Plumeria o Frangipani, tinte e profumi d’una pianta
A Maria Luisa, animo soave e variopinto
I fiori sono sbocciati nelle siepi e nei giardini,
e forse c’è un cuore che questa mattina,
in essi ha trovato il dono che era in viaggio
da un tempo infinito.
(Rabindranath Tagore)
Solcando caraibiche onde con flotta costituita da diciassette navi e più d’un migliaio d’uomini, nel novembre del 1493, il genovese Cristoforo Colombo (1451-1506) approdò in una sconosciuta isola delle Piccole Antille, alla desiderò dar identità di Antigua in venerante aggancio alla Cattedrale di Siviglia: nella navata più settentrionale dell’edificio di culto si trova infatti una secolare effigie della Santissima Maria Vergine — alla qual eran particolarmente devoti i navigatori diretti nel Nuovo Mondo — soprannominata Santa Maria de La Antigua in riferimento al fatto che, precedentemente, si trovasse nell’antica basilica su cui, nel quattordicesimo secolo, venne edificata l’attuale.
©Henrique Ferreira
Esplorando i vergini territori attorniati dalle magnificenti beltà della barriera cristallina, narrasi che il botanico italiano, Muzio Frangipani, o Mercutio Frangipane, abbia scoperto un grazioso e profumatissimo fiore, a cui dette il proprio cognome.
Versioni alternative raccontano che termine sia semplicemente diramato dal francese, frangipanier, letteralmente «latte coagulato» — dacché rimembrante il nocivo e lattiginoso fluido fuoriuscente dalle frasche in caso di rottura, in quanto celere nel solidificarsi — od ancor che tal denominazione derivi invece dall’omonimo aristocratico milite e mastro profumiere friulano «di bellissimo aspetto, di magnanimo cuore, e di gran valore, esercitato nell’armi, e nelle giostre» Muzio Frangipane, o de Frangipani (?-1588) — di patrizia casata romana, in documenti medievali indicata, Fraiampane e Fraiapane, dai latini Frangipanius e Fraiapanis — artefice d’una particolare fragranza dall’aroma simile a quello del Frangipani, inizialmente ideata per calzature e guanti indossati dai soldati dell’esercito di re Luigi XIII (1601-1643).
«Muzio, inebriato da tanta dolcezza, ne avrebbe ricavato un profumo speziato, con sentori di ambra e di zibetto, aggiungendovi impressioni di muschio e di radici di violetta, essenza capace di togliere dalle mani e dai piedi il cattivo odore prodotto dall’uso dei guanti e delle calzature in pelle. Diventerà di gran moda per i guantai – tanto che nella lingua francese con il termine di “frangipane”, ormai desueto, si indicarono per secoli i guanti profumati! – e introdurrà anche la consuetudine, invalsa nell’alta società del tempo, di donare guanti e calze colorati come pegno d’amore dopo una notte di passione. Più tardi ne avrebbe anche tratto aromi al sapore di mandorla con cui arricchire certe creme per dolci, considerati dai suoi contemporanei il trionfo delle tavole imbandite». (Angelo Floramo, Il Friuli che nessuno conosce)
Del militare, Alessandro Algardi (1595/98-1654) scolpì fattezze in un marmoreo busto — conservato fra le mura della Pinacoteca Nazionale di Bologna — mentre geniale inventiva dell’uomo venne esaltata dallo scrittore, drammaturgo e sceneggiatore, Patrick Süskind, classe 1949, fra le romanzate pagine del capolavoro di fama mondiale, Il profumo, edito nel 1985: «Frangipane, mescolando le sue polverine odorose con l’alcol e trasfondendo in tal modo il loro aroma in un liquido volatile, aveva liberato l’aroma dalla materia, aveva spiritualizzato l’aroma, aveva scoperto l’aroma come aroma puro, in breve: aveva creato il profumo. Che grande opera! Che impresa sensazionale! […] E tuttavia, come tutte le grandi imprese dello spirito danno non soltanto luce, ma anche ombra, e procurano all’umanità, oltre che bene, anche miserie e sciagure, purtroppo anche la meravigliosa scoperta di Frangipane ebbe nefaste conseguenze: poiché ora, dopo aver imparato a fissare in tinture l’essenza dei fiori e delle erbe, dei legni, delle resine e delle secrezioni animali e a travasarle in boccette, l’arte del comporre profumi era pian piano sfuggita ai pochi universalmente esperti del mestiere e rimaneva aperta ai ciarlatani».
Pinacoteca Nazionale di Bologna
©Sailko, cc by-sa 3.0
D’un «popolare estratto» che «prende il nome da una famiglia romana, da cui fu inventato circa mille anni fa» — dunque quasi due secoli più avanti rispetto all’originario — accenna anche, riportandone dettagliata ricetta, Richard Cristiani, in Perfumery and Kindred Arts, A Comprehensive Treatise on Perfumery del 1877:
Estratto di fiori d’arancio, n. 1….2 pinte.
Estratto di rosa, n. 2….1 pinta
Tintura di muschio….1/2 pinta
Tintura di vitevert….1/2 pinta
Tintura di giaggiolo….1/2 pinta
Olio di santal….1 dram
Olio di neroli….1 dram
Olio di rosa….1/2 dram
Acqua di rose, tripla….4 once
Perfumery and Kindred Arts, A Comprehensive Treatise on Perfumery
1877
Ulteriori ipotesi presumono che il compagno dI ventura di Cristoforo Colombo non sia mai esistito, ma che ne sia stata coniata immagine con meri propositi promozionali e, per l’appunto, in un articolo della biblioteca digitale statunitense JSTOR: «The English common name Frangipani also has a mystery flavor to it, albeit one artificially produced by commerce and advertising. It’s thought to come from the French word for Frangipani—frangipanier. French botanists linked its scent to perfume frangipane, a popular almond perfume for gloves manufactured by the nobleman Marquis Muzio de Frangipani in the seventeenth century. In the nineteenth century, a group of perfumers in London further added to this confusion. To promote their fragrances, they created the myth of “Mercutio Frangipane,” a fictional botanist associated with Columbus’s travels to the New World who made sensational discoveries through his sense of smell. Aimed at driving up profits, this marketing move drew upon racially-charged notions of Orientalism, linking the native tropical habitat of the plant to the idea of a distant “Other” to invest the fragrance with a sense of adventure and exoticism».
Tra molteplici, contrastanti e talvolta confuse supposizioni storico-etimologiche difficilmente destinate a risolversi in certezze, trasversalmente riconosciuta prima ed ufficiale descrizione del Frangipani — benché successiva a breve manoscritto redatto nel 1522 dal clericale spagnolo, Francisco de Mendoza, al fine d’elencarne le proprietà medicamentose a Carlo V d’Asburgo (1500-1558) — reca firma di Charles Plumier (1646-1704), frate minimo e missionario che, in virtù di profonda conoscenza della flora ed abilità d’illustratore, fu reclutato dall’intendente reale e naturalista, Michel Bégon (1638-1715), perché ne coadiuvasse le competenze chimico-erboristiche nell’individuazione di ignote piante esotiche durante le spedizioni nelle Americhe volute dal sovrano francese Luigi XIV di Borbone (1638-1715), in un lasso storico in cui studio della natura, espansione e potere politico eran fortemente connessi ed interdipendenti.
Ampiamente elogiato da Re Sole per dimostrato impegno, immenso quantitativo di disegni effettuati ed un pregevole erbario scritto nel primo dei quattro viaggi a cui partecipò, svoltosi nel 1689, Charles Plumier venne nominato botanico di corte e, in ripartenza nel 1693, mise piede nelle Antille, ove il Frangipani — autoctono del Messico — era stato importato dai conquistadores spagnoli in fase di colonizzazione del Nuovo Mondo, poi espandendosi in tutta la fascia tropicale.
Tornato su suolo natio in medesima annata e dopo aver sapientemente raggruppato i dati raccolti, corredandoli di dettagliate raffigurazioni, Charles Plumier pubblicò il tutto al titolo Description des plantes de l’Amérique, manuale scientifico per cui — parimenti ad altri importanti trattati — non solo suscitò l’interesse di contemporanei ricercatori, l’opera divenendo di riferimento, ma degli stessi altrettanta ammirazione, in particolare, del connazionale ed amico, Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708), il quale, al religioso dell’ordine fondato da San Francesco di Paola, volle il Frangipani battezzar Plumeria, quasi a volergli restituire onore che, il monaco, magnanimo pioniere di simile offrire, aveva già e più volte tributato ad eminenti personalità, al momento di dover conferire denominazione ad inedite specie vegetali, esempi nel novero: coniazione di Begonia attribuito all’ornamentale pianta ell’Ordine Violales, a celebrazione del funzionario e naturalista francese, Michel Bégon (1638-1710); di Fuchsia in memoria del botanico tedesco Leonhart Fuchs (1501-1566) e Magnolia del francese Pierre Magnol (1638-1715).
Charles Plumier (1646-1704), Description des Plantes de l’Amérique
All’incirca un secolo più tardi, fu invece il medico e naturalista svedese, Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778) ad onorar dotto e brillante religioso, classificando scientificamente il Frangipani al genere Plumeria ed inserendolo nel celebre saggio — pietra miliare della moderna nomenclatura binomiale — Species Plantarum del 1753.
Appartenente alla famiglia delle Apocynaceae, la Plumeria è pianta angiosperma, dunque il seme viene protetto all’interno di grandi bacche verdi, notevolmente tossiche; si presenta come arbusto od alberello, in quest’ultimo caso nei paesi natali riuscendo a raggiungere la decina di metri d’altezza — che si riducono esponenzialmente in territori allogeni — ed in ambedue le conformazioni ergendosi tramite un fusto inizialmente morbido e via via più legnoso, avvolto da una corteccia abbastanza irregolare, marrone-grigiognola, d’aspetto squamoso e bitorzoluto, suddivisa in corti, massicci e tortuosi rami, adornati da verdeggianti ed ampie foglie caduche, bislunghe, lanceolate ed appuntite.
All’estremità delle sinuose fronde, da maggio ad ottobre sbocciano nutriti grappoli di fiori ermafroditi, i cui carnosi e variegati petali — solitamente da cinque a sette — s’uniscono alla corolla in maniera mirabilmente simmetrica, formando una sorta di girandola ed esplodendo in vivaci o tenui colorazioni che spaziano dal bianco al giallo, dal rosa al fucsia, dall’arancio al rosso e quant’altre cromìe Madre Natura abbia loro generosamente dispensato tra le varie specie esistenti, comun denominator delle quali è un gradevole effluvio che s’espande possente nell’etere, deliziando percezioni olfattive.
Unica della famiglia ad esser priva di qualsivoglia esalazione è la perenne Plumeria Pudica, esemplare dalle candide infiorescenze inodori e le cui foglie hanno peculiare forma spatolata, ossia strette ed oblunghe in partenza ed allargate all’apice; inoltre, a differenza della stragrande maggioranza delle specie, nella stagione invernale non sono soggette a caduta, parimenti alla Plumeria Obtusa, sempreverde dai lattei e sgargianti fiori, sfumati di giallo al centro.
©Yogabrata Chakraborty, cc by-sa 4.0
©J.M.Garg, cc by-sa 3.0
©Forest & Kim Starr, cc by 3.0
Introdotta in Europa attorno al 1770 dagli inglesi, in Italia la Plumeria fece capolino in principio 1800, naturalizzandosi nelle zone costiere della Sicilia, date le ottimali condizioni microclimatiche dell’isola e dov’è la specie Rubra — dalle policrome nuances in base alle varietà — ad esser protagonista indiscussa fra Palermo e Riposto: capoluogo siculo e comune catanese si contendono difatti bramata palma di Città della Plumeria — localmente, Pomelia — i parlermitani sostenendo che sia arrivata nell’orto botanico d’acclimatazione cittadino, all’opposto i ripostesi rivendicando teoria secondo cui sarebbe stato l’armatore e compaesano, Don Gaetano Fiamingo a portarla in terra siciliana nel 1810, in rientro da una trasferta a fini commerciali nei Caraibi.
©Sheba, cc by-sa 2.0
©mmarchin, cc by-sa 2.0
Presente anche negli orti botanici di Padova e Lucca, la Plumeria — al netto di conterranee dispute e fiera spaziando in vicoli, piazze e vivacemente abbellendo balconi — ha eletto la Sicilia a ideal culla ospitante, regione per antonomasia del Bel Paese ov’è possibile piantarla direttamente nel terreno, grazie a benefico favor di clima.
La coltivazione della Plumeria in vaso, miglior soluzione in altre zone, non è difficoltosa, ma prevede la premura necessaria al prendersi cura d’un essere vivente in abnegante rispetto.
È un atto d’Amore…
In fede al qual è necessario tener presente del suo bisogno d’abbondante apporto di calore e luce solare, scongiurando sfregi del vento e — nemico letale – del gelo, all’avvicinarsi del quale la pianta va posta al riparo in ambienti chiusi, ben areati e poco umidi, poiché il ristagno le sarebbe deleterio avversario, ragion per cui la scelta del terriccio dev’esser oculata, ricadendo su formule drenanti e porose.
Data la lunghissima fioritura, costante da tarda primavera a fine estate, la Plumeria in autunno si prepara a goder del meritato riposo vegetativo, frattanto attuando — nell’ammirevole autonomia in dote al regno vegetale — ingiallimento e perdita delle foglie, volendo velocizzar la quale è sufficiente potarle, mai strapparle, lasciando due o tre centimetri di picciolo e nel periodo di “letargo” riducendo drasticamente l’irrigazione, abbeverandola a cadenza pressoché mensile o comunque variando regolarità osservandone con attenzione lo stato.
Al risveglio dalla stasi — alla Plumeria indispensabile per recuperar l’energia necessaria al prossimo rifiorire — il terriccio andrebbe integrato sia sopra che lateralmente ed all’apparir delle prime foglioline, iniziando a concimare con scrupolosa gradualità; il rinvaso è consigliabile verso giugno o luglio, premunendosi d’un recipiente a misura di radici e scegliendo se arricchire con sabbia, lapillo, pomice o comunque preparati ricchi di potassio, fosforo e scarsi d’azoto, evitando a priori l’argilla espansa.
Inseminazione, talea od innesto sono le tre pratiche agronomiche atte alla riproduzione: optando per la soluzione gamica, i semi andranno lasciati in ammollo per una notte, usando solamente quelli che si saranno rigonfiati assorbendo acqua — testimonianza di mantenuta funzione vitale — considerando che, per imprevedibile variabilità genetica, il colore della nuova pianta potrebbe non corrispondere a quello della madre; se identicità di tinta è viceversa desiderio primario, andranno valutate le succitate due scelte agamiche, in ogni caso armandosi — nel dovuto riguardo alla diversità — di copiosa pazienza nell’attesa della fioritura, che avverrà a distanza di due o quattro anni.
Già noto ai Maya in proprietà terapeutiche nei secoli saggiate da più popolazioni, il Frangipani è oggigiorno proposto in diversificati preparati erboristici quali oli essenziali, estratti, creme, balsami, profumi, saponi ed altri prodotti per la cura del corpo dagli effetti — in conformità a specifiche e personali esigenze — idratanti, tonici, astringenti, vellutanti, lenitivi, purificanti, antinfiammatori, distensivi, antiossidanti e quant’altro, donandosi in rigeneranti panacee da dedicar a se stessi, nella quotidiana sacralità del volersi bene.
Olisticamente discorrendo, per la medicina ayurvedica il Frangipani è prezioso alleato dell’armonia interiore, infondendo serenità, autostima, forza ed ardimento; i fiori — anche detti «del paradiso» per il loro splendore e molto presenti in Induismo e nel Buddhismo, simboleggiando la transitorietà della vita — secondo passate usanze erano e sono ben auguranti alle future spose, non di rado componendone il bouquet, mentre apposite ghirlande incoronano le ballerine di Legong, tradizionale danza balinese d’estrema grazia e raffigurante la danza celeste delle divine ninfe.
Emblema d’immortalità, rinascita, amicizia, pace, semplicità e purezza, nelle civiltà precolombiane il Frangipani ha frequentemente assunto significato di fertilità e buon auspicio in genere, non di rado venendo posto nei pressi dei templi, a protezione di demoni e fantasmi oppure offerto agli dèi in corso di rituali; assunto a simbolo nazionale dal Laos e serigrafato sulle banconote del Suriname, è nelle Hawaii ed in Polinesia che l’intrecciarsi dei fiori in ghirlande, donate ai turisti in segno di benvenuto, rappresenta la gioia dell’ospitalità per eccellenza.
Frangipani.. suono vagamente rievocativo dello scrocchiar di pagnotta e caso vuol che dinastia collegasse origine nominale della stirpe, ad una magnanima distribuzione di pane fatta da un lontano antenato durante una carestia, storia senz’ombra di dubbio insondabile, ma che sa di buono, come la suadente fragranza che ne deriva, di note fresche, agrumate, delicatamente permeanti, al contempo calde, ovattate ed avvolgenti, come l’affettuoso abbraccio in cui si stringerebbero le persone più care.
Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento sparge il suo profumo.
Rabindranath Tagore
©Daniel Ramirez, cc by 2.0
©Arini Winda Hapsari, cc by-sa 4.0
©Joshua J. Cotten
©Dinesh Valke, cc by-sa 2.0
©Charlie Harutaka
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.