visivo i panorami compresi fra la Valle del Trigno e quella del Biferno, in alternativa mantenendo moto in tranquillità direzionando i propri passi fra boschi, sorprendendosi alla vista delle delle stalattiti sospese nell’anima del promontorio oppure gironzolando per le tipiche stradine del centro, dove ritrovare la pratica di antiche mansioni rimaste impresse nelle attività degli artigiani coltellinai, essendo la lavorazione dell’acciaio, trasformato in lame di vario genere, ancora una delle principali fonti di guadagno del posto, oppure in visita alle eterogenee architetture presenti.
Quelli che furono gli utensili anticamente utilizzati sia in ambito pastorizio che metallurgico si possono ritrovare rispettivamente nella Casetta del Pastore, minuscolo museo allestito come le vecchie case dei pastori di un tempo, e nel Museo dei Ferri Taglienti, dove sono stati raccolti centinaia di attrezzi ed oggetti delle attività passate, con possibilità di presenziare alla forgiatura delle lame nella bottega artigiana annessa.
Concreto esempio di manifattura locale è l’ottocentesca fontana che si trova antistante le mura, la Fonte Grossa o Fontana dell’ Immacolata, ricavata da pietra calcarea squadrata e decorata con mascheroni a teste di leone, lavatoi laterali e lo stemma comunale del frisone.
Abbeverano fede varie chiese, fra le quali:
• la Chiesa Madre di Santa Maria Assunta, di stampo barocco e dal campanile turrito, prima consacrazione nel 1309 e seconda nel 1877, inframezzo due movimenti tellurici, gli ormai noti del 1456 e 1805, con ingenti danni ai quali seguirono lavori di rifacimento, in tale maniera riuscendo a mantenere le sculture e le pitture primordiali, accompagnate da sei altari che rendono sfarzo all’ambiente, disposto su pianta a croce latina e tre navate; non appena superata la soglia, si nota la statua della Vergine Assunta attorniata da angeli e le settecentesche tele ad olio che la raffigurano con le anime purganti, portano la firma di Giacinto Diana (1731-1803), pittore partenopeo, soprannominato “o’ Puzzulaniello” e ritenuto fra le principali personalità artistiche napoletane dell’epoca.
• la Chiesa di San Pietro, anch’essa risistemata in seguito alle due scosse terresti, pur mantenendo fede al passato fra opere scultoree e pittoriche, cedette primarie sembianze all’idea restauratrice del reverendo Giuseppe Maria Trillo (1873-1948), che negli anni quaranta ne commissionò la facciata in marmo; invocata la sua carriera clericale da parte delle più influenti personalità ecclesiastiche del tempo, Trillo, nonostante il suo esser stato chiamato in più città d’Italia come insegnante dalle garbate ed indiscusse capacità, rimase sentitamente ancorato alla sua Frosolone, mettendo in secondo piano, nel suo animo, l’avanzamento professionale rispetto all’amore per la sua terra, suggellato dai frosolonesi il 29 giugno del 2012, con marmoreo busto a lui dedicato, in omaggio alla sua ferrea e costante dedizione a quella che fu la Parrocchia di San Pietro Apostolo.
Residenza civile meritoria di visita delle sue parti esterne, essendo di proprietà privata, è il Palazzo Baronale, addossante le mura, quello che sulle prime fu una corpulenta fortezza medievale in pietra, nel 1305 sede della Santa Inquisizione e dal 1500 oggetto di un rimaneggiamento che ne scemò il severo aspetto difensivo, divenendo prioritario domicilio dei feudatari di Frosolone fino al suo acquisto, nel 1771, ad opera della famiglia Zampini; la parte superiore è sorretta da arcate cieche portanti, con loggiato plausibilmente allora riservato alla sola nobiltà e scale in pietra che conducono ai differenti ingressi.
Circuito inglobante il trascorso del borgo si può intraprendere sulla strada della grande transumanza, dove è stato collocato un Monumento al Pastore, evocante le antecedenti pastorizie ed in particolare a ricordo di Pasquale Paolucci (1892-1981), la cui abitazione s’incontra strada facendo, che fu pastore transumante fin dall’infanzia; dopo aver trascorso un decennio in Argentina in seguito ad arruolamento bellico, rientrò a Frosolone e nella sua masseria, nel corso di un quarantennio costruendo particolari sculture realizzate con la sovrapposizione e la lavorazione di sassi e pietre, inconsapevolmente lasciando ai postumi un Museo di Pietra senza eguali.
Il contadino molisano è ordinariamente taciturno; non dice che l’indispensabile; abitante di una terra difficile, aspra, scoscesa, rotta, a pendii rocciosi, a sassaie aride, ha nelle vene l’asprezza della lotta per vivere
Francesco Iovine
Sepino
Posizionato, a circa 700 metri d’altezza, sui boscosi lembi dell’appenninico Matese, Sepino, in provincia di Campobasso ed anch’esso inserito ne I Borghi più belli d’Italia, attraversò l’epoca sannitica al nome d’Altilia e la romana come Saepinum, giungendo ai nostri giorni densamente impregnato di una cultura storico-religiosa che, all’interno della cinta muraria di perimetro trapezoidale, fuoriesce in tutta la sua antica bellezza da strutture e zone naturali, accedendo alle sue sassose arterie attraverso tre porte, l’Orientale, la Meridonale e la Porta di Corte altrimenti detta Porta Borrelli.
Tra le magnifiche chiese presenti, particolarità di conformazione compete alla Chiesa di Santa Cristina, probabilmente eretta al passaggio della popolazione da Saepinum a Sepino, ovvero quando nel IX secolo, a seguito dell’invasione longobarda, la vecchia città romana subì un intenso spopolamento per effetto migratorio verso valle, dove venne fondato e rinominato l’odierno borgo.
La guglia presenta una forma singolare, che ricorda quella di una grossa e panciuta bottiglia, in apice ad una torre campanaria la quale, come altre parti dell’edificio, subì restauri conseguenti ai terremoti più volte elencati, ma l’originalità degli interni, preziosamente arredati fra opere artistiche e materiali marmorei, con decorazioni in madreperla per gli altari, riguarda la sotterranea cripta, detta La Grotta di Santa Cristina, a cui si giunge da una scalinata posta in fondo alla chiesa, dove è un’epigrafe a datare al 1570 i natali della stessa e nella quale è preservata la statua della santa, abbigliata nel suo ligneo corpo da una candida tunica fiorita ed un mantello rosso, stringendo nella mano destra una freccia ed un ramo di palma, nella sinistra il borgo, per le vie del quale viene esposta in processione ogni cento anni, mentre ogni 24 luglio, in corteo celebrativo è portato il dorato busto della beata, custodito assieme al braccio argenteo contenentene le reliquie, nella cappella del Tesoro, posta sulla navata destra e fatta costruire nel 1609 da Francesco Carafa della Stadera, 1° principe di Sepino.
Il centro storico ricorda il Medioevo per la tipica conformazione di ristretti viottoli e piazze, nelle quali troneggiano parecchie fontane, a decantar quella che fu la precedente Saepinum è il sito archeologico poco distante; di forte attrazione turistica sono le parti restanti delle abitazioni romane, fra le quali le terme, il teatro, la basilica, il foro ed alti scavi degni d’interesse come la Fontana del Grifo, costruita fra il I e il II secolo d.C. ad attestar quella che seppe essere l’innovativa capacità idraulica dei romani, legittimando inoltre la denominazione di Paese dell’Acqua dovuto appunto alle numerose fonti disseminate fra strade del borgo dalle quali sgorgano acque oligominerali particolarmente pregiate ed invitante occasione di immergersi in esse è rappresentata dalle vicine Terme Sepinia incastonate nel verde del complesso montuoso Matese dominante la valle del Tammaro.
Natura incontaminata, dona ancora la zona Campitello di Sepino dov’è possibile posare sguardo su boschivi territori ricoperti per la maggioranza di faggi oppure dedicarsi al trekking, ad ogni modo camminando sui medesimi polverosi suoli in cui l’umanità, in tempi antichi transitò il bestiame, trascorse remoti vissuti, svolse faticosi mestieri, tramandandoli insieme alle proprie tradizioni, luoghi nei quali sanguinose guerre furono combattute per giungere alla tanto attesa costituzione regionale, mantenendo all’interno di piccole e pittoresche borgate la più arcaica delle seduzioni.
Qui tutto è vivido, sonoro, ardente.
Alberi e cose non parlano un linguaggio intellegibile, ma hanno voce. La terra narra la difficile gestazione delle sue vite e gli uomini la sentono vibrare sotto i piedi come una creatura viva.
Francesco Jovine
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