Rocchetta Mattei, il surreale castello fra arte e misteri
La prima pietra fu posata il 5 novembre del 1850 e nove anni più tardi, il Conte Cesare Mattei, poté finalmente trovare dimora in quel suo labirintico castello che volle battezzare Rocchetta, una miscela di arte islamica e medievale, che fra scale, mosaici, torri e loggiate, sembra uscire dalla matita di Escher.
Situata sull’appennini in località Grizzana Morandi, comune in provincia di Bologna, è la famosa Rocchetta Mattei, la cui nascita è impressa nelle fotografie di Pietro Poppi e che il Conte, ideò e realizzò coadiuvato dall’arte pittorica di Giorgio Ferrari e da un battaglione di operai, costantemente impegnato ad esaudire le richieste di modifiche, ampliamenti e rifacimenti, di quello che tutt’oggi rimane un luogo suggestivo, conosciuto per le sue particolarità architettoniche, tanto quanto per la storia a cui è legato.
Ipnotica e fiabesca, con le sue stanze dalle irregolari simmetrie, i cortili che rievocano quelli delle mandrase, misteriosi bassorilievi romanici raffiguranti gli apostoli, Rocchetta Mattei sorge sulle rovine della rocca di Savignano Lungoreno, castello del 1200 con annessi cimitero e chiesa, appartenuto a Matilde di Canossa e ancora esistente all’interno del capolavoro del Conte.
Storia vuole che sotto lo sguardo dell’ippogrifo che sovrasta l’ingresso, siano passati imperatori, nobili e re, non solo per apprezzarne i profili orientali, la chiesa ch’è la miniatura della Cattedrale di Cordova, il cortile dei leoni ispirato all’Alhambra di Granada e le tante sculture all’apparenza inspiegabili, come l’arpia che regge la Terra, demoni e figure umane, ma anche per sottoporsi alle cure omeopatiche del Conte.
Nato nel 1809 in una famiglia benestante, con possedimenti nelle zone di Bologna, Ravenna, Budrio e Comacchio, a 28 anni Cesare Mattei è tra i fondatori della Cassa di Risparmio di Bologna e dieci anni più tardi, si guadagna il titolo di Conte donando un terreno nel comacchiese allo stato pontificio, per contrastare l’avanzata dell’impero austriaco.
Letterato e politico, dopo una breve esperienza come deputato in Parlamento, si avvicina alla medicina, ma scettico verso i metodi tradizionali che non avevano salvato la madre da una forma tumorale, si concentra sulla sorgente omeopatia del medico tedesco e fondatore della stessa, Christian Friedrich Samuel Hahnemann.
Sulla scia delle sue teorie, Mattei sviluppa quella che chiamò l’Elettromeopatia, sottoponendo una varietà di 33 erbe in forma di granuli all’elettricità, per poi creare abbinamenti e dosaggi a seconda che la patologia avesse colpito gli organi, il sistema linfatico, i tessuti o fosse a livello ematico. Il principio era lo stesso su cui si fonda la medicina cinese, ovvero riportare equilibrio tra le polarità elettriche dell’organismo, restituendo neutralità alla parte bisognosa.
Quella del Conte, si rivelò indubbiamente come una delle pratiche più apprezzate , tanto che in pochi anni e nonostante l’ostracismo della medicina tradizionale, riuscì ad esportare i suoi prodotti in tutto il mondo, con una catena di oltre 100 depositi che andavano dall’Europa ai Caraibi, dalla Cina agli Stati Uniti.
Numerose furono anche le pubblicazioni con le quali esplicava i concetti dell’Elettromeopatia e la Rocchetta, divenne la “Fortezza delle Scienze” dove Mattei medicava e preparava i suoi rimedi, in quella torretta che custodiva l’inaccessibile stanza da laboratorio, la cosiddetta “Stanza delle Visioni“, alla quale si accedeva tramite un ponte levatoio che la separava dal resto del castello e dove ancora oggi, sono presenti campioni di medicinali.
La sua fama giunse ovunque, tanto che persino il diavolo, per penna di Dostoevskji, ne “I fratelli Karamàzov”, lo ringrazia per averlo sollevato dai reumatismi: “Ho tentato tutti i rimedi della medicina: sanno fare la diagnosi in maniera eccellente, conoscono la tua malattia come il palmo delle loro mani, ma non sono capaci di curare. Disperato, ho scritto al conte Mattei a Milano, che mi ha mandato un libro e delle gocce, che Dio lo benedica”.
Quasi ottantenne, il Conte si trovò ad affrontare varie vicissitudini, a partire dai debiti del nipote, erede e co-proprietario di gran parte dei beni, che gli fecero rischiar di perdere l’intero patrimonio, persino la Rocchetta.
Una situazione che riuscì a risolvere diseredandolo e grazie all’aiuto di Mario Venturoli, collaboratore verso il quale Mattei espresse la propria gratitudine, adottandolo.
In quella sua Rocchetta, il Conte volle che alle numerose stanze, tra cui la Stanza della Musica e il Salone della Pace, la Sala d’aspetto e per i consulti, fosse aggiunta la Sala dei Novanta, dove avrebbe dato un banchetto per festeggiare quei 90 anni, che però non raggiunse mai.
Salutato da migliaia di persone, il Conte Cesare Mattei se andò a 87 anni, il 3 aprile del 1896 e la produzione dei suoi rimedi elettromeopatici, proseguì per mano degli eredi fino a raggiungere un lento e incessante declino.
Tanto banali erano gli ingredienti, tanto complesse erano le formulazioni, per di più ogni volta da modificare, aggiustare secondo necessità, un procedimento del quale non vi è rimasta traccia, un metodo che il Conte conservava nel segreto più assoluto e che con ogni probabilità, date le attuali testimonianze, portò con sé nella tomba, un sarcofago conservato all’interno della Rocchetta, che fra strane iconografie riporta un iscrizione, che fa ben intendere il bagaglio umano di Cesare Mattei: “Chi narrerà delle stelle anche più remote: atomi percettibili solo colle più meravigliose lenti che la scienza possegga o trovi? Quale cifra rappresenterà tale distanza che solo correndo per milioni d’anni la luce alata valicherebbe? Uomini udite: oltre quelle spaziano ancora i confini dell’Universo”.
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