István Sándorfi, l’inquieto surrealismo della solitudine
Suggestivi e inquietanti, i dipinti di István Sándorfi sono armoniosa commistione d’inconscio e realtà, opere autobiografiche, intime e cariche di simbologie in grado di restituire atmosfere oniriche, oscure, istanti sospesi nel tempo con fluttuanti ed enigmatici protagonisti.
István Sándorfi nacque a Budapest il 12 giugno 1948, quando il parlamento filo-comunista ungherese, era in procinto di approvare la prima costituzione scritta e basata su quella sovietica del 1936, dando inizio a una delle epoche più buie della storia del Paese. Per volere di Mátyás Rákosi, leader del nascente regime, migliaia di persone furono giustiziate e imprigionate come accadde al padre del pittore, vittima delle epurazioni in quanto direttore dell’IBM, colosso americano accusato di spionaggio.
Fu arrestato nel 1949 e nelle prigioni staliniste rimase finché libertà gli concesse la Rivoluzione Ungherese, rivolta popolare scoppiata il 23 ottobre 1956 e brutalmente sedata 12 mesi più tardi dall’Armata Rossa, intervenuta con 200mila uomini, 4000 carri armati e incursioni aeree. Circa 3000 ungheresi persero la vita ed il ritorno all’oppressione sovietica, spinse oltre 250mila cittadini a fuggire dallo Stato, tra questi, la famiglia del futuro artista. Attraversando l’Austria raggiunsero un campo profughi situato nella Repubblica Federale Tedesca, ma la permanenza venne presto interrotta da un’ordinanza di espulsione e terra di speranza divenne allora la Francia, Parigi, dove arrivarono trovando finalmente tregua, nel 1958.
Il dramma della guerra unito alla situazione di chi, esiliato, è spesso costretto ai margini della società, segnarono profondamente la fanciullezza di Sándorfi e all’ombra della Torre Eiffel, ribattezzato Étienne, iniziò a chiudersi in se stesso fino a rifuggire ogni contatto col mondo, trovando però nel disegno, l’isola felice dove attraccare e dar conforto all’anima.
Dodicenne, cominciò a dedicarsi alla pittura a olio e appena diciassettenne, espose per la prima volta in una piccola galleria parigina. Si ripeté sul finire degli anni ’60, alla Galerie des Jeunes, dopodiché, la crescente passione per la tela lo portò ad abbandonare definitivamente il disegno e, incoraggiato del padre, a iscriversi all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts. Secolare e principale scuola di belle arti di tutta la Francia, al suo interno sono custodite migliaia di opere realizzate da artisti quali Michelangelo, Veronese, Géricault, Rembrandt, Delacroix, Rubens, Rigaud, solo per citarne alcuni.
Dopo essersi diplomato proseguì gli studi all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs, istituto di arte e design anch’esso di particolare rilievo, soprattutto per il significativo contributo offerto nei primi anni del Novecento, per lo sviluppo dell’Art Deco, ma nonostante le due blasonate frequentazioni, István Sándorfi non smise mai di guardare a sé come ad un artista autodidatta e durante la breve carriera continuò a sperimentare rimanendo forte delle proprie convinzioni.
Consacrazione piovve nel 1973, all’indomani della mostra tenuta al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, quando il consenso di pubblico e critica fu tale, da suscitare interesse a livello globale e d immediatamente esposizioni vennero organizzate in ogni angolo del pianeta: Basilea, Bruxelles, Copenhagen, Monaco, Roma, nuovamente Parigi e poi gli Stati Uniti, presentare i quadri a Los Angeles, New York e San Francisco.
Nature morte, parti umane, oggetti estemporanei e dalla fine degli anni ’80, figure femminili spesso avvolte in drappeggi e poste al centro di opere, scaturite dall’osservazione di fotografie e create anche per mezzo dell’aerografo, privilegiando le tinte fredde del blu, tonalità dalle quali non si allontanò neppure quando nella seconda metà della carriera, introdusse sfumature rosa.
Col tempo l’ungherese sviluppò uno stile maggiormente introspettivo, retaggio di quella solitudine che unisce mente e spirito, raccontata da composizioni visionarie, dal forte impatto emotivo e di indiscutibile potenza espressiva, opere realizzate attraverso la fisicità del corpo, il proprio, quello della moglie Denise e delle figlie Eva ed Ange.
In costante separazione con l’esterno, effetto dell’incessante eco dell’infanzia, István Sándorfi lavorava affidando estro alla notte per poi spegnersi al giungere dell’alba e mantenersi dietro trincea, consegnando i lavori alle gallerie con contratti in esclusiva, evitando di dover curare aspetti burocratici e di relazionarsi con gli ambienti dell’arte percepiti distanti e incapaci di lettura per l’insistenza con cui la critica continuava a descriverlo come pittore iperrealista, nonostante il suo più volte avanzato rifiuto di tale etichetta.
Scomparso il 26 dicembre 2007 a soli 59 anni, verosimilmente anche per l’isolamento serrato, István Sándorfi mai raggiunse la dovuta popolarità, benché sia stato unanimemente riconosciuto tra gli artisti più rappresentativi del periodo storico a cavallo tra il XX e il XXI secolo, fonte d’ispirazione per contemporanei e successive generazioni di pittori, autore di opere inserite in numerose collezioni private ed altrettanto esposte in gallerie di tutto il mondo.
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