“Di Verbi e Ballate”, poestoria di Claudia Brugna
Di Verbi e Ballate
di Claudia Brugna
Si chiedeva da sempre da dove originassero i verbi.
Loro, quell’universo magico in cui capovolgersi a seconda delle proprie inclinazioni.
Amava vivere di presente, quell’incantevole stato del “carpe diem” che dovrebbe concederti di tenere la vita in pugno.
Ma poi scivolava nel passato, il più remoto e doloroso, a volte non ne vedeva il prossimo e si sentiva imperfetto, tremendamente imperfetto.
Ma a qualcuno piaceva così e lui si lasciava amare in tal modo,
per l’imperfezione stessa che si leggeva nel suo nome.
Il futuro non sempre era semplice, ma nella sua forma anteriore nasceva positività. Dentro di sè si chiedeva: – “Avrò avuto” il coraggio di farlo? –
Si! “Avrebbe piroettato” sulle sue parole, che meraviglia!
Avrebbe posato il proprio nome sui suoi vocaboli in maniera gentile, con quella garbatezza tipica del condizionale, timido, quasi abbia paura di disturbare… Se, se… Ma… è permesso?
Sarebbe entrato fra le sue lettere in punta di piedi, distante anni luce da quel modo imperativo che, maestoso ed altisonante, altro non avrebbe potuto che dirgli: “Balla!!!”, ma in quel modo troppo diretto per il suo essere delicato.
Lui provava tenerezza, si scioglieva sulle note di un congiuntivo incompreso ed abbandonato, bistrattato da lingue frettolose di esprimersi ed irrispettose delle proprie origini.
Nel gerundio amava dondolarsi, pensando ed essendo pensato.
Fluente.
Al participio lasciava carta bianca, perso fra pensieri latenti e storie vissute. Saltellava fra -are, -ere ed -ire con maestria, riconoscendo all’infinito il suo potere supremo.
Amare era meraviglia.
Aver amato era ricchezza.
Essere amati, in fondo, lasciava di stucco.
Perché poi, alla fine, giocare con i verbi era un modo per “sconoscersi”.
Era come conoscersi senza saper l’uno dell’altra ma,
in qualche modo,
“sconoscendosi” senza tempo…
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