György Ligeti, il perpetuo movimento del genio
Convinto che la musica fosse ben più potente del dialogo, Stanley Kubrick affermò che attraverso l’opera cinematografica 2001: Odissea nello spazio, era sua intenzione creare un’esperienza visiva capace di scavare il subconscio con un contenuto emotivo e filosofico, in modo tale che il film potesse raggiungere lo spettatore «in un livello di coscienza interiore, proprio come fa la musica».
Per cogliere l’obiettivo, il regista newyorkese si rivolse a un compositore il cui contributo per il rinnovamento del linguaggio musicale contemporaneo, fu quantomai decisivo: György Sándor Ligeti.
Le mie composizioni rifuggono qualsiasi categoria. Non sono tonali né atonali, e soprattutto non sono postmoderne. Partono sempre da un’ idea centrale molto semplice per poi arrivare a una complessità estrema.
Annoverato tra i più significativi del XX secolo, György Ligeti è stato un genio assoluto non collocabile all’interno di un “pensiero” musicale definito; potenza d’immaginazione, arte e scienza che s’incontrano come nel caso dello studio per pianoforte L’escalier du Diable, lo rendono interprete di invenzioni sonore capaci di suscitar emozioni complesse e profonde, frutto di continue sperimentazioni sull’armonia, ritmo verbale e sviluppo della fusione timbrica del suono nel contesto orchestrale.
Nato il 28 maggio del 1928 a Târnăveni, nell’attuale Romania, in György Ligeti vi è un’incessante ricerca e una straordinaria capacità di rinnovamento, senza quindi procrastinare o esitare nel posarsi su un’idea e prova ne sono il susseguirsi di opere quali Aventures (1962), Lontano (1967), Melodien (1971); i concerti per violoncello del 1966, i brani per clavicembalo, Continuum del 1968, Passacaglia e Hungarian Rock; il Trio per piano, violino e corno, utilizzato da Brahms e ancora un’infinità di lavori, dove la necessità di un perpetuo movimento, trova ragione anche in virtù di un’oppressione umana e artistica vissuta.
I suoi studi furono dapprima interrotti dal nazismo, quando essendo ebreo, fu costretto ai lavori forzati mentre i genitori ed il fratello conobbero l’orrore di Auschwitz, un scempio al quale sopravvisse solo madre.
Terminato il secondo conflitto mondiale, Ligeti si laurea e sulla scia di Béla Bartók, compositore ed etnomusicologo ungherese, si dedica alla musica popolare ed al recupero delle tradizioni, una scelta che ben presto non sarà più libera, ma imposta dalla dittatura stalinista che ebbe inizio nel 1949.
Dall’entusiasmo con il quale i lavoratori accolsero l’apparente edificazione del socialismo, l’oppressione e le pessime condizioni in cui continuò a riversare la popolazione, scatenarono le prime manifestazioni alla morte di Stalin avvenuta nel 1953, per arrivare tre anni più tardi, alla rivoluzione del 23 ottobre, repressa solo con l’intervento delle truppe sovietiche e in cui persero la vita oltre 2000 persone.
Un’intervento che in Italia trova la condanna di Pietro Nenni, leader di quel PSI da sempre legato all’idea dell’Unione Sovietica come esempio del socialismo, ma allontanandosene definitivamente con il sostegno all’insurrezione operaia.
Il regime comunista mise al bando qualunque forma musicale che si discostasse dal folklore nazionale, ritenuta l’unica in grado di d’essere educativa, in quanto da tutti comprensibile e non decadente come invece erano visti generi e tecniche che ammiccassero a qualsivoglia forma di modernismo.
Sino al 1956, l’apporto artistico ed in egual maniera la fervida immaginazione di György Ligeti, sono costretti e volti per lo più alla composizione vocale, essenzialmente arrangiando e rielaborando materiale appartenente all’eredità musicale dell’Ungheria, andando quindi a svolgere il lavoro di etnomusicologo, in qualche modo soffocando quella scintilla creativa e il desiderio di conoscere, che da sempre gli sono stati propri. Fin da bambino infatti mostrava interessi per la matematica, la scienza, una fantasia che lo portò a viaggiare in quella terra immaginaria che chiamò Kylwiria, «un luogo dei sogni ad occhi aperti» affermerà, un mondo al quale a soli 5 anni, dette un sistema giuridico, una lingua con tanto di regole grammaticali e di cui disegnò meticolose mappe.
Immaginavo la musica, ma penso che ogni bambino faccia lo stesso. Facevo una specie di gioco. Per andare a scuola ci volevano meno di venti minuti a piedi e io sempre immaginavo, era qualche sinfonia di Beethoven o Schumann, quello che sentivo alla radio, immaginavo di assistere ad un concerto, immaginavo la musica e la sentivo.
In quel 23 ottobre del 56 c’era anche lui in strada, con operai e studenti che tentavan d’inspirare quel soffio di libertà mentre si abbatteva il monumento a Stalin, per poi fuggire – come altri migliaia di ungheresi – assieme alla moglie, dirigendosi verso il confine austriaco e trovare a Vienna, rifugio e nuova cittadinanza.
“La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia” asseriva Beethoven e certo, tale definizione trova conferma in Ligeti, compositore eclettico che seppe materializzare le proprie idee guardando a orizzonti sempre nuovi, contemplando il tempo come spazio, tenendo la musica per mano e giocando con essa, al contempo trovando input anche nei progressi matematici come la geometria dei frattali, arrivando a quella tecnica, che incise il suo nome nella storia, la ‘micropolifonia’.
Musica statica all’interno della quale si avvertono «impercettibili modificazioni», composizioni – prima delle quali è Musica Ricercata, pietra miliare ch’è una raccolta di undici brani per pianoforte – dove è l’invenzione ritmica a esser chiamata a disegnare con poche note, atmosfere che Ligeti descrive richiamando l’immagine della «superficie acquatica».
Undici brani il primo dei quali è composto da una sola nota, il LA, suonato su varie ottave utilizzando il pianoforte come uno strumento a percussione seguendo l’intuizione di Bartòk, per poi passare al secondo dove vi è l’aggiunta del solo RE, movimento questo, che Kubrick sceglierà per quello che sarà il suo ultimo lavoro.
Un susseguirsi d’invenzioni che scorrono fra melodie furibonde, valzer, echeggi mediorentali, le atmosfere surreali del brano IX, per arrivare ad omaggiare il genio del ferrarese Frescobaldi, passando però dal brano VII, che anticipa di decenni quello che oggi è comunemente chiamato ‘loop’.
Atmosphères, Requiem, Le Grand Macabre, opera destinata a divenire un classico del teatro visionario e ancora Études pour Piano con richiami alla musica etnica africana, il Concerto per pianoforte e violino composti fra la fine degli anni 80 e i primi del 90, la follia dei Nonsense-Madrigals, per arrivare al Concerto di Amburgo per corno e orchestra, che tra le ultime composizioni György Ligeti, ne mostra ancora la libertà da schemi, la fantasia e l’oltrevisione.
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