Dieta Mediterranea: Fa bene solo all’alta borghesia
Ci risiamo, la verità sconfessata dopo anni che ci viene proposta come unica e ineccepibile: la Dieta Mediterranea non fa bene a tutti, ma solo a chi ha un buon portafoglio e un buon titolo di studio.
Questo il risultato di uno studio effettuato dall’Istituto Neuromed, analizzando un campione di 18.991 uomini e donne con età non inferiore ai 35 anni.
La ricerca effettuata dal team del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione I.R.C.C.S., ha osservato che la Dieta Mediterranea riduce il rischio di malattie cardiovascolari solo se facciamo parte della “borghesia consolidata“, per usare la stratificazione sociale proposta in Gran Bretagna qualche anno addietro.
La ricercatrice Marialaura Bonaccio, autrice dello studio afferma infatti, che «Il livello di istruzione e il reddito sono in grado di modificare nettamente i vantaggi potenziali della Dieta Mediterranea sulla nostra salute cardiovascolare. In altre parole – conclude la Dr.ssa Bonaccio – per quanto una persona a basso reddito possa seguire la Dieta mediterranea in maniera ottimale, non avrà gli stessi vantaggi di una persona che segue la stessa dieta ma dispone di un reddito maggiore».
Tutto fa pensare che anche il cibo si sia messo a far discriminazione sociale, mentre molto semplicemente, piove sul bagnato.
Dallo studio emerge che a far la differenza, siano la scelta degli alimenti e i metodi di cottura, quindi «A parità di consumo dei prodotti tipici della Dieta Mediterranea, l’alimentazione delle persone con alto reddito e un livello di istruzione maggiore – conferma il capo del laboratorio Licia Iacoviello – risultava più ricca di antiossidanti e polifenoli, oltre a presentare una maggiore diversità in termini di frutta e verdura consumate».
Differenze evidenziate anche da un maggior consumo di prodotti integrali, frutta secca e pesce a scapito della carne, abitudini che come spiega ancora la Dr.ssa Iacoviello, inducono «A credere che sia la diversa qualità dei prodotti della Dieta mediterranea consumati a fare la differenza e non solo la loro quantità o frequenza di consumo».
Secondo il direttore del Dipartimento, Giovanni de Gaetano, «I più deboli dal punto di vista socio-economico consumano prodotti teoricamente ottimali ma di fatto con minori qualità salutistiche. Non basta più dire che la Dieta Mediterranea fa bene, se non garantiamo che faccia bene a tutti».
Qualità migliore significa costo maggiore, come probabilmente una miglior istruzione aiuta ad aver un consapevolezza maggiore, ma certo è che se le tasche sono vuote, la rinuncia è più forte della scelta e della conoscenza.
Una Dieta Mediterranea che a fronte degli ormai consolidati vantaggi, sembra sia lentamente abbandonata e la questione fu presa in considerazione già nel 2015, proprio dalla Dott.ssa Marialaura Bonaccio, al tempo premiata dalla Fondazione Umberto Veronesi per il progetto di ricerca “Effetti della crisi economica sull’adesione alla Dieta Mediterranea“.
Uno studio che sviluppandosi nell’ambito del Progetto Moli-Sani, è volto ad analizzare l’impatto della crisi sulle scelte alimentari della popolazione, in quanto negli ultimi anni si è registrato un forte calo nel consumo di pesce, frutta e olio di oliva.
Una situazione che spinge a credere come la Mediterranea, storicamente la dieta dei “poveri”, si sia trasformata in un regime alimentare che solo le classi abbienti possono permettersi e se così fosse, è ovvio che un intervento si rende necessario, perché anche le classi più deboli possano avvalersi dei benefici di certi alimenti.
La Dieta Mediterranea difatti, risulta essere un valido aiuto per il benessere del cervello, come sostenuto dall’American Academy of Neurology, ma anche per prevenire alcune forme tumorali e, secondo gli esperti della Harvard University, riduce il rischio di diabete di tipo 2 del 34%.
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