Zdzislaw Beksinski, il pittore che dipingeva gli incubi
Zdzislaw Beksinski nacque il 24 febbraio del 1929 a Sanok, in quella Polonia che dieci anni dopo avrebbe subìto l’invasione della Germania e poi dell’Unione Sovietica, costringendolo a diplomarsi in un liceo clandestino. Verso la fine degli anni ’50, Beksinski iniziò a lavorare nel campo della fotografia, realizzando scatti che ne palesarono immediatamente la straordinaria creatività, delineando al contempo la profonda analisi dell’inquietudine interiore successivamente divenuta musa ispiratrice.
Tuttavia, prima di dedicarsi alla pittura, fu la scultura a raccoglierne l’espressione artistica, Beksinski infatti iniziò a dipingere come autodidatta soltanto sul finire degli anni ’60 per realizzare opere tragiche, estremamente emotive e nonostante non esistano fonti che ne confermino la veridicità, storia vuole che le sue creazioni siano oniriche trasposizioni di immagini cominciategli ad apparire dopo un incidente a causa del quale rimase in coma per tre settimane.
Sulle tele prendono forma incubi, natura ed esseri umani scheletrizzati, sfregiati, deformati, Beksinski sembra dipingere l’inferno, raccontare e affrontare le proprie angosce; il dolore che l’accompagnò lungo la sua breve esistenza.
Nel 1998 perse infatti la moglie Zofia a cui s’era legato nel 1951 e appena un anno dopo, alla vigilia di Natale, l’artista si trovò a dover sopportare anche la scomparsa del figlio Tomasz; giornalista musicale, traduttore e noto speaker radiofonico, suicidatosi a 39 anni, liberando una sofferenza che più volte lo aveva portato a tentare l’estremo gesto sin dall’adolescenza.
Episodi drammatici, esattamente come tragica fu la sua stessa fine.
La morte lo afferrò il 22 febbraio del 2005, quando il figlio del suo maggiordomo, vistosi negare un prestito di circa cento dollari, lo uccise con 17 coltellate.
Vorrei dipingere come se stessi fotografando i miei sogni.
Nel 1975, i suoi dipinti gli valsero il riconoscimento di “Miglior artista dei primi trent’anni della Repubblica Polacca” e moltissimi furono i premi durante la carriera, sino all’omaggio del regista polacco Jan Matuszynski con “The Last Family“, film presentato nel 2016 al 69° Festival di Locarno, narrante la storia di un pittore schivo — evitava persino di presenziare alle proprie esposizioni — malgrado tutto attraversato dall’amore per la vita, particolarmente ironico e che a dispetto di una celebrazione non proporzionata alla grandezza espressa, con le sue atmosfere gotiche e apocalittiche, continua ad influenzare generazioni di artisti.
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