Solomon Butcher, il visionario e sfortunato fotografo dei pionieri
Quello di Solomon Butcher è nome scarsamente popolare negli Stati Uniti — ed ancora meno noto fuori dai confini del Paese a stelle e strisce — eppure non esiste americano che, almeno una volta nella vita, non ne abbia osservato le fotografie, essendo esse presenti in ogni libro di storia ed i suoi scatti tutt’oggi considerati «rara e preziosa testimonianza del periodo pionieristico», cronaca dei primi insediamenti nella regione delle Grande Pianure, l’ampia distesa in gran parte coperta da steppe e praterie traversate ed occupate da Cheyenne, Comanche, Sioux e causa di simile ingrato anonimato, perlomeno anche, ne fu esistenza sgangherata e tumultuosa.
Solomon DeVore Butcher nacque il 24 gennaio 1856 — erede dei cinque di Esther Ullom e Thomas Jefferson Butcher — a Burton, cittadina situata nell’allora Virginia, dalla famiglia abbandonata nel 1860 per trasferirsi nella Contea di LaSalle, in Illinois, avendovi il padre trovato impiego in qualità di ferroviere. Vi rimasero vent’anni, Solomon lavorando — terminati gli studi — in una pasticceria, il cui proprietario, oltre a svelargli i segreti dell’arte dolciaria, da amante della fotografia, si premurò di insegnargliene i rudimenti.
Nel 1962, su iniziale proposta dei repubblicani del nord, fu approvato l’Homestead Acts, una serie di leggi che consentivano ad ogni americano, compresi gli schiavi tornati in libertà, di far richiesta e ricevere senza alcun costo una casa colonica con terreni adiacenti. Oltre 270 milioni di acri saranno ceduti gratuitamente a più di 1 milione e mezzo di coloni e nel 1880, Thomas Jefferson pensò che era giunto il momento di abbandonar tutto e tentare l’avventura, lasciò quindi la Central Railroad e con il figlio George e il cognato JR Wabel, decise di partire verso ovest. Butcher aveva ventiquattro anni e da quattro era commesso viaggiatore per una ditta con sede in Ohio e benché la scelta del padre fu per lui una sorpresa, stanco di un lavoro che lo teneva spesso lontano da casa, non esitò ad aggiungersi alla carovana.
Si misero in cammino i primi di marzo, il clima era ancora invernale, le temperature scendevano a zero durante la notte e Solomon, non mancò di prendersi l’influenza. Il suo apporto si limitò alla preparazione dei pasti, compresa la prima la colazione, il che voleva dire esser in piedi e operativi prima delle quattro di mattina. Sui loro due carri infatti, gli uomini viaggiavano senza sosta dall’alba fin al tramonto, tenendo una media superiore a 150km a settimana e dopo aver attraversato l’Iowa e mezzo territorio del Nebraska, decisero di fermarsi nella Contea di Custer.
Erano trascorsi quasi due mesi, ma adesso per loro era finalmente giunto il momento di ricever un appezzamento e piazzare al suo interno una casa. Per i primi coloni questa altro non era se non un buco scavato nel terreno protetto dai carri e solo dalla metà del XIX secolo inizieranno a costruire quelle che passeranno alla storia come le ‘soddies’ contrazione di ‘sod houses’, letteralmente, case di zolle, semplicemente perché da queste erano costituite, con tutte le complicazioni del caso, prima fra tutte la pioggia, ma d’altra parte le praterie non offrivano molta legna per muoversi diversamente.
Ognuno avanzò la propria richiesta, ma non passò molto tempo perché Solomon Butcher si accorgesse che la vita del pioniere non faceva per lui. Dopo un paio di settimane restituì la sua terra al governo e nel suo travagliato libro Pioneer History of Custer County, pubblicato nel 1901, tornando a quei giorni scriverà: «Presto giunsi alla conclusione che chiunque lasci una pensione dove ogni giorno riceve un pasto, un lavoro ed uno stipendio di 125 dollari al mese, per andare a mettere radici in Nebraska guadagnando 75 centesimi al giorno, è un pazzo».
Nel 1881 partì alla volta del Minnesota per frequentare il Medical College di Minneapolis, esperienza però che iniziò presto a stancarlo e dopo neanche un anno aveva giù abbandonato gli studi, giusto il tempo utile a conoscere Lillian Barber, un ragazza di venticinque anni originaria dell’Ohio che lavorava come infermiera. I due si sposarono il 23 aprile del 1882 e dall’unione nasceranno Madge e Lynn Jefferson, futuro tenente dell’esercito degli Stati Uniti. Entro pochi mesi dal giorno delle nozze, Solomon Butcher cominciò a dare segni d’insofferenza, era sempre più irrequieto, un’idea stava facendosi strada nella sua mente e con moglie a fianco, decise di far ritorno in Nebraska.
«Eureka!». Solomon Butcher ebbe l’illuminazione
Si trasferirono nella casa dei suoi genitori e nel frattempo, trovò impiego come insegnante elementare. L’obiettivo era quello di guadagnare soldi da metter da parte per poi acquistare attrezzature fotografiche e metter su uno studio, avrebbe così concretizzato quell’interesse scaturitogli ai tempi della pasticceria e tanto fece che ci riuscì.
Lo studio era all’interno di una costruzione fatta di pali di legno intrecciati con rami, frasche e ricoperta di d’argilla, era circa 5m x 8m e come sfondo per le foto usava una stoffa, mentre per coprire le finestre del cotone.
Custer non aveva mai visto niente del genere, ma questo non evitò a Butcher la rovina finanziaria, lo studio andò fallito e con lui sembravano andare in frantumi anche le speranze di sfuggire alla vita dei campi e sull’orlo della disperazione, una lampadina si accese: scrivere la storia fotografica della Contea.
«Eureka! Eureka!» — racconterà ancora — «non sentivo più il bisogno di riposarmi e per dormire dovevo ricorrere alla morfina». Ovviamente per realizzare il piano necessitava della somma ormai bruciata e così si rivolse al padre chiedendogli se avrebbe potuto comprargli un carro per trasportare le attrezzature, ma questi, mancando di fiducia nel progetto, si rifiutò e così, smaniando di dimostrargli che avrebbe funzionato, Solomon Butcher accordo strinse con le persone: nell’arco di due settimane quasi ottanta famiglie accettarono di farsi fotografare e Thomas Jefferson poté soltanto arrendersi ed accogliere domanda del figlio.
Il lavoro non era semplice, innanzitutto perché le strade erano praticamente inesistenti e viaggiare per ore spostandosi da un posto all’altro era tutt’altro che agevole, poi c’era da considerare che molte di quelle persone erano l’incarnazione della povertà e certo non potevano pagare per farsi far una foto, perciò, come merce di scambio offrivano cibo, un posto dove dormire e ristorare i cavalli. Fatto sta che Butcher, a soli tredici anni dall’arrivo dei primi coloni, cominciò a far i suoi scatti, raccogliere testimonianze nei primi anni del 1890, aveva qualcosa come 1500 fotografie e altrettante storie da raccontare, ma nuove difficoltà si sarebbero abbattute su di lui e sull’intera popolazione.
In quegli stessi anni una grave siccità colpì l’intero paese, per oltre un anno, poche furono le gocce scese a benedire i campi e i raccolti andarono in malora, spingendo molti coloni ad abbandonare tutto per spostarsi verso est e ricominciare daccapo. Solomon Butcher non ebbe maggior fortuna, i soldi cominciarono a mancare e si vide quindi costretto ad interrompere la sua cronaca per tentare di risollevare l’economia familiare e con moglie e figli al seguito, si trasferì a West Union, circa 60 chilometri a nord. Qui si unì al Partito Populista, forza politica di sinistra che raccoglieva il malcontento di agricoltori e operai, poi confluito nel 1896 nel Partito Democratico.
Come membro attivo, Butcher fu eletto Giudice di Pace ed impiegato come rappresentate durante le Elezioni dell’Unione Occidentale; ruoli che gli permisero di risollevarsi da un periodo di crisi che stava lentamente svanendo lasciando campo al sollievo e alla gioia, soprattutto degli agricoltori e nel 1899, poté riprendere la sua foto-narrazione.
La sfortuna, il fallimento, la storia
Ormai è chiaro come il suo cammino sia stato tutt’altro che in discesa, oggi tireremmo in ballo la nuvola di fantozziana memoria, perché neanche il tempo di riprender fiato e la mattina del 12 marzo di quello stesso anno, suo figlio Lynn accese un fuoco prima di recarsi nel granaio ed in men che non si dica, le fiamme raggiunsero il tetto. Butcher si era appena svegliato quando capì quello che stava accadendo e tra incredulità e sgomento si precipitò all’esterno, afferrò la scala e prese a salire per tentare di domare l’incendio, ma prima di arrivare in cima, l’equilibrio venne meno e franò clamorosamente a terra.
I suoi accorsero per allontanarlo dal rogo che stava ormai divorandosi tutto, ma nulla poterono fare per salvare casa e l’immensa mole di appunti che il povero Solomon aveva raccolto per anni, tutto andò distrutto, o meglio, quella dea bendata che nei suoi confronti sembrava vederci benissimo e girarsi sempre dall’altra parte, ebbe pietà per i negativi, ma solo perché al tempo erano lastre in vetro che, considerando il numero e le dimensioni, circa 16,5cm per 21,5cm, avrebbero occupato troppo spazio ed erano quindi conservate nel granaio.
Solomon Butcher tentò di trovare finanziamenti per quel libro ancora incompiuto, ma la sua storia non lasciava molto spazio alla fiducia, nessuno sembrava intenzionato a scommettere su di lui, probabilmente neanche sul fatto che nuovi catastrofici eventi non si sarebbero manifestati, tuttavia con caparbietà ed avvalendosi dell’aiuto di un editore della vicina Callaway, concluse il testo e problema di saldare pubblicazione, risolse il facoltoso allevatore e già membro del Partito Populista, Ephram Swain Finch, appunto arrivato in soccorso accollandosi intera spesa.
Il libro fu dato finalmente alle stampe e quella prima edizione del 1901, riscosse immediato successo nella zona, le 1000 copie previste andarono vendute in pochi mesi e Butcher si convinse ad esportare l’idea anche in altre città, ma un po’ la malasorte e un po’ il suo essere poco costante, fecero sì che l’uomo si perdesse nel girovagare di paese in paese limitandosi a vendere cartoline e nel 1911, insoddisfatto e ormai stanco di attendere quel riconoscimento a cui ambiva e che soprattutto era convinto di meritare, decise di mollare tutto e tentare la fortuna nel campo immobiliare.
Iniziò a lavorare per una società che vendeva terreni in Texas, dove per altro voleva trasferirsi, ma ad essergli di impedimento erano proprio le 3000 lastre di vetro in suo possesso. Decise quindi di venderle alla neonata Nebraska State Historical Society, stipulando un accordo con Addison Sheldon, secondo cui Butcher avrebbe ricevuto un anticipo di un centinaio di dollari, per un totale di 1000 che gli sarebbero stati dati una volta che il legislatore avrebbe approvato gli stanziamenti.
Passarono anni prima che questi si decise a farlo e alla fine, Solomon Butcher non solo fu costretto ad accontentarsi di 600 dollari, ma dovette pagare anche 11 dollari d’interesse per l’anticipo.
Non serve aggiungere che gli affari in Texas non decollarono mai e dopo un periodo come venditore ambulante di sue stesse invenzioni come il ‘rilevatore di petrolio elettromagnetico’ e la panacea dall’improbabile nome ‘Meraviglia del Tempo’, si trasferì in Colorado dove morì il 18 marzo del 1927, con la convinzione di essere un fallito.
Nel 1958, le sue foto furono utilizzate dalla University of Nebraska Television per realizzare un documentario, dieci anni più tardi sarebbero state protagoniste del libro di Roger Welch, ‘Sod Walls’ e nel 1996 nella serie di documentari ‘The West’ del regista americano Ken Burns.
Quelle fotografie sono ancora oggi considerate straordinario documento storico, sia in quanto testimonianza di un’epoca, sia perché Solomon Butcher e parimenti le persone riprese, ne erano pienamente coscienti: ciascuno scatto, seppure scevro di arte e di ogni bellezza, doveva servire a far sì che le future generazioni potessero sapere chi erano stati gli homesteader, i pionieri dei quali, avventura permane in memoria anche grazie alla tenacia di Solomon Butcher, visionario, sfortunato, però certo nient’affatto un fallito.
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