Triangolo, leggende e misteri all’interno di un poligono
Il Triangolo delle Bermude, chiuso fra Porto Rico, Florida e il gruppo di isole dell’Atlantico da cui trae il nome, è dagli anni ’50 al centro di numerose indagini risolte, non risolte, polemiche e racconti che lo vedono responsabile di più o meno misteriosi incidenti e inconsuete sparizioni. Ma sulla Terra, non è il solo poligono a 3 vertici all’interno del quale, nel corso del tempo, si sono verificati eventi che ne fatto hanno luoghi maledetti, episodi a volte che non hanno ricevuto risposta.
Il Triangolo dell’Alaska
Dai nativi Tlingit associata a spiriti demoniaci quali il Kushtanka, creatura multiforme che attrae gli esseri umani nelle foreste per condurli alla morte, il maledetto Triangolo dell’Alaska è la terra compresa fra Barrow, Anchorage e Juneau. Si ritiene che a partire dal 1988, nella regione siano sparite addirittura 16000 persone, ma uno degli incidenti più eclatanti avvenne già nel ’72, quando il Cessna 310 con a bordo Hale Boggs, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Louisiana, il deputato Nick Begich e il suo collaboratore Russell Brown, scomparve inspiegabilmente e né l’aereo, né i corpi dei 3 politici e del pilota Don Jonz furono mai rinvenuti.
Soltanto nel 2007 sono finiti nel nulla più di 2800 individui su una popolazione che ne conta circa 730 mila, ma secondo le autorità tali eventi non avrebbero a che vedere con fenomeni particolari, ma semplicemente con la natura selvaggia dell’Alaska. Secondo le teorie del biologo e scrittore Ivan Terence Sanderson, deceduto nel 1973, il Triangolo si troverebbe in un area sottoposta a uno di quelli che lui definì ‘vile vortices’, vortici energetici in prossimità dei quali possono avvenire anomalie elettromagnetiche che si ripercuotono tanto nella strumentazione di mezzi navali o aerei, quanto sull’uomo. Zone del Pianeta come il già citato Triangolo delle Bermude, l’Isola di Pasqua, Stonehenge, i megaliti in Algeria e un tratto dell’Oceano vicino al Giappone.
Il Mare del Diavolo
Si tratta del famigerato Mare del Diavolo, dal giapponese Ma No Umi (魔の海), altrimenti noto come Triangolo del Drago, termine legato all’antica tradizione popolare secondo cui le profondità marine erano popolate da tali fiabeschi animali, che per placare la fame trascinavano negli abissi interi bastimenti. Queste presunte demoniache acque si trovano nell’Oceano Pacifico, racchiuse fra l’isola nipponica di Honshū, il Territorio di Guam, nell’arcipelago delle Marianne e l’isola filippina di Luzon dov’è situata la capitale Manila.
Cominciarono ad avere eco internazionale a metà del XX secolo, dopo che il 4 gennaio 1955 furono improvvisamente perse le tracce di una nave che stava solcando le onde nelle vicinanze dell’isola vulcanica Mikurajima. All’indomani i quotidiani locali evocarono il Mare del Diavolo, come da mille anni era conosciuto, ma in realtà s’interruppe semplicemente il contatto radio e l’imbarcazione, fu ritrovata il 15 gennaio regolarmente ormeggiata in un porto. Dopo l’accaduto però, il giornale tokyota Yomiuri Shimbun, seguito poi dal New York Times, pubblicò una mappa che estendeva l’area segnalando dove negli ultimi anni, una decina di navi erano sparite apparentemente senza motivo, dato che anche le condizioni atmosferiche, in nessuna circostanza potevano aver avuto una qualche influenza.
Nel 1974, della vicenda se ne occupò anche lo scrittore e studioso del paranormale Charles Berlitz e stando alle sue indagini, fra il 1950 e il 1954, nel Triangolo del Drago si volatilizzarono nove imbarcazioni militari e i relativi equipaggi, circa 700 uomini. Un destino a cui sarebbe andato incontro anche il cargo di ricerca oceanografica Kaiyō Maru No.5, quando nel 1955, inviato dalle autorità giapponesi per far luce sulla scomparsa delle navi, non fece più ritorno portando con sé le 100 persone impegnate nelle ricerche, spingendo il governo a interrompere le indagini e dichiarare il tratto di mare come zona pericolosa. Nel 1989 tornò nuovamente sulla storia dando alle stampe il libro The Dragon’s Triangle, in cui asseriva che nei primi mesi del 1942, altre cinque unità della Forza Marittima impegnate in manovre nei pressi delle coste giapponesi, svanirono nel nulla.
Più tardi il Mare del Diavolo richiamò anche l’attenzione di Larry Kusche, scrittore americano che a metà degli anni ’70 dedicò pagine al più celebre Triangolo delle Bermude collocato all’altro capo del mondo e come al tempo si scontrò con le teorie di Berlitz, anche in questo caso contestò le sue conclusioni sostenendo che le navi sopracitate, per la maggior parte sarebbero stati piccoli pescherecci sprovvisti di radio e probabilmente colti da tempeste. Kusche affermò inoltre che la Kaiyō Maru, con a bordo non 100, ma 31 persone, venne colpita il 24 settembre 1953 da una potente esplosione mentre osservava le attività del Myōjin-shō, il vulcano sottomarino situato a circa 450 chilometri a sud di Tokyo.
I resti successivamente rinvenuti confermarono le responsabilità dell’eruzione, ma vero è che tanti altri incidenti sono andati a verificarsi nel corso del tempo, disgrazie di cui sono state vittime navi affondate senza lasciar detriti e altrettanti aerei, precipitati per inaspettati malfunzionamenti alla strumentazione. Anomalie e sciagure la cui causa, al di là di varie ipotesi prive d’inconfutabile riscontro, è ancora ignota.
Il mistero del Lago Michigan
Un altro triangolo dalla sinistra fama è quello del Lago Michigan, l’immenso specchio d’acqua che insieme all’Ontario, Erie, Huron e Superior, forma il complesso dei Grandi Laghi del Nord America. E’ l’unico a trovarsi interamente negli Stati Uniti e le sue coste toccano ben 4 Paesi: Illinois, Indiana Wisconsin e l’omonimo Michigan, coprendo quasi 1500 km, ma sono le profondità a custodire una serie di misteri iniziata nel lontano 1891, con la disavventura della scuna a tre alberi costruita da Joseph Hanson nel 1870. Ebbe come primo proprietario il capitano Harry C. Albrecht, ma sette anni dopo, fu acquistata dai facoltosi filantropi e soci fondatori di una fortunata azienda specializzata nella lavorazione e commercializzazione di legname: Charles Hackley e Thomas Hume. Battezzata con il nome di quest’ultimo, era utilizzata per trasportare il materiale dalla sede di Muskegon a Chicago, compito che svolgeva insieme ad altre barche della fabbrica, quindi spesso condividendo con loro il tragitto e così andò anche il 21 maggio 1891.

Quel giorno la Hume, dopo aver depositato il carico e voltato la prua verso la costa opposta, si vide affiancata dalla goletta Rouse Simmons e sebbene il cielo non lasciasse presagire sgarri al sole di primavera, il lago prese a incresparsi sotto il rapido formarsi di cumulonembi e in un istante, i due velieri si ritrovarono nel bel mezzo di una violenta tempesta. Trascorse ore resistendo alle furiose raffiche di vento che piegavano gli alberi sulle acque, il capitano della Simmons decise di arrendersi alla burrasca e far ritorno al molo chicagoano, mentre il suo parigrado Harry Albrightson, navigatore di lunga esperienza e certo della tenuta di una barca ampiamente modificata e rinforzata, non si lasciò intimorire e proseguì la traversata nel buio della burrasca.
La Thomas Hume non arrivò mai Muskegon e soltanto due giorni dopo, quando le condizioni atmosferiche permisero alla Rouse Simmons di rientrare, ci fu consapevolezza della scomparsa. I proprietari misero in allerta gli altri porti, incaricarono il capitano di lungo corso Seth Lee di perlustrare le coste, individuare eventuali relitti e offrirono anche una ricompensa di 300 dollari per chiunque avesse fornito informazioni. Tutto si rivelò vano e le acque non restituirono alcuna memoria dell’imbarcazione, né tantomeno i 6 uomini dell’equipaggio.
Illazioni e varie congetture si crearono attorno a quella fine rimasta sospesa per oltre un secolo dopo, finché nel 2010, una squadra si ricercatori subacquei trovò una barca adagiata sul fondale dalle caratteristiche del tutto simili a quella perduta, per cui, benché non esistono prove certe si ritiene possa trattarsi di lei.
E’ tutt’oggi inabissata, con l’ancora calata, piatti, coppe e terrine integre lasciate sul tavolo, quasi che il tempo si fosse d’incanto fermato e nessuna bufera travolse la Thomas Hume.
Herman Shuenemann e la Christmas Tree Ship
Quel 21 maggio la Rouse Simmons sopravvisse al triangolo del Lago Michigan, ma ne avrebbe conosciuto presto la furiosa vendetta. Giunto a Chicago a fine ‘800, Herman Shuenemann aveva costruito la sua fortuna commerciando essenzialmente alberi di Natale con tanto di luci, li vendeva a una cifra compresa fra 50 centesimi e 1 dollaro, mai mancando di farne dono alle famiglie più povere. Nel 1910 possedeva 240 acri di terreno per la lavorazione, ma data la brevità del periodo e l’elevato costo di produzione, il giro d’affari doveva essere esteso e incrementato, per cui si fece necessario per lui dotarsi di un’imbarcazione che gli permettesse di trasportare un più elevato numero di abeti.
Con i suoi 40 metri di lunghezza e una tonnellaggio netto di 195t, la goletta ne poteva ospitare fino a 5000 e così, dopo esser stata per un ventennio l’ammiraglia della Hackley & Hume, fu acquistata da Capitan Santa Claus, come tutti lo chiamano dopo tre decadi passati a portar il Natale nelle case e nelle strade di Chicago.

La fine della stagione autunnale, solitamente scandita dalla rabbia dei temporali, s’era mostrata mite e clemente verso coloro che dipendevano dalle acque e il 22 novembre, Shuenemann era dunque pronto a lasciare il porto di Thompson con un serbatoio colmo di buone speranze.
La neve, le temperature e la previsione del grigiore in cielo avevano convinto molti commercianti a lasciare ancorati i propri mezzi, per ciò sentiva quel giorno come un’occasione da non farsi sfuggire e senza dar troppa attenzione ai limiti di carico, trasformò la barca in una foresta galleggiante, tolse gli ormeggi e salpò con quella ch’era ormai nota come la Christmas Tree Ship.
Con i suoi uomini partì durante la notte, avrebbero impiegato circa una settimana per giungere a destinazione. Alle 14:50 del 23 novembre, la guardia costiera di Kewaunee fu avvertita circa una goletta in evidente difficoltà. L’impeto delle onde colpiva e sbatteva l’imbarcazione mentre il gelo ne soffocava sostegni, strappava le vele e quando da un molo nei pressi di Manitowoc fu lanciata in soccorso la nave a motore Toscarora, della vecchia Simmons e dell’intero equipaggio non v’era più traccia.
Chicago non ebbe il suo Natale e nei mesi successivi le acque cominciarono a restituire il ricordo, sulle rive giunse il portafoglio di Herman Shuenemann, alcuni abeti e una bottiglia con un messaggio: «Friday…everybody goodbye. I guess we are all through. During the night the small boat washed overboard. Leaking bad. Invald and Steve lost too. God help us.» Nel 1971, come la Thomas Hume fu ritrovata ancorata nei fondali, a più di 50 metri di profondità, con gli alberi che non videro il 25 dicembre ordinatamente impilati.
Un destino simile ebbe anche la Rosa Belle, anche lei impegnata a trasportare legname, il 30 ottobre 1921, salpò da High Island per attraccare a Benton Harbor, ma neanche 24 ore dopo venne trovata a 70 km al largo di Milwaukee. Era capovolta, con la sezione di poppa distrutta, la cabina divelta e gli 11 uomini del personale di bordo presi dalle acque. Le condizioni fecero pensare a una collisione, tuttavia, nell’intera regione non furono segnalati incidenti, avvistati vascelli danneggiati e neppure segnalati altri naufragi.
Il capitano George Donner
Nel 1937 fu invece la scomparsa del capitano George Donner a rimaner senza risposta. Alle 22:15 del 28 aprile, dopo una lunga ed estenuante traversata fra i blocchi di ghiaccio che fluttuavano sulla superficie del lago, Donner affidò ai suoi uomini il comando del mercantile O.M. McFarland e si ritirò in cabina per riposare qualche ora. Lasciò detto di voler essere avvisato in prossimità di Port Washington dov’erano diretti e come da ordine, a notte inoltrata un membro dell’equipaggio picchiò alla sua porta per informarlo dell’imminente arrivo.
Dal piccolo alloggio però non udì altro che un inquietante silenzio, così provò ad aprire e trovandola chiusa dall’interno, in stato di comprensibile agitazione non esitò a sfondarla e una volta dentro, del capitano non c’era neanche l’ombra. La stanza aveva un solo ingresso, le dimensioni dell’oblò presente sulla parete non gli avrebbero consentito di uscire e poi c’era chi lo aveva sentito camminare. Lo cercarono ovunque, fu aperta un indagine, ma non servì a nulla, nessuno ne venne a capo, il capitano George Donner era svanito, nel giorno del suo 58°compleanno.
Il volo 2501 della Northwest Airlines
Questi e altri episodi non fecero che alimentare leggende, teorie secondo cui il triangolo era un portale del tempo, altre correlavano gli incidenti all’allineamento di massi depositati sul fondo simili a Stonehenge, mentre altre ancora iniziarono a parlar di presenze aliene e il crescente disagio del solcare le acque del triangolo, trovò ragione nella catastrofe del volo 2501 della Northwest Airlines.


Il 23 giugno 1950, il DC-4 affidato all’esperienza di Robert Lind e del co-pilota Verne Wolf, decollò da New York con 55 passeggeri a bordo per il consueto viaggio transcontinentale in direzione Seattle. Dopo aver fatto regolare scalo a Minneapolis, Minnesota, alle 13:13, il Capitano Lind si mise in contatto con la torre di controllo di Milwaukee affermando di sorvolare il Lago Michigan, chiese l’autorizzazione a scendere di quota e passare da 3500 a 2500 piedi. Il permesso però non gli fu accordato per l’elevato traffico aereo già presente e nell’arco di pochi istanti, il DC-4 sparì dai radar. Al momento della richiesta non ne fece menzione, ma sulla regione stava sviluppandosi una forte tempesta elettrica. Provarono vanamente a ristabilire il collegamento radio facendo tentativi su ogni frequenza e quando l’orologio si avvicinò all’ora prevista per l’atterraggio, la Northwest avvisò New York, Minneapolis e Chicago che il volo di linea 2501 non stava dando annuncio del suo arrivo previsto.
La peggiore delle ipotesi si materializzò la mattina successiva, quando la Guardia Costiera e la Polizia di Stato di Illinois, Michigan, Wisconsin e Indiana, cominciarono a scorgere sulla superficie del lago tracce di carburante e piccoli detriti. Squadre d’immersione scandagliarono i fondali, le ricerche andarono avanti due giorni e poi sono state riprese varie volte nel corso degli anni, anche in tempi recenti, ma così come tante vittime, la carlinga o almeno parti di essa non sono mai stata ritrovate e sebbene fosse in corso una tempesta, le ragioni dell’incidente ancora oggi sono un mistero.
Il Triangolo di Bridgewater e di Bennington
Altro infausto perimetro delineato negli anni ’70 da Loren Coleman, criptozoologo statunitense autore di oltre 40 libri riguardanti misteri di vario genere, è il cosiddetto Triangolo di Bridgewater. Un’area di circa 520 km² situata nel sud-est del Massachusetts in cui si verificherebbero fenomeni spettrali, poltergeist, formazione di sfere infuocate, dove cittadini hanno dichiarato di aver visto giganteschi e famelici cani, mentre nella palude di Hockomock Swap, ‘dove abitano gli spiriti’, agenti della polizia locale hanno affermato di aver osservato non identificabili creature dalle sembianze simili a quelle degli pterodattili e la vicina foresta di Freetown Fall River, ha invece fama d’esser luogo di presunti riti satanici a cui sono state attribuite le morti di numerosi animali trovati barbaramente mutilati.
Per il suo passato, è però maggiormente noto il Triangolo di Bennington, teoria suggerita da Joseph Citro, folklorista e autore di studi sul paranormale e occulto. Fin dall’infanzia affascinato dalla penna di scrittori come Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft, ne parlò nel 1992 durante una trasmissione radiofonica, facendo rifermento a un’area nel Sud-Ovest del Vermont, stato americano situato nella regione del New England.
Si tratta di una zona che ha come epicentro la Glastenbury Mountain, territorio che popoli nativi come i Algonquin, Micmac e Mohegan consideravano maledetto ed è lo stesso che dagli inizi dal XIX secolo, è teatro di tanti avvistamenti di una creatura descritta come un Bigfoot o uno Sasquatch, mentre a partire dalla metà degli anni ’40 è stata sede della sparizione di almeno 5 persone, dato che molti ritengono sia un numero più elevato, casi irrisolti che sarebbero cominciati già dal 1920.
La prima sciagura avvenne il 12 novembre 1945, quando Middie Riders, competente guida alpina di 74 anni, insieme a un gruppo di cacciatori andò sul Long Trail, l’antico sentiero escursionistico che attraversa da Nord a Sud l’intero Stato del Vermont. Terminata la battuta, durante il cammino verso il campo dove avevano previsto trascorrere la notte, con passo più rapido e sicuro Rivers lasciò indietro i compagni. Giunti alle tende però, i cacciatori non lo trovarono e in un primo momento non dettero peso all’assenza, consapevoli della sua esperienza erano certi che fosse nei paraggi e avrebbe fatto presto ritorno. L’uomo non fu mai più visto e a niente servirono le estenuanti ricerche andate avanti per intere settimane.

Sul Long Trail svanì anche la 18enne Paula Jean Welden, la maggiore delle quattro figlie del noto ingegnere industriale William Welden e Jean Douglas. Studentessa del Bennington College, domenica 1° dicembre 1949 lasciò il campus dicendo che sarebbe andata a fare una passeggiata lungo il sentiero. Partì nel pomeriggio percorrendo la Route 9 in direzione di Glastenbury e una volta arrivata a Woodford Hollow, fermò un gruppo di escursionisti facendo loro alcune domande. Furono le ultime persone che udirono la sua voce. Il College venne chiuso per alcuni giorni e gli studenti, le famiglie, centinaia di volontari offrirono il loro aiuto nelle ricerche che videro unite la polizia locale, la Guardia Nazionale e l’FBI. Esplorarono la regione per oltre un mese e venne offerta anche un ricompensa di 5000 dollari, ma di lei nessuna traccia e 3 anni dopo, ancora il 1° dicembre svanì in modo del tutto irreale il veterano James Tedford.
Dopo aver fatto visita a dei parenti nella città di St. Albans, a nord del Paese, scelse di far ritorno a Bennington a bordo di un autobus, ma quando l’autista arrivò al capolinea, di Tedford c’era solo la valigia. Ascoltati dalle autorità, vari testimoni affermarono di averlo notato e di averlo visto dormire, ma neanche uno di loro dichiarò di averlo visto scendere a qualche altra fermata e se è vero che potrebbero semplicemente mancato il momento, è altrettanto vero che il soldato non fece più ritorno.
Paul Jepson aveva appena 8 anni quando scomparve, accadde il 12 ottobre 1950. Insieme alla madre andarono con il furgone di famiglia alla loro fattoria e una volta arrivati, la donna lo lasciò qualche istante per dar da mangiare agli animali, ma quando fece ritorno, il bambino non c’era più. L’unica vittima ad esser stata ritrovata è Frieda Langer, una signora di 53 anni che appena 16 giorni la tragedia del bambino, mentre stava facendo trekking con amici e parenti sul Long Trail, scivolò finendo in un ruscello. Come Middie Riders, esperta del territorio, disse agli altri di proseguire e tornò al vicino campeggio a Somerset Reservoir per cambiarsi gli abiti. Ne rinvennero il corpo soltanto 6 mesi dopo, nonostante l’impiego di aerei, elicotteri e più di 300 uomini, ma all’epoca, il tempo trascorso nel bosco non permise di determinare le cause della morte.
Il Triangolo dello Stretto di Bass
Situato tra Victoria e la Tasmania al largo della costa meridionale dell’Australia, il Triangolo dello Stretto di Bass è circondato da decine di storie circa rapimenti alieni, sconosciute creature marine e disastri.
Gli scienziati ne sostengono l’innocuità, anche se già dalla sua scoperta lo Stretto di Bass non si è presentato proprio come un luogo sereno, divenne infatti noto nel 1797, a seguito dell’affondamento della Sydney Cove, una delle navi impegnate nella missione di recupero del veliero Eliza, andato perduto mentre seguiva la rotta verso la capitale del Nuovo Galles del Sud. Da allora centinaia d’imbarcazioni hanno avuto incidenti d’ogni genere, avarie, incagliamenti, naufragi, decine d’irrisolti smarrimenti e altrettante disgrazie hanno avuto gli aerei.
Nel 1920 un bombardiere monomotore militare si schiantò mentre era impegnato nella ricerca della scomparsa goletta Amelia J, mentre nel 1934, ad uscire dai radar fu uno dei 62 esemplari di quadrimotore De Havilland Express, il DH.86 Miss Hobart, con a bordo 9 passeggeri e 2 piloti che da Launceston stavano dirigendosi a Melbourne.
Bombardieri Bristol Beaufort della Royal Australian Air Force vennero persi durante addestramenti negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale e fra i casi più controversi quello verificatosi nel settembre 1972, quando un Tiger Moth degli anni ’30, svanì dopo esser decollato dalla Tasmania in direzione Canberra. Il volo faceva parte della protesta nei confronti della Hydro Electric Commission che aveva in progetto l’inondazione di Lake Pedder. I piloti erano Max Price e Brenda Hean, pianista animata da un profondo sentimento per la salvaguardia dell’ambiente, che nei giorni precedenti aveva ricevuto minacce di morte da parte di una voce anonima: «Signora Hean, le piacerebbe fare una nuotata?».(Scott Millwood, Whatever Happened to Brenda Hean?)
Il Triangolo dello Stretto di Bass assunse un aspetto ancor più strano il 21 ottobre 1978, quando in un volo di addestramento, Frederick Valentich, alla guida di un Cessna 182 L registrato VH-DSJ, si mise in collegamento con la torre di controllo affermando che un velivolo stava «orbitando» sopra di lui a una distanza di circa 300 metri. Nel momento in cui gli venne chiesto di identificare l’apparecchio, il pilota rispose «non è un aereo», dopodiché asserì d’aver problemi al motore e scomparve. La sera stessa, Roy Manifold scattò una fotografia dello Stretto di Bass riprendendo un oggetto curioso e il figlio Jason, insieme a lui in quel momento, dichiarò di aver sentito il motore di un aereo volare sopra le loro teste, ma il rumore non andò sfumando come solitamente avviene, d’un tratto s’interruppe. Entrambi si dissero certi che ciò che appariva nello scatto, poi analizzato certificandone l’autenticità, era direttamente collegato alla disgrazia di Valentich.
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.