Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio
Leonarda Cianciulli, passata alla storia come la Saponificatrice di Correggio, è stata una delle assassine seriali più famose in Italia del Novecento. La sua storia è stata oggetto di studi da parte di sociologi e criminologi.
Originaria della Provincia di Avellino, nasce da una famiglia numerosa e si sposa con Raffaele Pansardi nel 1917. Dopo il terremoto del 1930 a Volture, la coppia si sposta a Correggio con i quattro figli e svolge una vita di stenti. Tra aborti e neonati morti nelle prime settimane di vita, in totale la donna ha vissuto tredici gravidanze.
La Cianciulli non era una donna priva di sorprese.
Prima di essere accusata di triplice omicidio, era stata condannata per furto di piante dal pretore di Montella, quando aveva appena 18 anni. Nel 1918, sempre dalla Pretura di Montella, viene condannata per truffa ai danni di una coppia della zona, i coniugi Clemente, ai quali era riuscita a far credere, mediante raggiri, che il suo unico figlio morto in guerra fosse ancora vivo, allo scopo di carpirne denari ed effetti.
Il 9 giugno 1927 viene condannata una terza volta, per aver indotto Angela Sarubbi a consegnarle soldi e beni per una somma complessiva di 29.000 lire. Avrebbe millantato il credito facendosi consegnare dell’olio destinato a comprare il favore del Maresciallo dei carabinieri della stazione di Lauria, per l’esecuzione di un inesistente mandato di cattura. È interessante quest’ultima condanna, in quanto per la prima volta la Cianciulli afferma che quelle somme le sarebbero servite, al fine di procacciare le opere delle negromanti per curare la salute dei figli.

Leonarda Cianciulli: la Saponificatrice di Correggio
La donna cercava sangue fresco da sacrificare per salvare i suoi figli, come ha affermato ella stessa innanzi ai magistrati inquirenti all’epoca del processo: «Per placare la morte che le rapiva i figli». (Nuovo Corriere della Sera, 13 giugno 1946).
Le vittime:
Virginia Cacioppo, 59 anni, vedova e senza figli.

Dal memoriale della Cianciulli: «Finì nel pentolone, ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose».
Faustina Setti, di 73 anni, nubile e con un figlio deceduto.

Francesca Soavi di 55 anni, scomparsa il 5 settembre 1940.

Dopo la sparizione della Cacioppo, voci di paese sempre più insistenti non tardarono ad indicare alla magistratura inquirente dell’epoca, come la Cianciulli fosse stata l’ultima persona a vedere le tre donne, delle quali era buona conoscente. Il primo marzo del 1941 scattò il fermo per la donna che di lì a poco venne trasferita nel carcere di Reggio Emilia.
Giunsero numerose lettere anonime contro la donna: «Ci sono numerose prove contro la signora nemico pubblico per le misteriose scomparse delle tre donne. Chi potrebbe mettere un rimedio s’è venduta o è soggetta a ipnotismo. Correggesi!» (Lettera anonima pervenuta alla stazione dei carabinieri in Abs, Corte D’Appello Penale Bologna, fascicolo 765, sotto fascicolo xx con trascrizione anche degli errori lessicali commessi)
Venne soprannominata con l’appellativo di ‘Landrù sanguinaria’.
Il Processo e la condanna
Il 12 giugno 1946, presso l’aula della Corte d’Assise di Reggio Emilia, iniziò il dibattimento tanto atteso. Sotto processo era anche il figlio maggiore della donna, Giuseppe. La Cianciulli si addossò tutta la responsabilità degli omicidi e chiese che il figlio venisse scagionato. Poco dopo fu comunque assolto per insufficienza di prove.

La donna venne invece condannata a 30 anni di carcere, di cui 3 da scontare in un istituto psichiatrico. In realtà trascorse tutto il resto della propria vita nel manicomio di Pozzuoli, dove morì il 15 ottobre del 1970. Gli strumenti usati per compiere gli omicidi sono conservati dal 1949 a Roma nel Museo Criminologico.

La voce del popolo e la questione meridionale come fondamento del rinvio a giudizio
Non è storicamente e oggettivamente corretto paragonare il sistema giudiziario moderno a quello dell’epoca. Ma ictu oculi, emerge come a fare da padrone in quel periodo fossero le credenze popolari e le voci da paese, che fornivano alla magistratura inquirente l’antefatto necessario per far partire le indagini. La Cianciulli venne additata come sospettata sulla base della sua meridionalità e dei facili costumi, in quanto effettuava compravendita con alcuni soggetti del luogo.
Al giorno d’oggi sarebbe avvenuto l’esatto contrario. Prima avrebbero avuto luogo le perquisizioni e gli accertamenti, non di certo basati su un antefatto di origine popolare. Inquieta molto anche la prima denuncia della sparizione della Cacioppo, che non fu presa in considerazione.
L’ideologia personale era parte integrante delle decisioni quotidiane delle forze dell’ordine dell’epoca. Solo il denaro o meglio la sottrazione di denaro, in un periodo storico così devastato dalla guerra, costituiva il fattore economico e l’elemento fondamentale per la ripresa del paese.
La psicologia della Cianciulli

Tentò il suicidio varie volte e anche l’amato figlio Giuseppe mise a verbale che riteneva sua madre «squilibrata di mente». Per la prima volta emergeva il lato oscuro del suo essere femminile. Il Dottor Filippo Saporito, ebbe l’incarico di redigere la perizia psichiatrica affidatagli dalla Corte di Bologna.
Avrebbe dovuto stabilire se la donna era «in stato di mente da escludere o scemare la capacità d’ intendere e volere, e se era socialmente pericolosa». La perizia inserì una nuova inquietante verità, ancora oggi controversa, affermando che la donna «raccoglieva il sangue delle vittime che usava per confezionare torte che faceva mangiare al marito».
La tesi finale del perito fu di una psicosi isterica, ossia di una donna fermamente convinta di possedere il potere della magia, delle maledizioni e della purificazione del sangue.
Figura innovativa della Cianciulli dal punto di vista sociologico
Indipendentemente dal fatto che la Cianciulli avesse ucciso per avidità o effettivamente per proteggere i figli, secondo quanto aveva dichiarato, dalla popolazione era considerata alla stregua di un nemico interno dello Stato, come emerge in alcune missive inviate da cittadini.
La sua furbizia e astuzia, erano atte ad imbonire le vittime dando loro la speranza di un futuro migliore sotto il profilo lavorativo o personale, oltre ad essere in grado di mercanteggiare con i commercianti del paese. Una donna sicuramente dal carattere intraprendente e scaltro, che andava al di là dell’archetipo di donna-madre e persona dall’animo remissivo dedita alla casa e alla cura della propria famiglia. Aveva un attaccamento morboso ai figli, specie al maggiore, Giuseppe.
Prima di lei vi erano state altre donne assassine, ma rientranti nel sistema “arsenico e vecchi merletti”, non donne efferate a tal punto. L’Italia quindi fu costretta per la prima volta a scontrarsi con un prototipo di donna, non remissivo e rientrante nei canoni morali comuni.
Saggio di riferimento: La saponificatrice di Correggio. Una favola nera di Barbara Bracco.
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