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Villa Palagonia, la dimora che incantò artisti e ricercatori

 
 
Il vento che dal mare soffia su Bagheria, deve portare e lasciare qualcosa di magico, basti pensare di quanta arte, questo piccolo comune palermitano, ha fatto dono a tanti suoi figli.

Bagheria si è lasciata cullare dai versi di Buttitta e Giardina, immortalare dalle fotografie di Pintacuda e Scianna, si è fatta decoro delle sculture di Cuffaro e Gennaro, si racconta fra le pagine dei libri di Dacia Maraini e nelle pellicole di Tornatore, fino a ritrarsi nelle tele di Tomaselli, Garajo, Musti e Renato Guttuso.

Non sorprende quindi che tra le tante sue bellezze, a Bagheria ve ne sia una capace d’ammaliare più di quanto possa per il solo aspetto, un luogo surreale che nei secoli ha catturato scrittori, pittori, registi e poeti, fino a calamitare su di sé l’attenzione di ricercatori e psicologi.

Parliamo chiaramente della famosa Villa Palagonia, detta anche ‘dei mostri’ per la presenza di statue raffiguranti esseri deformi e animali dall’aspetto inquietante, per lungo tempo avvolti dalla leggenda che li voleva capaci di gettare malefici sulle persone.
 
Villa Palagonia
 
Desiderata dal Principe di Palagonia, Ferdinando Francesco I Gravina Cruyllas, è del 25 giugno del 1715 il contratto che diede inizio alla costruzione, un progettò al quale lavorò alacremente il frate domenicano Tommaso Maria Napoli, architetto e ingegnere – nonché figura di spicco del barocco siciliano – che negli stessi anni, si occupò anche della vicina e maestosa Villa Valguarnera.

A conferire alla Villa l’aspetto che la renderà famosa in tutto il mondo, fu però il nipote Ferdinando Francesco Gravina Alliata, uomo che a dispetto della bizzarria con la quale volle ornare la residenza, è descritto dall’eclettico naturalista polacco Michel-Jean Borch, come un’uomo estremamente lucido di «un’intelligenza illuminata», mentre nientemeno che il poeta, drammaturgo e scrittore Johann Wolfgang Goethe, ne tratteggia l’eleganza e la solennità, pur non mancando di criticarne l’opera.
 
Villa Palagonia
 
Villa Palagonia è infatti tra le pagine del saggio in due volumi, che Goethe scrisse fra il 1813 e il 1817 e dal titolo Viaggio in Italia.
Nel 1787, dopo aver lasciato Napoli, lo scrittore tedesco giunse a Palermo con all’amico pittore Khristoph Heinrich, alloggiando in una locanda nello storico quartiere Kelsa.

Prima di lasciare l’isola, furono portati a visitare Villa Palagonia, ovvero «quanto di non naturale possa concepire un cervello anomalo», scriverà nel suo diario di viaggio. «Uomini con teste di donne, donne con teste di uomini, cavalli con zampe di cani e rostri di uccelli rapaci, bestie tricipiti camuffate alla moda di Parigi, bipedi senza piedi, esseri con la bocca nella fronte e nasi all’ombelico, soldati, pulcinelli, turchi, spagnuoli e mostri delle più stravaganti forme; e con essi nani, gobbi, sbilenchi, sciancati, figuracce orride per composizioni non mai sognate, per atteggiamenti sinistramente contorti, per ininfrenabili corruzioni del gusto: tutto vi venne impostato».
 
Villa Palagonia
 
Villa Palagonia
 
Lo scrittore ebbe modo di mostrare il proprio disappunto anche di persona, quando incontrando per strada Ferdinando Francesco Gravina Alliata e sentendo che andava parlando degli schiavi siciliani in Barberia, ebbe a esclamargli che «Avrebbe potuto a quello nobile scopo (ovvero riscattare gli schiavi N.d.A.) impiegare il denaro maledettamente sprecato nella sua villa e nessun principe si sarebbe potuto vantare opera più meritoria».

Cervello anomalo, corruzioni del gusto e denaro sprecato per esseri deformi, che ad ogni modo finirono per essere verosimilmente ripresi solo pochi anni dopo nel Faust, l’opera in assoluto più famosa di Goethe, senza contare che ancor prima di rientrare in patria, l’aveva già portata all’attenzione di Carlo Augusto di Sassonia e Charlotte von Stein tramite lettere.

Circondata da mura arcuate sovrastate da 62 delle originali 200 statue, si accede alla Villa salendo le maestose scale esterne a doppia rampa ed entrando in un vestibolo circolare, interamente affrescato con immagini raffiguranti le fatiche di Ercole.
 
Villa Palagonia
 
Un una prima sala, dalla quale è possibile entrare nella suggestiva Sala degli Specchi, dove pareti e soffitto sono ricoperti da dipinti e specchi con diversa inclinazione, restituendo immagini deformate tra i giochi di luce che si riflettono sul pavimento rosso, bianco, nero, sui marmi e sugli altorilievi raffiguranti gli antenati dei Gravina ed è qui, secondo la testimonianza di un viaggiatore, che pare avesse posto «L’orologio a pendolo sistemato dentro il corpo di una statua: gli occhi della figura si muovono col pendolo, e roteano mostrando alternativamente il bianco e il nero».
 
Villa Palagonia
 
Disposta su due piani, molte altre sono le stanze al suo interno: la Sala del Biliardo, quella di Perseo e Andromeda, la Sala di Teseo e Arianna, dei Ritratti, la Sala dei Cinesi, l’Alcova, la Sala della Memoria e la Cappella, che come le mura con i suoi mostri, non manca di particolari quantomeno strani, se non inquietanti.
 
Villa Palagonia
 
A dispetto di un ingresso sormontato da una con una Madonna delicata e quasi in levitazione per i due angeli che la sorreggono, all’interno della chiesa il crocifisso che pende dal soffitto ha una catena che fuoriesce dall’ombelico collegata ad una statua di un uomo in ginocchio, che si pensa possa essere il Principe stesso.
Mentre poco distante, è la figura marmorea di una bella donna, mentre viene divorata dai vermi post-mortem, a ricordar che prima o poi è destino di ognuno di noi senza distinzione alcuna.

Ritratta e descritta da Renato Guttuso come «il luogo dei miei giochi da bambino», di questa residenza settecentesca se ne innamorò, tanto da volerla sua, Salvador Dalí, mentre l’architetto ed incisore Jean-Pierre Houël, la definì come la «più originale che esiste al mondo».
 
Villa Palagonia
 
Perché tanta attenzione e attrazione, è solo un edificio bizzarro o qualcosa di diverso?
Secondo quanto emerso negli ultimi anni, Villa Palagonia con le vicine Butera e la già citata Valguarnera, avrebbero costituito un triangolo alchemico.
Elementi simbolici e collegamenti con il passato, uniscono quindi i tre edifici in un percorso, dove i mostri di Villa Palagonia sono la ricerca dell’armonia della materia, Villa Valguarnera consegnataria del segreto per la trasformazione di quest’ultima, attraverso le quattro fasi alchemiche ed infine Villa Butera, anch’essa custode di un affresco raffigurante Ercole, è il fine ultimo dell’alchimia, ovvero il raggiungimento dell’autocoscienza e dell’unificazione dell’io diviso.
 

 
 
 
 

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