Tokyo: l’eterno fascino della capitale del Sol Levante
Dal leggendario Jinmu (Kamu-yamato-iwarebiko no mikoto), colui viene considerato il primo imperatore del Giappone, all’attuale Naruhito, periodi e vicende storiche si sono intrecciati a religioni e discipline come una fitta trama dalla quale ogni filo si è reso protagonista della formazione di un continente unico, da qualsiasi punto di vista lo si voglia osservare. Porvi piede durante un viaggio significa dunque immergersi in grandi intervalli di tempo ormai trascorsi, le cui impronte sono rimaste indelebili nell’architettura, nell’indole esistenziale e nel modo di porsi della sua ligia popolazione.
Architettonicamente discorrendo, una delle strutture nelle cui mura sono impregnate le gesta più eclatanti sono le case degli Shōgun, ovvero i comandanti dell’esercito ai quali il tale appellativo, ereditario, fu attribuito, ergendo il loro titolo al grado di generale, sul capo di tutti i dittatori militari che diressero il Giappone dal 1192 al 1868.
Prima del 1192, anno d’inizio del periodo storico Makamura, Shōgun stava a definizione dei generali che intrapresero battaglia contro gli Emishi (variegate tribù dell’isola di Honshū alcune delle quali, fra il VII ed il X secolo, si ribellarono all’egemonia imperiale); successivamente il titolo venne a riferirsi agli elitari capi militari a governo del paese.
L’architettura giapponese, di forte influenza cinese, seppur con precise caratteristiche strutturali che ne differenziano le peculiari costruzioni, ha origini storiche molto antiche che, nei periodi Jōmon (10.000 a.C.-300 a.C), Yayoi (300 a.C.-250 d.C.) e Kofun (250/300 d.C.-710 d.C.), si pregiano della “prima posa di pietra” fin dal 7000 a.C.
Essendo che, secondo le più comuni e diffuse convinzioni, nel periodo Jamōn la popolazione provvedeva al proprio sostentamento alimentare secondo il primitivo sistema di caccia e raccolta, tipico del Paleolitico, senza dunque praticare nessuna forma di allevamento o agricoltura (se non a un livello primigenio, di neolitica evoluzione rispetto alla precedente epopea preistorica) condizioni climatiche e fenomeni naturali erano il riferimento primo in vista dei comportamenti da adottare a fini esistenziali. Il che condusse le genti ad alloggiare in fosse poco profonde, con pavimenti di terra battuta e tetti d’erba realizzati in maniera da poter fungere da raccoglitori dell’acqua piovana, conservata poi nelle giare; soluzioni abitative che, con l’inasprirsi delle temperature e l’aumento delle piogge, mutarono la propria struttura in cerchi concentrici di pietra, unitamente alla neonata espressione delle ritualità a livelli cerimoniali.
Recenti scoperte archeologiche ad opera del professor Matsuo Tsukuda, sembrerebbero però confermare la presenza di risaie, ad opera degli stessi Jōmon, 3.200 anni fa, datazione di ben lunga superata dall’ipotesi, non ancora confermata, di Sahara Makoto, Direttore Generale del Museo Nazionale di Storia Giapponese, secondo il quale la coltivazione del riso andrebbe temporalmente collocata addirittura 9.000 prima rispetto alla teoria di Tsukuda.
Una prima evoluzione architettonica avvenne nel periodo Yayoi, ove l’influenza tecnica della dinastia Han concepì costruzioni rialzate che fungessero da depositi, mentre su probabile ispirazione delle tipiche tombe a tumulo, denominate Kofun, da cui appunto il nome del periodo storico, in terra coreana vennero erette costruzioni simili.
Fra la seconda metà del VI secolo e la fine dell’VIII, in storico passaggio dal Giappone preistorico a quello classico e antico, attraversando i periodi Asuka (550-710 circa) e Nara (710-794 circa), costruzioni buddiste iniziarono a pregiare il territorio dell’ammaliante bellezza a loro appartenente, intime custodi di riflessioni, fra chiostri e pagode, sull’onda di un nascente culto con epicentro simbolico nella mistica statua del Buddha.
Nel periodo Heian, fra la fine dell’VIII ed ampia parte del XII secolo, celere passo culturale e letterario si fece raggiunta vetta di monte nel ricco assorbimento di saperi ad ampio raggio, in concomitanza al graduale scemar del potere in dote all’imperatore, a favore d’una politica militare che troneggerà i successivi sette secoli. Protagonista indiscusso nelle costruzioni, con calcio espulsivo sui vecchi materiali, divenne il legno, utilizzato nelle sue varietà di piante, a seconda della caratteristica resistenza, in base all’utilizzo previsto. Kyōto, divenuta ne frattempo la capitale, iniziò in tal modo ad abbigliarsi di proporzionati edifici ordinatamente regolati nelle distanze, ad antica testimonianza del rigore nipponico appartenente ad un popolo il cui enigmatico fascino solletica le menti, sciogliendole fra l’unicità che ne caratterizza l’approccio esistenziale, respirandone le forme universali nei mandala, spronandosi all’arte del meditare ispirati dalle mani in grembo del Siddhartha e perdendo gli occhi a dismisura nelle meraviglie del territorio.
Fra l’inizio del XII e la fine del XVI, salto nel Giappone medievale dei periodi Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1336-1573) coincise con l’affrancamento architettonico giapponese dall’influenza cinese, intraprendendo un percorso localmente originario che inglobasse alle tecniche di progetto la consapevolezza delle sismicità territoriali ed agendo in simultanea considerazione delle avverse condizioni climatiche, in perenne alternanza fra abbondanti pioggie e calure estive. Progresso tecnologico allo stesso tempo semplificato nell’elaborazione architettonica che, dopo il passaggio del potere dall’imperiale corte allo shogunato Kamakura, puntò a difendere gli edifici costruendo fossati o staccionate, utilizzando i terreni circostanti come campi d’addestramento. Spartano stile di vita che, alla successione dello shogunato Ashikaga, con centro del potere in Kyōto, fu destrutturato e lussuosamente riconcepito da un galoppante desiderio di sfarzo dell’alta aristocrazia.
Deposto l’ultimo shōgun Ashikaga Yoshimitsu, il Giappone virò verso un’epoca premoderna, storicamente ricordata per la riorganizzazione del continente in uno stato unitario ad opera dei militari Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu durante il periodo Azuchi-Momoyama (1573-1603), precedendo il periodo Edo (1600-1868) dove il potere, centralizzato in base ad ereditarietà di shogunato, venne detenuto dalla famiglia Tokugawa ed il cui nome derivava dall’allora capitale Edo, poi rinominata Tokyo nel 1869.
Durante il periodo Edo, dove il ruolo dell’imperatore, conduzione nazionale alla mano degli shogunati, dopo un primo momento di diarchia, divenne simbolico, seppur inarrivabile nel prestigio, una differente gestione economico-sociale portò la popolazione al raggiungimento di un pacifico stato di prosperità, nonostante lo sporadico aumento delle tasse provocasse, di tanto in tanto, subbugli e proteste. Alla nuova politica conseguì tuttavia un deciso ed imposto isolamento del paese, portato avanti a suon di massacri dei cristiani e chiusura dei porti al commercio con qualsiasi nazione, ad eccezione dell’Olanda; internamente la repressione venne praticata a colpi di regime burocratico e l’organizzazione della società soggetta a precise gerarchie, crepate nel tempo dalla rinforzata classe di mercanti ed artigiani, pressanti sul sistema e garanti della crescita economica tramite la continuità generazionale sulla produttività agricola, fintanto che la flotta navale americana non impose un accordo commerciale con conseguente riapertura di tutti i porti.
Di lì a poco il balzo nell’ epoca moderna condusse il Giappone nel Periodo Meiji (1868-1912), con ritorno del potere nelle mani dell’imperatore e modernizzazione attuata tramite nuove riforme che ampliarono il commercio, pur perseverando nella proibizione e persecuzione del cristianesimo; il giovane imperatore Mutsuhito (Meiji) si rese protagonista di un’importante riorganizzazione del sistema, quasi a costituire base alla rivoluzione industriale giapponese del 1870, dove il paese fu definitivamente proiettato a celere sviluppo su tutti i fronti, divenendo nel tempo una potenza mondiale.
Successive redini nelle mani dei vari imperatori rispettivamente ai Periodi Taishō (1912-1926), Shōwa (1926-1989) ed Heisei (1989-2019), il continente nipponico è giunto, in Periodo Reiwa, all’attuale regno dell’imperatore Naruhito, conseguente all’abdicazione del padre nel maggio di quest’anno.
Tokyo, incontro tra storia e futuro
Visitare il Giappone significa abbandonarsi ad un’esperienza culturale avvolgente ed inebriante, percorrendo a ritroso il tempo ed i periodi storici che ne costruirono a cavallo di secoli lo splendore ancora vivo nelle sue strutture architettoniche, visitandone la paesaggistica sul filo di una concezione di vita affrancata alle profondità dell’animo ed ammirandone la modernità ed il progresso. In particolar modo, intraprendere un viaggio nella sua Tokyo concede la possibilità d’addentrarsi nella nipponica perla d’Oriente, i cui luoghi da visitare lasceranno segno indelebile nella memoria.
La città, negli ultimi anni, è stata una delle mete orientali più visitate, essendo che il Giappone affascina universalmente per la sua ricchezza storica e per i suoi contenuti di mistero, a stimolante impatto sulle decisioni itineranti.
Attualmente Tokyo si presenta come una grande metropoli che, allo stesso tempo, è riuscita nella non semplice impresa di mantenere intatta la propria storia, i propri templi e le proprie tradizioni, divenendo per tale motivo una delle principali mete da visitare una volta giunti su nipponico suolo, contemplandone i quartieri tipici, visitandone le zone commerciali, ammirandone la maestosità dei templi e, per l’appunto, la bellezza delle case degli Shōgun.
Il palazzo imperiale
Principale tappa da visitare e custodire a ricordo, nel quartiere Chiyoda, è il Palazzo Imperiale, all’epoca degli shōgun denominato Castello Edo, nonché sede di rappresentanza degli stessi fino al 1868, ora residenza dell’imperatore e della sua famiglia da quando, nel suddetto anno, la capitale del Giappone passò da Kyōto a Tokyo. La struttura si presenta isolata dalla metropoli e dal caos cittadino grazie agli stupefacenti giardini che l’abbelliscono e all’ampio fossato, il Chidori-ga-fuchi, che la circonda, navigabile per chi volesse violarne estaticamente le acque a noleggio barca; le sue porte (a parte una piccola ala sempre visitabile con tour organizzati) vengono aperte solo due volte l’anno: il 2 gennaio, per il benvenuto al nuovo anno, oralmente inaugurato in pubblico dalla famiglia imperiale in forma di saluto, e il 23 dicembre, data in cui ricorre il compleanno del centoventicinquesimo imperatore, Akihito, tuttora in carica, per il quale è possibile lasciare un messaggio scritto d’augurio sul libro dedicato all’occasione. La visita ai giardini interni è invece concessa tutto l’anno, previa prenotazione da effettuare online, prima della partenza; incondizionata libertà d’accesso per quanto riguarda invece il giardino orientale, all’interno del quale è possibile sperimentare in goduria visiva l’hanami, ossia la tipica usanza d’osservare la fioritura primaverile degli alberi, in particolare quella dei ciliegi, i sakura, scientificamente la Prunus serrulata, specie di pianta appartenente alla famiglia delle Rosaceae, un peculiare ciliegio ornamentale diffuso in estremo oriente, particolarmente gradito ed amato.
Ettari di parchi ne concedono possibilità di quotidiana frequentazione da parte dei giapponesi i quali, fra relax e voglia di movimento, ne usufruiscono per passeggiate e attività di corsa, rimirandone nel frattempo i figli fiori e le sorelle piante, più di quaranta varietà, gentilmente dissestate da lacrime celesti ed ospitanti un grazioso laghetto nelle cui vicinanze si possono visitare vari musei, elevati pozzi di cultura da assaporare, gustandone la raffinata concezione nipponica fra arti e scienze. Di relativamente recente costruzione la Nippon Budokan, arena coperta eretta in occasione delle Olimpiadi del 1964 e ora utilizzata per eventi sportivi e musicali.
La raffinatezza giapponese è la più persuasiva che esista al mondo,
poiché i mezzi attraverso cui si esprime sono i più puri, umili, naturali.
Fosco Maraini
Il Yoyogi-Kōen Park e il Santuario Meiji
A poca distanza dal quartiere Harajuko s’estende il Yoyogi-kōen Park, parco di quasi 55 ettari completamente immerso nella natura, aperto tutti i giorni, ma la cui visita è consigliata durante il weekend in quanto il sabato e la domenica si riempie letteralmente di gruppi rockabilly e cosplayer con i quali è possibile anche fare delle foto; non solo, infatti in questo parco pullulano personaggi che commemorano grandi vip, come ad esempio il grande Elvis. Villaggio olimpico dal 1964, questa magnifica area srotolata fra incantevoli stagni, affascinanti sentieri ed immense foreste di ginkgo, si presta a salutari biciclettate durante le quali concedere amabile ristoro agli occhi fra il gioco di colori delle zone boschive, mirabilmente cangianti nella danza di tonalità che, nel periodo autunnale, fanno di Madre Natura sublime pittrice del mondo, nel suo magico ciclo in perenne divenire, tra foglie e fiori; rilassante area in cui addentrarsi anche con i propri cani, ai quali son riservate apposite zone deputate alla corsa in piena delizia di spazio e libertà.
Annualmente, concerti ed eventi gastronomici riscoprono l’arte nelle sue varie forme, fra artisti di strada il cui tocco di dita sugli strumenti sprona all’estasi acustica, ballerini il cui volteggio fuoriesce dal tipico abbigliamento vintage, acrobati le cui esibizioni conducono a ritroso nel tempo, oggettistica da acquistare per mettersi in tasca materialità di ricordo grazie al mercatino delle pulci e numerosi negozi di souvenir, nonché di artigianali suppellettili d’antiquariato presso il vasto mercato Oedo Kotto-Ichi, a cui s’affianca occasione di cultura e conoscenza dell’approccio biologico al cibo durante l’Earth Day Market, la giornata dedicata al pianeta tramite la quale confrontarsi sia a livello agricolo e di produzione, che di salvaguardia ambientale.
I quartieri di Tokyo sono molti e differenti gli uni dagli altri e, a poca distanza, quello di Shibuya è particolarmente dinamico, una zona illuminata da innumerevoli maxischermi presenti sui vari palazzi del quartiere e popolata dai musicisti che animano le sue vie; a tal proposito diversi sono i negozi a tema musicale e quelli d’abbigliamento, oltre ai ristoranti e ai famosi love hotel, dove gradevolezza e spaziosità degli arredi, discrezione ed assoluto rispetto della privacy, garantiscono un tenero ed appassionato scambio d’effusioni in tutta serenità.
Con slancio spirituale, proprio qui è possibile visitare il tempio shintoista più grande e simbolico di Tokyo, il Meiji-Jingu, costruito appunto in onore dell’imperatore Meiji e della moglie Shôken, completato nel 1920. Stupendo santuario il cui splendore affascina i sensi, il parco che lo circonda presenta sino a 400 tipi di differenti alberi, sommando ad incanto l’imperdibile opportunità di ritrovare calma e serenità, nella pace d’un oasi tanto storica quanto naturale. Il portale del santuario, denominato Torii, il più grande del paese, è realizzato in legno di cipresso e al suo interno si notano gli stili artistici tipici giapponesi, in mistica devozione al culto shintô, ossia in adorazione di divinità naturali denominate Kami, il cui spirito può scaturire da elementi paesaggistici, oggetti, esseri ed eventi della natura o persone venerate, considerati come una manifestazione dell’energia d’interconnessione dell’universo ai quali l’umanità dovrebbe riferirsi.
Entrando nel santuario si possono visionare, appesi alle pareti al fine di concederne lettura ai Kami, delle piccole tavolette di legno, gli Ema, solitamente dalla forma pentagonale, dove stanno incisi i desideri e le preghiere dei credenti scintoisti, accompagnate da immagini di animali, nonché da icone riferibili al credo; spesso si può leggere la parola negai, che significa appunto «desiderio», in buon auspicio sull’aspirazione espressa. Peculiari poesie giapponesi scritte dall’imperatore e dalla moglie, i waka, si possono ricevere in dono durante la visita; forma poetica particolarmente gradita alla coppia imperiale, lo waka si compone di 31 sillabe su 5 versi, nel rispettivo susseguirsi sillabico di 5/7/5/7/7, i cui temi predominanti sono l’amore e la natura, come ad esempio fra gli elegiaci componimenti del poeta Fujiwara no Teika:
Samushiroya
matsu yo no aki no
kaze hukete
tsuki wo katashiku
uji no hashihime.
Spira il vento
nell’attesa della notte autunnale.
Sulla fredda stuoia
giace sola, alla luce della luna,
la mia amata di Uji.
Asakusa e il tempio Senso-Ji
Il quartiere di Asakusa è uno dei più storici di Tokyo in quanto ne conserva la vecchia atmosfera, concedendo di trascorrere il tempo a passo di gambero nello scoprirne il fascino che caratterizzava la città durante l’inizio del secolo. La sua Nakamise-dori fa da tappeto all’esposizione di artigianerie, chioschi di gastronomia locale, botteghe, ristoranti, ostelli, caffè, verdi aree sulle sponde del fiume Sumida e un parco divertimenti con giostre che divertenti compagne di svago divengono per i più piccini, e non solo; il tutto vertiginosamente osservabile dai 634 metri di altezza della Tokyo Sky Tree, punto panoramico la cui vetta primeggia sulla totalità degli edifici.
In questa zona si può visitare il tempio buddista Sensō-ji, conosciuto anche come «Asakusa Kannon», simbolica ed antica struttura del VII secolo, ricostruita nel 1958 dopo i bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale, che leggenda vuole dedicato al ritrovamento, da parte di due fratelli in fase di pesca, Hinokuma Hamanari e Takenari, di una statua di Bodhisattva Kannon (Bosatsu), dea della suprema misericordia in onore della quale il capo del villaggio, Haji no Nakatomo, decise di erigere il suddetto tempio, a tutela e venerazione della stessa. Secondo la leggendaria narrazione, il monaco Tukudo trasse due sculture da un albero di canfora, l’una destinata al Tempio di Hasedera, a Nara, l’altra lasciata nel mare alle cui onde si decise d’affidarne la destinazione sul richiamo dello spirito; capitò dunque che la stessa spiaggiò a Nagai, penisola di Miura, nei pressi di Kamakura e fra le mura del tempio adagiata come destino aveva voluto.
Un muro di cinta perimetrale abbraccia nell’insieme giardini, edifici e pagode, il tempio stesso è invece preceduto dalla millenaria Kaminari-mon, la «Porta del Tuono» dove una grande lanterna di carta rossa, la più grande del Giappone, simbolizza prosperità e protezione da calamità naturali ed ai cui lati stanno le statue degli dei del vento e del tuono, rispettivamente Fujjin e Rajjin. Nel percorso fra la stessa e l’ingresso al Sensō-ji, a cui s’accede da un cancello alla fine della Nakamise Street, sulla via si susseguono inoltre innumerevoli bancarelle e piccole botteghe la cui struttura è rimasta fedele al passato, nelle quali qui è possibile scegliere fra numerose tipologie di souvenir, deliziare il palato con nuovi sapori e scoprire la via del mercato più fornito di Tokyo che, nel periodo natalizio, si ricopre d’addobbi in previsione del Capodanno.
Al di fuori del santuario numerosi giardini che conducono alle storiche residenze ospitanti monaci ed aspiranti tali della scuola Tendai, fra i quali l’incantevole Dembo-in Garden, verdeggiante spiazzo dove lasciarsi sedurre dalla meditazione fra corsi d’acqua, siepi meticolosamente curate e canne di bambù. Nella medesima zona c’è una splendida pagoda di 5 piani, o meglio, una ricostruzione del 1973 fedele all’originale che fu eretta dall’ufficiale militare Taira no Kinmasa, a metà del X secolo; la stessa è posta sul lato sinistro della via nei pressi della quale, non di rado, s’incontrano ragazze vestite con bellissimi kimono ed il classico trucco che prevede una sbiancatura del viso con farina di riso, una purpurea bocca dalla forma di cuore in risalto sullo stesso e fiori di ciliegio fra i capelli, portando agli occhi dei turisti il magnifico incanto dei costumi e del gentile sorriso di chi li indossa.
Il sorriso sulla bocca di una persona
è come una lanterna sulla porta di una casa:
indica che c’è un’anima dentro.
(Proverbio giapponese)
Ulteriore soffio spirituale della dea Kannon trasporta nella zona meridionale di Tokyo e, precisamente, fra le mura del Tempio di Hase-dera, a Kamakura, prefettura di Kanagawa; santuario omonimo sorge nella prefettura di Nara, città a sud di Kyōto, sull’isola di Honshu.
Nel tempio di Hase-dera di Kamakura, numerose sale ricoprono gran parte della superficie sacra interna, mentre alla devozione in esterno è dedicato un cortile nel quale i turisti lasciano appesi il loro omikuji, bigliettini con annotati i propri desideri, seguendo i cerimoniali tipici della tradizione Edo, come la purificazione tramite incenso ed acqua.
Nella Kannon-do, sala dedicata all’omonima dea, una riproduzione della statua originale di quasi dieci metri d’altezza, visitabile esclusivamente dai monaci, la raffigura con un bastone nella mano destra, un fiore di loto nella sinistra e undici teste con differenti espressioni, a simbolizzare le differenti fasi spirituali, nonché l’universale apertura all’ascolto, nel rispetto d’ognuno. Alla sua misericordia si rivolgono le donne giapponesi in desiderio di gravidanza, lasciando una bambolina votiva.
Seguono le sale Amida-do, dov’è custodita una dorata statua di Yakuyoke Amida Buddha, a protezione dagli spiriti maligni, Jizo-do, con piccole statuine disposte a file, con speranza di conforto, dai genitori dei bambini non venuti al mondo, Daikoku-do, dedicata alla divinità a cui ci si rivolge per il bene della famiglia e l’abbondanza del raccolto, motivo per cui spesso la si vede rappresentata seduta su balle di riso, Benten-do e rispettiva grotta, dedicate alla dea Benzainten, l’unica divinità femminile, quest’ultima, fra le sette delle fortuna quali, oltre a lei: Ebisu (pesca, commercio e cibo quotidiano), Daikokuten (agricoltura, cucina, abbondanza e ricchezza), Bishamonten (guarigione), Fukurokuju (felicità e conoscenza), Jurōjin (saggezza e longevità), Hotei (buona sorte e benevolenza).
Parco di Ueno-Onshi
Spazio verde in Taitō, tipico quartiere popolare di Tokyo, il Parco di Ueno-Onshi Kōen, letteralmente «regalo imperiale», ha intrinseco nel nome il senso del dono, essendo che lo stesso imperatone Taisho n’elargì le terre a favor di municipio nel 1924. Camminandone le vie ci si addentra nella bellezza dei suoi 8 mila alberi, con possibilità di visitare i musei che al sono presenti al suo interno, il più calamitante dei quali è il Museo Nazionale della Scienza e della Natura, con mostre a tema, teatri e sale cinematografiche in 3D, oltre che santuari, templi e giardini zoologici fra i più antichi del Giappone, popolati da panda giganti e da quasi un migliaio di specie animali, interrompendo di tanto in tanto la visita per un veloce spuntino che sazi l’appetito, gustando locali specialità in bancarelle di street food.
Il Museo Nazionale di Tokyo, che si configura come il più antico e il più grande dell’intera nazione e fra le mura del quale è possibile visionare opere provenienti dal Medio Oriente e dal Sud Est asiatico, è ospitato da un palazzo dallo stile imperiale e, nel suo percorso mauseale, custodisce la più ricca e grande collezione d’arte giapponese di tutto il mondo, offrendo inoltre la possibilità di rivivere la storica atmosfera che va dal periodo Jōmon sino al periodo Edo. Magnifiche sono le ceramiche, le maschere e le pitture che provengono da uno dei templi più importanti di tutto il Giappone, ossia il tempio buddista Horyu-ji, che si trova a Ikaruga, nella prefettura di Nara, ospitante la più antica struttura di legno esistente al mondo, la cui costruzione fu ordinata dall’Imperatore Yomei nel 587 d.C. e portata a termine, dopo la morte dello stesso, dall’Imperatrice Suiko e dal principe Shotoku, fino a completa realizzazione avvenuta nel 607 d.C.
Sull’isola centrale del parco di Ueno-Onshi, al centro dello stagno di Shinobazu, il cui manto di fiori di loto solcare con pedalò dalla forma di cigno, fra aironi, anatre e cormorani in beato coesistere, è possibile visitare il Bentendo-Benzaiten, santuario buddista dedicato alla dea della fortuna e delle Arti, talora denominata Benten, ritenuta la personificazione del fiume indiano Sarasvati e diffusasi in Giappone come divinità benefica per coloro che ricerchino saggezza e longevità, in ulteriore protezione dei loro stati di sofferenza ed a tutela dei rapporti coniugali, della musica e della letteratura. Eretto nel VII secolo, lo si può raggiungere attraversando un piccolo ponte di pietra e ci si dovrebbe addentrare sguardo all’insù, per non perder l’opportunità d’ammirare il Kin Riyu, il dragone dorato dipinto sul soffitto dall’artista Kodama Kibo. Luogo incastonato nella roccia ed immerso fra grotte e piccoli laghi, tradizionale credenza vuole che il lavare monete con la sua acqua di sorgente, sia propiziatorio gesto in richiamo alla ricchezza.
Area molto suggestiva a forte impatto estetico-emozionale, specie se la si visita durante il periodo primaverile con il privilegio di trovarsi dinanzi all’estasiante fioritura dei ciliegi, il parco è una delle attrazioni principali della città, vi si contano infatti sino a dieci milioni di visitatori annui. I colori che ne miscelano fauna e flora sono potente attrattiva per appassionati di fotografia, così come la presenza di numerosi uccelli migratori favorisce importante attività di birdwatching, silenziosamente abbandonati fra la seduzione dei panorami e gli ornitologici canti, melodiose muse di poesia.
Nella gioia del volo l’uccello,
qua e là, nel vuoto,
va scrivendo parole
senza alfabeto.
Quando la mente vola
si risveglia la mia voce,
la penna descrive
la gioia delle ali.
Rabindranath Tagore, Sfulingo
Visita all’Isola artificiale di Odaiba
Raggiungibile attraverso il Rainbow Bridge oppure tramite l’avanguardistico treno Yurikamome, dalla moderna isola artificiale di Odaiba (Daiba) nella baia di Tokyo, si può ammirare la bellezza dello skyline della capitale oltre che quella del Monte Fuji, osservabile dalle altezze della ruota panoramica Dainkanransha, situata sulle sabbiose coste del Seaside Park.
Essendo isola d’innovativa ricostruzione, numerosi sono i centri commerciali dove effettuare gli acquisti più disparati, così come le attrazioni, come ad esempio una copia in miniatura della famosa Statua della Libertà, la piccola Hong Kong all’interno del Decks Tokyo Beach, il Legoland Discovery Center, la sede della Fuji TV, il Venus Fort, negozio-galleria di veneziane tematiche, oltre a musei scientifici, sale per spettacoli, centri fieristici polifunzionali, locali notturni e fonti termali a rilassante impatto.
Originalmente sull’isola vi erano sei fortezze a difesa di Tokyo, costruite a metà del XIX secolo ad opera dello shogunato Tokugawa, con presenza massiccia di cannoni che scongiurassero un attacco da parte delle quattro Navi Nere, le belliche imbarcazioni, così denominate dai giapponesi per il loro colore ed il fumo emesso, con le quali l’ufficiale di marina Matthew Perry, nel 1853, su direzione dell’allora presidente americano Millard Fillmore, diresse una spedizione nella baia di Edo con intenti prettamente commerciali. Ancoratesi al porto di Uraga sotto il pressante comando del commodoro, si dice che Tokugawa Iegoshi non abbia retto alle minacce di fuoco dello stesso, fortemente determinato ad ottenere un’apertura delle rotte commerciali fra continente americano e nipponico, proposta che peraltro Iegoshi aveva già respinto otto anni prima, quando fu spronato sulla stessa questione, per via epistolare, dal re olandese Guglielmo II; ulteriore intimidazione in tal senso, parrebbe averlo sconvolto a tal punto da condurlo a malattia fatale nel giro di pochi mesi. Gli successe il figlio Iesada con il quale Perry, nel 1854, siglò il Trattato di amicizia e pace tra Giappone e Stati Uniti, storicamente conosciuto come Convenzione di Kanagawa, che di fatto sottrasse la nazione al sakoku, l’autarchica politica isolazionista iniziata con un editto dello shōgun Tokugawa Iemitsu nel 1641 ed abolita sul filo delle convenzioni fra Oriente ed Occidente, con conseguente riduzione dell’autorità in capo agli shōgunati e successive ribellioni nazionali contro gli stessi che, fra il 1853 ed il 1867 (periodo Bakumatsu), portarono definitivamente al declino del Periodo Edo ed all’inizio del Periodo Meiji in cui, con quasi mezzo secolo di regno sulle spalle, l’imperatore Mutsuhito, come già accennato, operò una sostanziale politica di modifiche socio-economiche, traendo spunto dal modello occidentale.
Passando per il seguente e liberale Periodo Taishō, a guida dell’omonimo imperatore, fu nel militarista Periodo Shōwa, sotto il lungo regno dell’imperatore Hirohito che, nel 1985 iniziò la ricostruzione dell’isola, con piena bolla speculativa nel 1991, celere spopolamento negli anni immediatamente seguenti ed importante riassetto nel 1996; graduale rinascita economica, commerciale e demografica continuò in pieno Periodo Heisei, con l’ascesa al “trono del crisantemo” dell’imperatore Akihito, figlio del deceduto Hirohito ed a sua volta abdicante, il 30 aprile 2019, a favore del figlio, il principe della corona Naruhito, centoventiseiesimo imperatore nipponico in attuale carica.
Al momento Odaiba è una fra le principali mete turistiche, sia per lo shopping dei giapponesi che per la curiosità di chi proviene da oltre confine; in pieno splendore commerciale, l’isola accoglie i suoi visitatori offrendo loro vasta possibilità di scelta riguardo agli hotel dove concedere ristoro al corpo, dopo giornate trascorse in passeggiata fra le sue attrazioni.
La storia giapponese è stata descritta più volte come un succedersi di periodi in cui il paese si abbevera con foga giovanile alle sorgenti straniere, seguiti da altri in cui invece si ripiega su se stesso per digerire ed elaborare.
Fosco Maraini
Il quartiere di Ginza
Uno fra i più ricchi quartieri, costellato di boutique d’alta moda, sushi esclusivi, cocktail bar e grandi magazzini, è Ginza, raggiungere il quale è molto semplice, grazie alle varie linee di metropolitana che passano dalla Ginza Line e raggiungendo la Chuo Dori, principale via del quartiere che, durante i week end, diviene pedonale.
Storico centro commerciale del trentennio è il Wako Honkan, dove gioielli di fine e preziosa manifattura sono in grado di soddisfare le aspettative degli acquirenti più esigenti, mentre è nella modernissima concezione del Ginza Place che gli appassionati di elettronica high-tech troveranno esaurienti risposte ai propri desideri tecnologici, da esprimere anche all’interno dei numerosi livelli del Sony Building, edificio ideato dall’architetto Yoshinobu Ashihara ed aperto nel 1966, sull’incrocio Sukiyabashi, rinnovato esternamente una prima volta nel 1992 ed ora in fase di ristrutturazione in previsione delle Olimpiadi del 2020. Rinominato provvisoriamente Garden of Ginza dall’innovativo progetto (Ginza Sony Park Project) presentato nel 2016, avviato nel 2017 ed inaugurato nel 2018, il parco che n’è sorto rimarrà aperto per tutto il periodo olimpico, lasso di tempo dopo il quale un Sony Building di nuovissima concezione s’ergerà, probabile data il 2022, fra suolo e cielo del quartiere delle elitarie griffes; realizzato sulla concezione esistenziale tipica giapponese, i 700 metri quadri abbondanti su cui s’estende il giardino verticale appaiono dalla vista a bordo strada come un’enorme terrazza in legno adornata da piante provenienti dall’intero pianeta e “fitologicamente” accudite da Awo Ginza Tokyo sotto la sapiente guida del botanico trentanovenne Sejiun Nishihata, nel quale i vari settori offrono servizi ed intrattenimenti d’ogni genere, unendo nell’insieme natura e tecnologia in un percorso che da visita divenga esperienza d’acquisto e rilassamento interiore. Comprare una pianta al Ginza, possibile fino all’autunno del 2020, significa infatti portare a casa un pezzo di mondo e, attraverso il vegetal dono, respirarne le differenti culture come arricchimento dell’animo, oltre che contribuire a mantenere il giardino costantemente rinnovato nel ricambio di flora che è un susseguirsi del vivere, sullo sfondo di cosmopolita e rigenerante avventura.
Quartiere il cui splendore raggiunse l’apice nel ventennio, dove i caffè erano principalmente frequentati da uomini d’affari, arte e storia si danno invece da braccetto all’interno del Kabuzi-za, memorabile teatro, ricostruito fra il 2010 e il 2013, sui cui palchi danza e spettacoli giapponesi appagano le mente tra folklore e cultura. La rappresentazione teatrale Kabuzi è probabilmente nata in Giappone al principio del XVII secolo, originatasi dai passi di danzatrici che, su insegnamento dell’attrice e ballerina Izumo no Okumi, calpestavano a suon di musica le sponde del fiume Kamu, a Kyōto; l’assistere alle suddette rappresentazioni apre la porta ad una tipologia di spettacolo ben lontana dalla tradizione occidentale, priva quindi di monologhi o di vissuti dei protagonisti sullo sfondo socio-politico riferibile al periodo portato a recitazione, così come la trama non risulta essere la struttura portante dello spettacolo, bensì l’accessorio che abbellisce una globalità di scena come raccolta del contributo che ogni singolo attore porta sul palco. Il sipario si alza dunque sulla marginalità delle verbalizzazioni, lasciando spazio ad una reciproca condivisione di sensazioni che dagli animi scaturiscono e agli animi giungono, come impattante boomerang emotivo che eleva la comunicazione percettiva a livelli sorprendentemente interattivi.
Ulteriore passione che in Ginza può essere coltivata è la fotografia, numerose gallerie espositive offrono infatti la possibilità d’ammirare e prendere spunto dai vari artisti cavalcanti l’obiettivo con maestria e passione, a testimonianza di quanto ogni quartiere del Giappone sia come una grande “borsa di Mary Poppins” dentro la quale di tutto si può trovare, fra curiosità e divertimento.
Un mercantile giapponese era stato silurato durante la Seconda guerra mondiale e giaceva sul fondo del porto di Tokyo con un grosso buco nello scafo. Una squadra di ingegneri viene convocata per riportare a galla il vascello danneggiato. Uno di loro, per affrontare il problema, ricorda di aver visto un cartone animato di Paperino quando era piccolo e c’era una nave affondata con un buco nello scavo per riportarlo a galla l’hanno riempita di palline da ping pong. Gli altri ingegneri, assai scettici, si mettono a ridere ma uno di essi è disposto a provare. Certo, dove diavolo potevano trovare venti milioni di palline da ping pong se non a Tokyo? E quella è stata la soluzione ideale. Le palline furono sparate nello scaffale e la nave tornò a galla. Morale: le soluzioni dei problemi si trovano nei posti più impensati. Inoltre, credi in te stesso anche nelle peggiori avversità.
Tom Waits
Il mercato del pesce di Tsukiji
Imperdibile peculiarità la si osserva visitando uno dei mercati ittici più grandi al mondo, il mercato del pesce di Tsukiji, luogo molto caotico e frenetico, come qualsiasi mercato del pesce, che, nella vecchia sede, si presentava suddiviso in due zone diverse tra loro: quella interna, dedicata ai grossisti e quella esterna, dov’era possibile acquistare del pesce al dettaglio; in adeguamento alle Olimpiadi del 2020, dalla fine del 2018 lo stesso si è trasferito dalla storica location di Tsukiji a quella più moderna di Toyosu, isola artificiale nella baia di Tokyo.
Sorto nel 1923 dopo il terremoto del Kanto, fatica su fatica, banco su banco, la sua attività è divenuta, nell’ambito, la più importante a livello nazionale e non solo, coinvolgendo migliaia di persone fra pescatori, commercianti, acquirenti, lavoratori collaterali e quant’altro, nella quotidiana attività occupazionale e di vendita.
La nuova struttura, ampliata, si suddivide in tre edifici, i primi due dedicati a prodotti ittici, il terzo a frutta e verdura; nel primo di questi è possibile assistere, per chi ama svegliarsi di buon mattino, alla famosa asta dei tonni, che se in precedente loco era visionabile solamente dai primi 120 ospiti, con relative file all’ingresso, nell’attuale riserva ampie zone dedicate agli stessi tramite vetrate sopraelevate dalle quali osservare l’indimenticabile evento. Tonnellate di pesce fresco vengono infatti esposte ai possibili acquirenti, spesso commercianti o gestori di hotel, fra i quali nasce una competizione a rilancio, su cifre da capogiro (a Gennaio 2019 un tonno rosso è stato venduto a 2,7 milioni di euro) per aggiudicarsi il prodotto più pregiato ed ambito, in una sorta d’atavica contrattazione intrinseca alla quale sta tutta la devozione della cultura giapponese nei confronti del pesce, figlio del mare il cui guizzo sta loro attraccato in corpo.
Nel secondo edificio è possibile acquistare del pesce o gustarlo nei ristoranti che lo cucinano, visitando inoltre i nuovi negozi a turistico richiamo.
Se l’impegnativo trasloco del mercato è nato con spirito d’innovazione e con spinta sul giro d’affari, notevolmente aumentato, pur vero è che il fascino dello stesso è rimasto nella vecchia postazione, a Tsukiji, ancora visitabile e consigliata a chi desideri riscoprirne il passato e le piccole botteghe ancora rimaste.
Il mercato del pesce può essere visitato ogni giorno, dalle 5:00 alle 17:00, ad esclusione di alcuni mercoledì e della domenica, inoltre, proprio per la vicinanza allo stesso, in zona vi sono alcuni dei migliori ristoranti di sushi della capitale.
La variegata offerta turistica del Giappone è in grado di soddisfare ogni senso, curiosità ed aspettativa, concedendosi all’esplorazione d’ogni suo angolo di quartiere in cui tutto è meticolosamente organizzato secondo il rigore tipico della progettualità nipponica; dal suolo al cielo, ogni metro di strada, parco o struttura, è stato consapevolmente concepito e realizzato secondo modalità che rendono il Paese del Sol levante unico nel suo genere.
Tutto in Giappone è inquadrato, prestabilito, previsto. Ogni cosa si svolge secondo il programma precedentemente e minuziosamente elaborato. Le città sono suddivise in zone e quartieri in ognuno dei quali si va a fare una data cosa. Si cercano delle distrazioni? C’è il quartiere dei divertimenti costruito appositamente dove sono ammucchiati cinema, teatri, sale da gioco, caffè.
Ercole Patti
Roppongi Hills
Il complesso urbano di Roppongi Hills, nel quartiere di Minato, è un vasto distretto, voluto dal magnate Minoru Mori, in cui sorgono residenze, uffici, parchi, ristoranti, sale cinematografiche ed altri edifici al centro della cui area spiccano i 54 piani della Mori Tower, edificati secondo una concezione, nel progetto del 1986, in base alla quale la costruzione verticale avrebbe consentito un maggior numero di attività nella ristrettezza degli spazi, pienamente godibili dal 2003 su una superficie di oltre 100.000 metri quadri. Fra gli appartamenti che ne strutturano i quasi 240 metri di altezza, esercizi commerciali si offrono ai visitatori nei primi sei piani, vari sono i vani occupati dagli uffici e, nei livelli più vicini al cielo, sono invece posizionati il Mori Art Museum, detto anche MAM, dove l’arte contemporanea è protagonista nelle opere esposte, prevalentemente di artisti asiatici, una libreria ed il Tokyo City View, per concedere agli sguardi la panoramica della città da vertiginose e paradisiache altezze.
All’interno del Mori Tower, per un soggiorno extra-lusso, l’hotel penta stellato Grand Hyatt Tokyo, un complesso polifunzionale, comprensivo d’un centro business, in modo da racchiudere in sé strumenti lavorativi e dotazioni di relax, godibili in stanze dal moderno design in nipponico stile, dotate di ogni confort fra cui una profonda vasca in pietra dove immergere le fatiche della giornata trascorsa; la Nagomi Spa, con relativi massaggi e trattamenti ed il Fitness Center, chiudono il cerchio sull’attenzione da dedicare al proprio benessere psico-fisico, rilassandosi in conclusione di giornata con una cena sulle terrazze all’aperto o nell’ascolto di musica dal vivo nel salone jazz Maduro.
Rippongi è zona è molto famosa anche per i suoi night club, oltre ad essere una meta di innumerevoli turisti provenienti dall’estero o espatriati dall’Occidente, nonostante la maggior parte dei visitatori e dei residenti del quartiere sia comunque giapponese.
Come in altre regioni del Giappone, anche qui, solitamente a metà agosto, per tre o quattro giorni consecutivi si svolge l’Obon Festival, soprannominato Bon, antica usanza buddista-confuciana da oltre 500 anni dedicata ai defunti e rimodernatasi a festa di famiglia in occasione della quale il rientro nel paese natale, il furosato, permette di ripulire le tombe dei propri cari, essendo che, durante quella che viene considerata una delle feste commemorative più importanti, si pensa che gli spiriti degli stessi facciano visita ai parenti ancora in vita. Origine della festa deriva dalla storia che racconta del monaco Mahā Maudgalyāyana, fedele discepolo particolarmente vicino al Buddha, il quale si recò dallo stesso per chiedere come potesse liberare la defunta e sofferente madre, che precedentemente egli aveva provato a rivedere tramite i suoi poteri sovrannaturali, bloccata in sofferenza nel regno dei “fantasmi affamati”; consiglio del Buddha fu quello di fare offerte ai monaci buddisti che, il quindicesimo giorno del settimo mese (che in base al vecchio calendario lunare giapponese era Agosto), avevano appena concluso il loro ritiro estivo. Il monaco fece come suggerito ed ottenne la liberazione della madre, per onorar la quale ballò con gioia; da qui, nel corso dei secoli, la danza popolare Bon Odori.
Per guidar gli stessi nella loro fugace visita, così come nel ritorno all’aldilà, numerose chōchin, le lanterne di carta, vengono appese ed utilizzate come guida, nel rituale denominato okuri-bon, variabile da regione a regione tanto quanto le danze, volteggiate a ritmo di flauti, del tamburo taiko e del liuto shamisen, da ballerini indossanti un kimono di cotone, o un meno formale yukata, ai quali è possibile unirsi in ballo fra strade, templi e parchi.
Per l’anno 2020, il Bon Festival si svolgerà fra giovedì 13 e sabato 15 Agosto, salvo possibili variazioni.
L’intero cerimoniale prevede un’iniziale accensione di lanterne e fiaccole per indicar la via agli spiriti in arrivo, con zelanti pulizie, profumazioni e decorazioni che rendano la casa gradevole nell’accoglierli; nella visita ai cimiteri del giorno seguente, cibo e bevande vengono offerte a conforto della vita ultraterrena. Durante l’ultima giornata si riaccendono le fiamme e piccole candele vengono posate su barchette o lanterne galleggianti, nella cerimonia Thōrō nagashi, per indicar il rientro in parallela dimensione. La conclusione con balli, canti e spettacoli pirotecnici, diviene esperienza estatica da sperimentare, ballando tutti insieme, all’interno di una tradizione attraverso cui vivere, tra festa e preghiera, una differente concezione dell’esistenza in affiancamento agli ancestrali spiriti, tra venuta e ripartenza, in essenza di purezza.
A mani vuote son venuto,
me ne vado a piedi nudi,
la partenza e l’arrivo confusi
in un unico segno.
(Kozan Ikkyô)
Onsen, sentō e ryokan
Per gli amanti del rilassamento in calda e umida atmosfera (pratica di tradizione millenaria vissuta dai monaci come rito di purificazione e dai samurai come pratica curativa e rigenerante le ferite), calma, silenziosità e distensione psicofisica saranno di facile raggiungimento frequentando gli Onsen, le terme giapponesi nelle quali è possibile immergersi in bollenti acque che, nelle vasche posizionate all’aperto, sciolgono la mente fra i naturali paesaggi, unendo corpo e spirito allo stesso modo in cui la percezione dell’avvolgente calore delle sorgenti geotermiche, unita alla concentrazione di minerali contenuti in esse, quali ferro, sodio e zolfo, ristora la muscolatura mentre il viso assorbe la frizzante aria del freddo esterno, favorendo un’esperienza indimenticabile, a condizione che l’immersione in nudità, ritenuta dai giapponesi una forma di superamento delle barriere, non crei comprensibile imbarazzo. Il galateo prevede un’accurata pulizia prima dell’ingresso, oltre che fra un bagno e l’altro, un rigoroso rispetto della quiete generale ed un piccolo asciugamano da utilizzare nel passaggio da una vasca all’altra, evitando d’immergersi con residui di sapone o shampoo.
Nella ‘terra del Sole nascente’ rigenerazione tramite sorgenti naturali è pratica millenaria, vissuta dai monaci come atto purificante o dai samurai come curativo sulle ferite. Da allora migliaia di tramonti si sono susseguiti, senza che questo abbia scalfito minimamente lo stretto rapporto con i ricami della natura sullo spirito, dalla quale i giapponesi mai hanno rinunciato a farsi tessere ristoro e candidezza.
Relativamente più recenti sono i Sentō, ovvero locali pubblici deputati al rituale del bagno nei quali, a differenza degli Onsen, l’acqua utilizzata non è quella termale, bensì quella prelevata dal sistema idrico pubblico e riscaldata; gli stessi nacquero inizialmente per motivi igienici, concedendo a coloro che, considerate le minuscole dimensioni delle case nella crescita demografica del dopoguerra, non fossero previsti di una vasca domestica, di potersi lavare, divenuti negli anni pratica di rilassamento. Lo stretto contatto che il furo (l’arte del lavarsi) ha con le religioni giapponesi, nell’intimo bisogno di purificarsi, è il motivo primo per cui i bagni pubblici sono sorti in varie forme, permettendo ad ogni giapponese d’entrare in contatto con la propria spiritualità quotidianamente, scemando allo stesso tempo le tensioni della giornata e predisponendo la mente alla meditazione, in completo rasserenamento. La nudità (hadaka no tsukiai) è ulteriore strumento di comunicazione vissuto come interazione in intimità fisica (skinship) senza filtro alcuno, in vasche separate per genere.
Tutta l’esistenza danza, tranne l’uomo; tutta l’esistenza si muove in un modo molto rilassato; certamente il movimento esiste, ma esso è profondamente rilassato. Gli alberi crescono, gli uccelli cinguettano, i fiumi scorrono, le stelle ruotano: tutto avviene in una maniera molto rilassata. Non c’ è fretta, furia, preoccupazione o spreco: questo succede solo all’uomo che è rimasto vittima della propria mente.
Osho
Esperienza d’immersione fra acqua, tradizione e cultura dello spirito si trova nei Ryokan, piccole e tradizionali locande, dallo stile immutato, dove ogni stanza possiede vista sui giardini, pavimenti in tatami, letto futon, raffinata cucina, rigorosamente locale, cerimonie del tè, onsen oppure ofuro (il bollente immergersi in vasche di legno hinoki (cipresso giapponese) e le amorevoli attenzioni dedicate all’ospite dal personale della locanda, solitamente un donna anziana con molta esperienza, che si prende cura di ognuno nella maniera più accurata.
Gli arredamenti sono in stile Wabi-sabi, una visione del mondo di dottrinale derivazione dell’Anitya (impermanenza o divenire), a sua volta uno dei tre aspetti fondamentali dell’esistenza nella dottrina canonica del buddhismo insieme al Buḥkha (inappagamento derivante dalle cose mondane) ed all’ Anātman (insostanzialità dell’io individuale). Secondo la visione Wabi-sabi, traslata sull’arredamento dei ryokan, è l’imperfezione della bellezza il valore più elevato, ecco dunque che il posizionamento di oggettistica antica e vissuta, incorpora in sè la storia d’ogni uomo abbordando l’emozione dell’ospite tra sguardo e sensazioni, nella consapevolezza, rubando parole allo scrittore statunitense Richard R. Powell, che «nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto».
A tale proposito, è pratica dei giapponesi, il Kintsugi, l’arte di riparare con oro od argento le ceramiche, ottenendo oggetti unici nell’irripetibile casualità del frantumarsi e nella profonda convinzione, in parallelo sullo spirito, che da un ferita d’animo si possa rinascere brillando di nuova bellezza, in una forma di perfezione interiore risorta dalla sofferenza.
Viaggiare in Giappone, in particolare modo visitando Tokyo, apre le porte ad una fine maniera di concepire l’esistere, provando a svincolarsi dal fascino della materialità che spesso diviene zavorra sulle ali. La sua storia, il suo passato che rivive nel presente ponendo staffetta al futuro, senza rinunciare alle lusinghe del progresso, suscita profonde riflessioni da porsi accanto nel proprio percorso di vita, miscelandole alle proprie, in piena armonia, priva di prevaricazione alcuna delle une sulle altre. Uno stimolo al pensiero, un passo errante da ricondurre a dimora a cuore pieno, ebbro e gonfio di trascendentale genuinità da salpare verso nuove rotte, più consapevoli del fatto che portarsi a casa una bambolina kokeshi o una votiva e sferica daruma, indossare dei sandali geta, sorseggiare un aromatico tè o appendere una campanella furin all’ingresso di casa, il cui tintinnio innamora il vento al suo sfiorarne il batacchio, non significa semplicemente collezionare souvenir, ma accarezzare la delicatezza della mano artigiana su esili fianchi di legno, ondeggiare in equilibrio nelle forme di cartapesta del “piccolo monaco rotondetto”, indossare il passo di un mistico ed evolutivo cammino, centellare un’aromatica bevanda che risvegli i sensi e sognare sulla melodia di un trillo proveniente dal periodo Edo.
Solcare nipponica terra rivela le sfumature di un popolo i cui padri hanno forgiato il suolo per i passi dei loro figli, in pieno orgoglio e dignità, accoglienti le altrui visite, ma caparbiamente fedeli alle proprie tradizioni. Un concepire il passato come radice identificante da mai condurre all’oblìo dove il tener da conto le proprie origini, storiche, religiose e sociali, non sia una chiusura all’altro, ma il solo modo per non soccombere nel tradimento della la propria unicità, pur nel rispetto del prossimo.
Dicono che il Giappone è nato da una spada.
Dicono che gli antichi dei hanno immerso una lama di corallo nell’oceano e che, al momento di estrarla, quattro gocce perfette siano cadute nel mare e che quelle gocce sono diventate le isole del Giappone. Io dico, che il Giappone è stato creato da una manciata di uomini coraggiosi, guerrieri disposti a dare la vita per quella che sembra ormai una parola dimenticata: onore.
(dal film, L’ultimo Samurai, 2003)
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