Jabuticaba, il curioso albero dell’uva brasiliano
Originario del Brasile, in particolare della foresta atlantica, lo Jabuticaba è la pianta i cui frutti, conferendole aspetto straordinariamente bizzarro, per versatilità sono dalle popolazioni da secoli utilizzati, oltre che in ambito alimentare, a fini curativi.
Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata.
Albert Einstein
Lo Jabuticaba, anche detto albero dell’uva brasiliano, rientra nella famiglia delle Myrtaceae, ossia piante legnose, sempreverdi, provviste di oli essenziali e dicotiledoni, quindi il cui seme possiede due foglie embrionali, dette appunto cotiledoni.
Il genere di riferimento è il Plinia, racchiudente alberi da fiore descritti per la prima volta nel 1753, dal tassonimista, naturalista, zoologo, botanico, accademico e medico svedese Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), mentre la specifica specie, popolarmente nominata Jabuticaba, risponde al nome scientifico di Plinia cauliflora.
L’etimologia del nome comune è alquanto stravagante, derivando infatti dall’unione dei due termini “jabuti”, che nel linguaggio dei Tupi, gruppo etnico indigeno del Brasile, significa “tartaruga”, e “caba”, la cui traduzione è “luogo”, nell’insieme dei due vocaboli originandosi la locuzione interpretativa: “Luogo dove vivono le tartarughe”, non a caso il vocabolo è altrettanto utilizzato a livello generale per indicare qualsiasi cosa provenga da territori brasiliani.
La nomenclatura binomiale porta in sé appassionate vicissitudini di vari scienziati, a partir dall’antropologo, botanico e zoologo tedesco Carl Friedrich Philipp von Martius (1794-1868) il quale, al suo ventinovesimo anno d’età, calcava terra del Brasile, nel corso d’una fra le più imponenti spedizioni del XIX secolo, durante la quale vennero identificate e catalogate numerose specie, animali e vegetali, tra le quali, appunto, la Jacuticaba, inizialmente dallo stesso appellata Myrtus cauliflora, definizione che, solamente un bienno dopo, nel 1825 venne variata in Eugenia cauliflora, ad opera del botanico e micologo svizzero Augustin Pyrame de Candolle (1778-1841), per inclusione della pianta nel genere Eugenia.
Prima della conclusione dell’articolato percorso nominale, ulteriore genere, Myrciaria, venne ad annoverarsi per mano, nel 1857, del farmacista e botanico tedesco Otto Karl Berg (1815-1866), scientificamente ideando definitiva nomenclatura binomiale, quasi un secolo dopo, l’odontoiatrico e botanico cileno Eberhard Max Leopold Kausel (1910-1972), tassonomista esperto di Myrtaceae, delle quali individuò e diede nome a ben 297 specie, nel 1956, inoltre inserendo la pianta nei suoi attuali genere e specie, verosimilmente il lemma Plinia pensato in omaggio alla celebre Naturalis historia, trattato naturalistico, strutturato sotto forme d’enciclopedia, redatto in lingua latina dal naturalista, filosofo, scrittore, comandante militare e governatore provinciale romano Gaius Plinius Secundus (23 d.C. -79 d.C.), storicamente noto come Plinio il Vecchio e conservato nella Biblioteca nazionale Marciana di Venezia.
A custodire invece il rilevante erbario di Kausel, sono le mura del Finnish Museum of Natural History, situato a Helsinki, in Finlandia.
Jabuticaba: caratteristiche e proprietà del frutto
L’esotica pianta, endemica della parte meridionale del Brasile, degna della sua presenza anche territori argentini, boliviani e paraguayani, radicando in superfici preferibilmente ricche di sostanze nutritive, umide e lievemente acide, nonostante tutto altresì ben adattandosi a differenti condizioni, come ad esempio suoli alcalini e sabbiosi, purché non sia esposta a temperature inferiori ai 20° e venga accudita, irrigata secondo necessità, solitamente elevandosi, con tempi molto lunghi, ad un altezza che può arrivare fino ad una decina di metri, in alcuni casi anche oltre, qualora lasciata crescere naturalmente, con immensa chioma, fitta e arrotondata, il cui diametro si può estendere fino ad una quindicina di metri, estendendosi nella parte superiore dei grossi e robusti rami — dalla corteccia sottile e facilmente sfaldabile, beige-rossastra — che, il più delle volte, crescono a partir dal terreno, avendo l’albero morfologia quasi arbustiva, molto raramente sviluppandosi su un unico tronco.
In fase giovanile il fogliame, sempreverde, dall’aroma che richiama quello del mirto e di forma da lanceolata a ellittica, è pennellato d’una sfumatura arancio-rosata, simile a quella caratteristica del salmone, poi, di pari passo con la crescita, assumendo la classica colorazione verde scuro e brillante, ma è il tronco a divenire giaciglio dei candidi o giallognoli fiori, con una sessantina di stami allungati e quattro lanosi petali ciascuno dai quali sbocciano frutti che allo stesso s’avvinghiano come piccoli pargoli al loro petto del loro padre, da qui il termine “cauliflora”, in botanica riferito a esemplari che producono frutti direttamente sul fusto o comunque sui rami più vecchi, quindi da steli principali anziché da nuove crescite; fioritura e fruttificazione di tal modalità, sono favorevoli all’impollinazione che, in aggiunta alla misericordiosa opera dei venti, avviene grazie al trasporto dei semi tramite l’arrampicamento degli animali, i cui arti fungono da naturali vettori nell’ambiente.
In habitat naturale la pianta fiorisce solitamente un paio di volte l’anno, sebbene abbondanti irrigazioni possano accrescerne lo sbocciare, con derivata possibilità d’avere a disposizione frutti, durante l’intera annata, come peraltro avviene facilmente in zone a clima subtropicale.
Questi ultimi, il cui diametro varia da uno a quattro centimetri circa, sono tondeggianti, a volte ovoidali, dapprima verdastri, poi tendenti al viola scuro, con una scorza compatta la cui polpa, bianca o tendente al rosa, è molto densa, succulenta, semilucida e gelatinosa, dal sapore dolciastro, al cui interno sono contenuti fino a quattro semi, la cui conformazione dipende dalla specie; sia fiori che frutti ricoprono quasi totalmente la pianta, fino a terra, deliziando la vista di uno spettacolo degno d’essere visionato e marchiato sulla memoria, come testimonianza delle bellezza dell’intero creato, silenziosamente urlante armoniosa meraviglia nell’incalcolabile varietà di specie floreali che la natura è stata in grado di concretizzare, germogliando l’inestimabile valore delle differenze in assoluta sintonia.
La tonalità violacea e la peculiare disposizione dei frutti ricorda vagamente la vite, ragione per la quale aggiuntivo soprannome dello Jabuticaba è albero dell’uva, alla quale s’avvicina anche come sapore.
La buccia, essendo molto dura, non si consuma direttamente, inoltre considerando l’elevata presenza di tannini, sostanze chimiche, della famiglia dei polifenoli, presenti negli estratti vegetali, se ne consiglia moderato consumo, ottimale sotto forma di decotto che porti a giovarsi della sua azione antibatterica, antinfiammatoria, astringente e antidiarroica, oltre che apportare benefici qualora utilizzato per gargarismi in caso di tonsilliti, infezioni alle vie respiratorie e stati asmatici, stimolando l’apertura delle vie bronchiali, in più il suo generale effetto antiflogistico divenendo panacea in caso di dolori artrosici o malattie similari susseguenti a infiammazioni.
Il frutto è solitamente mangiato fresco, anche spremendolo direttamente in bocca e solitamente è facile trovarlo in mercati brasiliani o direttamente nelle zone di coltivazione, per modo da poterlo utilizzare in tempi brevissimi, data la sua attività di fermentazione che può avere inizio fin dal terzo o dal quarto giorno successivo al raccolto, connotato che lo rende poco idoneo alla grande distribuzione, viceversa risultando ideale ingrediente per bevande alcoliche quali vini, liquori, distillati o cocktails alternativi, come ad esempio, in sostituzione al lime nella classica Caipirinha, oppure preparandone sciroppi, dissetanti succhi o bevande analcoliche, prestandosi il suo dolce sapore, dalle note lievemente acidule in retrogusto, a miscelarsi con più frutti, quali, secondo personale piacere, cocco, more, ananas, mirtilli, anguria, mela, cassis e altri, con peculiari ricette da ricreare secondo gusto e fantasia, aromatizzando, salvo che piaccia, con dello zenzero.
In ambito alimentare il frutto è ottimo ingrediente base per gelatine, prestandosi degnamente alla preparazione di crostate, cheescake, torte in genere, salse dolci o salate, gelati e marmellate, in quest’ultimo caso ben sposandosi con rabarbaro e fragole inoltre, ove la scelta ricada sulla preparazione di dolci, rivelandosi alimento ideale anche per persone intolleranti al glutine a al lattosio, avendo ovviamente cura d’acquistare ingredienti che ne siano privi, prima di cimentarsi in ricette varie.
Oltre alle proprietà succitate argomentando di decotti, lo Jabuticaba contiene numerosi antiossidanti, antiradicalici e disintossicanti, anzitutto del fegato, derivanti dal contenuto di antociani, pigmenti colorati idrosolubili che si trovano in svariati fiori e frutti, appartenenti alla famiglia dei flavonoidi e contrastanti la ritenzione idrica, la fragilità capillare e la formazione di edemi; la nuances degli antociani, il più importante gruppo di pigmenti vegetali, muta dal rosso al blu, a seconda del pH e della specie in cui risiedono e per la loro capacità di reazione nei confronti di ossidanti come i radicali liberi e ossigeno molecolare, risultano validi alleati in campo medico.
Antociani e polifenoli, fungendo da regolatori lipidici, tendono ad abbassare i livelli di colesterolo cattivo (LDL), aumentando quelli di colesterolo buono (HDL), di conseguenza prevenendo l’insorgenza di patologie cardiovascolari.
Elevato è contenuto di fibre, utili nel mantenere in equilibrio l’apparato intestinale, donare la sazietà tanto desiderata in regimi dietetici ipocalorici, ridurre la velocità d’assorbimento degli zuccheri, condizione essenziale ai diabetici, diminuire la colesterolemia e di conseguenza rivelarsi preziose alleate dell’intero sistema cardio-circolatorio.
La presenza di vitamine, in particolare C e B1 (Tiamina), minerali e proteine lo rende energetico di tutto rispetto, tanto quanto calcio, potassio e magnesio a lui propri ne fanno un ottimale rafforzatore di ossa e denti, in aggiunta ai benefici apportati durante la gravidanza grazie a ferro e acido folico; anche la vitamina B3 (Niacina) appare in discreta presenza, spronanti il metabolismo di grassi, carboidrati e proteine, quindi digestivi, protettivi sulle cellule cerebrali e sulla memoria.
Anche la bellezza trae vantaggio dalle proprietà elencate della prodigiosa pianta, in terra d’origine trovandosi molteplici preparati per differenti scopi quali una pelle dall’aspetto più idratato, giovane e sano, per effetto degli antiossidanti, e maggiormente elastica grazie allo stimolo sulla produzione del collagene che il frutto sembrerebbe stimolare, grazie alla vitamina B3, contrastando anche leggeri disturbi acneici; preparati appositi sembrerebbero avviare un’azione preventiva sulla caduta dei capelli, contemporaneamente mantenendone corpo e lucentezza.
Recentemente è stato isolato un composto, presente solo nello Jaboticaba e di conseguenza oggetto d’attenti e zelanti analisi, in quanto sembrerebbe possedere effetti preventivi sulle patologie oncologiche.
Un recente studio i cui risultati sono apparsi nell’aprile del 2018 sul National Library of Medicine (NLM), la più vasta biblioteca biomedica a livello mondiale, s’è svolto con l’obiettivo di creare nanoemulsioni al cui interno fosse contenuto estratto di Jabuticaba, con fini d’applicazioni in ambito cosmetico e farmaceutico.
Attraverso un metodo di preparazione basato sull’omogeneizzazione ad alta pressione, con uso di componenti, fra estratto, olio e tensioattivo, a diversa concentrazione, l’esperimento è stato portato a termine analizzando più variabili e, oltre a dimostrare una stabilità delle nanoemulsioni di 120 giorni a temperatura ambiente, ne ha confermato la significativa azione antiossidante su determinati radicali liberi, confidando nelle potenzialità di un frutto che, empaticamente cresciuto in una legnosa dimora dall’estrosa corporatura, dentro di sé preserva la quintessenza della perfezione, in arboreo manifestarsi.
In natura niente è perfetto e tutto è perfetto. Gli alberi possono essere contorti, incurvati in modo bizzarri, ma risultare comunque bellissimi.
Alice Walker
La coltivazione
Nel paese natio lo Jabuticaba viene coltivato da secoli e malgrado la sua adattabilità anche in habitat al di fuori del proprio, la coltivazione dello stesso prevede parecchi accorgimenti, in primo luogo l’assicurargli la necessaria irrigazione, evitando deleteri ristagni tramite pacciamatura (copertura del terreno con materiale di vario genere, deputato al mantenimento dell’umidità in contemporanea salvaguardia dall’erosione) qualora a livello naturale non fosse prevista, tenendo comunque conto che al di fuori dell’emisfero australe, la commercializzazione su larga scala, al di là delle condizioni climatiche, è ardua impresa, tanto per la brevissima durata dei frutti, già accennata, quanto per la lentissima crescita della pianta, la quale, su innesto, fruttifica dopo circa un quinquennio, arco temporale che può raddoppiarsi o addirittura quadruplicarsi in caso di semina.
Il lento incedere dei suoi tronchi verso i cieli si presta, con tutto ciò, ad apprezzare il vegetale nelle sue dimensioni bonsai, prevalendo in questo caso l’aspetto ornamentale su quello di coltura.
Per chi si volesse comunque cimentare nell’avventura, risulta innanzitutto essenziale scegliere con accortezza la specie che meglio resista alle temperature dell’emisfero boreale, in seguito radicando il vegetale in terreni che vengano ben integrati a livello organico, con un pH possibilmente compreso fra 5.5 e 6.5, una percentuale d’argilla non superiore al 30% e una concimazione annuale, considerando che anche l’opzione in vaso può essere considerata come scelta iniziale, essendo che la struttura fortemente coesa e fibrosa dell’albero lo rende adatto sia all’invasatura che a successivo trapianto.
Al fine della sementa va non va dimenticato che i semi, di Jacuticaba, poliembrionali, quindi potenzialmente originanti più piante ciascuno, sono recalcitranti, perdendo dunque la loro capacità germinativa nel giro d’una decina di giorni e avvenendo la germinazione dopo circa uno o due mesi; per la maggiore viene prediletto l’innesto in quanto, da seme, i primi frutti faranno capolino fra i dieci i vent’anni, ampiamente scoraggiando la più lauta pazienza e potendo scegliere di rivolgersi a vivai per l’acquisto di alberi già innestati, provvedendo personalmente a futuri trapianti, da effettuarsi verso la conclusione del periodo invernale, avendo cura di mantenere adeguata distanza, all’incirca d’una decina di metri, fra una pianta e l’altra.
La posizione ideale prevede abbondanti soleggiate alternate a brevi momenti d’ombra, l’albero tollerando abbastanza il vento, ma non l’aria salmastra marina, condizione da tenere da conto nel caso di giovani pianticelle, che vanno premurosamente ed adeguatamente protette e per quanto concerne la fertilizzazione, velocizzante sulla crescita e provvidenziale sul benessere generale, andrebbe effettuata almeno tre volte in un anno.
Doverosa, per una salutare crescita, è la tutela nei confronti di piccoli predatori, mammiferi o insetti, funghi, malattie e ruggini, oltre all’ovvia rimozione di rami secchi e allo sfoltimento dei frutti, non necessitando lo Jacuticaba di regolari potature, viceversa lasciandone le frasche libere di volteggiare nell’aria, baciate dal sole, fonte d’energia per lo stesso vitale.
Nell’emisfero settentrionale, a differenza di quello meridionale dove la raccolta avviene più volte nell’arco dell’anno, è la stagione estiva il periodo migliore in cui raccogliere i tanto attesi frutti violacei, partendo dal cogliere quelli più scuri e morbidi e tenendo presente il breve tempo a disposizione per consumarli, questo il motivo principale per cui, in Brasile, viene venduto in fiere poco distanti dalle piantagioni, per garantire freschezza nell’intervallo dei quattro fatidici giorni concessi.
Attualmente, anche in terra natia e nella zone di maggiore produzione, ossia nello stato di Minas Gerais, più precisamente nei dintorni della città di Sabarà, il frutto ha subito variazioni di prezzo, divenendo maggiormente costoso a causa della riduzione della disponibilità, causata dagli allevamenti bovini estensivi e dai continui disboscamenti, relegandone la presenza solo in alcuni minuscoli mercati locali.
Il frutto, secondo antiche credenze popolari, è simbolicamente legato all’amore, infatti, il rumore conseguente allo staccarli dal tronco, richiama il suono prodotto dalla bocca nello schiocco di un bacio, inoltre l’albero di Jabuticaba è considerato di buon auspicio per l’intero nucleo familiare, quando posto all’interno dei giardini.
Da sempre alle piante è intrinseco un significato simbolico a loro attribuito da svariati popoli, trasversalmente ad ogni era e luogo, divenendo le stesse protagoniste di rituali, celebrazioni, incantesimi o personificazioni di divinità, dunque rivestendo significativo ruolo a livello religioso, spirituale, esoterico, allegoricamente collegando il terreno al celeste ed effondendo sul pianeta conoscenze diffuse da filosofi, alchimisti, sciamani o taumaturghi, costantemente al centro anche delle più semplice quotidianità, alla quale legarsi in segno di buona sorte o protezione, ad oggi lasciando in eredità ad ogni essere umano che voglia entrarne in contatto, la possibilità di carpire individuale ed intima lezione da ogni esemplare di flora che si riveli ai suoi occhi.
L’albero di Jabuticaba s’apre alla vista in una maestosa e incantevole bellezza, donando completamente il suo corpo alla nascente vita dei suoi frutti, con assoluta calma elevando le proprie altezze e con vegetale genitorialità ponendosi in dolce attesa del loro germinare, completamente immune alle pressioni del tempo e all’umanità elargendosi in uno degli insegnamenti più preziosi, quello del saper aspettare nel tentativo di recuperare la sacra consapevolezza, spesso scomparsa fra i ritmi della modernità, del lento procedere, per giungere a traguardi tanto agognati e con sentimento gustare la meta con tanta passione raggiunta, senza impellenza alcuna, ma con piacevole indugio palpitante su ogni cuore.
È nel cuore dell’uomo che la vita dello spettacolo della natura esiste; per riuscire a vederlo, bisogna sentirlo.
Jean-Jacques-Rousseau
Eu nunca te disse
Mas agora saiba
Nunca acaba, nunca
O nosso amor
Da cor do azeviche
Da jabuticaba
E da cor da luz do sol.
Eu te amo
Vou dizer que eu te amo
Sim, eu te amo
Minha flor.
Eu nunca te disse
Não tem onde caiba
Eu te amo
Sim, eu te amo
Serei pra sempre o teu cantor.
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