Ayrton Senna, ricordo dell’uomo e della leggenda della Formula 1
Il mio nome è Ayrton, e faccio il pilota
E corro veloce per la mia strada
Anche se non è più la stessa strada
Anche se non è più la stessa cosa
Anche se qui non ci sono piloti
Anche se qui non ci sono bandiere
Anche se qui non ci sono sigarette e birra
Che pagano per continuare
Per continuare, poi, che cosa?
Per sponsorizzare, in realtà, che cosa?…
Imola, domenica 1 maggio 1994.
Autodromo Enzo e Dino Ferrari.
In pole position al terzo appuntamento del Mondiale di Formula 1 e quattordicesimo Gran Premio di San Marino, v’è Ayrton Senna. Sguardo turbato. Morale a terra. Il casco giallo — con bande verdi e blu a simbolizzarne il paese natale — inconsuetamente posato sul cofano della Williams-Renault FW16. Nella mente ancor s’aggrovigliano le immagini d’un week end partito male, troppo male per aver voglia di sorridere. Per aver voglia di volare. Pensiero verosimilmente corre senza sosta al salisburghese e coetaneo Roland Ratzenberger, scuderia Simtek-Ford, la cui esistenza tragicamente stoppatasi durante le qualifiche ufficiali del giorno prima, causa un violentissimo urto ad oltre trecento chilometri orari, contro il muretto esterno della svolta titolata al ferrarista canadese Joseph Gilles Henri Villeneuve (1950-1982), poi rimbalzando in testa coda fino alla curva Tosa, funesta atmosfera peraltro già respirandosi il venerdì allorquando, nella sessione di prove libere, il paulistano Rubens Gonçales Barrichello era uscito di traiettoria alla Variante Bassa, impattando contro le reti di protezione e capottandosi con la Jordan in un grave incidente, miracolosamente non esiziale ed al qual il ventunenne — rianimato in loco, poi stabilizzato e medicato in nosocomio — aveva riportato fratture senza serie ripercussioni, difatti presenziando al paddock l’indomani mattina.
In griglia di partenza, dietro Senna attendono semaforo verde Michael Schumacher (1969) e Gerhard Berger (1959) — rispettivamente al timone di Benetton-Ford e Ferrari — mentr’è il britannico Damon Graham Devereux Hill (1960) a far da “gregario” ad Ayrton, partendo quarto, chiudendo sestina sulle tre scuderie, Jyrki Juhani Järvilehto (1966) e — in sostituzione all’infortunato Jean Alesi (1964) — Nicola Larini (1964), rispettivamente seconde guide di Shumacher e Berger; la ventiseiesima ed ultima posizione, che sarebbe spettata a Ratzemberg per il miglior tempo registrato prima della disgrazia, rimane vuota, non effettuandosi nessun ripescaggio.
Sullo start, prontamente ogni pilota dà repentino gas, malauguratamente il motore di JJ Letho spegnendosi in partenza per un problema tecnico ed egli venendo bruscamente urtato dalla Lotus del portoghese José Pedro Mourão Nunes Lamy Viçoso (1972) il qual — provenendo a gran velocità dalla ventiduesima postazione, non potendo avvistar per tempo l’intralcio e non avendo modo di sterzar lateralmente, ove altre vetture avevan invece già deviato — sfonda il retrotreno della Benetton e sebben ambedue ne escano illesi, pezzi d’auto e gomme partono all’impazzata nell’aria, alcuni d’essi oltrepassando le delimitazioni e fiondandosi sugli spalti, ferendo nove spettatori ed aumentando la percezione d’un fine settimana nato sotto inclemente stella.
Per dar modo agli addetti di ripulire il percorso, la safety car entra in pista per cinque giri e la gara riprende regolarmente al sesto, con Senna al comando, perlomeno fino al settimo, poiché imboccata la curva del Tamburello a circa 310 km/h, il piantone del servosterzo — modificato e saldato nella notte dai tecnici Williams su richiesta d’Ayrton, per dar maggior inclinazione verso il basso al volante ed incrementar agevolezza di guida, dato il continuo sfiorare ed escoriarsi delle nocche sulla centina superiore in carbonio — si spezza: la vettura è ingovernabile e irrimediabilmente persone il controllo, al brasiliano non resta che scalar di marcia e decelerare, frenando disperatamente…
Invano.
Domenica primo maggio millenovecentonovantaquattro, ore quattordici e diciassette minuti.
Senna si schianta contro il muretto a più o meno 210 km/h. Stesso punto in cui negli anni successe ad altri piloti. Sopravvissuti. E chissà, forse anche Ayrton avrebbe potuto uscirne incolume.
Forse.
Ma per arcane ragioni, talvolta il caso infierisce con una precisione allucinante, inattesa e difficilmente ripetibile: per effetto del tremendo colpo, un braccio della sospensione anteriore destra si trancia, rimanendo attaccato alla gomma che scheggia verso l’alto e l’acuminata estremità del ferretto s’inserisce tagliente nei pochi millimetri violabili tra casco e visiera, penetrando il lobo frontale del pilota.
È il capolinea.
D’una corsa.
Della vita.
…E ho deciso una notte di maggio
In una terra di sognatori
Ho deciso che toccava forse a me
E ho capito che Dio mi aveva dato
Il potere di far tornare indietro il mondo
Rimbalzando nella curva insieme a me
Mi ha detto: «Chiudi gli occhi e riposa»
E io ho chiuso gli occhi…
Milioni di persone restano col fiato sospeso. Chi a pochi metri, chi fra mura domestiche, chi dall’altra parte del mondo. Filo rosso è la speranza d’un “lieto fine”, mestamente screziata dall’opprimente presentimento che nulla possa evolversi al meglio. Sgomento corre trasversale a paesi, luoghi, età, s’aggrappa in gola ad adulti o ragazzini che siano, magari con entusiasmo tifanti da un divano insieme al padre oppure intenti nello studio e di tanto in tanto levanti il capo verso la finestra per sbirciar una partita di pallone disputata nel parchetto sotto casa o, per l’appunto, il Gran Premio che scorre in tv.
In una sorta d’unisono a condiviso sostegno, schermi televisivi tengono incollati ad immagini che mai si vorrebbero vedere, nell’estemporanea quotidianità domenicale di quel giorno, carambolata a immane tragedia.
Esanime, Ayrton Senna viene immediatamente soccorso, come Ratzemberger stabilizzato sul posto e trasportato — per la prima volta l’elisoccorso atterrando direttamente in pista — all’Ospedale Maggiore di Bologna.
Sequenza d’azioni ricalca le precedenti. Bandiera rossa. Sgombero del tratto di circuito. La competizione riparte.
Alle 18.37 il cuore d’Ayrton Senna — senza ch’egli abbia mai ripreso conoscenza — cessa ogni palpito.
L’ultimo viaggio che l’aspetta è in direzione San Paolo, dove l’aereo che ne ospita il feretro — per decisione del comandante posizionato non nella stiva, bensì eccezionalmente nella cabina insieme ai passeggeri, avendo ricavato lo spazio necessario nel far smontar i sedili della dodicesima e tredicesima fila — atterra all’aeroporto di Guarulhos alle 6:12 di giovedì 5 maggio: con silente onore, viene adagiato dai soldati dell’esercito nazionale sul camion dei pompieri che lo condurrà verso la camera ardente avvolto nella bandiera brasiliana, in un corteo d’una trentina di chilometri fra la sua amata gente, folla interminabile ed annichilita dalla perdita del proprio idolo, le cui spoglie trovano pace al cimitero di Morumbi.
A ricordarlo una targa, la cui incisione riporta un passo della Bibbia a lui particolarmente caro:
«Nada pode me separar do amor de Deus»
Ayrton Senna, origini e ascesa di una leggenda
Ayrton Senna venne alla luce il 21 marzo 1960 a San Paolo, nel distretto di Santana, da Milton da Silva (1927-2021), brasiliano di mamma spagnola, e Neide Johanna Senna, i di lei nonni materni originari di Porcari, Lucca, mentre i paterni provenienti dall’agrigentina Siculiana — la nonna — e da Scisciano, Napoli, il consorte.
Cresciuto in condizioni agiate insieme ai genitori, alla sorella maggiore Viviane (1957) ed al fratello minore Leonardo (1966), inestimabile fortuna da Ayrton dichiarata con pura riconoscenza, fu il trascorrer infanzia in un ambiente educativo sano, amorevole e stimolante, che rimarrà prediletto rifugio in cui rintanarsi quando non impegnato per lavoro, godendosi famiglia, nipoti, amici, sport alternativi e terra natia, lontano dai riflettori, nella rigenerante pace degli affetti veri.
Io non potrei mai, una volta smesso di correre, avere un futuro in F1, come hanno fatto molti miei colleghi. Ho troppe cose buone dall’altra parte della mia vita per scegliere di restare per sempre in F1.
Ayrton Senna
Milton da Silva era proprietario d’aziende manifatturiere di componenti d’automobili ed assecondò innata passione del piccolo Ayrton, nel costruirgli un go-kart a misura — con motore da 1cv, ricavato da un tosaerba — dal vivace figlioletto, d’appena quattro anni, pilotato con la spontanea istintività di coloro a cui attrazion per la guida scorre nel sangue.
Dopo un quadriennio ne ricevette in dono un vero esemplare, con cui si sperimentò incessantemente nell’ansia d’aver l’età minima per poter gareggiare, frattanto prendendosene cura con zelante accortezza; presentato qualche anno più tardi dal padre all’istruttore Lucio Pascual Gascon, detto Tchê, il tredicenne s’avviò in pista, ostinazione di migliorarsi oltre limite, testardamente concretandosi in molteplici allenamenti sul bagnato, dato l’aver appurato che in tali condizioni faticava maggiormente e caparbia tenacia lo portò ad eccellere nelle situazioni in cui scarseggiava.
Risolutezza, velocità naturale ed abilità nel destreggiarsi guidando sotto la pioggia, furono per Ayrton Senna da Silva le basi da cui partire per incontrastati confronti, da lì in avanti spirito di competizione muovendone celeri passi: all’esordio del 1 luglio 1973 sul Circuito di Interlagos, vinse la sua prima gara ufficiale e nel 1974 il Campionato Karting Junior di San Paolo, da lì in avanti collezionando vittorie e conquistando sette Campionati internazionali di categoria, quattro brasiliani e tre sudamericani, fra il 1977 e il 1981, annata che per l’incalzante astro nascente — con fervor proiettato a futuro professionale nell’automobilismo, ragion per cui s’era trasferito in Inghilterra, dopo essersi diplomato al Colégio Rio Blanco ed abbandonato gli studi in economia aziendale, nei quali il padre riponeva aspettative per un giorno potergli affidar scettro imprenditoriale — corrispose al primeggiar per due volte in Formula Ford 1600, doppietta replicando in Formula Ford 2000 nel 1982 e nel 1983, accaparrandosi trionfo al British Formula 3 Championship e al Macau Formula 3 Grand Prix.
Affinata tecnica, maturati rodaggi e spronante grinta di chi non vuol esser secondo a nessuno, virarono Senna — che nel frattempo aveva deciso di mantenere il sol cognome materno, poiché meno comune del paterno — in direzione Formula 1, con debutto nel Campionato mondiale del 1984 e, coincidenza vuol, inizio stagione il 25 marzo proprio nel suo Brasile, a Rio de Janeiro; elettrizzante avventura iniziò imbracciando volante d’una Tolaman-Hart e nemmen un trimestre innanzi, il 3 giugno Ayrton Senna lasciò memorabile impronta nella storia delle corse automobilistiche e del Gran Premio di Montecarlo: la partenza venne rimandata di tre quarti d’ora, causa uno scrosciante acquazzone che non accenna a scemare.
Partito tredicesimo e sotto la benedetta pioggia in armonia della qual egli danzava marce fin da piccino, Ayrton Senna si lancia impassibile al traguardo e — di fronte a generale incredulità — con salda sfrenatezza oltrepassa un avversario ad ogni giro, al diciannovesimo supera Andreas Nikolaus ‘Niki’ Lauda (1949-2019) e, portandosi al secondo posto, alla trentunesima svolta aggancia la pole position di Alain Marie Pascal Prost (1955) e lo sormonta in contemporanea allo svolazzar della bandiera nera che interrompe la gara per rischiose condizioni atmosferiche, cosicché vittoria venendo per regolamento attribuita al francese, con gran malincuore e susseguenti polemiche da parte di Senna, benché strabordante determinazione, granitica fiducia in se stesso, anelante mira volta ad unico orizzonte e lungimiranza, ne sarebbero stati inossidabili punti cardine interiori, impermeabili all’arrendevolezza.
Le competenze meccanico-strumentistiche accumulate negli anni e l’esperienza sudata sul campo con dedita abnegazione, fecero di Ayrton Senna un pilota di rara completezza: costanti erano a fine gara le soste di ore nei box a condivider analisi e valutazioni con i tecnici, allo scopo di perfezionar macchina e motore, con intuitiva sagacia e senza timor alcuno, mirando alle scuderie con le vetture più competitive, indi divorziando dalla Toleman, passando alla Lotus nel 1985 e nel 1988 siglando contratto con la McLaren, in quell’anno guadagnando titolo mondiale, sancito dalla vittoria nel Gran premio del Giappone, a Suzuka, in seguito dichiarando che non appena tagliato traguardo, nel levar occhi ai Cieli e ringraziare Dio, ne percepì tangibile presenza; divenne campione del mondo altre due volte, ovvero il 21 ottobre 1990 ed il 20 di medesimo mese nel 1991, sempre a Suzuka; il rapporto con la MacLaren, durò un sessennio, nel 1994 realizzandosi sodalizio con la Williams, fatalmente troncatosi al Tamburello, in un battito di ciglia.
Reboante rombo di cuore dai mille giri, Ayrton Senna fu pilota epico e uomo magnanimo.
La nota rivalità con Prost scrisse pagine uniche negli annali di Formula 1: sorpassi furenti, vicendevoli attacchi privi di scrupoli, colpi bassi, scambio di sarcastiche battute e reciproca indifferenza, li rese acerrimi “nemici” su un asfalto reso bollente dai loro scontri, al contempo pungolandone smania d’eccellere ed affinandone bravura; allergico ad ipocrite “strette di mano” a mezzo stampa, è sul podio del Circuito d’Adelaide che il 7 novembre 1993 Ayrton Senna, vincitore del Gran Premio d’Australia, aprì sincero e conciliante varco al “Professore” — arrivato secondo e prossimo al ritiro— afferrandogli il braccio e levandolo in segno d’ammirevole considerazione, dal canto suo Alain prestando spalla al sorreggerne bara durante i funerali, insieme ad altri piloti.
La famiglia Senna mi aveva invitato alle esequie in Brasile, ma ero indeciso. Nel suo Paese io ero stato il grande nemico: non volevo eccitare qualche comportamento violento. Eppure avrei voluto tanto andare e rendergli omaggio. Decisi di chiamare un amico: Jean-Luc Lagardére, presidente della Matra. Sua moglie era brasiliana: le chiesi un consiglio e lei non ebbe alcun dubbio, dovevo andare. Le devo tanto. A San Paolo fui ricevuto come un capo di stato. La sua famiglia mi accolse con grande affetto e non potrò dimenticare l’onore che mi hanno offerto, consentendomi di portare a spalla la sua bara in mezzo a un mare incredibile di folla che gridava il suo nome, che piangeva, si disperava. Legandomi ad Ayrton per sempre.
Alain Prost
Impetuoso, fiero, combattivo ed impavido in pista, generoso, gentile, benevolo e pacifico al di fuori.
Riservato, selettivo e cauto nel concedersi, tessé amicizia in totale fiducia con talune persone, fra queste il fotografo ed art director Angelo Orsi, firma storica del settimanale Autosprint, colui che — quel malaugurato giorno, in postazione lavorativa, nei pressi dell’incidente — elargì raro gesto d’estremo affetto nei confronti d’Ayrton, decidendo di non render pubbliche gli scatti del volto ferito, cestinandoli.
Nella Williams in frantumi, arrotolata insieme alla bandiera verde da sventolar in caso di vittoria, fu ritrovata anche quella austriaca, che Senna avrebbe alzato al vento in omaggio a Ratzemberger; nel Gran Premio successivo, la prima e seconda postazione vennero lasciate vuote e dipinte con i colori dei rispettivi stendardi.
Seppur accanito agonista, Senna non sottomise umanità per strada, prontamente accorrendo in casi estremi al fianco di compagni od avversari, come fece con Barrichello, Ratzemberger ed altri, uno su tutti Erik Gilbert Comas (1963): durante le prove libere per il Gran Premio del Belgio — svoltesi venerdì 28 agosto 1992 — in seguito a perdita di controllo della Ligier e forte urto, il pilota francese svenne all’interno dell’auto, inconsciamente mantenendo piede sull’acceleratore: nel passargli davanti, Ayrton si fermò, scese dalla MacLaren e — dopo aver spento il motore, scongiurando presumibili esplosioni — prestò fondamentali manovre in attesa dei medici, impedendo che si soffocasse con la lingua e pertanto salvandogli la vita.
Smodatamente attento alla sicurezza — specie dopo la morte di Ratzemberg — e da tempo annotati i punti più rischiosi d’ogni circuito, Ayrton Senna era da tempo pronto a farsi paladino e riformare Grand Prix Drivers Association (GPDA) — riattivata dopo la sua scomparsa — al pari di controlli ai circuiti, immediati, eventuali revisioni e misure a protezione dei piloti; pagina di storia della Formula 1, quindi scrivendo mediante indiscussa classe automobilistica, conquistando tre titoli mondiali scanditi da 161 Gran Premi disputati, 41 vittorie, 80 podi, 65 pole position e 19 giri veloci, accompagnata da altrettanto inestimabile qualità umana.
Credo si possa correre a 300 all’ora limitando il rischio al minimo. Occorre sedersi ad un tavolo insieme ai rappresentanti della federazione e ai costruttori. Bisogna impegnare uomini e soldi nella ricerca del migliore compromesso tra sicurezza e spettacolarità. Nessuno ci ha ordinato di correre in F1, ma non siamo pagati per morire.
Ayrton Senna
Primario in Ayrton Senna fu l’elargir sostegno economico ai meno fortunati, praticando copiosa beneficienza senza mai darne notizia e facendo in modo di mantenerne geloso riserbo, senza nulla dover dimostrare a nessuno. Poco prima di morire, confidò alla sorella di voler creare un’associazione in aiuto ai bambini poveri del Brasile, ai quali cercò di trasmetter valori morali e sportivi tramite il fumetto Sennhina; Viviane ridiede vita al compianto fratello nella Fondazione omonima.
Non potrai mai cambiare il mondo da solo. Però puoi dare il tuo contributo per cambiarne un pezzetto. Quello che faccio davvero io per la povertà non lo dirò mai. La F1 è ben misera cosa in confronto a questa tragedia.
Ayrton Senna
Tra gli attoniti sguardi fissi ad uno schermo in quel tragico primo maggio 1994, s’annoverò quello dell’attore, regista ed autore cesenate Paolo Montevecchi (1963-2023).
Come tutti sconcertato dell’accaduto, nonché particolarmente toccato da un’intervista mandata in onda e nella quale Senna dichiarava la sua profonda spiritualità, fulminea ispirazione artistica lo colse al punto d’accomiatarsi in fretta e furia dalla compagnia della serata, rincasare e dar repentino sfogo ad una canzone dedicata al pilota, immaginandone un introspettivo dialogo, partorita in soli sette minuti a strimpello di chitarra ed intitolata Gran Prix, su consiglio d’un amico mutato a metaforico Circo, metaforico termine — narra Montevecchi — maggiormente in linea al significato intrinseco del brano.
Superate iniziali titubanze nel portar a livello pubblico un’interpretazione tanto personale, si decise a promuovere il pezzo, cosicché dopo averlo arrangiato e registrato, passò per case discografiche, tuttavia non ottenendo il consenso sperato, viceversa trovando meraviglia, a settembre, in Lucio Dalla (1943-2012), il qual se ne innamorò senza indugio, proponendo di variar titolo in Ayrton ed invito venendo apprezzato da Montevecchi in assoluto accordo, ma con la premessa di chiederne approvazione alla famiglia di Senna, con la qual avvenne un incontro, scaturito in compiaciuto benestare.
Cantor della vita per antonomasia, il musico bolognese ne accolse testo in sé e lo intrise di delicata poeticità, con inconfondibile timbro vocale interpretandolo in maniera soave, intensa, grata e riguardosa nei confronti del campione personalmente conosciuto e stimato; la traccia venne inserita come prima di tredici, nell’album Canzoni, edito nel 1996, in quattro minuti e ventisei secondi Ayrton Senna rivivendo fra note e parole.
A circa metà brano, s’odono una serie di battiti cardiaci che bruscamente s’interrompono, materializzando un vuoto palpabile.
Nell’assolo finale è l’Ibanez di Ricky Portera a vibrar l’ultima emozione: in eco sullo sfondo, il suono d’un motore sfuma fiero in lontananza, a leggenda trasmutando.
C’è una certa dose di rischio nelle corse automobilistiche e la F1, come sapete, fa parte di queste corse. Così quando guidi, fai le prove o corri, sei esposto a dei rischi. Ci sono rischi calcolati e altri che provocano situazioni inaspettate. E tu puoi non esserci più, così, in una frazione di secondo. In questo modo capisci che tu non sei nessuno. All’improvviso la tua vita può finire. Ciò fa parte di questo mestiere, o lo affronti da professionista, in modo distaccato o altrimenti lasci perdere e smetti e si dà il caso che io ami troppo quello che faccio per lasciare semplicemente perdere; non posso, è parte della mia vita.
Ayrton Senna
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