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Il misterioso e affascinante mondo delle grotte

Le grotte sono monumenti millenari dove si nasconde un’inestimabile patrimonio naturale, luoghi piena di magia, custodi del tempo, di misteri e leggende: un viaggio dentro alcune fra le più stupefacenti cavità del Pianeta.

 

Grotte del Flauto di Canna

La grotta del Flauto di Canna è un monumentale tributo alla bellezza, tanto da esser anche conosciuto come Palazzo delle Arti Naturali. Si trova in Cina e più esattamente a Guilin, città situata nella regione meridionale di Guangxi già graziata da un paesaggio caratterizzato da morbide colline calcaree che gli conferiscono un aspetto unico. Frutto dell’erosione esercitata dall’acqua e dalla deposizione di carbonato, la grotta risale a più 180 milioni di anni fa ed è lunga 240 metri, mentre l’ampiezza maggiore è di 93 metri e nel suo punto più alto raggiunge i 18 metri.

Fu così chiamata durante la dinastia Tang (618-907) e fa riferimento alla verdeggiante moltitudine di canneti presenti all’esterno, le cui piante graminacee sono appunto adatte per la creazione di flauti naturali. Sin da epoche remote il fascino è stato tale da diventar fonte d’ispirazione, al suo interno vi sono infatti 77 iscrizioni realizzate con inchiostro e datate fino al 792 d.C., diari di viaggio e poesie, testimonianza di letterati sedotti da un incantevole mondo di stalattiti, stalagmiti, formazioni rocciose dalle suggestive forme, che nel corso dei secoli sono state capaci di evocar ogni sorta di creatura e ad ognuna è stato dato un nome come Foresta Vergine, Pagoda del Dragone, Montagna dei Fiori, oggi resi ancor più affascinati da giochi di colori e riflessi.

Nonostante una simile popolarità, con il tempo venne praticamente dimenticata, per poi esser riscoperta solo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando venne usata come rifugio per scampare all’esercito giapponese. E’ stata aperta al pubblico nel 1962 e la caverna interna alla grotta che fece da riparo, è quella attualmente chiamata Palazzo di Cristallo del Re Dragone, ma in realtà si trattò di una riscoperta.

La grotta del Flauto di Canna è anche avvolta da numerose leggende tra le quali vi è quella che vede come protagonista uno studente che osservandone la meraviglia, provò a descriverla in versi, così cercò e attese le parole adatte così a lungo che alla fine si trasformò in roccia. Vi è invece un altro racconto, secondo cui la grotta una volta era completamente vuota. Un giorno per fare un dono all’imperatore, alti funzionari rubarono tutte le ricchezze del popolo, suscitando però le ire della fata della luna, Chang’e. Ella adoperò tutti i suoi poteri per recuperare il maltolto e lo nascose nella caverna, ma quando venne il momento di restituire tutto alla gente, era ormai priva di forza e i tesori, si trasformarono in splendide pietre.

La Grotta Azzurra di Capri

Posta nei pressi della villa imperiale di Damecuta, la Grotta Azzurra era conosciuta già dai romani, come testimoniano la piattaforma usata come approdo interno e le statue raffiguranti Poseidone e un tritone, entrambe conservate al Museo della Certosa di San Giacomo. Era utilizzata come approdo interno e pare che Tiberio ne fece suo personale ninfeo marittimo, ma durante le successive epoche subì un lento declino, anche dovuto ad ataviche leggende locali secondo cui era infestata da spiriti maligni e chiunque vi fosse entrato sarebbe andato incontro alla follia. Eludendo i racconti popolari, il 17 agosto 1826, il poeta prussiano August Kopisch (1799-1853) con il pittore tedesco Ernst Fries (1801-1833) entrarono nell’antro accompagnati dal pescatore Angelo Ferraro e lo stupore del letterato fu tale che tornato in patria ne parlò ampiamente nelle scritto August Kopisch: Beschreibung der Insel Capri – Wiederentdeckung der Blauen Grotte 1826 e da allora, divenne meta di un sempre maggior numero di turisti e viaggiatori.

La grotta è situata a Nord-Ovest dell’isola di Capri, l’ingresso si trova in una fenditura della roccia alta 2 metri e una volta dentro si apre il cosiddetto Duomo Azzurro, una cavità lunga 60 metri e larga 25, mentre i fondali sono a 15 metri di profondità.
Lo spettacolare colore che la contraddistingue è frutto di un fenomeno di rifrazione provocato da un accesso ormai sommerso, più grande e sottostante quello attuale. Quando il mare non è una ‘tavola’, condizione necessaria perché si verifichi l’effetto, esso funge da filtro riuscendo ad assorbire le tonalità rosse della luce, lasciando invece passare le gradazioni del blu e le acque si tingono dell’azzurro che la resa celebre in tutto il mondo.

Dalla caverna principale inoltre, si dipanano cunicoli noti come Galleria dei Pilastri che si raccordano con la Sala dei Nomi – così denominata per le firme incise sulle pareti dagli antichi visitatori – per poi proseguire fino alla caverna chiamata Sala della Corrosione e sebbene vi siano altri passaggi, questi non sono esplorabili a causa delle dimensioni e dell’aria che si fa irrespirabile.

Le acque di questo tranquillo lago sotterraneo sono il blu più luminoso e più bello che si possa immaginare.
(Mark Twain, The Innocents Abroad, 1869)

Le grotte di ghiaccio islandesi

Situata nell’Islanda sudorientale, Vatnajökull è per volume la più grande cappa glaciale d’Europa e nasconde uno dei fenomeni più spettacolari messo in atto da Madre Natura, le grotte di ghiaccio.
Sebbene vengano spesso citate con gli stessi termini, si tratta di formazioni naturali ben diverse da quelle in cui la roccia è plasmata e ricoperta da strati di ghiaccio, esse sono infatti composte esclusivamente da quest’ultimo e nascono come conseguenza dello scorrere delle acque all’interno della cappa per effetto dell’innalzamento delle temperature, oppure per il calore sprigionato dall’attività di vulcani sottostanti.

Solitamente le grotte di Vatnajökull vengono a crearsi con il sopraggiungere della stagione estiva, anche se non vi è un momento in particolare che permetta di sapere anticipatamente quando e quante se ne formeranno, quindi in molti casi non è possibile determinare a priori neanche l’esatto punto in cui trovarle e non rimane che esplorare il territorio. Tuttavia ve ne sono di perenni, benché ogni anno cambino aspetto ed esempi ne sono la Crystal e la Blue Ice Cave, rispettivamente vicine alla laguna di Svínafellsjökull e Jökulsárlón.

Le grotte di ghiaccio possono avere dimensioni inimmaginabili, giganteschi e surreali mausolei dove i cristalli effondono luci e riflessi che catturano ogni sfumatura di azzurro e avventurarsi al loro interno, significa anche avvertirne la vita, attraverso i suoni, gli echeggianti scricchiolii prova del continuo mutamento. Capolavori della natura dove le temperature possono scendere fino a 120° C sotto zero, ma che a causa dell’uomo, sono in serio pericolo, la loro sopravvivenza è infatti minata dal famigerato surriscaldamento globale. Vatnajökull raggiunse il suo picco massimo intorno al 1930, ma negli ultimi tre lustri ha perso annualmente circa 1 metro di spessore e se le temperature del Pianeta dovessero continuare a salire, verso la fine del secolo prossimo, l’esistenza del ghiacciaio potrebbe esser quasi del tutto compromessa, nonostante gli sforzi messi in atto dall’Islanda, volti a rimboscare il territorio per raffreddare l’area.

Le grotte di Waitomo

Waitomo è un distretto della Nuova Zelanda, situato nella regione di Waikato, nell’Isola del Nord. In lingua Māori, il termine Waitomo può essere tradotto come ‘acqua che scorre nel foro’ ed il motivo è appunto dovuto alle grotte che hanno dato fama al territorio. Si tratta di un imponente e complesso sistema di caverne calcareali formatesi circa 30 milioni di anni fa, a causa dell’erosione provocata dalle acque dell’Oceano Pacifico. Le più importanti sono le grotte Ruakuri e in particolare le Waitomo Glowworm. Quest’ultime, furono visitate per la prima nel 1884 dai topografi inglesi Laurence Cussen e Fred Mace, guidati dal capo Māori Tāne Tinorau.

La popolazione indigena sapeva dell’esistenze delle grotte da secoli, ma nessuno si era addentrato in profondità, mentre fra il 1887 e il 1888, con il solo ausilio di una candela e una zattera, Mace e Tinorau tornarono nuovamente all’interno delle grotte e stavolta con l’intento di esplorarle, avventurandosi fra stalattiti, stalagmiti, coralli e cascate sotterranee. Con loro grande stupore, si trovarono a navigare sotto un incredibile cielo stellato, ma anziché contemplar miriadi di corpi celesti, stavano ammirando una particolare famiglia di lucciole presente unicamente in Nuova Zelanda, la Arachnocampa luminosa.

Tale creatura appartiene all’ordine dei ditteri e se un esemplare adulto ha un aspetto simile a quello di una comune zanzara, la larva è in grado di produrre luce tramite una sostanza denominata luciferina osservabile in tutti quegli organismi in cui è possibile osservare bioluminescenza. In particolari condizioni, la luciferina subisce un’ossidazione catalizzata da un enzima chiamato luciferasi e viene emessa energia sotto forma di luce. Non si tratta però soltanto di un poetico bagliore, ma anche di efficace sisema di caccia. Lunghe fino a 4 cm, le larve di Arachnocampa producono i filamenti cospargendoli di piccole gocce velenose e attratte dalla luce, le prede cadono in trappola.

Le grotte di Fingal

Le grotte di Fingal sono frutto della rivalità fra due giganti.
Secondo la tradizione celtica, lo scozzese Benandonner, sfidò a duello l’irlandese Fionn mac Cumhaill e così, per raggiungere il rivale e combattere, quest’ultimo con una sola mano costruì un ponte per eludere il mare e unire due territori, in modo tale da poterlo raggiungere a piedi. Prima di mettersi in cammino, si lasciò però cadere in un sonno profondo. Nel frattempo, l’acerrimo nemico si era messo messo in viaggio e una volta arrivato in Irlanda, si trovò davanti il gigante dormiente. In quel medesimo istante però sopraggiunse la moglie di Fionn, Oonagh e dopo aver coperto il corpo del marito con un mantello disse che non lui, bensì il loro bambino. A quel punto, Benandonner pensò che se il pargolo aveva tali dimensioni, il padre doveva essere immenso e senza pensarci due volte se la dette a gambe distruggendo il punte. Ecco perché, sulla costa nordorientale dell’Irlanda, nella contea di Antrim, vi è un affioramento di roccioso chiamato Giant’s Causeway, composto da colonne basaltiche del tutto simili a quelle che formano le grotte di Fingal.

Qualcosa di magico, tali grotte devono però possederlo davvero, altrimenti non avrebbero incantato Jules Verne, celebre scrittore francese che in esse ambientò il finale del suo Il Raggio Verde e fonte di ispirazione furono anche per i compositori Felix Mendelssohn e Johannes Brahms, quando pensando a loro crearono rispettivamente Die Hebriden e Gesang aus Ossians Fingal.

La grotta, situata sull’Isola di Staffa, nelle Ebridi scozzesi, ha una geologia che la rende unica al mondo. Dai Celti era conosciuta come Uamh-Binn, ovvero la ‘Grotta della Melodia’ e questo perché al suo interno è possibile udire misteriosi suoni probabilmente dovuti al passaggio della voce del mare fra le colonne di basalto.

A riscoprirla fu il naturalista anglosassone Joseph Banks nel lontano 1772, mentre la sua formazione risale 60 milioni di anni fa, quando una colata lavica, andò lentamente raffreddandosi dando vita a enormi pilastri dalla particolare forma esagonale che raggiungono 86 metri di profondità e un’altezza di 23 metri.

Le grotte di marmo cilene

Al confine tra Argentina e Cile, si trova il lago General Carrera, Chelenko nell’antica lingua Tehuelche, ovvero ‘Lago delle Tempeste’. E’ un bacino di 1850 km² con una profondità massima di 590 metri e ad alimentarlo, sono i ghiacciai della Cordigliera delle Ande conferendogli una colorazione che può variare da un primaverile azzurro chiaro a un invernale blu intenso.
Nel corso di migliaia di anni, le sue acque e il potente vento della Patagonia, hanno lentamente scavato la costa e piccoli isolotti non distanti dalle rive; con il tempo hanno divelto il calcare in superficie fino a svelare gli strati di marmo sottostanti, continuando poi a plasmarli creando una serie di grotte inverosimilmente suggestive, un’opera d’arte composta dalle meravigliose Catedral de Mármol, Capilla de Mármol e Cueva de Mármol e che nel 1994 è stata dichiarata monumento nazionale con il titolo di Santuario de la Naturaleza.

Forme, striature, ricami, arcobaleni di colori che vanno specchiandosi ovunque fra onde d’acqua e di pietra, una magnificenza documentata per la prima volta dallo scienziato, ambientalista, geografo, scrittore ed esploratore italo-argentino Clemente Onelli (Roma, 22 agosto 1864 – Buenos Aires, 20 ottobre 1924), durante spedizioni fatte nel 1896 e 1897, descrivendo poi il luogo in Trepando los Andes del 1904, in cui narrava esperienze di campagne condotte dal naturalista argentino Perito Francisco Pascasio Moreno (1852-1919).

Il mondo sotterraneo di Hang Sơn Đoòng

La Hang Sơn Đoòng (Grotta del Fiume di Montagna) si trova nel parco nazionale di Phong Nha-Ke Bang, nella provincia vietnamita di Quang Binh e benché la sua formazione risalga a un’epoca compresa tra 2 e 5 milioni di anni fa, è rimasta nascosta fino è 1991, quando per puro caso, Ho Khanh, un agricoltore locale, ne scovò l’ingresso mentre si trovava nella fitta vegetazione del monte Niubizi Tian Keng e cercava un rifugio per ripararsi dalla tempesta. Riferì la sua scoperta alla British Caving Research Association (BCRA), al tempo di stanza a Phong Nha, ma quando giunse il momento di portare i ricercatori sul posto, l’uomo non riuscì a ritrovare i riferimenti necessari per individuarne la posizione. Tuttavia, il destino di Ho Khanh era scritto e nel 2008, ancora una volta in modo del tutto fortuito, s’imbatté nuovamente nella grotta.

L’anno successivo partirono le prime esplorazioni e gli speleologi si videro calati in un mondo perduto, una grotta dalle dimensioni inimmaginabili: 250 metri di altezza, 150 di larghezza e una lunghezza di circa 9 km, per una capacità stimata di 38,5 milioni di metri cubi. Una tale vastità da generare un sistema climatico indipendente, con tanto di piogge, nuvole, nebbia. Una misteriosa bellezza composta da una rete di 150 grotte dove si trovano flora, fauna, enormi perle rupestri, coralli, fossili, stalagmiti, stalattiti che sfiorano i 70 metri, un fiume di oltre 2 km in cui nuotano pesci bianchi e il Giardino di Adamo. Conseguenza del crollo del terreno, Sơn Đoòng presenta nella parte superiore due fessure attraversate dai raggi del sole e in una caverna, è andata creandosi una foresta tropicale battezzata a ricordo dell’Eden.

Nel 2013 è stata aperta al pubblico ed anche se nel complesso risulta accessibile, ci sono luoghi raggiungibili solo tramite immersioni o attraverso pareti particolarmente scoscese, per cui è ritenuta essere un’avventura per esperti escursionisti.

Cenote Angelita

Cenote deriva da tzonoot, che nell’antica lingua Maya significa fossa o abisso e in America centro-meridionale tale termine è usato per indicare formazioni carsiche racchiuse tra rocce con tunnel, cunicoli e grotte dove scorre acqua dolce o salata. Nella penisola messicana dello Yucatan, nei pressi del famoso complesso archeologico di Tulum, ne esiste però uno che si distingue da ogn’altro ed è quello del Piccolo Angelo, il Cenote Angelita. Si tratta di una surreale grotta subacquea, situata a 55 metri di profondità, custode di un fenomeno che almeno all’apparenza sembra sfuggire alle leggi della natura: al suo interno scorre un fiume sottomarino con tanto di rive e alberi che ne accompagnano il corso.
In realtà tale magia si verifica quando particelle di idrogeno solforato si mescolano all’acqua salata dando origine a uno strato di acido solfidrico, composto la cui pesantezza fa sì che vada a depositarsi sul fondo formando una spettacolare miscela ben distinta e dall’aspetto di un torrente di nebbia.

Le Grotte di Frasassi

La prima significativa scoperta nella zona di Frasassi avvenne il 28 giugno 1948, quando nei pressi del torrente Sentino, il Dott. Mario Marchetti, cofondatore del Gruppo Speleologico Marchigiano, trovò la cavità poi identificata come la porta della Grotta del Fiume. Nelle successive spedizioni i ricercatori compresero la portata dell’impresa e non solo per il fascino che la natura aveva donato ai loro occhi, ma anche per la rilevanza scientifica, l’evento ebbe infatti immediata risonanza internazionale. Dopo oltre 20 anni, nell’autunno del 1971, Umberto di Santo e Rolando Silvestri, studente del Dott. Giancarlo Cappanera del gruppo speleologico dello storico Club Alpino Italiano di Ancona, si avventurarono sul fianco nord del Valmontagnana. Giunti a 450 metri di altitudine, scovarono alcune fessure nella roccia e una in particolare dette loro l’impressione che potesse aver un proseguimento e così, alcuni giorni dopo, Silvestri ne parlò al suo istruttore e il 25 settembre, questi organizzò e guidò una spedizione. Non appena arrivarono alla cavità quella sensazione trovò conferma e non senza ostacoli, fatica e coraggio, cominciarono a farsi strada nella roccia. Avevano trovato l’ingresso per arrivare nel cuore della montagna, l’entrata di quella che è la Grande Grotta del Vento e quando nella seconda esplorazione si spinsero nelle profondità del massiccio calandosi nell’Abisso Ancona, la fama del tesoro sotterraneo andò rapidamente diffondendosi e il 1° settembre 1974, venne aperto al pubblico.

Le Grotte di Frasassi sono un complesso di caverne carsiche di otre 20km e all’interno, nel corso di 190 milioni anni, sono andate formandosi meravigliose e sinuose sculture calcaree, opere d’arte le cui particolari forme ispirarono gli escursionisti a benedirle con nomi quali Castello Rosso o delle Streghe presenti nella Sala 200 insieme a Spada di Damocle e Obelisco, la prima è una stalattite lunga 7,40 metri e la seconda una stalagmite di ben 15 metri, ma celebri sono anche Orsa, Madonnina, Canne d’Organo, una serie di concrezioni lamellari in grado di emettere suoni differenti se delicatamente sfiorate e non meno incantevoli sono la grotta Gran Canyon e la Sala Infinito.

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