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Quando gli italiani diventarono i perseguitati enemy aliens

 
 
Alla fine degli anni ’20, una coppia di giovani italiani, Guido e Clara Bronzini, lasciarono la Toscana per stabilirsi nella Contea di Alameda, una piccola isola situata nella baia di San Francisco, in California. Carichi di volontà e speranze, aprirono un negozio di frutta che chiamarono Banana Depot e poco alla volta, i sacrifici trovarono ragione in una vita serena. Nel 1930 ebbero il primo figlio, Albert e due anni dopo Lawrence; i risparmi avevano permesso loro di acquistare una casa a Melrose, quartiere di East Oakland, poi un’automobile, una Pontiac quattro porte del ’39 e alla fine arrivò anche il lusso di una radio.

Una sera di febbraio del 1941, mentre stavano cenando, i Bronzini udirono picchiare alla porta, a far loro visita erano due uomini dell’FBI con il preciso ordine di perquisire l’abitazione. Non trovarono nulla, se non quella radio che all’epoca non molte famiglie possedevano, era un modello della Philco, riceveva perfino stazioni estere e sin a quel momento aveva scandito il tempo della famiglia con musica d’opera. Le preghiere né le lacrime della Sig.ra Clara la salvarono dal sequestro, gli agenti la portarono via e la povera donna non poteva neanche immaginare che presto avrebbe pianto ben altro dolore.

Pochi giorni dopo fu loro imposto di chiudere l’attività e quanto avevano costruito in tanti anni di onesta fatica, stava ingiustamente frantumandosi davanti ai loro occhi. Senza perdersi d’animo Guido Bronzini cominciò a lavorare ovunque, passando da un mestiere all’altro, ma la sofferenza vera non risiedeva nelle difficoltà economiche, vent’anni prima erano sbarcati con nient’altro che sogni ed erano stati capaci di renderli reali, a corrodere era la dignità strappata e lentamente, il dispiacere sfinì l’anima della moglie. Ebbe un esaurimento e fu ricoverata in una clinica psichiatrica.

Non erano i soli a vivere un incubo simile o peggiore, l’8 dicembre 1941, a Manhattan, Louis Berizzi fu svegliato nel cuore della notte dagli agenti federali e senza fornire spiegazioni, perlustrarono l’appartamento, dopodiché gli dissero di vestirsi e manette ai polsi lo portarono via lasciando nello sconcerto moglie e figli. Gli vennero bloccati i beni, all’ufficio dove lavorava furono messi i sigilli e solo in un secondo momento i familiari vennero a sapere che si trovava a Ellis Island, l’isolotto di New York che dopo aver accolto frotte d’immigrati era stato trasformato in un carcere, lo stesso in cui finì anche il cantante d’opera Ezio Pinza, arrestato nel marzo 1942 e rilasciato dopo 3 mesi soltanto grazie all’intervento del sindaco Fiorello La Guardia.

Destino condiviso con Pasquale De Cicco, uno dei tanti italiani approdati negli Stati Uniti agli inizi del Novecento e divenuto cittadino americano pochi anni dopo. Lo erano decine di suoi familiari, quando il 1903 e 6 anni dopo, divenne cittadino americano esattamente come altre di decine di suoi familiari, ma il 24 aprile 1942, anche alla sua porta si presentarono agenti dell’FBI e all’età di 63 anni e da New Haven dove viveva, venne condotto nel penitenziario di East Hartford, a Boston e lì trattenuto per 3 mesi, per poi essere trasferito a Ellis Island e infine a Fort Meade, in Maryland, dove rimase fino al 1943. Durante la prigionia perse 32 kg e una volta fuori, apprese di non aver più la casa, confiscata per inadempimento al pagamento delle rate del mutuo.

Il Dr. Vincent Lapenta era invece un medico di Napoli, emigrò oltreoceano subito dopo aver conseguito il dottorato e proseguì specializzandosi in Chirurgia Generale alla storica Medical School dell’Università di Harvard. Diventò uno dei chirurghi in capo al St. Francis Health di Indianapolis, capitale dell’Indiana dove si stabilì nel 1912, ma i meriti professionali gli fecero guadagnare fama anche altrove, tanto che il suo intervento era spesso richiesto in strutture ospedaliere di altre città. Stima che lo portò ad esser eletto membro dell’American Medical Association e nel 1919 dell’American Association for the Advancement of Science, organizzazione internazionale senza fini di lucro dedita all’avanzamento della scienza nel mondo, un traguardo a cui arrivò dopo che il governo italiano, lo aveva già nominato delegato della Croce Rossa. Lapenta si distinse anche per il suo lavoro all’interno della King Humbert Society, associazione benefica che aveva lo scopo di formare e aiutare gli italiani naturalizzati ed altrettanto coloro che in America erano nati, ma non avevano ricevuto una corretta educazione.

Tuttavia, tali qualità e onori, non gli servirono ad evitare una condanna a 18 mesi di galera e come tutti gli altri, scontò la pena senza alcun processo, né tantomeno imputazioni di alcun genere, come Filippo Fordellone, voce radiofonica di Los Angeles; Prospero Cecconi, pastaio di San Francisco; Spartaco Bonomi, editore de La Parola arrestato con i suoi assistenti Giovanni Falasca e Zaccaria Lubrano; Alfredo Cipolato, dipendente del New York Waldorf Astoria e ancora Amabile Landini, Lucia Grosse, Antonio Mancini, Pelio Serena, Rosa Mary Gulotta, Joseph Montilli e altre migliaia di italiani che improvvisamente diventarono ‘Enemy Aliens’.

 

Italiani, nemici stranieri

Tutto ebbe inizio con l’attacco giapponese su Pearl Harbor, avvenuto il 7 dicembre 1941. Quattro giorni dopo, Italia e Germania, fedeli al Patto Tripartito, dichiararono guerra agli Stati Uniti e mentre Adolf Hitler metteva al corrente l’ambasciatore americano di stanza a Berlino tramite lettera, Benito Mussolini ne dava annuncio dal balcone di piazza Venezia, puntualizzando che mai l’Asse Roma-Berlino-Tokyo avrebbe desiderato estendere il conflitto, ma «un solo uomo, un autentico e democratico despota, attraverso a una serie infinita di provocazioni, ingannando con una frode suprema le stesse popolazioni del suo paese, ha voluto la guerra e l’ha preparata giorno per giorno con diabolica pertinacia».

Quell’uomo era il suo ormai non più amico Franklin Roosevelt, il quale, dopo aver apposto firma per muover guerra contro l’impero di Shōwa, facendo ricorso all’Alien Enemy Act, legge del 1798 che dà pieni poteri alla Casa Bianca circa il trattamento degli stranieri in tempo di ostilità, emanò la Proclamazione presidenziale 2527 con cui identificava tutti gli italiani maggiori di 14 anni senza cittadinanza americana, ‘nemici stranieri’, vietando loro l’accesso a determinate aree, il possesso di armi, munizioni, macchine fotografiche, torce elettriche e radio. Inoltre dovevano rincasare entro le 20 e non uscire fino alle 6 della mattina successiva ed era concesso loro l’allontanamento oltre le 5 miglia dalla propria abitazione, solo previo permesso speciale.

Mentre l’Europa si avviava a sprofondare nel buio della Seconda Guerra Mondiale, i legami mantenuti con parenti e amici rimasti in patria, cominciarono ad essere sottoposti ad un sempre più stretto controllo. Già nel 1939 l’FBI aveva raccolto numerose informazioni su individui sospettati di sostenere le politiche di Mussolini, era un dossier noto come ABC List, dove le tre lettere indicavano l’ordine di classificazione, ovvero, A, elencava nomi e cognomi di soggetti considerati di imminente pericolo, B, era assegnata a coloro potenzialmente pericolosi, mentre sotto la C vi erano le persone ritenute a favore del Giappone.

Subitaneamente l’attacco avvenuto in quello che Roosevelt definì giorno dell’infamia, nonostante l’Italia non fosse ancora formalmente entrata in conflitto con gli Stati Uniti, gli agenti federali iniziarono la caccia agli enemy aliens e come tali vennero marchiati almeno 600.000 italiani. Accusati di appoggiare il fascismo dovevano, loro, portare prove a discolpa al fine di ottenere un libretto con foto e impronte digitali, senza il quale sarebbero altrimenti stati arrestati. Oltre 10mila furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, il lavoro e in carcere o nei campi di isolamento finirono 3500 italiani, molti dei quali, a dispetto della legge, naturalizzati oppure con i figli inviati al fronte, evidente testimonianza di fedeltà agli Stati Uniti.

Mario Valdastri era un imprenditore, un veterano di guerra e regolare cittadino americano residente nell’isola hawaiana di O’ahu. Fu arrestato e spedito a Camp McCoy, nel Wisconsin, una vessazione e amarezza che lo portò a scrivere una lettera a Franklin Roosevelt, parole che non ricevettero mai risposta:

Caro signor Presidente,
Ieri sera ho ascoltato la trasmissione I Am an American, seduto in una fatiscente baracca all’interno di un campo di isolamento e non ho potuto fare a meno di sentirmi tristemente deluso.
Ero venuto in America come un povero ragazzo di 13 anni e da allora ho vissuto in questo paese. Nel 1918 sono diventato cittadino americano e ho prestato servizio in Francia con l’American Expeditionary Force.
Con gli onori, ho ricevuto il congedo…
Ho sempre vissuto onestamente tra famiglia e affari, sono a capo della società di appalti da me creata e di eccellente reputazione…
A Honolulu, mi è stata concessa una cosiddetta udienza della durata di cinque minuti. Nessuna accusa formale contro la quale avrei potuto difendermi è mai stata avanzata contro di me, né le ragioni del mio arresto mi sono mai state rivelate…
Considererei un onore e un privilegio essere di servizio nel luogo più esposto e pericoloso, su una petroliera, ovunque. Sacrificherei volentieri la mia vita per il mio Paese.
Ma trovo profondamente sconvolgente l’essere trattato nel mio Paese come un immigrato nemico e di essere stato sottoposto a procedimenti indegni dell’amministrazione americana.
Sperando che crediate nella mia sincerità e diate ordini in modo che il male fatto alla mia famiglia e a me stesso venga sistemato,

Rimango, Signor Presidente,
suo devoto,
Mario Valdastri

(Mary Elizabeth Basile Chopas, Law, Security, And Ethnic Profiling: Italians In The United States During World War II)

 

La discriminazione e le rivelazioni 

Alla base dell’azione intrapresa dal governo americano non vi era solo il ruolo giocato dall’Italia nell’Asse, ma anche un atavico pregiudizio. Negli anni ’20 gli italiani rappresentavano più del 10% degli stranieri, oltre 4 milioni arrivarono negli Stati Uniti; circa la metà rientrarono nel proprio Paese, ma per quelli che rimasero, il percorso fu tutt’altro che in discesa. Presto cominciarono ad essere dipinti come individui subumani, mal sopportati, erano spesso costretti a vivere in condizioni insalubri, la discriminazione si estendeva alla religione e l’Alien Enemy, oltre ad esserne conseguenza, non fece altro che aumentare l’astio, molti datori di lavoro si rifiutavano di assumerne, erano continuamente associati al crimine e l’emarginazione crebbe ulteriormente. Agli epiteti esistenti se ne aggiunsero altri quali dagos, wops, guineas che al pari di mozzarellanigger è un’enciclopedia di razzismo e di ignoranza etnica.

Perquisizioni, sequestri di proprietà, congelamento dei beni, arresti – rischiarono la galera persino i genitori della leggenda del baseball Joe Di Maggio, comunque obbligati a girare con un foglio di riconoscimento. Solo in California almeno 10mila italiani dovettero abbandonare le proprie case perché all’interno di zone a loro proibite. Nonostante tutto, anche animati dal desiderio di un cambiamento, furono circa 1 milione le persone di origine italiana che si arruolarono, con le famiglie che alle finestre esibivano con orgoglio la Service Flag, la bandiera con una stella blu per ciascun figlio al fronte, sostituendola con una d’oro ogni qual volta non li avrebbero più abbracciati. Tanti giovani che per il servizio prestato furono decorati con la Medaglia d’Onore del Congresso, il più alto riconoscimento militare per il valore in combattimento, tra cui:  Marino John Basilone, Robert F. Viale, Peter Dalessandro, William Bianchi, Anthony Casamento, Frank J. Petrarca, Ralph Cheli, Mike Colalillo, Arthur DeFranzo, Gino Merli, Vito Bertoldo, Anthony Damato, Joseph J. Ciccheti.

Nel 1942, in occasione del Columbus Day, il procuratore generale degli Stati Uniti, Francis Biddle, dichiarò ufficialmente che gli italiani non erano più nemici di Stato, una decisione presa da Roosevelt nel momento in cui si rese conto che avrebbe avuto bisogno del loro sostegno per invadere l’Italia, operazione che ebbe poi inizio a luglio 1943. Gran parte dei detenuti dovette infatti aspettare un altro anno prima di tornare in libertà, non pochi mancarono di assaporarne nuovamente la gioia e in ogni caso, servirono decenni per far crollare preconcetti e stereotipi.

Anche tedeschi e giapponesi subirono detenzione e restrizioni simili a quelle previste dalla Proclamazione presidenziale 2527. Niente di quanto accadde loro venne nascosto, nel 1988 il governo americano si scusò con il Paese del Sol Levante, offrendo a ciascun sopravvissuto un risarcimento di 20mila dollari, mentre la storia degli italiani enemy aliens rimase invece avvolta nel silenzio per oltre 60 anni. Il ministero di Giustizia e l’Fbi si erano si erano sempre rifiutati di aprire gli archivi e l’entità delle persecuzioni nei confronti degli italiani furono rivelate solo nel 2001, quando a seguito di un rapporto presentato al Congresso, Bill Clinton firmò il decreto 2442 inerente le violazioni dei diritti civili in tempo di guerra.

I documenti, insieme alle informazioni raccolte da Lawrence Di Stasi, docente all’ università di Berkeley, presidente dell’American Italian Historical Association, nonché autore del libro Una Storia Segreta, squarciarono la cortina del silenzio e di fuga da una memoria che gli stessi italiani scelsero di gettare nell’oblio, desiosi di porre fine a preclusioni e discriminazioni.
 
 
 
 

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