Kris Kuksi, il surrealismo dell’Assemblage Art
Kris Kuksi è uno dei maggiori esponenti dell’Assemblage Art, creatore di enigmatici e surreali universi dalle sfumature inquietanti e drammatiche che riflettono sull’esperienza umana nel continuo alternarsi di «ascese e abissali cadute» che ne hanno scandito la storia. Attratto dal mondo classico, da filosofi come Pitagora, Erodoto, Aristotele e da maestri quali Bernini, Bosch e Bruegel, nelle sue opere fluiscono barocco, Rococò, l’intreccio di natura, design industriale e mitologia. Una fusione d’idee e visioni dalla quale scaturiscono intensi e complessi diorami irrorati di ironia, maniacalmente dettagliati ed eseguiti con materiali di ogni genere, elementi strappanti da ciò che sono per essere nuovamente concepiti.
Il surrealismo non morirà mai. Fa parte della mente umana immergersi in pensieri e visioni surreali.
Sulle note di Eros e Thanatos, Kuksi fa materia della polarità fra luce e tenebra, si tuffa nell’inconscio, affronta i timori e la fragilità della coscienza davanti alla morte; raffigura la violenza a cui adattarsi per raggiungerne una comprensione più profonda; interpreta l’avidità e il materialismo come le due forze trainanti della società moderna. Descrivendosi spirituale, ma distante da ogni credo, osserva le contraddizioni delle religioni ponendo fede e guerra l’una di fronte all’altra e così nascono composizioni come The Recreation, con cui riscrive il capolavoro michelangiolesco Creazione di Adamo, rappresentando quest’ultimo nei panni di un soldato e il conflitto torna con la serie Church Tanks, carri armati le cui torrette hanno lasciato il posto a belligeranti chiese.
Nato il 2 marzo 1973 a Springfield, nel Missouri, Kris Kuksi è cresciuto nei territori rurali del Kansas, a nord di Wichita, luoghi sperduti dove trascorre un’infanzia solitaria e sofferta: all’affetto di una nonna materna che ne accende la fantasia e di una madre impegnata a mandare avanti la famiglia, corrispondono una condizione economica sfavorevole, un patrigno con problemi di alcol a colmare l’assenza di un padre naturale andatosene poco dopo la sua nascita e infine, due fratelli maggiori che l’elevata differenza di età, oltre 10 anni, non gli consente di avvertire vicini.
Ben presto, l’immaginazione si trasformò in fuga e introverso rifugio a chiunque precluso, lasciando che i contatti con l’esterno fossero limitati alla scuola e all’uscita domenicale per recarsi in chiesa insieme ai genitori. Su quell’isola cominciò il suo viaggio introspettivo, a prendere contatto con il significato della morte, a sviluppare il sentimento che lo porterà ad affermare di sentirsi parte del Vecchio Mondo, in reazione a una civiltà moderna considerata «corrotta e avvilita». Così come principiò a fiorire una fervida inventiva e un cristallino talento per il disegno, propensione per la quale, nel periodo liceale ricevette dall’insegnate d’arte il primo attestato di stima e l’incoraggiamento a proseguire nella formazione.
Forte della spinta, Kuksi si trasferì a Ellis County e frequentò la storica Fort Hays State University, ottenne il diploma di laurea nel 1998, per poi conquistare il Master of Fine Arts quattro anni più tardi. Ma nel periodo compreso tra il 2001 e il 2005, fece anche molti viaggi in Europa seguendo laboratori tenuti da Philip Jacobson e Robert Venosa in Germania, Austria, Spagna, Italia, dove inoltre completò un seminario di pittura presso la Santa Reparata International School di Firenze. Tuttavia, l’evoluzione espressiva stava lentamente virando verso quell’Assemblage Art che timidamente si era palesata con una prima composizione a metà degli anni ’90: «All’inizio, è stato difficile accettare il fatto di essere uno scultore e non un pittore […] E’ stata una sorta di rivelazione».
Kris Kuksi colse l’eredità del bambino che per fare dell’immagine realtà, prendeva e metteva insieme costruzioni Lego con quello che offriva la campagna e su di lei, iniziò a concentrarsi dando vita a sculture composte con scarti di legno, metallo, paste modellabili, pietre, resine e ancora monili, vecchi giocattoli, pezzi d’antiquariato e di collezionismo. Oggetti e materiali che l’artista poi incide, taglia, fonde, plasma, assembla e infine dipinge conferendo alle opere un aspetto a volte simile alla pietra, altre al metallo e al marmo. Un meticoloso lavoro di centinaia di ore ch’è altresì metafora della speranza di un mondo capace di risollevarsi dalle proprie rovine, raccogliere quindi i pezzi e dar loro un differente significato per intraprendere un rinnovato cammino.
Il mio lavoro ha a che fare con il lato oscuro della psicologia umana.
Opere che si manifestano come apparizioni oniriche e Kuksi le ferma disegnandole grossolanamente per poi concretizzarle lasciandosi trasportare dall’ispirazione, sistemando ogni parte affinché l’insieme raggiunga «fluidità ed equilibrio visivo».
Quell’anno realizzò Mouth of Hades e Parasite and Host, nel 2005 The Anatomy of War e nel 2006 videro la luce Palace of Hedonism, Mary Militia e House of Fascism nel 2006.
Stava aprendosi un nuovo percorso artistico, per cui iniziò a sottoporre i lavori alla valutazione dei critici partecipando a concorsi e il consenso non tardò ad arrivare. La prima commissione giunse nel 2008,a suscitare interessata la monumentale Imminent Utopia, una scultura alta circa 2 metri per una larghezza superiore ai 3 metri; a farne richiesta Mark Parker, l’amministratore delegato della Nike.
Da allora le creazioni di Kuksi sono finite in centinaia di gallerie in tutto il mondo, oltre ad essere presenti in numerose collezioni private e tra gli estimatori, oltre al sopracitato AD, figurano i registi Guillermo del Toro e Chris Weitz, il cofondatore di Napster, Sean Parker, i produttori discografici Swizz Beatz e Steve Aoki, Alicia Keys, il musicista dei Limp Bizkit, Fred Durst e un tempo, ad apprezzarne l’arte c’era anche il compianto Robin Williams.
Nel 2014 Kris Kuksi lasciò Hays per stabilirsi nella città di Lawrence — dove tutt’ora vive insieme alla moglie Gwyn, dalla quale ha avuto i figli Isaac e Owen — adibendo a studio e personale galleria una vecchia officina meccanica e, «gioia e orgoglio», quella che un tempo fu sede della chiesa metodista episcopale, una struttura del 1897 costruita dalla comunità afroamericana come simbolo di lotta per i diritti civili e abolizione della schiavitù.
L’arte è un mezzo di comunicazione. Un segno esteriore di verità interiori
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