Rayen Kvyeh: voce e poesia per i diritti umani
«Un bosco di tenerezza s’annida nel mio ventre, dando vita a un embrione ribelle». Sono versi di “Luna de cenizas”, composti dalla poetessa e drammaturga Rayen Kvyeh, voce indomita del popolo Mapuche, gli “uomini della terra”.
Il presidente del Cile Michelle Bachelet, solo pochi mesi fa, durante un discorso tenuto nella capitale Santiago, ha sentito il dovere di chiedere «solennemente e umilmente perdono al popolo Mapuche, per gli errori ed orrori che lo Stato ha commesso o tollerato nei suoi rapporti con loro o con le loro comunità», promettendo che gli verrano riconosciuti quei diritti fin ora negati.
Stanziati nella regione più povera del Paese, i Mapuche sono un gruppo etnico da sempre vittima di politiche di segregazione, persecuzioni, espropriazioni, luoghi sacri sono stati concessi all’industria con conseguenti deforestazioni, contaminazioni delle acque provocate dalle discariche ed a beneficiarne anche le italiane Benetton e Enel. E’ stata negata loro anche la propria lingua, il mapudungún, “il parlare della terra”.
Madre terra, madre terra
con il tuo ventre ondulato
generi ogni notte e ogni giorno
diversi semi millenari,
appaiono fiumi
e si formano cascate vorticose
mucchi di stelle luminose
sbocciano
numerose radici millenarie.
Madre terra, madre terra
le tue viscere mapuche generano
in movimento continuo
di tramonti e di albe.
In pianure e montagne
tronco sacro, araucaria e canelo
innalzano il loro giovane
il loro toqui eretto
solo per proteggerti e liberarti
accarezzarti e amarti
madre terra.
Nella natura e nel legame con essa è la resilienza dei Mapuche, e così è per la poesia di Rayen Kvyeh, canto e potente strumento di lotta contro la metodica discriminazione culturale, sociale ed economica esercitata dallo Stato, un’oppressione volta alla criminalizzazione e corroborata dalla Ley Antiterrorista, legge introdotta da Pinochet nel 1984 per annientare i gruppi sovversivi e successivamente, utilizzata sistematicamente nei confronti dei Mapuche.
«Se difendere la propria terra significa essere una terrorista, allora sono una terrorista», questo è ciò che anima Rayen Kvyeh e la sua poesia, senza alcuna diretta correlazione, è l’essenza di quanto riportato nella postfazione della raccolta “In Protest: 150 poesie per i diritti umani“, dove l’editrice e filantropa Sigrid Rausing, scrive: «La poesia apporta alla vita minuscoli dettagli, e in un mondo dove si conoscono i diritti umani soprattutto attraverso il sentito dire e le astrazioni, dove la vita reale e i dettagli reali sono perduti, la poesia può davvero farci vedere e sentire».
Nata ad Huequén, che in lingua mapudungún significa profeticamente “fiamma e tigre“, al pari di autori come María Teresa Panchillo o Elicura Chihuailaf, Rayen Kvyeh ha usato la poesia come Valdivia e Lautaro, come mezzo per rafforzare la memoria storica, il diritto ad “essere”, attestare la cultura e la resistenza del popolo Mapuche, portando inevitabilmente all’attenzione anche temi quali la salvaguardia dell’ambiente.
Già a fine anni ‘70, Attraverso poemi e opere teatrali, Kvyeh si scagliò già contro quel Regime di Pinochet che per questo l’arrestò e torturò più volte, finché non si vedrà costretta all’esilio forzato fuggendo dapprima in Nicaragua, poi in Germania ed infine in Austria, facendo ritorno in patria solo un decennio più tardi.
Valdivia e Lautaro
Uno di fronte all’altro
Europa – Indoamerica
Impero – popolo
Dominio – libertà
Oro – radice
Palazzo – tronco sacro
Morte – vita
Don Pedro de Valdivia
Capitano dell’esercito imperiale di Carlo V
Splendido
Nella sua armatura
Di argento e d’oro.
Lautaro
Figlio di questa terra.
Valdivia, grande condottiero
Vincitore nelle Fiandre
E in America
La sua spada affilata conosce
Il trionfo del suo impero.
Lautaro…
Ha la grande forza
La forza del sapere,
Valdivia guarda con odio
Senza capire
Il servo, il “paggio”
Educato
Evangelizzato
Istruito come amico
Per difendere
La corona di Spagna
Lo sfida
In una battaglia corpo a corpo.
È in pericolo
La sua vita
È in pericolo
Il suo regno
È in pericolo
Il suo impero.
Valdivia
Si accorge
Che il suo discorso
Di dominazione
Non è riuscito
A rendere schiavi
I mapuche.
Con tutte le sue forze prepara
La sua battaglia
E la difesa della fede
E del potere.
In questo tramonto
Indimenticabile,
Le stelle
Si uniscono
Per baciare
La nostra terra.
Lautaro e Valdivia
Combattono
Ripetutamente
Fino alla morte.
Come una bella canzone sorge
Un arcobaleno
Accarezza la terra
Stendono le ali
I werken e cantano
Un dolce canto
Di libertà.
«La poesia rappresenta uno strumento per la salvaguardia dei diritti dei Mapuche in un paese dove non esiste alcun diritto», afferma Rayen Kvyeh, cosicché la poesia diventa denuncia e cronaca di un pensiero e una visione del mondo, costantemente negata da ogni governo che in Cile si è succeduto, ignorando diritti e la richiesta di autonomia e autodeterminazione anche legittimate da un’eredità storica.
Il caso è chiuso
Sulle trecce nere
di Patricia Troncoso
si arrampica il silenzio
delle voci ancestrali.
Rompono il silenzio
le voci dei venti.
Lemun, Catrileo, Epul
insorgono
nelle quattro forze della terra.
Matías Catrileo cade
baciando la terra.
Le voci dei venti
rompono il silenzio.
I suoi occhi si chiudono
illuminando
i sentieri ampi e stretti
della NAZIONE MAPUCHE.
Le voci ancestrali
rompono il silenzio.
Matías Catrileo cammina
per le quattro forze della terra
Balla la Morte
Balla la morte
sulla tavola
dei potenti commensali.
Applaudono e tacciono,
tacciono e applaudono
sotto l’ombra complice
delle leggi bianche.
Si rompe il silenzio
sulle sbarre-muri.
Lo sciopero della fame
cavalca per le vene
dei prigionieri politici mapuche.
Sulle trecce nere
di Patricia Troncoso
si arrampica il silenzio
delle voci ancestrali.
Balla la morte
sugli alberi di natale
di neve artificiale
e luci colorate.
Si rompe il silenzio.
Lo sciopero della fame
cavalca i sentieri
solidali
attraversando frontiere
rompendo barriere.
Ruggisce il Llaima.
Rompe il silenzio.
Vomita fuoco.
Il rosso ruggito
della lava ardente
travolge le montagne.
Balla la morte
sulla bilancia della giustizia
dei potenti commensali.
Ballano le leggi.
Anno nuovo.
Nuove armi.
Mano dura – mano bianca.
Terrorista – mente bianca.
Moneta dura – plusvalore bianco.
Balla la morte.
Ballano le leggi.
con champagne e vino.
Si rompe il silenzio.
Lo sciopero della fame
cavalca i sentieri usurpati
del territorio mapuche.
Balla la morte
sulla scrivania
dei potenti commensali.
Ballano le armi.
La pallottola assassina
punta alla schiena.
Matías Catrileo assassinato.
Balla la morte
sulla tavola
dei potenti commensali.
I terroristi ballano
la cueca finale.
Ballano le leggi
cantando l’inno nazionale.
Poesia malinconica e di liberazione d’un popolo «indomabile, da miriadi di stelle protetto» scrive in un suo canto Rayen Kvyeh, che nel 1991 dirige “Mapu Ñuke” , rivista con la quale affronta temi politici dando voce ad artisti, scrittori e intellettuali, mentre un anno prima, è fondatrice della “Mapu Ñuke Kimce Wejiñ“, progetto nato per promuovere l’insegnamento della lingua mapudungún, motivo per cui solo tre anni dopo, viene dichiarata illegale dalle autorità cilene.
Militante, ribelle ed intellettuale, Rayen Kvyeh è autrice di poesie, saggi, opere teatrali, libri di narrativa tradotti inglese, olandese, francese, tedesco, italiano, un’attività tanto intensa quanto impregnata da un profondo senso di libertà e giustizia, negli anni consacrata da numerosi premi letterari e menzioni speciali in concorsi e festival di tutto il mondo, più volte in Italia, dove anche recentemente ha portato la sua testimonianza, quella di una donna libera e voce dei diritti umani.
«La mia cella è anche la cella di migliaia di suoi fratelli che sono imprigionati dalla voracità dell’invasore»
Poesie tradotte da Antonio Melis
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