Vaso con Fiori di Jan van Huysum: storia di un dipinto
Nel 1731, ispirato pittore e disegnatore olandese, Jan van Huysum, concepì dipinto ad olio dal titolo, Vaso con Fiori, capolavoro d’appena 47×35 centimetri, oltre due secoli dopo la creazione — condividendo amara sorte d’innumerevoli opere d’ogni artistica espressione — sottratto agli occhi del mondo e ad essi nuovamente riapparso, al termine di sofferta avventura, soltanto a distanza di 76 anni.
Il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda.
Alberto Sughi
Illustre autore di nature morte a tema floreale, Jan van Huysum nacque ad Amsterdam, il 15 aprile 1682, in animo serbando sensibilità pittorica ereditata dal padre, Justus (1659-1716), nonché dallo zio di stesso ramo, Caspar (ca. 1647-1682), operante a Leeuwarden e del quale unica testimonianza artistica, sembrerebbe rimasto ritratto di Artus Georgius Felten, ministro alla congregazione luterana di Amsterdam.
Allievo di di Nicolaes Pieterszoon Berchem (1620-1683), insigne autore di scene pastorali con figure bibliche o mitologiche, Justus van Huysum — le cui orme, di nove figli, seguirono anche Justus II (1685-1707), Jacob (1687/89-1740/46) e Michiel (1703-1777) — fu distinto esponente dell’olandese Gouden Eeuw, lasciando a memoria d’illuminato estro circa 663 dipinti, opere peraltro nell’eterogeneità dei soggetti manifestantine l’eclettismo, benché virtù, da contraltare, verosimilmente gli impedì concentrarsi in determinato ambito, perfezionando tecnica ed in esso dunque toccare l’eccellenza, inoltre, tale quantità e le considerevoli dimensioni di talune, suggerendo che fossero destinate ad abbellire dimore e palazzi, fra le stesse raggiungendo particolare notorietà le rappresentazioni floreali a fondo scuro, tipologia su cui Jan van Huysum — tranne alcuni paesaggi in verosimile riferimento a Johannes ‘Jan’ Glauber (1646-1726) e un ritratto conservato a Oxford — si sarebbe specializzato utilizzando tinte più tenui e decisamente amalgamate con superiore padronanza.
Per quasi tutto il 1600, i Paesi Bassi vissero il succitato e fiorente, Secolo d’oro, in cui arti e scienze nazionali vennero inneggiate in Europa e nell’intero Occidente, al contempo impareggiabili abilità della popolazione in ambito marinaio e cartografico — in aggiunta a strategica posizione geografica sulle rotte mercantili — portando il paese a primeggiare nel commercio mondiale e cotanta floridezza avvantaggiando la propaganda di arti visive, letterarie e scientifiche, in suddetta atmosfera culturale Jan van Huysum aprendosi a insita passione per le nature morte — fortemente radicata nei colleghi conterranei — ad essa totalmente rivolgendosi, analogamente a personalità dell’epoca quali, Jan Davidszoon de Heem (1606-1683/84), Maria van Oosterwijck (1630-1693), Abraham Mignon (1640-1679), Rachel Ruysch (1664-1750) e altri.
Alle proprie creazioni Jan van Huysum trasfuse intrinseca attrattiva per fiori e frutti, palesata già in fanciullezza e difatti — si narra — deliziandosi a coltivare modesto appezzamento di terra, seguendo con ispirato e vigile zelo lo sviluppo di quanto seminato, specifica attenzione ponendo alle variazioni cromatiche tipiche delle fasi di crescita e dal seducente fascino dei colori lasciandosi avvolgere l’animo, fino a espletarne nei propri quadri tramite incantevoli giochi di luce — la cui vivacità venne elevata tramite pennellate sapienti e dettagliate — sgorganti da incessanti sperimentazioni — come il probabile avvalersi d’una lente d’ingrandimento per scrutarne i particolari — e nuovi apprendimenti, protrattisi nel tempo allo scopo di riprodurre la realtà con una similitudine che rasentasse la perfezione, dunque linee, rotondezze e gradazioni accordandosi nell’immagine in stupefacente e concreta armonia e in sinfonica prospettiva, egli riuscendo a trasformare quadri in palcoscenici dalle ineguagliabili coreografie, impreziosite attraverso minuziosa scelta di raffinati vasi, piani d’appoggio lignei o marmorei, rami, spezie, minuscola fauna o insetti, posizionati in piena consonanza al soggetto primario, solitamente concepito e realizzato in duplice versione, una con fiori, l’altra con corrispondenti frutti — ambedue di sopraffina qualità — pazientemente ricercati nella gamma disponibile ai tempi e quasi sempre riproposti con traslucide e vivide gocce di rugiada — dettaglio assolutamente ricercato e ricorrente, a metà strada fra illusionismo e iperrealismo — a carezzarne la superficie in gravitazionale e danzante discesa, restituente un senso di movimento percettibile allo sguardo, il tutto accomunato da un tratto levigato all’estremo sull’insieme — in peculiare e univoca originalità — in casi eccezionali spezzata da finissime incisioni.
Osservatore ancor prima che pittore, Jan van Huysum captò dal mondo reale l’eloquente vitalità propria alle meravigliosa flora entrandone in empatia e poi donandole seconda nascita in apporto stilistico del tutto singolare e d’innovativa influenza su tutto il secolo successivo, gelosamente custodendo personale tecnica pittorica e per tale motivo celandosi a qualsivoglia sguardo durante l’attività pratica, ad eccezione della fortunata e talentosa allieva, Margaretha Haverman (1693-1739), della quale provvisoriamente accettò l’assistere all’atto del dipingere, viceversa in un secondo momento allontanandola nel timore di venir egregiamente emulato.
Sostenuto da facoltosi e aristocratici patrocinatori, Jan van Huysum riscosse celere fama e ingenti guadagni, prima d’esalare l’ultimo respiro — effuso nell’aria di Amsterdam l’8 febbraio 1749 — sperimentando l’appagamento del poter vivere di persona il positivo e lauto riscontro incontrato dai dipinti creati, amati e vissuti, fra questi il menzionato Vaso con Fiori, variopinto capolavoro in cui petali rossi, bianchi, indaco e arancioni si contendono scenario, fieramente ergendosi dal verde fogliame, su cui aggraziate si posano candide farfalle, ai piedi del ramato vaso completando bellezza di visione un protettivo nido e le sue piccole uova.
Il quadro fu acquisito, nel primo ventennio dell’Ottocento, dal granduca di Toscana Leopoldo II Giovanni Giuseppe Francesco Ferdinando Carlo d’Asburgo-Lorena (1787-1870) come ulteriore perla valorizzante la più vasta collezione di nature morte, al tempo preservata nel rinascimentale Palazzo Pitti di Firenze ed iniziata da volontà di Cosimo III de’ Medici (1642-1723), talmente avvinto da tradizione pittorica d’Olanda che, al tramonto del XVII secolo, esortato ad allontanarsi dai luoghi natii dal padre Ferdinando II al fine di chetare le dispute familiari, incluse tra le mete di viaggio, Amsterdam, dove accoglienza ricevette dalla comunità artistica, conoscendo Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669) ed acquistando svariate opere poi aggiunte a prestigiosa raccolta.
Vaso con Fiori rimase a disposizione di pubblica a a pubblica ammirazione nella Galleria Palatina per più d’un centennio dopodiché — causa deflagrazione del secondo conflitto mondiale e su direzione della Soprintendenza alla Gallerie degli Uffizi — venne nascosto, a preventiva protezione insieme a centinaia d’altre opere d’arte accuratamente riposte in cassette di legno, prima a Prato — nella Villa medicea di Poggio a Caiano — e un triennio più tardi a Villa Bossi Pucci in Montagnana — fiorentina frazione comunale di Montespertoli — in seguito venendo trafugato dalla Wehrmacht in ritirata, transitoriamente approdando al Castel Giovo di Bolzano e in ultimo scivolando in totale oblìo per quasi cinque decadi.
In attesa di varcar i confini germanici passando per il Brennero, il quadro venne notato da un caporalmaggiore il quale — nell’intenzione di farne dono alla consorte — se ne appropriò illecitamente portandolo con sé nella cittadine di Halle, in Sassonia-Anhalt, per quasi cinque decadi l’opera scivolando nel totale oblìo, perlomeno fino a novembre 1945, anno durante cui la famiglia detentrice — posteriormente alla caduta del muro di Berlino e dopo averne fatto stimare autenticità e valore — decise di restaurarlo a Monaco di Baviera, nel 1991, il Vaso con Fiori tornò a reclamar attenzione in risposta ad elevate richieste di compravendita — avanzate da differenti mediatori — nell’ovvio intento d’incassare, ma da un giuridicamente inalienabile bene dello Stato Italiano — come sottolineò anche la Procura della Repubblica di Firenze, a conclusione di indagine avviata nel 2016 a fronte di proposta giunta da ulteriore procacciatore, spezzando un quinquennio di silenzio — pertanto con veto di commercio, trasferimento o distruzione e dunque principiando lunga e tortuosa trattativa diplomatica, nell’auspicio di render il dipinto allo storico museo del capoluogo toscano.
Protagonista a riguardo, lo storico d’arte e dal 2015 direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Dieter Schimidt, il quale, reiterando invito alla famiglia in possesso della tela — scampata a distruzione o comunque ad irreperibilità al contrario di centinaia d’opere tra cui la data perduta, Testa di Fauno, da mano di Michelangelo (1475-1564) scolpita attorno al 1489 — a risolvere mediante volontaria riconsegna ed al contempo esortando la madre patria Germania — ov’è prevista prescrizione per le opere sottratte durante il periodo bellico — a rispettare «dovere morale» permettendo a dipinto di tornar a decorare le pareti della Galleria Palatina, il 1° gennaio 2019, levò appassionato appello accompagnando a parole esposizione d’una riproduzione in bianco e nero di Vaso con Fiori, recante eloquente e provocatoria esclamazione, «Rubato», «Stolen», «Gestohlen», stringendo speranza in promessa di rimuover «memoria fotografica quando agli Uffizi verrà reso l’originale».
Il 19 luglio di medesimo anno, con solenne cerimonia svolta nella Sala Bianca di Palazzo Pitti ed al cospetto di Schimidt, degli allora Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, titolare del dicastero dei Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli, Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi, il di quest’ultimo omologo tedesco, Heiko Josef Maas, restituì all’Italia l’agognato Vaso con Fiori di Jan van Huysum, desiderata pittura rimanendo esposta quattro mesi all’interno della Sala della Musica, per poi tornar all’antica collocazione, nella Sala dei Putti.
Il quadro dà vita all’osservatore, che a sua volta lo fa rivivere per sé.
Erich Fromm
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