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Dorando Pietri, fiaba romantica di una vittoria mancata

Un atleta nel mentre corre, è una scultura in movimento.
Edwin Moses

A poco più di tre chilometri dal popoloso comune di Correggio — in provincia di Reggio Emilia — s’estende Mandrio, frazione che accolse i natali di Dorando Pietri, il neonato venendo alla luce il 16 ottobre 1885 dopo i fratelli Antonio Ettore (1879) e Ulpiano Oreste (1881), nonché anticipando di un quadriennio circa la nascita dell’ultimogenito, Armando (1889).

Genitori ne furono il fittavolo Desiderio Pietri (1846-1910) e la massaia Maria Teresa Incerti (1846-1913): la coppia iscrisse il figlio alla prima elementare nel 1891, percorso formativo plausibilmente continuato — sotto insegnamento della maestra Bianca Salati — almeno fino alla classe terza, se non altro da quello che s’evince leggendo foglio matricolare del Distretto militare di Modena, fra le cui righe s’asserisce che Dorando Pietri abbia raggiunto apprendimento di lettura e scrittura.

Essendo al padre gli stentati profitti agricoli insufficienti al mantener degnamente figli e consorte, il 22 ottobre 1897 il nucleo familiare traslocò a Carpi, con la speranza del capofamiglia di trovare un lavoro maggiormente redditizio all’interno d’un contesto dalla fiorente attività economica: in quel periodo la città si distingueva infatti per l’Arte del truciolo, consistente nel ricavar dagli scarti di piallatura di pioppo e salice, delle sottili strisce di legno d’eguali dimensioni, poi intrecciate in lunghe fettucce e infine impiegate soprattutto per la creazione d’artigianali cappelli, ciò nonostante Desiderio Pietri imboccando differente strada nell’avviarsi fruttivendolo a Porta Modena e trovando domicilio in via Mura di Levante.

Nella nuova località, l’ormai quattordicenne Dorando Pietri iniziò pratica lavorativa a servizio della pasticceria di Pasquale Melli, sita in piazza Vittorio Emanuele II, nei momenti liberi divertendosi tra corse a piedi o in bicicletta, corporatura minuta e ridotta statura — di un centimetro al di sotto del metro e sessanta — non interferendo in alcun modo con il prepotente manifestarsi d’innata predisposizione ginnica in lui rimbombante, che lo portò a sottoscriver iscrizione alla Società Ginnastica La Patria, sorta il 7 maggio 1879 — sulle ceneri della Società Ginnastica di Carpi (1864) — con l’intento di rendere la pratica sportiva accessibile anche ai ceti meno abbienti e regolata da uno statuto dichiarante che «Essa ha per iscopo di preservare lo sviluppo delle forze fisiche della gioventù e coltivare altresì lo spirito di aggregazione e fratellanza tra i cittadini di ogni classe nell’interesse supremo della patria», il 13 marzo 1881 inno diffondendone filosofia nell’aria, sulle note del maestro di musica e organizzatore scolastico, Aniceto Govi e testo dell’insegnante per passione e funzionario per necessità, Ferruccio Rizzati (1862-1935).
 

Siam ginnasti che muoviamo
Lietamente attorno il piè
Siam ginnasti che innalziamo
Bella Patria, un canto a te

Siam cresciuti, cresciuti al sole ardente
Nella terra, nella terra dell’amor!
Siam cresciuti, cresciuti nel ridente
Suol dell’armi, suol dell’armi e del valor!

Guai se l’Italia frontiera
Minacciasse un oppressore
Tutti uniti in maschia schiera
Col vessillo tricolor

Bella Italia dei tuoi figli
La gagliarda, la gagliarda gioventù
Saprà toglierti ai perigli
Saprà torti a servitù”

 
Incontrastato fuoriclasse del fondo italiano era il piemontese Giacinto Volpati, nella prima serata di venerdì 15 aprile 1904, sfidato dal maratoneta laziale Luigi “Pericle” Pagliani (1883-1932). Il fibrillante confronto si svolse a Milano sulla distanza di 12 chilometri, fra bastioni riecheggiando le urla d’una folla esultante, sebben non priva di gratuiti contestatori, artefici d’insulti e lanci di pietre: avventato taglio di strada da parte d’un giovane costò al Volpati una prima caduta, di fronte alla quale il galante Pagliani s’arrestò in attesa dell’avversario e — ripreso fervente testa a testa — prevalendo su Giacinto per una cinquantina di metri e vincendo. Stretta di mano tra i due a fine disputa, donò agli astanti sincera e toccante manifestazione di sportività:

«[…] i due sfidanti si buttano in piena volata, ma dopo cento metri un ragazzo taglia improvvisamente la strada al Volpati e gli procura un formidabile ruzzolone. Pagliani cavallerescamente si ferma ad attenderlo e, poiché Volpati si alza illeso, si riparte a tutta velocità. A Porta Ticinese altro taglio di strada e altro ruzzolone per il Volpati, poi la corsa procede veloce, intensa. Molti sono i tentativi di distacco da ambo le parti, ma i due sfidanti non riescono a staccarsi di un metro. Siamo agli ultimi 200 metri, la ressa del pubblico è impressionante, appena uno spiraglio di un metro è libero, e i due corridori vi si buttano dentro con una volata terribile. La meglio tocca al Pagliani, che alle 21 e 3 minuti taglia il traguardo con circa 50 metri di vantaggio, percorrendo il giro in 36 minuti. Il pubblico fa loro una calda ovazione, e Volpati stringe la mano al suo avversario». (La Gazzetta dello Sport, 18 aprile 1904)

Rivincita su ventimila metri si svolse il 24 dello stesso mese, in un ippodromo, a nove giorni di distanza Pericle Pagliani riconfermandosi vincitore nello staccare con decisione Giacinto Volpati al penultimo giro, il campione primatista sulle lunghe distanze tuttavia ben lontano dall’immaginare che — nel settembre di medesimo anno — durante una competizione disputata a Carpi sui diecimila metri, sarebbe stato affiancato da un tenace Dorando Pietri, il quale, con nelle gambe il fuoco  divampante da incontenibile brama di gareggiare s’intromise nell’evento — ancor indossando divisa lavorativa — affiancandolo e mantenendone il ritmo fino al capolinea, entrambi inconsapevoli del fatto che sfida fra loro si sarebbe formalmente aperta negli anni a seguire.

L’episodio rappresentò imminente principio di agonismo per l’allor diciottenne Dorando Pietri, egli infatti debuttando su tremila metri nel capoluogo emiliano pochi giorni dopo, piazzandosi in seconda posizione e da quel momento collezionando vittorie nazionali ed estere, il 18 giugno 1905 — a Vercelli — dominando sul Volpati e così accaparrandosi il campionato dell’Unione Podistica Italiana sui 25 km, trionfo replicandosi a Savona il primo settembre e il 15 ottobre in Francia, dove nella sesta edizione della Traversata di Parigi percorse 30 km in un’ora e 55 minuti, di quasi 5’ staccando Emile Bonheure e Charles Wigginthon, ma, inaspettatamente, il 3 dicembre corsa del giovane subì colpo d’arresto, per sopraggiunta assegnazione al venticinquesimo Reggimento di Fanteria, nella decima compagnia di Torino.

Intervento del pubblicista sportivo Mario Luigi Mina — in carica di presidente dell’UPI dal 1898 — concesse tuttavia a Dorando Pietri di poter riprendere allenamenti durante il richiamo alle armi e il 2 aprile 1906 l’entusiasta ed inesauribile corridore — segnando tempo di 2 ore e 48 minuti — qualificandosi a Roma per i Giochi olimpici intermedi, la cui cerimonia d’apertura era prevista venti giorni dopo in Atene, ma in fase di gara nella capitale greca e con un vantaggio secco di 5’ sul secondo avversario, egli dovette abbandonare maratona al ventiquattresimo chilometro, per l’insorgere d’invalidante malessere fisico, tuttavia insita determinazione non gli impedì — dopo il congedo dell’11 settembre 1907 — di conseguire numerosi obiettivi, primeggiando indiscusso nel fondo italiano e tagliandosi un posto di tutto rispetto in quello internazionale.

Non importa cosa trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. Il miracolo non è essere giunto al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire.
Jesse Owens

 

La storica maratona di Dorando Pietri

Londra, 24 luglio 1908: alle 14.30 circa è prevista partenza per la maratona inclusa nei Giochi della IV Olimpiade — tenutasi fra il 27 aprile e il 31 ottobre — in vista della quale Dorando Pietri s’era allenato intensamente e con motivato impegno, venendone convocato il 3 giugno.

Distanza da coprire avrebbe dovuto essere di 23 miglia, successivamente aumentate per far sì che conclusione giungesse al cospetto del palco reale sito nel White City Stadium, di conseguenza tratta totale per la prima volta ammontando a 42 km e 195 metri, in spinta iniziale dal Castello di Windsor, da dove a dare lo storico start fu l’allora Principessa di Galles Maria di Teck (1867-1953): ai blocchi di partenza si schierano — davanti agli occhi di quasi ottantamila spettatori, oltre al triplo degli stessi che si reputa siano stati presenti nelle strade attigue — cinquantasei atleti ed oltre a Dorando Pietri, vestito con maglietta bianca col numero 19 e calzoncini rossi, unico altro italiano è Umberto Blasi (1886-1938).
 
Sconfitta e riscatto di Dorando Pietri, l'atleta che, inarrestabile ed inarrendevole, esaltò e commosse il mondo alle Olimpiadi di Londra del 1908 • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
 
Nel pieno d’una giornata eccezionalmente umida e afosa per la capitale britannica — fissata da termometro a ventisei gradi — l’evento ha inizio e sebben ad esser dati per favoriti siano lo statunitense Thomas PatrickTomMorrissey (1888-1968) e l’indiano onondaga di origini canadesi, ThomasTomCharles Longboat (1886-1949), sono gli atleti di casa Thomas Jack (1881-1961), Frederick ThomasFredLord (1879-1928) e Jack Price (1884-1965) a prendere il sopravvento, fintantoché a posizionarsi in testa — al quindicesimo miglio — è il sudafricano Charles Archie Hefferon (1878-1931), con un vantaggio di 3’ abbondanti su Dorando Pietri, l’emiliano partito con l’intento di mantenersi inizialmente nelle retrovie, per conservare l’energia che gli servirà per rimontare, come in effetti accade più o meno a metà gara: il piccolo corridore con le ali nei piedi aggancia un Hefferon momentaneamente in difficoltà e lo supera al trentanovesimo chilometro, poi mantenendosi in capo alla coda — fino a nemmen due km dalla meta — con andatura sempre più sostenuta, quando sciaguratamente disidratazione e affanno lo attanagliano irrimediabilmente, annientandone forza e lucidità, indi provocandone tramortita e fulminea caduta.

Davanti agli attoniti sguardi della partecipe e incoraggiante platea — rimasta col fiato sospeso — l’ansimante atleta — in preda a insostenibile spossatezza — riparte, corre, cade…

Non demorde, riprende, ricorre, ricade…

Si risolleva, e — pregando i residuali lumi d’energia rimastigli — procede incerto mirando all’obiettivo, incitato dal segretario onorario del club atletico Polytechnic Harriers e per l’occasione giudice di gara, Jack M. Andrew, a sinistra ed armato di megafono, mentre a destra dal capo responsabile medico Michael J. Bulger: fotogramma in imminente taglio di corda regalando alla storia istante irripetibile ed inimmaginabile.
 

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Sul traguardo della Maratona, Dorando Pietri tra il commissario di gara Jack Andrew ed il capo responsabile medico Michael Bulger, 1908


 
Più volte ergendosi, rimettendosi in marcia e ripiombando a terra, a soli duecento metri dalla linea d’arrivo, caparbiamente Dorando Pietri tenta l’impossibile, mira al traguardo e lo taglia esausto in 2h54’’46’’4, svenendo un attimo dopo, dietro di lui giungendo alla meta — in 2h55’18’’4 — l’americano John ‘Johnny’ Joseph Hayes (1886-1965), la cui squadra avanza istantaneo reclamo per «indebita assistenza» — prontamente accolto come da regolamento — sulla base del fatto che Dorando Pietri sia stato aiutato nell’ultimo tratto, causandone inevitabile squalifica e lasciando sbalordito il pubblico.

È parimenti attonito lo scrittore, medico e poeta scozzese, Sir Arthur Ignatius Conan Doyle (1859-1930), presente con incarico giornalistico per conto del quotidiano Daily Mail ed il quale, oltre sostenere causa di Pietri mediante stampa, anche in termini economici, si narra essere stato fautore di proposta del riconoscimento assegnato al maratoneta — in segno di vittoria morale — direttamente dalla Regina consorte del Regno Unito, Alessandra di Danimarca (1844-1925), tramite consegna di coppa d’argento dorato e dunque attestando come la mancata conquista del massimo traguardo, fosse dettaglio a fronte del valore umano e sportivo espresso dall’atleta, all’inverosimile dimostrando inarrendevole animo e dunque onorando nobile ed estenuante disciplina, in memoria olimpica indelebilmente imprimendosi.

La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici.
Conan Doyle

 

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«Heroic Roman», Arthur Conan Doyle su Dorando Pietri
The Evening Telegram, 13 agosto 1908.


 
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Lettera di Arthur Conan Doyle inviata al Daily Mail, al fine di rendere omaggio a Dorando Pietri, 25 luglio 1908


 
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La Stampa Sportiva, Torino, 31 agosto 1908

 
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Western Gazette, 18 luglio 1908

 
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Domenica del Corriere, 2 agosto 1908
Illustrazione di Achille Beltrame (1871-1945)


 
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Dorando Pietri riceve la coppa d’argento dorata, da Alexandra Carolina Marie Charlotte Louise Julia di Slesvig-Holsten-Sønderborg-Lyksborg (1844-1925), Regina consorte del Regno Unito dal 1901 al 1910.


 
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Dorando Pietri, 1908

 

Risvolti e riscatto di una sconfitta

Sfuggito trionfo si rivelò per Dorando Pietri ingresso nel panorama dell’atletica mondiale, amarezza addolcendosi nel conseguire — da quell’anno in avanti — molteplici successi, riscatto su Johnny Hayes verificandosi il 25 novembre all’impianto sportivo Madison Square Garden di Manhattan, davanti a ventimila persone — oltre le diecimila esterne — impazientemente bramose d’assister all’emozionante sfida, vinta dal correggese, dominante sul contendente all’ultimo mezzo chilometro di 262 giri, ufficialmente entrando nel professionismo e nuovamente vincendo su di lui il 15 marzo 1909.
 
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Dorando Pietri e Johnny Hayes al Madison Square Garden, 25 novembre 1908: sulle proprie colonne, il New York Times definì il confronto prossimo tra Johnny Hayes e Dorando Pietri «the most spectacular foot race that New York has ever witnessed».


 
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Dorando Pietri e Johnny Hayes ritratti durante il duello al Madison Square Garden di New York del 25 novembre 1908, da Rodolfo Griffi per L’Illustrazione Italiana del 6 dicembre 1908


 
Rimpatriato dopo due mesi, Dorando Pietri si mantenne attivo fino a disputa dell’ultima maratona — sostenuta a Buenos Aires il 24 maggio 1910 — collezionando impagabili e appaganti conquiste, alle quali mise definitivo punto, dando l’addio, l’11 settembre 1911 — a Parma — e il 15 ottobre nella svedese Göteborg, negli anni arrivando a guadagnare cifre astronomiche che s’assommarono tanto a somme racimolate dai suoi compaesani come indennizzo a fronte dell’eliminazione alle Olimpiadi, quanto — per medesimo fine — a precedenti entrate provenienti da una raccolta indetta dal Daily Mail, su sollecitazione di Conan Doyle.
 
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Arthur Conan Doyle (1859-1930) e la moglie Jean Elizabeth Leckie (1874-1940) consegnano a Dorando Pietri assegno di 308 sterline e un portasigarette d’oro.


 
Del non posseder invece eccellenti qualità imprenditoriali, Dorando Pietri si rese conto sul campo, nello sperimentarsi — insieme ad Ulpiano — nella gestione del Grand Hotel Dorando, messo in vendita, nel 1917, a un solo sessennio dall’acquisto e a un biennio dal secondo congedo, ricevuto per problematiche cardiache diagnosticate in corso di visita militare, a cui si sottopose quando convocato sull’esplodere della Prima Guerra Mondiale.

Da Carpi, Dorando Pietri e fratelli si traferirono a Sanremo, egli seguitando nella conduzione dell’autorimessa Garage Dorando — proponente servizi di nolo con autista — e nel comune ligure trascorrendo le ultime due decadi in compagnia della moglie Teresa Dondi, oltre che dilettandosi in qualità d’amorevole zio, durante piacevoli momenti condivisi con la nipote Gina — figlia della di lei sorella — del maratoneta parabola concludendosi, a causa di fatale emorragia cerebrale, il 7 febbraio 1942.

A ricordarne le gloriose gesta, racconti, liriche e note — a firmar le quali dal Maestro Irving Berling, al secolo Izrail’ Moiseevič Bejlin (1888-1989), fin al chitarrista e compositore Massimo Varini — oltre che dell’epoca, filmati, giornali e una moltitudine di istantanee, immuni allo scorrere del tempo, in riconoscente eco alla celerità del suo eroico, impetuoso e resiliente slancio.

Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto e ha perso la vittoria.
Dorando Pietri, Corriere della Sera, 30 luglio 1908

 

Dorando Pietri, Giochi della IV Olimpiade, Londra 1908

 
 
 
 

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