Johann Rukeli Trollmann, la leggenda del pugile Sinto
Potente, rapido ed elegante, Johann Trollmann calamitava folle intorno al ring e se donne rapite dalla carismatica avvenenza s’abbandonavano a lanci di fiori, schiere d’appassionati spesso dense di celebrità, rimanevano ammaliati dallo stile spregiudicato, avanguardistico e precorritore del raffinato volteggiare di Sugar Leonard, Ray Robinson, Sandro Lopopolo, del volo d’ape e farfalla di Muhammad Ali: sul quadrato saltando le corde, da un angolo all’altro tratteggiava parabole rimbalzando sulle punte quasi udisse dondolanti note jazz di Fletcher Henderson e mentre gli avversari, inchiodati al tappeto e serrati in guardia alta stentavano a sfiorarlo, da colpi improvvisi, pesanti e precisi venivano colti. In ascesa all’empireo della boxe, sconfinata memoria d’umani sentieri tinti d’asprezze, miseria, d’indelebili imprese e impietose cadute, a toglier respiro al sogno, il piombar sulla storia del Nazismo con la follia della purezza ariana e il Nuovo Ordine da concretare indistintamente annientando oppositori sia fossero politici, funzionari sindacali, giornalisti, letterati, artisti, uomini di fede ostili a piegar credo al Regime, al contempo attuando metodica eliminazione delle minoranze tedesche composte da mendicanti, giramondo, disabili fisici e mentali, omosessuali, prostitute, alcolisti, coloro considerati «untermenschen», subumani, ossia Africani, Ebrei, Slavi e i discendenti dei popoli, altresì considerati «asozialen», provenienti dal sud-est asiatico e dal XV secolo stanzianti in Europa, vittime del Grande Divoramento, «Porajmos», genocidio altrimenti evocato «Samudaripen», Tutti Morti, destino d’almeno mezzo milione di Roma e di Sinti com’era Trollmann, spirito gitano recalcitrante al silenzio e alla resa.
Noi Roma, Sinti
siamo come i fiori di questa terra.
Ci possono calpestare,
eradicare, gassare,
bruciare,
ci possono ammazzare –
ma come i fiori noi torniamo comunque sempre.
Karl Stojka
(1931-2003, artista sopravvissuto a Birkenau, Z-5742)
Soprannominato Rukeli, «alberello», dipinto d’infante esile dalla folta e scapigliata chioma corvina, Johann Wilhelm Trollmann, sesto di nove fratelli, nacque il 27 dicembre 1907 in una locanda di Wilsche, villaggio situato nel distretto di Gifhorn, in Bassa Sassonia, sosta del girovagar dei genitori Wilhelm detto Schnipplo (1867-1933) e Friederike ‘Pessy’ Weiss (1874-1946), i quali, suggellata unione il 16 luglio 1901 ad Hambergen, a nord di Brema, dopo un lungo itinerar nei territori lambiti dal Mare dei Wadden, s’erano spinti in direzione di Hannover, esplorandone la regione, finché nel cuore antico della città, in viale Tiefenthal, nei pressi del fiume Leine, vivendo d’umili mestieri, musica e marionette, fermaron carrozza e cavalli.
Aveva otto anni, quando affacciandosi sulla palestra della scuola comunale del quartiere, la nobile arte ne catturò fanciullesca immaginazione ed incoraggiato del padre – agente della Polizia Fluviale nella Grande Guerra — sull’entusiasmo dell’età al maestro di boxe chiese d’esser anch’egli allievo. Il giorno seguente, sparuto da lasciar affiorar ogn’osso dalle vesti, cominciò favola in un mondo all’epoca sospeso tra illegalità e tolleranza, difatti, sebbene società come SC Colonia 06 ed SV Astoria Berlin prosperassero rispettivamente dal 1906 e 1912, il pugilato procedeva incerto in sentieri occulti e soltanto nel 1918, con la caduta dell’Impero e l’instaurazione della Repubblica di Weimar, sparì dal libretto nero. All’abrogazione del veto, la popolarità dell’antica disciplina crebbe repentinamente e al fiorir d’accademie accanto all’esistenti, s’affratellò approvazione delle polisportive e il cospicuo incremento dei proseliti non tardò a reclamar necessità d’una coordinazione ed esigenza, fu esaudita nel 1919, creando le federazioni Verband Deutscher Faustkämpfer (VDF), dedita ai professionisti e la relativa al dilettantismo Deutsche Reichsverband für Amateurboxen (DRfAB), dando ufficiale avvio a tornei, incontri individuali e a squadre, stilando classifiche degli atleti.
Fondata a Berlino nel 1907 da Wilhelm Heinrich
dal 1919, prima azienda tedesca a produrre guantoni da boxe.
Nel 1922, all’ombra del campanile della Marktkirche di Saint Georgii e Jacobi, sovvenzionato da un drappello di commercianti, aprì i battenti il BC Heros e ad Hermann Jänecke, cofondatore e istruttore, Trollmann affidò ambizioni, racimolando peraltro modeste somme rigirate ai familiari, in una Germania attanagliata dal costante aumento dell’inflazione con annesso dilagare della miseria e nel 1925, giunse a conquistar titolo dei pesi medi nel Süddeutscher Meisterschaft replicando nelle tre successive edizioni ed il 16 marzo 1928, agguantata finale al circuito del distretto nord-occidentale, il ritiro a causa d’infortunio dell’atteso Walter Cunow del BoxClub Contra di Amburgo, già demolito a novembre del ’27, gli assegnò corrispettivo titolo del Nordwestdeutscher Meisterschaft e derivata qualificazione al 9° campionato dilettantistico nella circostanza pianificato a Lipsia, un traguardo dalla valenza avvalorata in virtù delle selezioni relative agli imminenti Giochi della IX Olimpiade di Amsterdam.
Al 3° turno eliminatorio però ebbe la peggio nel duello col bochumese Bernhard Skibinski, nondimeno disfatta non costituiva consequenziale infrangersi del sogno di veder arder il sacro fuoco, al di là del dimostrato in Sassonia infatti, a indicar degno ambasciatore di categoria, la competizione appositamente stabilita prelevando, in considerazione dei risultati raggiunti, pugili appartenenti a club iscritti al DRfAB e all’Associazione Tedesca di Atletica Leggera 1891 (Deutsche Athletik-Sportverband von 1891, DASV), ma il Comitato Tecnico, a fatica celando riluttanza ad affidar bandiera d’una Germania reduce dall’estromissioni del 1920 e 1924, ad uno zingaro, ignorando il dissenso dei funzionari delle federazioni amatoriali, lo escluse dai concorrenti adducendo a pretesto l’inesperienza e viepiù, una tecnica di combattimento reputata inammissibile, giacché assente del contegno marziale, requisito imprescindibile per interpretare l’attività adorata da Joseph Goebbels e da Hitler esaltata nel ’25 sulle pagine del Mein Kampf e con l’affermarsi del governo totalitario, attribuendole particolar valore nell’educazione della gioventù del Terzo Reich: «E’ incredibile, quante false opinioni siano diffuse sulla boxe nei circoli “colti”. E’ considerata cosa naturale ed onorevole questa, che il giovane impari a tirar di scherma e se ne vanti; ma la boxe è ritenuta volgare. Perché? Nessun altro sport desta in così alto grado lo spirito d’assalto, esige così fulminea decisione, rende forte e flessibile il corpo […] lo Stato nazionale non ha il compito di educare una colonia di esteti pacifisti e di degenerati: esso non ravvisa l’ideale umano in onesti piccoli borghesi o in vecchie virtuose zitelle ma nella audace personificazione della forza civile e in donne capaci di mettere al mondo uomini. In genere, lo sport deve non solo rendere forte, agile e ardito il singolo, ma anche indurire il corpo e insegnare a sopportare le intemperie. Se il nostro ceto intellettuale non avesse ricevuto un’istruzione così distinta e avesse invece imparata la boxe, non sarebbe mai stato possibile ai lenoni, ai disertori e simile canaglia di fare una rivoluzione in Germania».
Superato esame battendo in finale Cunow, preferito all’annoveriano, nei Paesi Bassi volò Albert Leidmann registrando vittoria sul greco Georgios Kaldis al primo turno e fatale sconfitta ai punti con il belga Leonard Steyaert, medaglia di bronzo dietro l’argento del ceco Jan Heřmánek e l’oro dell’italiano Piero Toscani.
Smaltita delusione, a gennaio 1929 Trollmann si congedò dal BC Heros, prossimo a fusione con l’Eintracht Hannover, stringendo effimera unione col Boxclub Sparta Linden, accademia fondata nel 1926 e segnatamente per merito del peso mosca Paul Schubert — secondo gradino del podio alle viennesi Olimpiadi dei Lavoratori (Arbeiter-Olympiade) del 1931 — divenuta vanto della Federazione degli Atleti Lavoratori (Arbeiter-Athletenbund Deutschland). Sul finire dell’estate, dopo oltre un centinaio di match fra i dilettanti, scommettendo su di sé passò al professionismo e venerdì 18 ottobre 1929, al cospetto del pubblico della Spichernsaele di Berlino, debuttò contro Willy Bolze, il cui percorso nella profiboxen intrapreso da un quinquennio e segnato da 13 sconfitte, 15 pari e un’unico trionfo risalente al ’25 ai danni del peso leggero Hermann Theiss, non restituiva un profilo tra i più temibili nel panorama della boxe tedesca e al termine dei 4 round previsti, i giudici si pronunciarono a favore dell’esordiente. Battesimal cerimonia compiuta nel corso d’una sera che parve dal fato dipinta perché proemio scorgesse epilogo attraverso un intreccio di date, nomi e volti, testimoni del drammatico espero sportivo e umano della promessa sinta: su medesimo ring salì Gustav Eder prevalendo sull’acerbo Rudolf Boguhn; il belga Camille Desmet, a poche settimane dall’assalto alla cintura europea dei welter nella teca del connazionale Gustave ‘Staff’ Roth, esteta mancino d’Anversa sulla rotta di Trollmann il 16 maggio del cruciale 1933, riportando una vittoria ai punti, premessa al titolo continentale dei medi, laureandosi poi, nel 1936, campione mondiale massimi leggeri, preservando alloro dall’immediato attacco di Adolf Witt.
Paul Schubert e Johann Trollmann, 3° e 6° da sinistra, ©Hans Firzlaff
Archiviata sortita, Trollmann tornò in scena il 4 dicembre alla Burghaus di Hannover e sospinto da familiar cornice affondò il welter Alex Tomkowiak mandandolo al tappeto quand’ancora echeggiava campana d’inizio ostilità e a distanza di ventitré giorni, sul palco del battesimal teatro, folgorò al 2° dei 6 prestabiliti round anche il peso massimo leggero Paul Vogel. Varcata soglia del 1930, d’acchito prevalse ai punti sull’algerino Joseph Esteve nelle sale del leggendario Westfalenhalle di Dortmund, poi, il 10 gennaio, serie positiva bruscamente s’interruppe nella sin ad allora benevola Spichernsaele con un duro k.o. subìto dal polacco Erich Tobeck; lo fronteggerà nuovamente a febbraio e dicembre del 1931 fallendo ambedue le opportunità di riscatto, nondimeno, al tracollo berlinese reagì inanellando una lunga sequenza di vittorie: sotto i suoi colpi caddero Hans Thies, Walter Poehnisch, Erwin Stiegler, Georg Gebstedt, Franz Krueppel, Walter Peter, Emil Koska, in altre due occasioni Vogel e scalata arrestò cedendo ai punti davanti a Hein Domgörgen, campione coloniese giunto alla data vantando personale primato di 97 vittorie su 108 contese ed in procinto di fregiarsi del titolo europeo dei pesi medi piegando al Poststadion del quartiere berlinese di Moabit, l’austriaco Leopold ‘Poldi’ Steinbach.
Cammino e talento adamantino gli avevan procurato un contratto con l’agente Ernst Zirzow, percepiva fino a 2.500 Reichsmark a combattimento (nel 1930 1 ℛℳ, corrispondeva a circa 4,5 Lire italiane) e se l’elogiante stampa di settore, adesso arianizzata, ne criticava stile, atteggiamento e ne irrideva sangue scrivendo di Gipsy Trollmann, cresceva la popolarità dell’atleta e dell’uomo tanto animoso da schernire i detrattori, imprimendo un nero e riconcepito Gibsy, sui pantaloncini dorati con cui ribelle all’insofferenza, sul quadrato saliva, ballava e ostentando distrazione intrattenendo e divertendo il pubblico, dominava: fra il 1929 e il 1930 collezionò tredici vittorie su diciassette incontri e nel 1932, disputandone ben diciannove, uscì invitto quattordici volte riuscendo a fermare sul pari l’ormai iridato Domgörgen e ad impressionare Max Machon e Yussel ‘Joe’ Jacobs, rispettivamente maestro e manager della leggenda di Klein Luckow, Max Schmeling, l’Ulano Nero del Reno detentore della corona mondiale dei massimi e, trasferitosi a New York nel 1927, sul finir degli anni Trenta protagonista assieme a Joe Louis dell’epiche due battaglie, da politica e media distorte in allegoria del conflitto ideologico di Stati Uniti e Germania d’Hitler, quantunque il tedesco, indole filantropica e trasparente nell’attaccamento alla propria terra, esplicitamente ricusasse aderenze col nazismo e mai indietreggiò, ripudiando teorie di razza, respingendo le pressioni esercitate da Goebbels, blandimenti e onorificenze del Führer suscitandone l’indignazione, ma soprattutto, offrendo scudo e fuga ad Ebrei.
Nel 1932, all’indomani d’un fulmineo e violento knock-out, da Trollmann inferto al massimo leggero Walter Sabottke nell’area esterna del Saalbau Friedrichshain di Berlino, Machon e Jacobs, lo esortarono ad emigrar oltreoceano allungandogli una proposta d’ingaggio ed invito a salutar la Germania, gli rivolgerà Schmeling in persona nel ’33, ma l’affetto dei familiari, il legame con la gente e le strade di Hannover, l’albeggiante amor per la diciottenne d’origini cosacche, Olga Frieda Bilda, lo trattennero, nonostante i prodromi d’impietoso avvenire.
Johann Trollmann: sul ring contro il nazismo
Cancelliere dal 30 gennaio 1933 su mandato conferitogli da Paul von Hindenburg, Reichspräsident della Repubblica di Weimar, Adolf Hitler, approfittando del controverso incendio al Palazzo del Parlamento divampato alle 21:14 del 27 febbraio e dal presidente del Reichstag, Hermann Göring, addebitato ad esponenti del KPD, indisse lo stato di emergenza e s’adoperò affinché venisse adottato il provvedimento a «protezione del Popolo e dello Stato», sospendendo, a una settimana dalle elezioni, gran parte dei diritti civili e politici contemplati dalla costituzione del 1919, ottenendo così pieni poteri con decreto approvato Il 24 marzo. Dal 7 aprile, a ventun giorni dall’istituzione della Gestapo, furono legiferate le prime norme a difesa della razza, estromettendo gli Ebrei da scuole, atenei, uffici pubblici, osteggiandone l’esercizio di libere professioni e simil insania non risparmiò lo sport, costringendo a solerte espatrio atleti dal valore di Daniel Prenn, tra i migliori pongisti e tennisti europei, ebbe accoglienza in Gran Bretagna; Rudi Ball, icona dell’hockey su ghiaccio nel 2004 inserito nella Hall of Fame della International Ice Hockey Federation, ripiegò in Svizzera e poi in Italia; Helene Mayer, indiscussa regina del fioretto mise dimora in California, dedicandosi all’insegnamento di tedesco e scherma al Mills College di Oakland, arricchendo nel frattempo una bacheca già traboccante trofei e ad imprevisto esilio soggiacque anche il campione dei pesi medi e massimi leggeri, Eric ‘Ete’ Seelig, spogliato d’entrambe le cinture con annessa garanzia di morte qualora in un ring fosse risalito, senza sfilar guantoni ripiegò a Parigi e seriormente a Londra, rimanendovi sintantoché finanze gli consentiron traversata atlantica e via Cuba, sbarcar negli Stati Uniti, ove con incisa Stella di David sui pantaloncini, proseguì carriera per altri cinque anni, collezionando un totale di 62 match di cui vinti 41, persi 14 e 7 pareggiati.
Infernal voragine stava disserrandosi, palesando tenebre nell’arder delle «Bücherverbrennungen», elevanti a profezia asserzione d’Heinrich Heine scolpita nel 1823 in Almansor, «là dove si bruciano i libri, alla fine verranno bruciate anche le persone» e al fragor di tempesta, la notte di venerdì 9 giugno, si tenne l’incontro fissato sulle 12 riprese, valido per il vacante titolo dei massimi leggeri, i contendenti — sull’equilibrio di tre precedenti con una vittoria ciascuno e un pari — il diciannovenne Adolf Witt e il venticinquenne Johann Trollmann, 77,9 chilogrammi su 175 centimetri contro 71,3 kg in 181 cm e ad accoglier evento, gli ambienti dell’antico birrificio Bock nella Fidicinstraße del quartiere Kreuzberg di Berlino, da fine Ottocento luogo di festival, spettacoli musicali, teatrali, divenendo covo d’artisti, ritrovo dei movimenti operai e poi dei nazionalsocialisti, all’appuntamento presenti tra i millecinquecento astanti, col veterano dell’NSDAP, Georg Radamm, accomodato a bordo ring in qualità di neo-designato presidente della VDF e in quanto tale, punto compiacente della possibilità data al Sinto ed impaziente di mirar trionfo del giovane e coriaceo natio della portuale Kiel. Secondo disposizione della Federazione, il successore di Seelig sarebbe dovuto emergere dal confronto dei prescelti Helmut Hartkopp e Witt, a questi serbando, essendo più attendibile, ipotetica sfida con Trollmann qualora dallo scontro, organizzato il 17 aprile al Flora Theater di Amburgo, erede non fosse venuto in luce ed eventualità, egual punteggio al termine di contesa, aveva tramutato in scomoda realtà.
Witt sembrò comunque esser in grado di soddisfar le aspettative e chiuder comodamente pratica: brevilineo, compatto e rigido come una colonna, partì aggressivo e a guisa di carro armato, si postò al centro del quadrato bombardando ganci senza sosta a scardinar la guardia d’un Trollmann nei minuti d’apertura, disorientato e sopraffatto, non pertanto arrendevole ed invero, dalla 2° campana si ridestò, eclissandone gradualmente le speranze: mobile e leggero, disegnando arabeschi, lo aggirava, evitava il contatto, ne leggeva i passi e allo scoccar dell’istante, infilava montanti in controtempo, sparava diretti e tornava a lambir le corde, mordeva e svaniva, ne mandava a vuoto le cannonate avvilendone la possanza e martellava. Col trascorrere delle riprese l’evidente imminenza della disfatta del pugile kieler, al 6° round con uno zigomo tumefatto e i polmoni in carenza d’ossigeno, indusse il direttore di gara Otto Griese — ex-peso leggero campione dei dilettanti nel 1923, nonché consigliere della VDF — a intervenire esortando i guerreggianti ad aumentare l’intensità, facendosi in effetti ambasciator d’intimazione di Radamm, esacerbato dall’ossessiva danza del Sinto e dunque smanioso d’assister a un legnoso combattimento degno d’una «Deutschen Faustkampf», tentando così di tarparne le ali e agevolarne l’abbattimento, nient’altro ricavando se non di vederlo continuar imperterrito a tesser tela e il sempre più annichilito Witt ad impigliarsi nella trama, lentamente incrinando, col saggiar pur il tappeto, immagine dell’enfatizzata superiorità ariana.
Scoccato dodicesimo gong, a dispetto di narrazione, Griese tradì aspettazione pronunciando verdetto «ohne Entscheidung», incontro nullo, raggelando Trollmann, meravigliando lo stesso Witt ed attimi d’irreale silenzio, preannunciaron assordante protesta. Nell’infuriar d’urla, un esagitato Zirzow si precipitò dai giudici e non appena posò gli occhi sulla verità dei cartellini, rabbiosamente se ne appropriò e ringhiando improperi, prese a sventolarli a dimostrazione di manifesta ignominia e l’intero birrificio, già in delirio, esplose tal baccano da gettar nel panico le divise nere e sott’una pioggia di vituperi, sedie e legnate, Georg Radamm, a match in corso financo inventatosi sparizione della corona d’alloro prevedendo inammissibile esito, si chinò al responso dell’arena mestamente digrignando contrordine di far ricomparir ghirlanda e d’appenderla al collo dell’inviso Johann Trollmann, che a proclamazione, potenziale ingresso nella boxe internazionale e redenzione d’un’esistenza ai margini, proruppe in un sacrosanto pianto di gioia.
Lunedì 12 giugno, la Boxsport Behörde Deutschland (BBD), massima autorità pugilistica istituita nel 1926, in persona del presidente Hans-Joachim Heyl, notaio berlinese e Vice Comandante Battaglione delle Sturmabteilung, reparto d’assalto del Partito Nazista, ascoltati i resoconti di Radamm e Griese, riscrisse capitolo e con gaudio di sanata ingiustizia, testo venne divulgata da Box-Sport Magazin: «Il verdetto della lotta di Johann Trollmann e Adolf Witt del 9 giugno nel birrificio Bock per il titolo di campione dei pesi massimi leggeri di Germania, a causa della insufficiente prestazione di entrambi i pugili, è invalidato». La rivista rese nota anche l’ammenda di 100 ℛℳ a carico di Ernst Zirzow, imputato di «comportamento straordinariamente antisportivo» e dalle colonne del quotidiano Berliner Lokal-Anzeiger, oltre al plauso alla revoca, stimata unica «risoluzione al fine di non mettere in imbarazzo il pugilato professionistico tedesco», piovve condanna sulle lacrime versate da Trollmann, dacché «a un pugile tedesco non è permesso piangere, certamente non in pubblico» e così calcando solenne redarguizione a motivo di «comportamento inadeguato» mossagli dalla Federazione che, non paga, in ragion di rivalsa al disonorante episodio, ne ribaltò scenario, opponendogli in match accordato il 21 luglio al Bockbrauerei, il ventiseienne Gustav ‘Eiserner’ Eder: nativo di Bielefeld, in Nord Reno-Westfalia, deteneva la corona dei welter da tre anni e la conserverà ininterrottamente quasi due decadi, impadronendosi per di più del soglio europeo dal 1934 al 1938, porgendo scettro al belga Felix Wouters dopo averlo difeso da avversari del calibro di Francois Sybille, Karl Blaho, Alfred Katter, Einar Aggerholm, Eduard Hrabak, Hilario Martinez, il succitato Roth e Vittorio Venturi. Istigato da sordida rivendicazione, il Comitato Sportivo s’era quindi azzardato a convocar un atleta di categoria inferiore, 65kg per 171cm e benché d’indubbio valore, toccando apice d’abiettezza, arginò malaugurati imprevisti colmando divario da Johann Trollmann, impartendogli obbligo di rinunciare alla peculiare «Instinktboxen», pertanto niente gambe, schivate, cambi guardia, niente, diversamente, revoca della licenza.
A pretesa, remissività e renitenza, s’equivalevan a sinonimo di disfatta e il Sinto, a sé fedele, volle scriverne la sceneggiatura osando un racconto oltremodo tagliente e ingiurioso: sul quadrato del birrificio Bock ove s’era ingenerato peccato e stavolta accuratamente circondato da componenti delle Schutz-Staffel, irrise l’icona ariana salendovi col viso e il torso cosparsi di talco, la chioma d’ebano imbiondita e a comando «boxe» dettato dall’arbitro, esaudì grottesca istruzione ed accettò la rissa, accantonando tecnica, stile, in concreto limitandosi a contener le bordate di Eder, incurante dei pericoli, delle preghiere di Zirzow, all’angolo accanto al secondo intento a tamponar tagli, cercando di dissuaderlo dal protrarre farsa, peraltro cagion d’un lento sciamar di civili indisposti a sostener indecenza.
Al 5° round, rorido di sangue in volto, rovinò al tappeto, dieci lampi, K.O.
Riottoso a chinar capo e deporre le armi, munito di pertinacia tentò di negarsi a ineluttabile tramonto, tuttavia, osteggiato dai giudici, a priori estromesso dai nominabili a contender titolo dei medi a Domgörgen, a utilità persin coartato dai nazisti ad andar giù, di fatto s’immolò a profitto di rivali anteriormente surclassati quali Fred Boelck, Franz Boja, Rienus de Boer, Walter Sabottke, incrociato tre volte nell’arco di sei mesi e Box Sport, che il 17 luglio s’era soffermato a rifletter sull’ipotesi per cui «se lo zingaro non esistesse, non sussisterebbe l’occorrenza di liberarsene», suggerì meditarne una temporanea sospensione e consiglio, venne presto accolto. Battuto ai punti dall’esordiente Arthur Polter, in un match tenuto il 12 marzo 1934 nel Palmengarten di Lipsia, Trollmann venne cancellato da VDF, agenti, promotori e a carestia d’ingaggi, s’aggiunse decisione di Zirzow a rescinder contratto, accingendosi a ricoprir posizione di manager dello Sportpalast di Berlino e dell’organizzazione ricreativa controllata dal Reich, Kraft durch Freude. Esiliato nei meandri dell’oblio, seppur cosciente d’esporsi a formale radiazione s’arrischiò a boxar in fiere e manifestazioni tradizionali, ma trascurata notorietà gli fu fatal messaggera di notizia ai vertici della Federazione, solerte a sfruttar situazione: «Per la partecipazione a combattimenti in eventi attrattivi, il 24 maggio 1934, Johann Trollmann è stato espulso dalla rosa degli affiliati alla Verband Deutscher Faustkämpfer», siglato Georg Radamm e sipario calò definitivamente sulla parabola pugilistica di Trollmann, una corsa di 64 contese scandite da 31 vittorie, 11 per knock-out, 14 pari e 19 sconfitte, 9 riscosse negli 11 incontri disputati dipoi Adolf Witt.
Mi sto portando un demone sulle spalle
Un demone che decide della mia vita
A suo piacimento
È giorno o notte
Sole o pioggia
Ed io bevo solo sabbia e sale
Il demone sulle mie spalle
Mi porta nel deserto
Dove le mie ossa si polverizzano al sole
Le polveri si spargono sulla mia anima
Prosciugando il mio sangue
Mi sto portando un demone sulle spalle
Che mi allontana dall’azzurro del cielo
E mi porta nell’oscurità dove c’è il nulla
Dove io non esisto più…
Paula Schöpf, Mi porto un demone
L’Olocausto in/dimenticato
Orfano d’arte e da legge inserito nei progetti del Reichsarbeitsdienst, l’agenzia governativa per l’impiego, serviva al deposito di carbone della stazione ferroviaria di Hainholz, quartiere settentrionale di Hannover e al vicino aeroporto di Vahrenheide, dopodiché, dato il salario percepito a malapena eccedente il sussidio di disoccupazione e bastevole alla stretta sussistenza, al calar della Luna arrotondava facendo il cameriere nei locali del centro storico e a fattibilità, in sella alla moto passion d’infanzia regalatasi agli albori del professionismo, si fiondava a Berlino da Olga Bilda, residente nel quartiere di Charlottenburg, dove, al numero 70 di Schlüterstraße, si stabilirono quand’ella, il 18 marzo 1935, gli donò figlia alla quale posaron nome Rita Edith.
Convolaron a nozze il 1° giugno, frattanto oppressione nei confronti di Roma, Sinti e altri strati minoritari, soggetti a schedatura e sorveglianza repressiva già durante l’Impero e la Repubblica di Weimar, andava progressivamente intensificandosi e in vari Länder, agendo sull’urgenza di contrastare la delinquenza, all’acuirsi dei controlli si moltiplicavano i campi in cui senza uniformità di trattamento e strutture, Romaní dapprincipio non stanziali, girovaghi e mendicanti venivano scortati: accadeva a Colonia, Dusseldorf, Wiesbaden, Francoforte e nel ’36 a Berlino, in previsione dei Giochi della XI Olimpiade, con la relegazione di circa seicento persone, raddoppiate entro il 1938, nel Zigeunerrastplatz del quartiere di Marzahn e nell’autunno del 1935, la promulgazione dei provvedimenti legislativi di Norimberga, atti a contraddistinguere giuridicamente i cittadini del Reich dal resto della popolazione defraudata d’ogni diritto, corroborando divisione col veto a matrimoni e relazioni extraconiugali fra le due classi, coll’obiettivo d’impedire corruzione e indebolimento della razza ariana — presupposto dell’ignobile Legge del 1933 sulla prevenzione della nascita di progenie affetta da malattie ereditarie, fomite di sommarie sterilizzazioni coatte e preludio del programma Aktion T4 — assieme agli ebrei, identificati su base genealogica, con circolare del 26 novembre coinvolse anche «negri» e «zingari».
Il 14 dicembre 1937, il Ministro degli Interni Wilhelm Frick, emanò il decreto sulla lotta alla criminalità, permettendo l’applicazione della carcerazione preventiva sia nei riguardi d’abituali delinquenti, valutandone la propensione patrimonio genetico, sia a «coloro che dimostrano con il loro comportamento, seppure non delittuoso, di non volersi adeguare alla vita della comunità», istituzionalizzando l’individuo «asociale» e delineando, su atavici preconcetti, movente per affiggere i definiti zingari, peraltro ritenendoli affetti da «ritardo mentale ereditario» occultato da una «apparente maschera di intelligenza», passibili di vasectomia. Sistematica persecuzione, vestibolo di sterminio, fu sancita dalla Circolare sulla nocività degli zingari, ratificata l’8 dicembre 1938 dal Reichsfürer delle SS e Capo della Polizia, Heinrich Himmler: «Le misure finora adottate per combattere la nocività degli zingari e quanto si è appreso grazie alle ricerche genetico-razziali, dimostrano che il modo giusto di affrontare il problema degli zingari consiste nell’approccio razziale. L’esperienza dimostra che gli zingari impuri hanno una parte di primo piano nella criminalità degli zingari. D’altra parte è provato, che gli sforzi tendenti a rendere gli zingari stanziali sono destinati al fallimento, soprattutto nel caso di zingari puri, a causa del loro insopprimibile anelito al vagabondaggio […] È quindi necessità imprescindibile per la soluzione del problema, innanzitutto stabilire l’origine razziale degli zingari residenti nel Reich tedesco e delle persone che vivono similmente agli zingari. Ordino quindi che tutti gli zingari stanziali e tutti viandanti che conducono una esistenza simile agli zingari, si registrino presso l’Ufficio Centrale della Polizia Criminale del Reich per la Lotta alla Nocività degli Zingari. Le autorità di polizia segnaleranno di conseguenza tutti gli individui che per aspetto usanze o abitudini, possano essere considerati zingari o in parte zingari […] Pertanto, ai sensi del paragrafo 1 dell’Ordine di Regolamento del Presidente del Parlamento per la protezione del popolo e dello Stato del 28 febbraio 1933 […] ordino che tutti gli zingari, i meticci e le persone dedite al nomadismo siano coartati ad esame biologico di laboratorio e a fornire le necessarie informazioni sull’ascendenza. L’esecuzione di tale ordine è garantita mediante azione coercitiva della Polizia».
Himmler si espresse inoltre in merito al vincolo matrimoniale: «Dato che un individuo ritenuto zingaro o in parte zingaro, o un individuo che conduce vita da zingaro, in linea di principio, conferma il sospetto che non debba contrarre matrimonio — in conformità al paragrafo 6 del 1° decreto sull’applicazione della Legge per la difesa del sangue e dell’onore tedesco o in base ai dettami della legge sull’idoneità al matrimonio — gli ufficiali di stato civile sono inderogabilmente tenuti a richiedere un attestato di idoneità al matrimonio a coloro che ne fanno domanda […] La soluzione della questione zingari rientra nella missione di rigenerazione nazionale del Nazionalsocialismo, soluzione che potrà essere raggiunta solo nella prospettiva filosofica del nazionalsocialismo. Benché il concetto per cui il popolo tedesco rispetta l’identità nazionale dei popoli stranieri, sia osservato anche nella lotta contro la nocività degli zingari, scopo dei provvedimenti emanati dallo Stato in difesa della stirpe germanica, deve essere la separazione fisica degli zingari dal popolo tedesco, la prevenzione di incroci e infine la regolamentazione del modo di vivere degli zingari più o meno puri. Le necessarie basi legali possono essere costituite solo da una legge sugli zingari che vieti successivi miscugli di sangue e regoli i problemi più urgenti che si accompagnano all’esistenza di zingari nello spazio vitale della nazione germanica».
A breve, forniti d’abiti di traliccio contrassegnati dal triangolo marrone e lettera Z a preceder numero d’identificazione, troppi indelebilmente intagliati sulla carne, migliaia di Sinti e Roma avrebbero varcato la soglia della Geenna, deportati in massa a Buchenwald, Dachau, Ravensbruck, Sachsenhausen, nei funesti campi disseminati nei territori del Governatorato Generale, a Hohenasperg, Białystok, Gurs ed ovviamente, abominio travolse Trollmann e fratelli: Albert, detto Benny, nato nel 1914, a gennaio del 1938 fu sottoposto a sterilizzazione al Ricklingen Hospital, l’attuale KRH Clinic Siloah; il settimogenito Julius ‘Mauso’, relegato nel famigerato campo di rieducazione del distretto di Lahde, ne uscì afflitto da paralisi agli arti inferiori e al braccio destro, spirando nel 1958, quarantottenne, entro le mura della casa di riposo Feierabend di Langenhagen; il più giovane della famiglia, Heinrich ‘Stabeli’, virtuoso violinista, segregato ad Auschwitz, vi morì assassinato a ventisette anni nel 1943; Johann, tormentato dal reiterarsi di fermi, soprusi, obbligato a optar tra paternità e lager, il 3 settembre 1938, desiando protegger moglie e creatura dalla tirannia, divorziò, accettando amor furtivo ed in perenne tensione indotta dal timore di ripor fiducia in mani corrotte, d’aggirarsi clandestino rifugiandosi da conoscenti, altrimenti pregando tregua in settimane consumate con altri Sinti nella selva di Teutoburg, nei pressi della cittadina Bruchhausen-Vilsen, a quaranta chilometri a sud di Brema. Latitanza però finì a metà dicembre, intercettato ed accusato di vagabondaggio, spese mesi ai lavori forzati nel distretto di Ahlem e nell’inverno del 1939, dalla Wehrmacht, l’esercito del Terzo Reich per cui era stato indegno dei colori tedeschi, di diritti e vessato poiché elemento d’una «Zigeunerplage» da estirpare, fu chiamato a render onore al Paese ed alla guerra, indolente a distinguer blasonati da plebei, sacrificato ed arruolato nella 31° Divisione di Fanteria, spedito in Polonia e poi sul Fronte Occidentale, di stanza in Belgio, Francia, percorrendo le regioni della Piccardia, Normandia, Loira e a novembre 1941, da giugno in forza al 12° Reggimento artiglieria impegnato nell’Operazione Barbarossa, rimase ferito ad una spalla nelle campagne del voivodato della Masovi e pertanto, rimandato in Germania senza requie trovarvi.
Nel giugno del 1942, sei agenti della Gestapo preceduti da dobermann e alsaziani, brandendo M40 e Walther PPK irruppero nell’appartamento del fratello maggiore Wilhelm, da tempo recluso in un campo di Hannover adibito alla fabbricazione d’armamenti, cogliendovi la consorte Erna con le figlie Marlies ed Elfriede, la quale, di otto anni ed in preda a natural terrore innanzi al cruento sbraitar dei militari, stringeva un inerme Johann Trollmann passato a prenderla per trascorrer con lei una giornata al fiume. In un turbinio di grida, pianti e latrati, strappatagli dalle braccia la bambina gettandola a terra con tal brutalità da provocarle danni permanenti, lo pestarono, malmenando con efferatezza anche nipote e cognata accorse in aiuto della piccola e a strazio adempiuto, fu tradotto alla Zigeunerzentrale di Hardenbergstrasse — presidio della Polizia di Hannover e laboratorio di indagini biologiche su Rom e Sinti dipendente dal Centro di ricerca Igiene Razziale guidato da Robert Ritter — permanendovi, sopravvivendo a denutrizione e torture, finché da ottobre, calvario si protrasse a Neuengamme.
Un colpo alla porta nella notte profonda
Denti feroci di cani ammaestrati,
un mitra puntato sul viso assonnato
sogno infranto allucinante incubo;
nere divise sguardi pungenti
disprezzo e odio accuse infamanti,
turbine violento, occhi innocenti…
a porta chiusa un sogno svanito
lacrime a terra… cuori strappati.
Santino Spinelli, Perquisizione
Innalzato nel 1938 dall’impresa edile di proprietà delle SS, Deutsche Erd- und Steinwerke, per la realizzazione di mattoni clinker e dal 1942 di materiale bellico, il campo di concentramento, presieduto dal Colonnello Max Pauly ed amministrato dal Maresciallo Maggiore Otto Fritz ‘Tull’ Harder, vecchio gioiello del calcio amburghese, annoverava Comandante del Corpo di Custodia Protettiva, un trentunenne Albert Lütkemeyer che, prima d’aderir al NSDAP e dal 1934 vestir uniforme delle Schutz-Staffel guadagnando fama di Cecchino della Morte e di Bestia delle SS, per la nefanda consuetudine d’applicar l’ottocentesca barbarie del tratto di corda, nella cittadina Osnabrück di provenienza, agli scalpelli della falegnameria di famiglia alternava camicia con cravattino d’arbitro di pugilato e nel prigioniero 9841, non tardò a identificar lo spettro del ballerino gitano, ben pensando di sfruttarne lacerata maestria riservandogli, per un tozzo di pane e un sorso schnaps, ruolo da svolger ogni sera, stremato e umiliato dalla fame, d’allenante bersaglio a privilegio delle guardie.
Il 9 febbraio 1943, il registro delle vittime in dote all’infermeria, dichiarava conclusa alle 6:00 di mattina la romantica tragedia di Johann Trollmann: «Versagen von Herz und Kreislauf bei Broncho Pneumonie», insufficienza cardiocircolatoria da broncopolmonite. La salma venne cremata e l’urna cineraria, consegnata alla famiglia, sepolta l’8 marzo nella sezione U28 n.806 del cimitero di Ricklingen, distretto di Hannover.
e dal Kriminalsekretär della Gestapo, Otto Apenburg
Nel racconto del superstite Robert Landsberger, Trollmann era vivo.
Un manipolo di prigionieri nobilmente determinato a sottrarlo da quotidiano martirio, affibbiatagli identità d’un defunto, l’aveva catapultato a Wittenberge, città del Brandeburgo distesa lungo l’Elba, dove dal 1942, col proposito d’incrementare la produzione tessile a sostituzione della merce d’importazione, parallelamente sovvenendo alla carenza di manovalanza, su incentivo del Phrix Werke, gruppo di controllo dell’industria della cellulosa, coinvolgendo la società di costruzioni Philipp Holzmann e l’azienda d’ingegneria Grün & Bilfinger, un campo satellite di Neuengamme operava all’interno della Kurmärkische Zellwolle und Zellulose AG, impegnata allo sviluppo di fibre sintetiche utilizzate nell’assemblaggio d’esplosivi e confezionamento d’uniformi.
Ancorché le condizioni fossero migliori rispetto al lager d’Amburgo, in particolare a merito della diplomazia del Lagerältesten Karl Gräfe, alacre ad alleviar le angosce dei reclusi, reperendo pasti supplettivi, bevande e tabacco, i circa cinquecento internati, inclusi bambini dagli 11 ai 14 anni, pativano incubo di baracche sovraffollate, denutrizione, assenza d’igiene e d’adeguate cure mediche, estenuanti ore di lavoro pesante, le assidue angherie delle guardie del sadico Maresciallo Maggiore Max Kirstein e dei Kapò, di cui supervisore, Emil Cornelius, un trentenne di Tilsit, Prussia Orientale, sbarcato a Wittenberge da Sachsenhausen esibendo il triangolo di stoffa verde distintivo dei criminali abituali, in linea con la fedina penale siglata da vari reati, dalla resistenza a pubblico ufficiale a furti e lesioni personali, malgrado espiasse, dal 1936, il sostegno dato a nuclei comunisti divulgandone manifesti di propaganda.
Responsabile del deposito di stoppia, fra i detenuti a carico, da pugile senza gloria probabilmente riconobbe Johann Trollmann e a distanza di anno dalla perversa giostra di Neuengamme, coi bombardieri degli Alleati a ruggire sui primaverili cieli della Germania, si vide costretto ad ennesimo agone. Delizia e maledizione della boxe tedesca, il Sinto, consunto all’inverosimile, compose l’ultima strofa d’elegia folgorandolo con una fiammata in pieno volto.
«A seguito di ciò, Cornelius tormentò Trollmann, lo sfinì di lavoro […] Anch’io ero in quel blocco e ne sono stato testimone. In un terreno a circa 1 chilometro di distanza dal campo, c’erano montagne di paglia. Quando Trollmann crollò al suolo esausto, Cornelius lo uccise con una mazza. Io stesso lo aiutai a portare via il corpo […] Cornelius pare abbia poi liquidato il fatto come un incidente, ma verità è, che lo colpì letteralmente a morte». (Deposizione di Robert Landsberger, rilasciata nel corso dei processi sui crimini commessi nel lager di Neuengamme)
È finita la storia dei Sinti
I violini tacciono
Le chitarre non hanno più anima
Le giovani donne non danzano più
Non hanno più piedi I fuochi si sono spenti
Gelida è la notte
La nebbia ha dissolto i cuori dei Sinti
La terra si è dissolta col loro sangue
Non ci sono più carrozzoni nella verde periferia
Né violini innamorati
Né fiori nei bruni capelli
Non ci sono più capelli bruni
Oggi una carovana si è accampata
Alla porta del paradiso.
Paula Schöpf , Il viaggio è finito
Nel 2003 la Bund Deutscher Berufsboxer, riconobbe ufficialmente Johann Trollmann, vincitore del campionato nazionale dei medio massimi del 1933, consegnando ai familiari la cintura. L’anno successivo, viale Tiefental, fu rinominato Johann Trollmann-Weg, mentre nel quartiere Kreuzberg di Berlino, due placche commemorative installate fra il 2010 e 2011, ne perpetuano la storia.
Fonti:
rukeli-trollmann.de
Offenes Archiv
Bundesarchiv Berlin
Arolsen Archives
KZ Gedenkstaette Neuengamme
Mario Briccarello, Prontuario Monetario Universale, 1931
Michael Burleigh, Wolfgang Wipperman, The Racial State: Germany 1933–1945, 1992
Hans Firzlaff: Knock-out. Die Tragödie eines Sinti-Boxers. Hannover 1998
Saul Friedländer, Das Dritte Reich und die Juden: die Jahre der Verfolgung 1933-1939, 1998
Kathrin Herold & Yvonne Robel, Johann Trollmann in der gegenwärtigen Erinnerung: Die Verfolgung der Sinti und Roma im Nationalsozialism, 2012
Roger Repplinger, Leg dich, Zigeuner: Die Geschichte von Johann Trollmann und Tull Harder, 2012
Sarah Wiertz intervista a Manuel Trollmann, 2013
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