Guido van Helten: street art, diario di storie e luoghi
Esponente fra i più autorevoli della street art internazionale, Guido van Helten è padre di colossali murales ormai presenti in ogni angolo del pianeta a ricordare e omaggiare, memoria di storie e personaggi legati ai territori sui quali le opere, oltremodo realistiche, si ergono imperiose.
I murales sono una combinazione di lavoro, passione e amore.
Più che un mestiere è per me stile di vita.
Nato nel 1986 sotto i cieli dell’australiana capitale Canberra, Guido van Helten è cresciuto nella cosmopolita e variopinta Brisbane, preziosa cornice d’attrazioni naturalistiche, appuntamenti sportivi, eventi culturali, nonché una delle principali roccheforti dell’arte urbana. Aveva circa quindici anni quando similmente a molti altri interpreti ascesi all’olimpo della street art, cominciò avventura in tale universo rapito dal graffitismo, antica espressività il cui riaffiorare è generalmente attribuito al noto e controverso disegno Kilroy Was Here ovunque inciso dai soldati statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, iniziò a trasformarsi in strumento di comunicazione nei ghetti newyorkesi a partire dal 1970 e scintilla, in principio scoccata nella comunità nera, fu il desiderio di reagire alle correnti che all’epoca stavano affermandosi, progressivamente piegando alla mercificazione delle opere a scapito della spontaneità creativa. Mura di edifici, tunnel, metrò, stazioni e vagoni divennero bersagli da bombardare con nomi e codici di bande, scritte a sfondo politico, riflessi del disagio sofferto dalle classi deboli. Ben presto fiorirono collettivi come lo United Graffiti Artist formato da Hugo Martinez nel ’72 e rapidamente la pratica dilagò a livello globale elevandosi a movimento in continua evoluzione attraverso tecniche e stili, incrementati da interpreti quali Julio 280, Taki 183, Tracy 168, pioniere del Wilde Style e mentore di Keith Haring ed ancora il genio di Jean-Michel Basquiat, Rammellzee, sino agli stencil di John Fekner, Blek Le Rat e Banksy.
In Italia precursore ne fu il vulcanico Carlo Torrighelli che per le vie di Milano vagava a bordo d’un carretto coi tre fedeli cani battezzati L’Amore, La Bella e L’Umanità, ma nonostante la popolarità e l’approvazione di gran parte della critica acquisite nel tempo, la criminalizzazione d’un’azione all’origine effettivamente concepita volutamente illegale è persistita e rare sono le realtà dove ai writer vengono risparmiate piogge di denunce provenienti da amministrazioni locali, associazioni di quartiere o aziende di trasporti e l’Australia non fa eccezione: effettuare interventi all’interno di proprietà private e negli spazi pubblici senza autorizzazione, è ritenuto atto illecito sottoposto a sanzioni pecuniarie altrimenti punito con la reclusione; dal 2007 persino il possesso di bombolette spray «without a lawful excuse» costituisce reato e siffatti provvedimenti finirono col metter a rischio l’entusiasmo di Guido van Helten.
Guido van Helten, dai graffiti ai murales
Sovente chiamato a pagare ammende e più volte tratto in arresto, si vide costretto a decidere se provare a reinventarsi oppure abbandonare e sconfortante conclusione, cercò di scongiurare tentando d’incanalare estro in lavori maggiormente professionali. Ascoltando passione si trasferì nel New South Wales e varcò ingresso della facoltà di Arti Visive della Southern Cross University di Lismore scoprendo i segreti di pittura, disegno, incisione, grafica 3D, fotografia, discipline che nel corso degli studi intrecciò e miscelò al sapere dei graffiti. Sulle strade non tardò a riaffacciarsi assaporando nuovamente il magnetismo del subitaneo confronto con la gente, proponendo evocativi murali.
Fra i primi a destare attenzione, il volto di una donna realizzato nel 2011 negli spazi della Back Alley Gallery, progetto allora appena fondato col motto «taking back the streets piece by peace» e sull’opera, d’acchito amata dai residenti, nel 2016 è stato invitato a tornare perché trovata incomprensibilmente deturpata con vernice bianca suscitando sdegno collettivo e dalle rovine, l’autore fece emergere i lineamenti di Willow, figlia dell’artista locale Jeremy Austin.
Prima di dare inizio ai miei lavori, sono solito usare la macchina fotografica per recuperare quante più immagini possibili, parlare con la gente e apprendere tutto ciò che mi è concesso sapere sul luogo. È importante che i murali da me creati appartengano culturalmente al posto e alle sue persone.
Nel frattempo meraviglie colme d’emotività e dalle distintive anticate tonalità, van Helten aveva disseminato a Perth, Port Kembla, Benalia, Wollongong, ove riprodusse la foto firmata da David Dare Parker emblema della crisi del Timor del 1999 e già oltre i confini dell’Oceania s’era spinto, viaggiando e celebrando il passato di Irlanda, Norvegia, Scozia, Groenlandia, colorata dal ritratto d’un cacciatore ispirato da uno scatto datato 1906 e poi d’Islanda, nel 2014, ornando Reykjavik, Kópavogur, l’isola Heimaey, la più estesa e la sola abitata dell’arcipelago Vestmannaeyjar, rammentandone la rinascita dall’ondata lavica che la seppellì nel ’73, traslando su parete la fotografia di Halla Svavarsdottír, una giovane del posto intenta a seminare le colline tre anni dopo l’eruzione. In terra di ghiaccio e fuoco approdò di nuovo nel 2015 ed affiancato dalla regista sydneysider Selina Miles, sbarcò al porto di Akureyri, la ‘Città del sole di mezzanotte’, coronando desiderio da tempo custodito, ovvero lasciare impronta su una nave. Destinata a riceverla, l’imbarcazione Sæffari della compagnia Samskip, unico mezzo, esclusi aerei, a collegare l’isola di Grímsey con la nazione insulare, motivo per cui gli vennero concesse soltanto quarantotto ore per compiere impresa e l’australiano, sgomitando dall’alba sin oltre il tramonto, materializzò un suggestivo profilo femminile contemplante le acque e dai venti riparato dal tradizionale capo di lana lopapeysa.
Capolavori compose nello stesso anno anche ad Aalborg, Danimarca, pitturando effigi di operai su due torri di stoccaggio del dismesso stabilimento Dansk Eternit nell’area riconvertita a Museo dei Lavoratori (Arbejdermuseum) e nel gennaio del 2016, rientrato in patria, prestò mano e immaginazione a Brim, villaggio rurale della regione Wimmera di Victoria, onorandone la vocazione alla produzione di grano raffigurando quattro agricoltori sulla superficie di sili alti trenta metri. Il favore raccolto dall’iniziativa, sostenuta dalla società proprietaria GrainCorp e dell’organizzazione cittadina Brim Active Group, permise al centro di risollevarsi da una desolante condizione tramutandolo in meta turistica e l’effetto, incentivò la Contea di Yarriambiack a commissionare altri murali coinvolgendo artisti quali Julia Volchkova, Fintan Magee, Kaff-eine, Rone, Matt Adnate, dando così vita a un percorso di circa duecento chilometri denominato Wimmera-Mallee Silo Art Trail, salutato dall’Australian Post con l’emissione di francobolli recanti le monumentali opere.
A distanza di pochi mesi, in ambito dell’ArtUnitedUs, ambiziosa campagna di sensibilizzazione e contrasto alla guerra scaturita dalle menti di Geo Leros, Iryna Kanishcheva, Waone Interesni Kazki e Ilya Sagaidak, Guido van Helten commemorò la catastrofe nucleare di Černobyl’ in concomitanza del trentesimo anniversario dell’incidente. Ottenuta autorizzazione e assistenza delle autorità distrettuali, s’introdusse nella centrale ubicata in prossimità di Pryp”jat’ e sulle pareti interne di un reattore, impresse la disperazione di un medico catturata da Igor Fëdorovič Kostin (Костін Ігор Федорович, 1936-2015), inobliabile fotoreporter che documentò i momenti immediatamente successivi al disastro e poi le devastanti conseguenze riportate dalle persone contaminate dal rilascio delle sostanze radioattive.
Volevo onorare il sacrificio di Igor Kostin nel dare testimonianza della tragedia e sottolineare l’importanza del ruolo del fotogiornalismo nella condivisione di informazioni e in questo specifico caso, mostrare i possibili ed estremi pericoli che l’energia nucleare può avere.
Ancora dietro bandiera della ArtUnitedUs, si spostò nell’Ucraina orientale, teatro del conflitto esploso nel 2016 contrapponendo esercito nazionale e separatisti filo-russi: la sanguinosa ed infinita Guerra del Donbass responsabile di migliaia di vittime civili, milioni di profughi e in un simile drammatico contesto, lo street artist si calò munito di casco e giubbotto antiproiettile e tra i quartieri dell’industriale Avdiïvka, nell’arco di due giorni eseguì il ritratto di Marina Marchenko, un’insegnante di 73 anni da lui incontrata e fissata in fotografata non appena giunse nella zona.
Nella medesima stagione, unendosi ad alcuni dei più significativi esponenti di arte urbana quali Luis Díaz ‘Vena2’ Gordoa, Alec Monopoly, Jorge Marín, John Pugh, l’australiano appoggiò l’iniziativa La Calle Es Tuya mirata a distrarre dalla violenza i barrios di Ecatepec de Morelos, municipio a venti chilometri da Ciudad de México dove, in una popolazione di poco inferiore a due milioni di persone, avviene mediamente il 15% del totale dei crimini commessi in tutto il paese, attestandosi tra i più pericolosi e quello, relativamente al 2017, con il più alto tasso di femminicidi, peraltro caratterizzati da una crescete efferatezza e avvilente primato ha raggiunto nel 2018 anche per i casi di stupro, sebbene reale entità della ripugnante piaga resti celata da remore, timori di ripercussioni e soprattutto diffidenza verso le autorità; un silenzio che nel periodo da luglio a dicembre 2019, secondo le analisi di México Evalúa, organizzazione impegnata a monitorare e valutare le operazioni di governo, avrebbe mantenuto il 99,4% delle vittime di età superiore ai 18 anni. Colpito dalla disumanità di tali numeri ed in sostegno dell’Instituto de las Mujeres, Guido van Helten coprì le ali di due palazzi del rione El Gallito con lo sguardo malinconico e delicatamente perplesso di un’adolescente confortata da un vicino viso adulto, maternamente stanco e fidente di signora, mentre nei pressi della funivia Mexicable, costruita dall’azienda altoatesina Leitner Ropeways ed inaugurata nel 2016, impose una piccola e giocosa Valeria, affidandole compito di spogliare dalle ombre la magnificenza e la sacralità dell’essere donna, sprigionando sorridente purezza dell’infanzia.
Dal Messico agli Stati Uniti, a marzo 2018 partecipò al Nashville Walls Project ideato allo scopo di raccontare il quartiere Nations della capitale tennessiana, osservandone le origini di spoglia realtà industriale e la recente riqualifica segnata da un rapido e perpetuo sviluppo. Arrivato sul luogo, Guido van Helten seguì rituale immersione nella collettività per scovarne il cuore e le ricerche, lo portarono a visitare l’associazione no-profit St Luke’s Community House, dal 1913 concentrata in attività tese ad «aiutare le famiglie a basso reddito, gli anziani, ogni singolo individuo ad esprimere il proprio valore, prevenendo problemi che potrebbero minare la stabilità sociale». Ebbe così modo di fare la conoscenza di Lee Estes, novantadue anni di storie iniziate quando lo sfolgorìo di ristoranti, caffetterie e locali à la page snodati fra agiate abitazioni erano mere illusioni, tempi d’un bambino in una casa senza impianto idraulico, con gli animali da allevare, l’orto da curare e la sola St Luke’s ad offrire svago, un campo da basket, una sala da ballo, la stessa a cui s’è restituito da uomo, dopo una vita spesa nel reparto acquisti Genesco e con i ricordi ormai scolpiti sulla pelle. Bloccandone l’abbattimento, sui sessanta metri del silo appartenuto alla Gillette Grain Company, Lee Estes detto LD, van Helten dipinse con gli occhi proiettati a un domani impersonato da due bimbi ritti al suo fianco.
Credo che un’opera d’arte debba avere un motivo per trovarsi in un determinato luogo, altrimenti è solo decorazione.
Spagna, Finlandia, India, cammino attorno al pianeta l’artista ha continuato atterrando a Teheran, Iran, lieta d’accogliere con The Carpet Repairmen, tributo alla preziosa manodopera compositrice di tappeti persiani e a febbraio 2019, a distanza di quattro anni dalla riproduzione d’uno scatto del fotografo e pittore Francesco Paolo Michetti (1851-1929) eseguita nella borgata romana di Tor Marancia, Guido van Helten è tornato in Italia e nella Ragusa a cui nel 2017 aveva donato il murale L’Attesa durante il FestiWall, rimagnificato la donna con l’opera Una Madre Siciliana commissionata, in occasione del quarantennale, dall’Associazione Volontari Italiani del Sangue.
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