Nicholas Winton, l’uomo che sottrasse 669 bambini all’Olocausto
Nell’orrido della Seconda Guerra Mondiale, Nicholas Winton, fu tra coloro che contrapposero rifulgente speranza nell’umana natura, in memoria del tempo imprimendo storia, la propria, traboccante amore e magnanimità, racconto di chi al sé, all’indicibile, alla realtà, antepose la vita, altrui, conservando di gesta, laddove da sorte protetto, silenzioso ricordo in convinzione di nulla aver compiuto, degno di qualsivoglia riconoscimento.
Se un’idea non è davvero impossibile, allora deve esserci un modo per realizzarla.
Tedeschi di fede ebraica, Nicholaus Wertheim (1836-1919) e Charlotte Kahn (1846-?), all’indomani d’unione matrimoniale, suggellata nel 1866, lasciarono il Paese natio trasferendosi nel Regno Unito, dapprima stabilendosi a Manchester, poi, intorno al 1870 e da un biennio cittadini britannici, acquistando dimora a West Hampstead, quartiere londinese dove il 19 luglio 1881, accolsero erede a cui posero nome Rudolph: nel lampo dal destino concessogli — egli spirando a soli 55 anni — assurse a prestigiosa posizione, ricoprendo ruolo di direttore di banca — con breve parentesi nell’immediato dopoguerra nel settore vetrario in qualità di socio d’una compagnia d’importazione di cristalli di Boemia — sposando, nel 1907, la diciannovenne, originaria di Norimberga, Barbara Wertheimer, dalla quale ebbe in dono i figli, Charlotte ‘Lottie’ Matilda (1908-1996), Robert ‘Bobby’ Charles (1914-2009) ed appunto, Nicholas ‘Nicky’ George, nato il 19 maggio 1909, la famiglia convertendosi al Cristianesimo e nel 1938 — a distanza di circa dodici mesi dalla scomparsa — conferendo a cognome “accento” anglofono ed adottando, Winton.
Ancora sui banchi dell’istituto indipendente Stowe School, situato nel Buckinghamshire — scelto dopo alcuni mesi trascorsi alla University College School per seguire l’amico fraterno Stanley Murdoch — Nicholas Winton, seppur d’animo umile e scevro d’ambizioni a livello sociale a differenza di coetanei dalla simile estrazione, in volontà del padre, nonché ascoltando innata matematica propensione e trasporto verso il mondo finanziario, intorno al 1927 iniziò periodo d’apprendistato nell’antica Midland Bank di Birmingham, saggio che, oltre a consolidare interesse — rinunciando a formazione accademica — gli permise d’ottenere impiego alla Behrens Bank di Amburgo, successivamente presso la Wasserman Bank di Berlino e poi di porsi a servizio della parigina Banque Nationale de Credit, trattenendosi all’ombra della Torre Eiffel sin a febbraio del 1931, allorché, rientrò a Londra intraprendendo carriera di agente di cambio. Viaggi ed attività ne avevano consolidato le già profonde conoscenze linguistiche, ma soprattutto, aperta visione sul quadro culturale e politico europeo, trovando conferme di quanto nel Vecchio Continente stava accadendo, proprio al ritorno nel Regno Unito, osservando dimora dei genitori, sempre più frequentemente divenire rifugio d’intere famiglie d’ebrei in fuga dalla ferocia nazista e di conseguenza, lentamente abbracciando le ideologie socialiste e in un crescente coinvolgimento, unendosi alle critiche nei confronti dell’appeasement perseguito dal Primo Ministro britannico Arthur Neville Chamberlain (1869-1940), nella speranza di placare le mire espansionistiche di Hitler e così intervento militare, culminata con l’Accordo di Monaco del 29 e 30 settembre 1938, permettendo alla Germania di rivendicare una vasta fetta della Cecoslovacchia, privandola dei Sudetenland, territori all’epoca abitati da oltre tre milioni di persone — principalmente di lingua tedesca ed appellate Sudetendeutsche (Tedeschi dei Sudeti) — delle quali settecentomila costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, alla suddetta conferenza, partecipando — oltre a Chamberlain ed al Führer — anche il Primo Ministro francese Édouard Daladier (1884-1970) e Benito Amilcare Andrea Mussolini (1883-1945), tuttavia nessun rappresentate del governo ceco essendo presente e — una volte apposte le quattro firme — il futuro premier britannico Sir Winston Leonard Spencer Churchill (1874-1965) definendo il patto come «l’inizio della resa dei conti», dal canto suo Praga — in virtù della mancata partecipazione all’incontro internazionale — bollando avvenuta intesa come “diktat di Monaco” o “tradimento di Monaco”.
Nicholas Winton era in procinto di raggiungere le montagne svizzere per giovarsi d’una settimana bianca, ma lesto ed inaspettato cambio di programma avvenne in seguito a sopraggiunta telefonata dell’amico Martin Blake, docente del celebre Royal College of St. Peter — adiacente all’Abbazia di Westminster — ed impegnato nel Comitato Britannico per i Rifugiati della Cecoslovacchia — BCRC, più tardi divenuto Fondo Ceco per i Rifugiati, CRTF — diretto da Doreen Agnes Rosemary Julia Warriner (1904-1972) e Werner Theodore ‘Bill’ Barazetti (1914-2000), ricevendo dunque invito a contribuire alle attività di salvataggio, peraltro Winton, così come tanti altri, fortemente convinto che l’occupazione tedesca si sarebbe presto estesa al resto del Paese ed altrettanto certo, dell’imminenza di un conflitto globale, di cui evidenti segnali premonitori erano stati i pogrom — già tristemente noti in Ucraina e Russia durante il XIX secolo — accesi dal Ministro della Propaganda del Terzo Reich, Paul Joseph Goebbels (1897-1945) e condotti da ufficiali nazisti fra il 9 e 10 dicembre 1938, violente sommosse antisemite passate alla storia come Notte dei Cristalli ed appicciate tanto in Germania quanto in Austria e nelle regioni dei Sudeti, Winton non lasciandosi quindi pregare e — una volta raggiunto Blake — rimanendo inorridito alla vista dei campi di accoglienza, disumanamente, ignobilmente ed insopportabilmente, sovraccarichi di famiglie d’origini ebraiche e perseguitati politici.
In tal cupa e devastante situazione, temeraria nobiltà d’animo e lungimiranza di Nicholas Winton — a conoscenza dell’operazione Kindertransport, programma attuato fra il dicembre 1938 e il maggio 1940, per portare nel Regno Unito e presso famiglie affidatarie, ostelli o cascinali, ricoverare migliaia di bambini provenienti da Germania e Austria, altrettanto sapendo della mancanza d’un equivalente soccorso rivolto ad altri territori occupati — decise di replicare lodevole iniziativa e dunque — senza alcuna autorizzazione del BCRC – avviò ardimentosa e altruistica opera di salvataggio.
Compresi che i figli dei rifugiati e di altri gruppi di persone invisi a Hitler, non ricevevano assistenza. Quindi provai ad ottenere i permessi per l’accoglienza in Gran Bretagna, apprendendo però di dover previamente garantire la presenza di una famiglia disposta e in grado di occuparsi di bambini, più, 50 sterline – somma di denaro, all’epoca, piuttosto ingente – da depositare presso il Ministero degli Interni. La situazione era straziante. Molti rifugiati non possedevano soldi, neanche da assicurarsi un pasto […] I genitori tentavano disperatamente di procurarsene per sfamare se stessi, quanto i figli al seguito, ai quali volevano, ad ogni costo, fosse offerto sicuro riparo quando non riuscivano ad avere i visti per l’intera famiglia. Capii quanto dolore propagano gli eserciti, quando iniziano a marciare.
Andando contro la diffidenza generale, Winton adibì a proprio ufficio parte della sala da pranzo dell’hotel in Piazza San Venceslao dove alloggiava, ma il celere ingrandirsi dell’operazione ideata, in breve tempo lo portò ad allestirne un secondo presso via Voršilská, coadiuvato dall’insegnante inglese Trevor Chadwick (1907-1979), uno dei supervisori del Kindertransport resosi disponibile nei soccorsi e di cui lo stesso Winton affermò: «Chadwick ha fatto il lavoro più difficile e pericoloso dopo l’invasione nazista … si merita ogni elogio», impegnato intervento in Praga realizzandosi per mano di Beatrice Wellington (1907-1871), Nicholas Stopford, Josephine Pike ed ovviamente i succitati Warriner e Barazetti, in sole 3 settimane Winton riuscendo nell’incredibile, estenuante e miracolosa opera di compilare una lista infinita di bambini e — dopo averne scattato fotografie — ritornando in Inghilterra al fine d’ottenere i permessi che permettessero loro di lasciare Praga ma, sfortunatamente, procedure burocratiche e condizioni imposte dal Regno Unito — con disposizioni favorevoli all’accettazione dei minori di 17 anni dietro suddetto deposito di 50£ — rallentavano e complicavano l’intero processo, indi Winton, con tenacia e sentita speranza appellandosi anche a governi di altri Paesi e mettendosi in diretto contatto con il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), purtroppo sostegno arrivando esclusivamente dalla Svezia.
Tra falsificazioni, tangenti, raccolta fondi, somme di denaro da Winton elargite e pedinamenti della Gestapo, il 14 marzo 1939, poco prima dell’occupazione di Boemia e Moravia da parte dell’esercito del Führer, il primo treno con a bordo gli innocenti e teneri bambini lasciò il paese, nel corso dei successivi 5 mesi Nicholas riuscendo a organizzare altri sette viaggi e l’ultimo convoglio mettendosi in moto il 2 agosto, nonostante ulteriore partenza fosse stata prevista il 1° settembre per altre 250 creature, ma sciagurato destino su di esse abbattendosi, in quanto in quella data la Germania concretizzando conquista della Polonia, gettando il mondo nella catastrofe della Seconda Guerra Mondiale e sbarrando loro la strada verso la vita, una visione che per Winton divenne perforante e indelebile tormento: «Quel giorno avevamo 250 famiglie in attesa a Liverpool Street. Se il treno fosse arrivato un giorno prima, avrebbe potuto attraversare i confini. Nemmeno uno di quei bambini è stato più visto. Fu una sensazione terribile».
Nicholas Winton salvò dallo sterminio 669 bambini e l’immane dimensione di tale impresa è racchiusa nel cuore di ogni fanciullo sottratto a morte certa, amaramente rovescio di medaglia corrispondendo ai familiari che la barbarie dell’Olocausto impedì riprovarne il calore del respiro.
Quando presi la decisione di tentare il salvataggio di bambini dalla Cecoslovacchia, non ne considerai la fede ebraica, ma l’essere dei bambini.
Nicholas Winton: il silenzio dell’amore
Nel 1940 Nicholas si arruolò nella Royal Air Force, divenendo ufficiale di volo e prestando servizio per un decennio, in corso d’esistenza egli mai confidandosi con nessuno riguardo a quei terribili frangenti e nel proprio petto serbando memoria di quanto vissuto, rimanendo in silenzio per ben mezzo secolo e del passato nulla svelando nemmeno alla moglie Greta Gjelstrup (1919-1999), sposata nel 1948 e madre dei suoi 3 figli: Nick, Barbara e Robin (1955 circa – 1962), solo fortuitamente ella scoprendo tutto, nel 1988, allorquando rovistando nella soffitta trovò casualmente un fascicolo contenente le foto, i nomi dei piccoli, le lettere dei genitori e altri documenti, la sbalordita Grete — verosimilmente comprendendo sull’istante la portata umana di quanto successo e meravigliosamente svelatosi fra le sue mani — decidendo di condividere il tutto con la dott.ssa Elisabeth ‘Betty’ Meynard (1921-2013), ricercatrice francese fondatrice della rivista accademica internazionale Holocaust and Genocide Studies, la quale rese partecipe il marito — politico e imprenditore britannico — Ian Robert Maxwell, nato Ján Ludvík Hyman Binyamin Hoch (1923-1991) e fuggitivo cecoslovacco che in Gran Bretagna si era reso fautore di un impero editoriale, nell’immediato dando massimo risalto alla storia riportatagli da Betty, per mezzo di pubblicazioni di vari articoli sui giornali di sua proprietà.
A febbraio dello stesso anno Winton venne invitato a far parte del pubblico di That’s Life! — programma televisivo al tempo trasmesso dalla BBC — in corso di puntata la presentatrice Esther Rantzen mostrando il fascicolo a sua insaputa, narrando quando da lui faticosamente concretato e poi, rivolgendosi agli spettatori presenti, domandando se qualcuno si riconoscesse in quei bambini e — in un sussiego di emozionanti e indescrivibili attimi — decine di persone alzandosi e applaudendo l’uomo a cui dovevano la vita, a quel punto un riconoscente Nicholas Winton — evidentemente meravigliato e travolto d’appagante emozione — posando commosso sguardo sull’applaudente platea, da sotto gli occhiali più volte i suoi occhi sgorgando pure lacrime, in esse e nel caloroso abbraccio con la moglie in un certo senso chiudendosi il cerchio d’ogni pianto esploso nelle sofferenze passate, il filantropico animo di Winton effondendosi fra tutti i presenti, una seconda volta nutrendoli nel profondo della spiccata e sensibile umanità a lui insita.
Nicholas Winton si spense nel sonno — alla veneranda età di centosei anni — il 1° luglio 2015 al Wexham Park Hospital di Slough, nel Bershire, a causa di un’insufficienza cardio-respiratoria e fra i tanti riconoscimenti ricevuti, gli fu conferito l’onore di essere Giusto tra le Nazioni (חסידי אומות העולם), titolo spettante ai non-ebrei distintisi, durante l’Olocausto, per aver posto a rischio la propria incolumità in ragione, unica, di salvare persone dal genocidio nazista.
Il bene si distingue in passivo ed attivo. Quest’ultimo, a mio avviso, richiede dedicare tempo ed energie, per alleviare il dolore e la sofferenza. Richiede la volontà di cercare gli afflitti, coloro in pericolo; non significa condurre un’esistenza esemplare, senza fare del male.
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