Jacob August Riis: alle origini della fotografia umanista
Frances Benjamin Johnston (1864-1952), Jacob August Riis, 1900
Precursore nell’utilizzo del flash fotografico, Jacob August Riis fece di penna e obiettivo i principali strumenti con i quali, nell’era progressista degli Stati Uniti, sostenere la causa della riforma urbana a sostegno dei disagiati, svelandone la sofferenza tramite realistici fotogrammi.
Nella fotografia c’è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà.
Alfred Stieglitz
A partir dall’ultimo decennio del XIX secolo, la fotografia documentaristica, il cui fine è quello di riportare in fedeli immagini la società e i suoi cambiamenti attraverso la quotidianità dei suoi protagonisti, in territorio newyorkese si ramificò in un sottogenere di reportage, particolarmente umanista, volto a porre accento sulle precarie condizioni degli immigrati ammassati negli sventurati quartieri in cui abbondavano malessere, pessime condizioni igieniche, malavita e quanto di similare incupisse e rendesse greve l’esistere.
Il fenomeno migratorio di quel periodo storico — perlopiù di provenienza europea, tra fuga dal dilagante antisemitismo e la ricerca di un’occupazione — assunse proporzioni d’inimmaginabile vastità, entro il 1930 portando la crescita demografica a livelli esponenziali, con una percentuale, per quanto concerne la sola popolazione di New York, che raggiunse l’80% circa di stranieri, o comunque di persone figlie d’americani di prima generazione, dato che, in Europa, la fuga dalle campagne per inseguire il “grande sogno americano” e conquistare una degna posizione lavorativa, smosse un flusso di circa 2500 persone al giorno, fra il 1892 e il 1954 approdanti ad Ellis Island, la neo isola, in parte artificiale, tra New York e il New Jersey, appositamente creata come principale ricezione degli sbarchi.
Arrivare a Manhattan in quegli anni, significava immergersi in una realtà in pieno sviluppo urbano, tuttavia persistendo un’enorme discrepanza fra le aree residenziali e quelle popolari, aggravate dalla completa assenza di un sistema fognario adeguato, in più caratterizzandosi la città di un sistema d’approvvigionamento idrico alquanto obsoleto, aggravando la situazione il fatto che il grande distretto fosse attorniato da fiumi salmastri, quindi con ridotta disponibilità di acqua dolce, pertanto avvalendosi i cittadini, nel periodo antecedente la costruzione dei primi acquedotti, di sorgenti naturali, pozzi o cisterne, ma l’avanzare dell’industrializzazione avrebbe in breve tempo inquinato parte di queste fonti, di conseguenza, per innumerevoli motivi, necessitando la cittadina di tempestivi interventi a riguardo.
L’avvenuto incremento demografico, nonostante la decisa spinta urbanistica di quegli anni, portò inoltre alla formazione di zone in cui si concentrarono tutti coloro che per sopravvivere dovevano arrancare, ben distinti, logisticamente parlando, dall’elitaria frangia, benestante da generazioni, che traslocò in gran quantità verso nord, suddividendosi la città in due ripartizioni geograficamente dimezzate dalla Quattordicesima Strada, ritenuta il confine tra Manhattan e Midtown, quest’ultimo il distretto principalmente preso di mira dagli aristocratici in cerca di nuova residenza, in una specie di fuggifuggi dalla nuova situazione che si era venuta a creare, parallelamente alla ricerca di una sistemazione di nicchia che dalla stessa mantenesse le distanze.
Fu in quel contesto che la fotografia urbana raggiunse il suo più elevato e altruistico significato, penetrando nelle crepe degli asfalti più diffamati e temuti, per raggiungere le spaccature di cuore di chi li calpestava ogni giorno, tra fatica e disperazione rincasando nei tanto screditati tenements degli slums, ossia i popolari caseggiati delle baraccopoli nei quali, a partire dal 1888, un ispirato giornalista, di nome Jacob August Riis, mise mano all’apparecchio fotografico entrando nelle scomode realtà dimenticate, per riportarle al centro della scena in bramosia di soluzioni strutturali che potessero concretizzarsi insieme alle scarnite speranze dei più sfortunati.
Pionieristica fu la sua opera in tal ambito, alla quale faranno eco documentaristi su più generi quali, solo per citarne alcuni, fotografi statunitensi del calibro di Lewis Wickens Hine (1874-1940), Arnold Genthe (1869-1942), Alfred Stieglitz (1864-1946), Paul Strand (1890-1976), all’obiettivo conferendo quella potenza intrinseca d’osservatore sensibile in grado di riportare, in maniera oggettiva, realtà nascoste davanti agli occhi dell’intero mondo.
Dalla Danimarca agli Stati Uniti
Il 3 maggio 1849, a dare i natali a Jacob August Riis, fu la più antica città della Danimarca, Ribe, ubicata nella penisola dello Jutland e le cui origini risalgono alla prima decade dell’ottavo secolo, a fronte dei primi abitati che s’insediarono sulle sponde di un canale che attraversava la zona, da qui il nome della stessa, derivando dal latino ripa, «riva».
Secondogenito d’una figliolanza annoverante dodici fratelli — nati dal legame tra l’insegnante e scrittore Niels Edvard Riis (1817-1894) e la raffinata casalinga Caroline Bentine Lundholm (1823-1903) — unicamente assieme alle sorelle Hedevig Sophie Tarp (1867-1952) e l’adottiva Emma Reinsholm (1853-1938), poté calcare il ventesimo secolo sopravvivendo a falcidie d’inclemente sorte contro cui invece nulla poterono Sophus Charles (1847), Theodor Emil (1851-1860), Johan Nicolai (1853), Peder (1854-1955), Charlotte Emilie (1855-1870), Augusta Mathilde (1857), Carl Edvard (1859), Theodor Frederik (1861-1880), Henryk Emil (1863), Henrik Emil (1865-1869) ed infanzia trascorse immerso nei libri in passione instillata dai genitori, uniti nel desiderio di offrirgli decorosa educazione, tanto da riservargli, da comune narrazione, una stanza all’interno della fattoria di famiglia, nella quale avrebbe così potuto isolarsi e curare la propria formazione culturale, un privilegio, nella diffusa povertà caratterizzante tale momento storico, in parte derivato dalla discreta posizione economica del nonno paterno, Ditlev Godthard (1778-1832), facoltoso agricoltore e proprietario di una piccola distilleria.
Predilezione di consiglio, da parte di Niels e Caroline, furono le opere dell’allora popolare e produttivo autore statunitense, di ideologia nazionalistica, James Fenimore Cooper (1789-1851), penna incline alla narrazione di storie a marina ambientazione, affiancate da romanzi storici e il cui capolavoro, dall’eco rimbombante ancor oggigiorno, fu L’ultimo dei Mohicani, in prima edizione originale nel 1826, fra le cui pagine magistrali vicissitudini storico-avventuriere durante la il conflitto franco-indiano (1754-1763), ossia il fronte nordamericano della nota guerra dei sette anni (1756-1763), combattuta fra Europa, America, India e Africa, scoppiata sull’usurpazione prussiana della Sassonia.
Interesse di Jacob venne inoltre orientato al settimanale letterario britannico All the Year Round — prima pubblicazione nel 1859, ultima nel 1895 — su editoria del giornalista e reporter di viaggio Charles John Huffam Dickens (1812-1870), fra i più conosciuti romanzieri d’età vittoriana, da molti ritenuto fra i più influenti e ragguardevoli di sempre, il quale, attraverso il suo periodico, divulgò vari romanzi in serie, in virtù dell’usanza del periodo di proporne puntate, settimanali o mensili, in uscita sulle riviste e abilmente adoperandosi ad una scrittura trasversale a livello comprensorio, seppur indiscutibilmente eccelsa, intrecciando storie fra innato sentimentalismo e consapevole critica sociale.
Affetto e serenità accompagnarono la tenera età di Riis il quale sperimentò per la prima volta la concretezza del dolore quando il fratello Theodor Emil, di due anni più giovane di lui, finì precocemente la sua vita annegando nel 1860 e di conseguenza gettando negli occhi del fratello undicenne le indelebili immagini di una madre sottoposta al più atroce e logorante dei patimenti, nel dover sopravvivere alla morte di un figlio.
Negli anni a seguire Jacob ebbe la possibilità di sperimentarsi, come apprendista in una falegnameria locale, in quello che avrebbe desiderato divenisse il suo impiego futuro, affascinato dal prezioso e versatile materiale, contesto lavorativo in cui il suo cuore di sedicenne batté primi palpiti d’innamoramento rivolti ad Elisabeth Dorothea Nielsen (1852-1903), figlia adottiva del titolare, anch’egli danese, Balthasar Giørtz, ma infatuazione fu ostacolata dal padre tanto quanto la passione per il legno, motivo per cui, dopo un triennio di specializzazione dell’artigianale mestiere svolto a Copenaghen, il rientro nella città natia nel 1968, l’irrisoria offerta occupazionale ed il rifiuto della sua proposta di nozze alla ragazza di cui s’era invaghito, nel 1870 Jacob decise di trasferirsi in terra americana, in tasca l’amore riversato su una ciocca di capelli dell’amata, custodita in una medaglietta, e infinite speranze strette fra gola e petto di trovare un impiego nel settore desiderato.
Giunto a New York con passo da migrante e conseguenti difficoltà derivate dall’approdare in un paese sconosciuto, Jacob unì cammino ai milioni di persone che si riversarono nelle zone urbane in cerca di un futuro migliore, spesso ammassandosi in scarse condizioni igienico-sanitarie all’interno quartieri ad elevatissima densità demografica.
Correva il quinquennio appena successivo alla guerra di secessione americana, conflitto civile, durato dal 1861 al 1865, che vide contrapposti gli Stati Confederati d’America (CSA) — ovvero quelli meridionali, dichiaratisi indipendenti dagli USA e riunitisi al nome Confederazione — agli Stati del Nord, confluiti in quella che venne definita Unione e fortemente contrari alla suddetta scissione. La storica belligeranza si combatté durante il governo federale a presidenza d’Abraham Lincoln (1809-1865), lo stesso che, dopo la sua elezione, s’era adoperato per proibire qualsiasi forma di schiavitù nell’intero territorio statunitense, ragione per cui gli Stati del Sud, si erano sentiti prevaricati nei loro diritti costituzionali, ben consapevoli di quanto la loro economia ne avrebbe negativamente risentito, poiché basata sulle piantagioni di cotone lavorate da schiavi, con irrisorio costo di manodopera che inevitabilmente sarebbe lievitato. In seguito al rifiuto di qualsiasi compromesso proposto dal presidente, le truppe della Confederazione, il 12 e 13 aprile 1861, manifestarono a suon di bombe il loro intento ribelle sulla roccaforte di Fort Sumter, piantonata dalle truppe dell’Unione, evento che viene storicamente considerato casus belli della seguente guerra di secessione, della quale furono gli Stati del Nord ad aver esito di vittoria, in uno scontro che tuttavia provocò, da entrambe le parti, un numero elevatissimo di perdite umane, fra soldati e civili.
Lincoln, a guida delle milizie nel tentativo di mantenere l’unità degli Stati federati, rimase in carica dal 1861 fino al suo assassinio, avvenuto nell’aprile 1865 per mano del sudista John Wilkes Booth (1838-1865), nel suo intimo riconoscendo valore ad ogni soldato di qualsiasi trincea, come da lui manifestato con autentica convinzione nel discorso pubblico, destinato a divenire pietra miliare della storia statunitense, tenuto a Gettysburg il 19 novembre 1863, in assoluto spirito repubblicano e in agguerrito sostegno alla libertà e all’uguaglianza di ciascun uomo:
Varcare i confini dell’America in quegli anni significava quindi tentare di cavalcare un sogno insieme ad un’immane fetta di popolazione errante, ciò non fu comunque d’ostacolo ad August, che trovò subitanea occupazione come carpentiere presso la Brady’s Bend Iron Company Furnaces, anche noto come Brady’s Bend Works, una grande ferriera, situata a Brady’s Bend Township, nella contea di Armstrong, a circa sette miglia da Pittsburgh, in Pennsylvania, attiva dal 1840 al 1873 e forte della sua vicinanza al fiume Allegheny, ideale alleato per il trasporto dei materiali nel pieno sviluppo dell’industria ferroviaria, che in quei luoghi si giovò della ricchezza di carbone, acqua e legname, dando il via ad un florido mercato del ferro.
Ma fu l’esplodere della guerra franco prussiana (1870-1817) a suscitare istinto militare nel petto di Jacob Riis il quale, rientrato a New York, tentò d’arruolarsi nelle file dell’esercito francese, ma assaporando delusione nel ricevere in risposta l’impossibilità d’inviare volontari americani sul fronte, ritentando reclutamento, invano, per numerose volte, nel frattempo aggravando la sua condizione di ristrettezza economica e inoltre lacrimando il suo innamorato cuore al sopraggiunto furto della medaglietta nella quale amorevolmente custodiva parte di chioma della sua desiderata, e mai dimenticata, Elisabeth.
Arrangiandosi con impieghi saltuari di vario genere, Riis si spostò a Philadelphia, dove bontà del console danese Frederik Ferdinand Myhlertz (1833 – ?) e della moglie Anny Henrica Margrethe Gad (1839-1922), ne ristorarono anima e corpo ospitandolo per una quindicina di giorni e poi affidandolo ad un amico residente a Jamestown, contea di Chautauqua, da quel momento Jacob impegnandosi in fortuiti lavori fino ad accantonare risorse che gli garantissero di potersi dedicare alla scrittura, depositando inizialmente anche questa aspirazione fra i sogni protetti a cassetto, dunque mantenendosi tramite la vendita di ferri da stiro, dimostrando eccellenti doti in qualità di rappresentante, ciò nonostante ripiombando nel baratro della miseria a seguito di più ruberie di denaro subite nel corso del tempo e in aggiunta trafiggendosi di sconforto nel venire a conoscenza del fidanzamento della Nielsen.
Tra afflizione e disincanto, Riis perseguitò senza demordere nell’alternarsi di mestieri, inaspettatamente trovandosi nel posto giusto al momento giusto in Five Points, un quartiere del XIX secolo sito in Lower Manhattan, la parte più a meridione del grande distretto, dove ricevette proposta lavorativa, inizialmente in veste di tirocinante, presso la New York Press Association (NYPA), l’organizzazione, fondata nel 1853, con ruolo di assistenza e consulenza editoriale alle centinaia di giornali membri che, come mansione prova al nuovo arrivato, affidò la descrizione scritta di un pranzo presso il prestigioso Astor House, primo hotel di lusso newyorkese, eretto dal magnate tedesco-americano John Jacob Astor (1763-1848), con apertura battenti nel 1836.
Ottenuto l’incarico lavorativo per merito di penna, Jacob iniziò a redigere articoli sulle comunità d’immigrati — peraltro trovandosi n Five Points, dal 1820 originaria destinazione d’esuli africani e irlandesi — tanto nei contesti serenamente abbienti, quanto in quelli fortemente disagiati, dei quali l’uomo ben conosceva le ferite inferte fra pelle e spirito.
Non lasciandosi scoraggiare dal sopraggiunto fallimento del periodico settimanale di cui era divenuto direttore, viceversa con audacia ricreandone una propria rivista e riuscendo a rivendere la stessa ai vecchi proprietari ad una somma quintuplicata rispetto al suo acquisto, ottenne meritata agiatezza nello stesso periodo in cui benevolenza del destino gli si posò in capo la possibilità di poter finalmente condividere il proprio animo con la sua adorata Elisabeth, nel frattempo rimasta sola in seguito alla morte del compagno, con la stessa convolando a nozze nel 1876 e, nel corso del loro sentimento tanto atteso, nei diciotto anni a seguire germinando vita in sei piccole creature al nome di George ‘Eddie’ Edward Valdemar (1877-1927), Clara Caroline Elisabeth Fiske (1879-1941), John ‘Rastus’ (1882-1946), Stephen Baltha (1885-1886), Katherine Elisabeth Owre (1887-1955), infine Roger William (1894-1953), in quell’arco temporale mai più abbandonando passione scrittoria ed inoltre annoverando fra le sue capacità l’uso della macchina fotografica, riunendo fra inchiostro e obiettivo tutti i suoi precedenti vissuti di sacrificio e difficoltà, nel graduale delineare il proprio destino sulla via del prossimo.
Quando nulla sembra aiutarmi, mi piace pensare a come uno spaccapietre, martellando la pietra, magari non vede crearsi neanche una piccola crepa dopo cento colpi. Poi, al centunesimo, essa si spacca in due. E io so che non è stata l’ultima botta a spaccarla, ma quelle che l’hanno preceduta.
Jacob Riis
Jacob Riis: fotografo e muckrakers
Allo scopo d’incrementare guadagno dopo lo sposalizio, ad attività giornalistica Jacob Riis affiancò, per un periodo limitato e in collaborazione con un amico, campagne pubblicitarie avvalendosi della cosiddetta lanterna magica — proiettore solitamente su lastre in vetro, di stampe, dipinti e fotografie — col quale i due si cimentarono al di fuori della consuetudine, proponendo inserzioni promozionali, proiettate su teli o schermi, in differenti stati.
A costituire svolta carrieristica per Riis fu, poco tempo dopo, nuova assunzione al New York Tribune, il quotidiano più importante della Grande Mela, in attività dal 1841 al 1924, in seguito alla quale, per riconosciute capacità, ottenne mansione come giornalista al servizio della polizia, da quel momento iniziando a perlustrare i sobborghi più malfamati della città, parallelamente manifestando caritatevole misericordia nei confronti di senzatetto e diseredati, decidendo di portare alla ribalta le loro esigenze e soprattutto dedicandosi, tramite servizio svolto durante la notte, alle comunità di immigrati del quartiere newyorkese di Lower East Side, rione in cui la discrepanza sociale si palesava agli occhi dall’alternarsi di fabbricati popolari a lussuose abitazioni e boutiques.
Jacob August Riis, a destra, con Amos Ensign (1851-1909) e un fotoreporter nell’ufficio del New York Tribune, 1901
Il nobile intento di August era quello di rendere pubblicamente percettibile la mortificante desolazione delle più disagevoli condizioni a cui la miseria sottoponeva animi e corpi, ciò nonostante non trovandosi completamente appagato da quanto la sua scrittura, per quanto acuta e incisiva, allo stesso tempo lacrimevole e toccante come poche, riuscisse a farsi materia per gli altrui occhi, di conseguenza rimuginando su come potesse trasformare in icone i suoi pensieri, per una scarsa predisposizione al disegno e considerando gli apparecchi fotografici dell’epoca inidonei a scatti in condizioni d’estrema oscurità.
Volle il caso che, nel 1887, un fotografo, fotochimico, autore, educatore e scienziato progettista tedesco, al nome d’Adolf Miethe (1862-1927), assieme a Johannes Gädicke, lavorò su un composto pirotecnico, in mescolanza di ossidante e combustibile — che poi sarebbe stato definito polvere flash — portato alla combustione per ottenere un repentino bagliore con il quale illuminare il soggetto concomitanza di scatto, sistema che sarebbe divenuto la base su cui, dodici anni dopo, l’americano Joshua Lionel Cowen (1877-1965) avrebbe inventato la lampada flash, brevettandone accensione tramite scossa elettrica e così riducendo la pericolosità dell’accensione fino ad allora avvenuta manualmente, da allora ampliandone l’utilizzazione negli ambienti interni per tutto l’inizio del ventesimo secolo.
I due fotografi si erano più volte cimentati nell’applicare artificiosa illuminazione ai loro scatti, senza però ottenere esiti ripaganti i loro sforzi, perlomeno fino a che non provarono a miscelare clorato di potassio con polvere di magnesio fine, ottenendo una composizione ben più stabile delle precedenti e garante di successo, alla tecnica dando nome di blitzlicht, «luce del flash».
In mezzo a generale freddezza d’interesse sull’argomento, a giovarsi immediatamente, a livello pratico, dell’ideazione di Miethe e Gädicke, appresa da un giornale di New York nell’ottobre di quell’anno, in cui si dichiarava che una coppia di studiosi tedeschi aveva escogitato una nuova metodologia per fotografare in casi di luminosità ridotta, fu invece l’intraprendente ed innovativo Jacob il quale, forte dell’aggiunta di luce all’obiettivo e formato quartetto insieme agli amici fotografi John Nagle, Henry Piffard, Richard Hoe Lawrence, ad appena un anno circa dalla scoperta del flash, nella sua forma rudimentale, ne colse l’infinita potenzialità e ne fece potente mezzo di denuncia sociale, con i colleghi succitati fissando in frammenti fotografici la triste realtà dei bassifondi cittadini e successivo resoconto in prima pubblicazione, nel febbraio del 1988, sulle pagine del Sun, quotidiano divulgato a New York fra il 1833 e il 1950.
Alla difficoltosa sopportazione degli amici al lavoro notturno, Jacob Riis si trovò a dover cercare nuovi collaboratori, tuttavia gradatamente avviandosi alla decisione di operare in maniera autonoma, data la difficoltà di trovare persone particolarmente fidate come lo erano stati Nagle, Henry e Richard, perciò proseguendo in totale indipendenza, tuttalpiù attivando collaborazioni esterne e, al passaggio del tempo, accumulando foto e costruendosi un personale bagaglio professionale.
Ancora troppo debole economicamente per organizzare grandi eventi, il suo desiderio d’esporre quanto catalogato, in connubio al suo pensiero a riguardo, lo portò a parlare pubblicamente all’interno della Broadway United Church of Christ — in origine Broadway Tabernacle — chiesa congregazionalista, ancor oggi all’avanguardia in questioni di giustizia sociale, che fu una tra le poche ad accettare, per il timore di turbare i fedeli con determinate immagini e riflessioni a seguito, comunque iniziando per Riis una serie di conferenze durante le quali conobbe un redattore del periodico letterario americano Scribner’s Magazine, in vita dal 1887 al 1939, il cui primato fu quello d’esser stata la prima rivista ad inserire illustrazioni a colori, oltre a pregiare le sue pagine di autori e artisti di consolidata fama.
Sulla stessa, nel 1889 apparve un servizio fotogiornalistico di August, diciotto pagine, fra immagini e testi, che l’hanno seguente egli avrebbe integrato pubblicandolo come uno dei suoi libri più importanti e famosi, al titolo, medesimo dell’originario articolo, How the Other Half Lives, poi seguito da The Children of the Poor, nel 1892, in cui narrò dei bambini conosciuti durante la sua attività di fotografo e da Nisby’s Christmas, nel 1893, fra le cui pagine storie natalizie all’interno delle case popolari e, un triennio più tardi, storie di vita nelle stesse in Out of Mulberry Street: Stories of Tenement Life in New York City.
In passaggio di secolo, precisamente nel 1900, ulteriore pubblicazione di A Ten Years War: An Account of the Battle with the Slum in New York, racchiudente una decina d’anni d’esistenze trascorse nelle baraccopoli newyorkesi e, l’anno seguente, esperienze di vita reale in condizioni di povertà, con annesse immagini e rare incisioni, nel libro The battle whit the slum.
Sempre del 1901 l’autobiografia The Making of an American, nella quale l’uomo si ripercorse nei suoi vissuti migratori e professionali, con annesse opinioni personali sulla necessità di un riformismo sociale e un intero capitolo in cui la moglie Elisabeth si raccontò da nubile.
Testimonianze d’incontro con alcuni bambini delle tristi realtà visitate appaiono in Children of the Tenement, del 1903; medesima annata per The Peril and the Preservation of the Home: Being the William L. Bull Lectures for the Year 1903, mentre del 1904 Is There a Santa Claus? e Theodore Roosevelt, the Citizen.
Infine, rispettivamente in data 1909, 1910 e 1914, le pubblicazioni di The Old Town, Hero Tales of the Far North e Neighbors: Life Stories of the Other Half, concludendo carrellata letteraria, nel 1923, un’antologia postuma, dedicata a giovani lettori, al titolo Christmas Stories.
Fra un volume e l’altro, August incessantemente s’impegnò nel sollevare l’interesse dell’opinione pubblica su svariate questioni tramite stesura d’articoli inerenti, dei quali uno dei suoi più noti, redatto nel 1891 e intitolato Some Things We Drink, trattò di rifornimento idrico cittadino, affiancando valutazioni sei fotografie a riprova delle insalubri condizioni dello stesso e ipotizzando Jacob, dopo ovvio consulto scientifico, l’elevato rischio di proliferazione, in tali acque, del batterio Vibrio cholerae, vettore appunto di colera, con conseguente risoluzione della problematica nell’acquisto, da parte della metropoli newyorkese, delle aree circostanti al bacino idrico – e punto generale di raccolta – New Croton Reservoir, contea di Westchester, probabilmente salvaguardandosi l’intera popolazione da un’epidemia colerica anche grazie alle pressioni dell’agguerrito August.
L’anno d’uscita dell’autobiografia, il 1901, coincise con l’elezione di Theodore Roosevelt Jr. (1858-1919) a ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti, con il quale August aveva stretto sincera amicizia qualche anno prima quando, nel 1894, venne eletto come novantesimo sindaco di New York il riformista William Lafayette Strong (1827-1900), quest’ultimo affidando a Roosevelt, sette anni prima della sua nomina nazionale, incarico di presidenza del consulta dei commissari del New York City Police Department, ch’egli riformò completamente, infliggendo duro colpo all’intero impianto di corruzione tramite fitte ispezioni e, all’opposto, onorando i poliziotti più meritevoli con medaglie al valore ed elargendo nomine secondo meritocrazia anziché attraverso affiliazione partitica.
Quello stesso anno fu occasione di conoscenza con Jacob, da allora i due uomini stringendo un profondo rapporto di reciproca stima, basato sul senso della giustizia tanto caro ad entrambi, legando a vita le loro opinioni e scambiandosi gli stessi numerosi elogi nel corso del tempo, August continuando per tutta la sua esistenza ad impegnarsi come attivista riformatore a sostegno dei più deboli, nel 1905 sperimentando il dolore dell’assenza dopo la morte di Elizabeth in seguito a malattia, due anni dopo rimettendosi in gioco con l’amore risposandosi con la filantropa Mary Phillips (1877-1967) e con la stessa trasferendosi in un cascinale nella conta di Worcester, a Barre, in Massachusetts, purtroppo con lei potendo condividere solamente un settennio di convivenza, data la di lui dipartita, il 26 maggio 1914, tristemente spegnendosi August fra le mura della sua ultima dimora, a soli nove giorni dall’aver compiuto i 65 anni d’età, meritevole d’avere trasfuso nell’animo dei figli la spiccata, ricettiva e benefica umanità che per tutto il sui vivere gli cantò nel cuore.
Dopo la sua morte, la seconda moglie Mary, intraprese numerosi impieghi nei quali si differenziò per doti e tenacia, fornendo consulenze affaristiche alle donne e spendendosi, con lo stesso Roosevelt, per sostenere gli ebrei in fuga dalla Germania, inoltre con estrema convinzione appoggiando la New Deal, la serie di programmi pubblici, finanziari e normativi attuati dallo stesso per sovvenire alla devastazione della Grande Depressione del 1929.
Il suo rapporto con Jacob, seppur breve, seppe svilupparsi attorno ad un nocciolo d’umanitarismo comune ad ambedue, l’uomo indirizzando interamente se stesso alla realizzazione di quella riorganizzazione sociale che avrebbe potuto migliorare il destino dei più sciagurati e ampiamente concorrendo alla riforma urbana del continente americano, in speciale modo spronando la costruzione di alloggi popolari da destinare a coloro che riversavano in condizione d’estrema povertà.
Inchiostro fu il suo primo mezzo di comunicazione, al quale egli seppe dar vigore studiando il modo di proporre scatti fotografici che portassero la realtà dei bassifondi sotto gli occhi di tutti, nel tentativo di risvegliare coscienze assopite nel loro privilegiato stato di benessere e auspicandosi la svolta desiderata a favore degli emarginati, rientrando a far parte di quella categoria di giornalisti — detti muckrakers — i quali, nell’intensa fase progressista di un’America che, a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo fu soggetta a un deciso attivismo sociale, decisero d’entrare nel merito di problematiche conseguenti all’industrializzazione, all’urbanizzazione e alla vastissima fase migratoria, denunciando la diffusa corruzione politica corrente, sollevando oltretutto questioni sommerse quali mancata sicurezza sui luoghi di lavoro, prostituzione e sfruttamento minorile.
La possibilità di utilizzo del flash fotografico divenne per Jacob Riis più che un estemporaneo lampo di luminosità, ma una luce che aveva il potere di andare oltre il valore della tecnica fotografica, illuminando l’oscurità di vissuti che nessuno avrebbe potuto conoscere non potendoli osservare, quindi estraendo una realtà dal suo infelice contesto di provenienza e rendendola universale per mezzo stampa, attraverso raffigurazione visiva, sagacemente ponendo accento sui corpi, sugli oggetti e sugli edifici, riuscendo ad intrappolare in un semplice muro la sensazione di prigionia, in uno sguardo il germe della disillusione, in un abito sgualcito il senso del totale abbandono.
Fu un pescare nelle vite degli altri con piena empatia, sapendo bene Riis quanto la miseria potesse farsi soffocante cappio al collo, il disinganno lama sull’animo e la solitudine pugno nello stomaco, pertanto coscientemente rivivendo a ritroso, tramite sguardo, frammenti di vita passata e digerita a colpi d’amarezza, sfogando ogni sentimento all’interno di volumi in cui le parole si fecero grido d’aiuto in soccorso agli invisibili popolanti i ghetti e da tutti ignorati.
Fra le sue varie pubblicazioni, How the Other Half Lives fu il volume più significativo allo scopo di rendere coscienza di come vivesse appunto ‘l’altra metà’ al di là della Quattordicesima Strada, che alla fine era ben oltre la metà, nel tentativo d’affrancarla dall’estraneità, elevarla e renderla quel mezzo cielo su cui poter posare gli occhi grazie a immagini tremendamente realistiche cavate dal baratro dell’omertà e dell’indifferenza, con 35 fotografie delle quali, date le tecnologie di riproduzione tipografica ancora obsolete, solo 16 subirono processo di stampa, le rimanenti divulgate nel tomo come disegni tratti dalle stesse, con soggetti, oltre agli umani, che ritraggono le strutture architettoniche cittadine nella fatiscente desolazione degli slums e conseguente chiusura di alcuni edifici nel quinquennio successivo, anche grazie all’intervento del disponibile Roosevelt che s’impegnò a favore di un graduale adattamento degli stessi.
Jacob Riis, colui che nella prima parte della sua esistenza lavorò come carpentiere, minatore e venditore ambulante, colui che per rendersi presentabile al colloquio con la New York Press Association si lavò in una stalla e colui che mai si lasciò abbattere dalle dai dispetti del fato, di penna e macchina fotografica fece un arma eticamente puntata sulla società affinché la stessa si risvegliasse all’ascolto e infine colui che nella sua densa presenza sul mondo riuscì a dar vita ad un piccolo miracolo, quello che avviene ogniqualvolta, per propria mano, anche un solo essere vivente possa apportare migliorie al proprio destino.
I buoni fotografi sono rari e indefinibili, ma essi hanno sempre un tratto in comune, quello di andare al di là di se stessi, d’essere più di ciò che potevano essere, di avere questa piccola ‘musica’…in breve di essere un po’ miracolosi. In fondo quelli che vengono chiamati ‘grandi fotografi’ non sono che coloro ai quali questo incidente fortunato è arrivato un ingente numero di volte, perché fare una buona foto è sempre vincere sull’azzardo. L’azzardo dell’incontro, della comprensione immediate, della sua trascrizione istantanea.
Jeanloup Sieff
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