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Gloria dei Re: l’amore segreto fra Makèda e Salomone

 
 
La storia, l’incontro di Re Salomone e la Regina Makèda, è affascinante e suggestivo racconto per secoli rimasto silente fra le righe della Bibbia, finché a narrarne, rinvenute trascrizioni custodite nel Kebra Nagast, ancestrale testo imperniato sull’Antico Testamento, raccogliendo al contempo in sé, verità dei vangeli cristiani, del Corano, del Tanàkh ebraico e di tradizioni afro-arabe, altresì rivelanti come da tal conoscenza, l’Arca dell’Alleanza sia giunta e tuttora si trovi in Africa, consegnando discendenza salomonica, alla dinastia regale etiope.

Originariamente scritto in copto, poi in arabo ed infine in ge’ez, idioma semitico parlata in terra etiopica sin al XIV secolo, Kebra Nagast, significa Gloria dei Re e con i suoi 117 capitoli, non è una semplice opera letteraria scaturita dalla rilettura dei libri sacri, ma è depositario del senso religioso etiope.

Fu redatto per la prima volta fra il IV e VI secolo d.C. e benché non si trattasse della versione integrale, suscitò interesse immediato e nel corso del tempo fu tradotto in amarico, arabo, fino a diverse lingue europee, ma non in italiano. Erano gli anni in cui la Chiesa stava riformando le proprie istituzioni a seguito del Concilio di Trento e l’ipotesi di dare alle stampe un libro in cui si afferma che una terra di neri, l’Etiopia, è quella eletta da Dio, non poteva certamente esser vista con favore.

La stesura definitiva avvenne nel XII secolo e solo nel 1922, ad opera dell’egittologo e filologo Ernest Alfred Thompson Wallis Budge, al tempo direttore del dipartimento di antichità egizie ed assire del British Museum. Sarà pubblicata nella sua interezza con il titolo ‘La Regina di Saba e il suo unico figlio Menyelek’. In pochi anni si aggiungeranno altre traduzioni in più lingue europee, ma l’Italia dovrà attendere ancora prima di poter avere una propria versione, perché all’epoca a disincentivarne l’interesse e un’eventuale diffusione è l’ascesa del fascismo e le successive campagne di colonizzazione. Avverrà per la prima volta nel 2007, a cura di Lorenzo Mazzoni, il quale mise a confronto le moderne traduzioni di Miguel Brooks (Kebra Nagast: The True Ark of the Covenant, 1996) e di Gerald Hausman (The Kebra Nagast, 1997), con quella francese del 1558 e altre in spagnolo del 1547 e 1528.

 

Il viaggio verso Gerusalemme

Nella Bibbia, l’incontro fra i due sovrani è citato nel ‘Primo libro dei Re’ e nel ‘Secondo libro delle Cronache’, in cui si accenna a Makèda come sovrana del regno di Saba, ma quanto viene narrato nella Gloria dei Re, è il passaggio dall’adorazione del Sole, al riconoscere il Dio d’Israele e la continuazione della discendenza biblica in Etiopia.

La fama della saggezza di Salomone, stava ormai diffondendosi in ogni angolo della terra, era suo desiderio infatti costruire la Casa di Dio e per farlo, invitava i mercanti di ogni luogo a portargli il materiale necessario, dando loro in cambio oro e argento.
Così fece anche con Tamrin, capocarovana della Regina d’Etiopia, il cui nome gli era stato suggerito da alcuni uomini, sapendolo savio e molto ricco. Il Re d’Israele, fece sì che gli giungesse notizia di ciò che gli serviva e Tamrin, si presentò da lui provvisto di tutto perché ne potesse prendere in abbondanza. Il mercante, ricompensato con estrema generosità, rimase immediatamente colpito dal giudizio di Salomone, dal modo che aveva di condurre la vita, dalla discrezione e prontezza nel parlare, così come dall’umiltà e gentilezza con le quali si rivolgeva ai propri i servitori, anche quando li ammoniva.

Quando fece ritorno in Etiopia, Tamrin non mancò di raccontare alla Regina quanto aveva visto, lasciandola meravigliata. Makèda arrivò al punto di commuoversi al sentire quelle parole, avrebbe voluto partire immediatamente per Gerusalemme, ma sapeva che il cammino sarebbe stato lungo e difficile e così, ogni giorno si faceva raccontare qualcosa, poneva domande al suo mercante, finché il suo cuore, ormai colmo di desiderio d’incontrare quell’uomo, vederne il volto, sentirne la saggezza, la convinse a intraprendere il viaggio verso la terra di Giuda.

Arrivò da Salomone tanto emozionata quanto carica di doni preziosi e lui, la ripagò offrendole dimora nel palazzo reale, in un alloggio accanto al suo ed ogni giorno, si preoccupava che le fosse servito cibo in abbondanza, il miele più raffinato e vino, così come ogni giorno le faceva dono di undici meravigliosi vestiti e nel tempo trascorso insieme, Makèda sempre più era ammaliata dalla cortesia del Re, dal suo parlare, dalla sua mente come dal suo cuore.

«Le dolcezza delle tue parole — confessò la Regina a Salomone – fa gioire il cuore, rende finanche le ossa più forti e infonde coraggio agli animi. La tua saggezza è incommensurabile inesauribile la tua conoscenza. Io rendo grazie a Colui che mi ha portato qui e mi ha permesso di incontrarti, che mi ha condotto alla tua porta e mi ha fatto sentire la tua voce».

Saggezza e conoscenza che certo non mancavano neanche a lei, come ne convenivano i nobili, i consiglieri, le ancelle, perfino gli schiavi ed altrettanto faceva Salomone, il quale rispose agli elogi ricevuti, affermando che in lui erano presenti nella misura in cui Dio gliele aveva donate e benché Egli fosse sconosciuto a Makèda, disse: «La sapienza che hai raccolto nel tuo cuore, ti ha spinto fin qui per vedere me, vassallo e servo del mio Dio, e la costruzione del santuario che sto edificando, all’interno del quale, io mi prodigo e sto accanto alla mia Signora, ovvero il Tabernacolo della Legge del Dio d’Israele, il sacro e paradisiaco Sion».

La Regina cominciò a chiedersi chi fosse giusto venerare. Come le avevano insegnato, da sempre adorava il Sole, per il suo popolo era il Re degli dei, ma al contempo sapeva che nessuno aveva mai detto che al suo fianco non potesse essercene un altro ed aveva sentito dire, che un Dio a lei sconosciuto, dal paradiso aveva inviato sulla terra un Tabernacolo con una Tavola degli ordini angelici, giunto a Salomone per mano di Mosè.

Senza esitazioni il Re le indicò verso chi avrebbe dovuto offrire il cuore, ovvero a «Colui che toglie e dà la vita, che infligge punizioni e mostra compassione, che può rialzare da terra chi è in miseria, che può esaltare il povero dalla polvere, gettare nello sconforto o riempire di gioia» e circa il Tabernacolo, le rivelò essere stato «creato prima di ogni altra cosa» e che Dio aveva fatto scendere i suoi comandamenti, «cosicché l’uomo potesse conoscere decreti e giudizi».

Quelle parole toccarono profondamente Makèda, tanto da farle abbandonare la fede e dunque non adorare più il Sole, bensì il Creatore del Sole e così avrebbe fatto il suo popolo anche dopo di lei, perché Egli, espresse al Re, «mi ha portato a te, mi ha fatto sentire la tua voce, mi ha mostrato la tua faccia e mi ha fatto comprendere i tuoi comandamenti».

 

Salomone e Makèda, l’amore rubato

Nelle settimane successive continuarono ad incontrarsi e con piacere Salomone rispondeva alle tante domande della Regina, spiegandole qualunque cosa volesse, lei ascoltava e teneva tutto nel suo cuore, ma dopo sei mesi, Makèda decise che era giunto il momento di tornare nella sua terra e così inviò un messaggio al Re per informarlo del suo desiderio.
«Bramo fortemente restare con te, ma ora, per il bene del mio popolo vorrei tornare al mio paese. Riguardo a quanto ho avuto l’onore di ascoltare, possa Dio farlo fruttare nel mio cuore e nel cuore di tutto coloro che ti hanno conosciuto. Perché non può mai essere sazio della tua saggezza e l’occhio, non potrà mai esser sazio alla tua vista».

Nel Primo Libro dei Re, (11,1), si narra di Salomone come un grande amante delle donne, ebbe mogli ebree, egiziane, caanite, edomite e si dice che tutte fossero molto belle, ma di fronte al messaggio di Makèda, in cuor suo meditò e replicò:«Una donna di tale straordinaria bellezza, è venuta da me dalla fine della terra! Cosa so io? Dio mi darà una stirpe da lei?».

Aveva quattrocento regine e seicento concubine e questo per il consiglio che aveva ricevuto da Dio e nel ricordo che Egli aveva rivelato ad Abramo (Genesi 22,17): «Io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza s’impadronirà delle città dei suoi nemici».

Così mandò un messaggio alla Regina:
«Ora che sei venuta qui, perché te ne vuoi andare senza vedere l’amministrazione E come pasti per gli eletti del regno siano consumati secondo il costume dei giusti e come popolo se invece fuorviato dai costumi dei peccatori? Da tale visione acquisirai saggezza. Seguimi dunque E siediti sotto lo splendore della mia tenda E completerò la tua istruzione e imparerai come si amministra il mio regno, poiché tu hai amato la filosofia ed essa, resterà con te fino alla fine dei giorni».

Makèda accettò volentieri quell’invito ed il Re non poté che gioirne, diede quindi disposizione che il cibo alla mensa fosse raddoppiato, fece sì che la reggia fosse ordinata e consona per la miglior accoglienza, «predispose tutto con grande sfarzo, nella gioia, nella pace, nella saggezza, nella timidezza, con umiltà e semplicità; e dopo allestì la tavola reale seguendo la legge del regno».

Al suo arrivo la Regina rimase rapita da tanto splendore, Salomone aveva abbellito con drappi purpurei, tappeti stesi, marmi e pietre preziose, tutto dove lei avrebbe preso posto a tavola ed intorno bruciavano incensi ed essenze profumate, così buone da farla sentir sazia prima ancor d’aver toccato cibo.

Il pranzo fu servito con tre portate di primi e sette secondi ed intenzionalmente, il Re fece servire pietanze che l’avrebbero resa assetata, cibi piccanti, bevande leggermente miscelate con aceto e quando a fine pasto, consiglieri, amministratori e servi se ne andarono, rimasti soli Salomone le si avvicinò e le propose di fermarsi per la notte e la Regina, ribatté che avrebbe accettato ad una sola condizione: «Giurami d’innanzi al Dio di Israele, che non mi prenderai con la forza. Poiché se io, che secondo la legge sono vergine, sarò sedotta, tornerò indietro nel mio viaggio con rimpianto, afflizioni e tribolazioni».

Salomone le promise che questo non sarebbe avvenuto, a patto che lei, senza permesso non prendesse nulla all’interno della casa. Una condizione a Makèda apparsa curiosa e sorridendo, domandò perché, un uomo così saggio, avesse appena parlato come uno stolto: «Dovrei rubare o dorrei portare via dalla casa del Re ciò che non mi ha dato? Non immaginare che sia giunta qui per amore della ricchezza. Anzi il mio proprio regno è ricco come il tuo e non c’è niente che io desideri bramosamente. Può sembrare assurdo ma sono venuta solo in cerca di saggezza».

Il Re volle comunque che giurasse, altrimenti avrebbe mancato di farlo anche lui e così accadde.

Parlando una lingua incomprensibile alla Regina, Salomone ordinò ad un giovane servo di lavare una brocca e riempirla d’acqua, dopodiché si coricò nel suo letto e Makèda in quello che era stato preparato per lei, dall’altro lato della stanza.

A notte ormai fonda, la Regina si svegliò per la sete che il cibo le aveva provocato, in silenzio si alzò e dirigendosi verso la brocca, osservò attentamente Salomone, cercava di udirne il respiro per capire se stesso dormendo e quando ne fu convinta, afferrò il bicchiere per versarsi da bere, ma prima ancora riuscisse a versarsi un po’ acqua, il Re le sfiorò la mano.

Non le aveva staccato gli occhi di dosso, fingeva di riposare in attesa di quel preciso istante.
«Perché hai infranto la promessa che non avresti preso niente con la forza che fosse in casa mia?»
Spaventata, la Regina domandò come dell’acqua avrebbe potuto significare aver rotto la promessa, ma Salomone la riprese immediatamente, chiedendole se mai sotto al cielo, avesse visto qualcosa di più prezioso dell’acqua.

Al quel punto Makèda desisté e liberò il Re dal suo giuramento.

 

L’Arca dell’Alleanza giunse in Etiopia

Quella stessa notte Salomone vide in sogno un sole infuocato che illuminava Israele, ma improvvisamente, lo splendore di quel fuoco cominciava a farsi sempre più lontano e a volare verso l’Etiopia dove si fermava per non tornare. Una nuova luce tornava però sulla terra Giuda, ancora più potente dell’altra, tanto che il popolo era costretto a non uscire durante il giorno e cominciarono ad odiarlo, tanto che alla fine caddero le tenebre.

All’indomani il Re era profondamente turbato da ciò che aveva visto in sogno e al contempo provava sempre maggior ammirazione per Makèda, la quale, adesso chiedeva di poter far rientro in patria. Salomone le diede tutto quello che poteva desiderare e prima che se andasse, le raccontò della visione, poi si sfilò l’anello dal dito e glielo donò, così che non potesse dimenticarsi di lui, ma qualora dal loro amore fosse nato un figlio, allora quell’anello sarebbe stato un segno per lui ed un giorno, questi avrebbe dovuto raggiungerlo a Gerusalemme per conoscersi.

Il bambino nacque, fu chiamato Bayna Lehkem e trascorsero pochi anni prima cominciasse a far domande sull’identità del padre, tutti sapevano e la Regina, benché rispondesse inizialmente con ira per il timore di vederlo partire, non gli negò mai la verità. Man mano che cresceva era sempre più somigliante a Salomone, lo ricordava nel volto, nel portamento e raggiunti i vent’anni, partì per incontrarlo.

Con l’anello datogli dalla madre, il giovane cominciò il suo viaggio verso Israele e ben presto, il Re venne a sapere dell’arrivo di quest’uomo che partito dall’Etiopia, stava dirigendosi verso la terra di Giuda ed il motivo è che tutti lo scambiavano per lui. Salomone ne fu turbato e allo stesso tempo pieno di gioia, tanto che gli mandò incontro il comandante del suo esercito con regali, cibo e bevande, pregandolo inoltre di far in fretta.

Quando finalmente giunse dal Re, questi gli andò incontro e lo abbracciò, notando immediatamente quella somiglianza di cui tutti gli avevano parlato, ma per statura e bellezza, in lui riconobbe l’aspetto di suo padre Davide, così gli mise una corona ed ogni giorno si preoccupava che avesse cibo raffinato, che gli fossero date vesti pregiate, oro e argento. Voleva che rimanesse al suo fianco per poi ereditare il trono. «E’ meglio per te abitare qui, dove c’è il Tabernacolo della Legge di Dio», sosteneva, ma Bayna Lehkem, a quegli inviti rispondeva affermando che era giunto a Gerusalemme, solo per vedere il volto di suo padre, conoscerne la saggezza e rendere omaggio al suo regno, dopodiché, avrebbe fatto ritorno da sua madre in Etiopia.

Quanto al Tabernacolo, sapeva in cuor suo che lo avrebbe comunque protetto ovunque fosse andato, un atto di fede che trovò conferma anche nelle parole di Zadok il sacerdote, quando Salomone, ormai consapevole della ferma volontà del figlio, decise di lasciarlo andare, ma volle per lui una benedizione e non solo, adunò a sé ufficiali, consiglieri e anziani esprimendo loro il desiderio di veder ogni primogenito partir insieme a Bayna Lehkem, così due regni ci sarebbero stati:«Io governerò qui con voi e i nostri figli, regneranno là».

Così fu deciso, ma questi si sentirono costretti, a lasciare il Paese, il popolo d’appartenenza ed altrettanto il Tabernacolo, sicché Azarìa — figlio di Zadok — nel frattempo premuratosi di consegnare i Dieci Comandamenti al futuro Re d’Etiopia, escogitò espediente per sottrarlo. In sogno aveva avuto conferma di come la sua volontà coincidesse con quella di Dio, che altrimenti gli avrebbe impedito di allontanare la Sua Legge da Israele e così, una identica fu costruita e messa al suo posto, mentre Sion fu costudita in luogo segreto per sette giorni e sette notti, prima di partire verso l’Africa, dove giunsero con la protezione di Michele Arcangelo.

Una volta arrivati in Etiopia i figli d’Israele andarono da Bayna Lehkem, loro Re, e gli rivelarono: «Il sole disceso dal cielo, e sul Sinai fu dato a Israele il divenne la salvezza della razza di Adamo, da Mosé fino al seme di Jesse, e guarda, esso è con te per volere di Dio. Non è attraverso di noi che ciò è stato fatto, ma per volontà di Dio, per volontà di Colui che l’ha creato e ha fatto sì che questo accadesse».

La discendenza di Israele arrivò così in Etiopia, dove, alla scomparsa di Makèda, Bayna Lehkem fu incoronato Imperatore con il nome di Menyelek I e da allora, la sua dinastia governò sul paese quasi ininterrottamente fino all’ascesa di Hailé Selassié, Re dei Re, Leone Conquistatore della Tribù di Giuda e l’Arca dell’Alleanza, dopo tremila anni è tutt’oggi in Etiopia, come rivelò nel 2009 il secondogenito di Selassié, affermando come essa fosse ancora in un buono stato di conservazione, in quanto opera di Dio e non dell’uomo.

Sarebbe nascosta nella Cattedrale di Nostra Signora Maria di Sion, ad Axum, ma a nessuno è concesso vederla al di fuori del suo custode, il quale trascorre l’intera esistenza al suo fianco, in solitudine e proteggendola.
 
 
 
 

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