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Santur, l’ancestrale cordofono dal mistico canto

 
L’incantevole, spirituale e coinvolgente suono del Santur, strumento musicale appartenente alla famiglia dei cordofoni, le cui radici affondano nell'antica Persia • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info • TerzoPianeta.info • https://terzopianeta.info
 
A costellare e comporre l’universo della Musica, inimmaginabile quantità — per di più in continuo aumento — di strumenti, ciascuno tramite di cultura, poetiche e toccanti ispirazioni sovente fautrici di progresso sociale, offrendo anima custodita in peculiar foggia ed il cui canto spesso giunge da epoche remote, talora incerte, come a tempi lontani appartiene alba dell’incantevole, armonico e coinvolgente suono del Santur.

Chiunque suoni uno strumento con amore, dedizione assoluta
e attenzione per quello che sta facendo, ha tutto.
Mike Oldfield

Appartenente alla famiglia dei cordofoni, il Santur — secondo alcune controverse ipotesi nate sull’interpretazione d’incisioni rupestri, già utilizzato dagli Assiri — vanta radici in suolo persiano e diffusione nell’intero Medio Oriente, ove presenza risalente all’undicesimo secolo fu dedotta sia dalle righe di componimento del poeta panegirista Abu Najm Aḥmad ibn Qauṣ ibn Aḥmad Manūčihrī, o Manuchehri Dāmghānī (1000 – 1040?), che dai rilievi in avorio bizantino posti sulla copertina del Salterio di Melisenda, manoscritto miniato — verosimilmente commissionato dal sovrano Folco V d’Angiò, detto il Giovane (1089/92-1143) in omaggio alla consorte Melisenda di Gerusalemme (1105-1161) — rinvenuto entro i confini del regno attorno al 1135 e attualmente custodito presso la British Library, nella prestigiosa raccolta Ergerton Collection, sessantasette volumi antichi nel 1829 lasciati in generosa eredità da Francis Henry Egerton, 8° conte di Bridgewater (1756-1829).

Discesa è la primavera, con sé portando rose e gelsomini,
il giardino sembra il Tibet e la collina, l’Eden.
Parrebbe diventato una pagoda di Ferkhar,
con i passerotti a impersonare bonzi e i fiori gli Idoli.
[…]
Fa rintoccare le campane la pernice e il merlo suona il Santor,
la colomba soffia nel flauto e l’anatra percuote il tamburello.
Sul ramo del platano l’usignolo intona la melodia di Rast
e la tortora sul ramo dell’olmo, la tonalità di Maddeh.

(Albert Kazimirski de Biberstein (1808-1887), Manuchehri: poeta persiano del V secolo dell’Egira, 1886)

 

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Salterio di Melisenda
Egerton MS 1139

 
Rispondente a plurime denominazioni anche secondo provenienza, sull’etimologia del Santur sussistono molteplici versioni, teorie difatti ipotizzandone radice nell’aramaico «psantria», nel sanscrito «sau-târ», cento corde, nell’ebraico «psantîr», nel greco antico, «psallo», canto, altrimenti ricercatori individuandone derivazione dall’idioma persiano, comunque sia nel corso dei secoli, lo strumento andò conquistando territori e tradizioni per mano d’erranti, come pure dotti e nobili, musicisti, i quali tenendolo al collo oppure orizzontalmente n’effondevano melodico canto, nel mentre Santur mutando conformazione, seppur essenzialmente mantenendo caratteristico aspetto delle origini.
 
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Dipinto attribuito al pittore persiano, Ahmad, autore di ritratti dei sovrani Qajar,
Fath ʿAli Shah (1772-1834) e Muhammad Shah (1808-1848)
ca.1830

 

I nomi degli strumenti musicali sono di per sé incantevoli. Se pure a nient’altro avessimo dato un nome, dovremmo guardare a noi stessi con ammirato stupore.
Elias Canetti, La tortura delle mosche

Al di là di specifiche dissomiglianze, sul telaio del Santur — solitamente forgiato su legnami tra i quali di quercia, noce, gelso, betulla, faggio o mogano — si estendono decine o centinaia di corde, tese sul ponte, «Kharak», ed armonizzate mediante una chiave che agisce su pioli, «Gooshi», richiedendo quindi esperienza ed altresì, musical conoscenza di frequenze e risonanze, enfatizzate dall’assenza di smorzatori, onde evitare — considerando il vibrare delle corde anche fino a venti secondi — distorsioni date dall’inevitabile sovrapporsi delle note.
 
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Sulla destra, Mohammad Hasan Khān, maestro, tra i primi noti, di Santur persiano, XIX secolo

 
L’accordatura viene fatta in gruppi di tre o quattro corde, cosicché i cori delle stesse riecheggino in rapporto di corrispondenza fra suoni con uguale frequenza, nonostante il differente timbro, scaturendone una risonanza acustica «per simpatia», fenomeno che si verifica quand’appunto in un doppio ordine di corde il secondo vibra per effetto del primo, ossia quello direttamente toccato dal musicista, tipicità che rende il Santur più adatto alla musica modale, rispetto alla tonale, dacché in quest’ultima sussistendo un rapporto gerarchico fra note, scevro di simultaneità.

Cinque sono i principali tipi di Santur — dalla comune una forma trapezoidale, con angoli sporgenti — fra similitudini e differenze diramatisi in:

Santur dell’Iran

Vetusto più d’ogni altro e dalle dimensioni alquanto ridotte — retaggio dei protettivi mantelli indossati dagli antichi ed itineranti artisti — distante dalle acque del Golfo Persico, popolarità ottenne conseguentemente le migrazioni verso Israele, Europa, America e Giappone, favorite della Rivoluzione Khomeinista e tipicamente, esibisce dodici corde — le gravi in bronzo e poste a destra, le acute in metallo e centrali — sorrette da diciotto ponti mobili e un paio di fori a forma di fiore sulla cassa armonica, finalizzati ad ottimizzare il circolo dell’aria e ad accrescere la potenza del suono, di uno strumento rigorosamente assemblato senza l’uso di viti o chiodi e concepito con una grandezza cordofono variabile, affinché accompagni qualsivoglia tipologia di voce.

Mentre un tempo le bacchette, o plettri, «Mezrab», erano dritte, attualmente mostrano lieve curvatura lungo una lunghezza di circa venti centimetri e, ricavate da legno di nespolo, bosso o noce, sebben segnatamente leggere e sottili, vantano ragguardevole resistenza.
 
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Plettri in legno di noce

 
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Santoor indiano

Storiche deduzione ne datano antica presenza al sud del Paese e posticipato riapparire — dopo un lungo periodo d’oblio — nell’India settentrionale, in Kashmir e — a cavallo di ferventi pratiche commerciali — sulla via della seta, la superficie dell’imponente e greve Santoor dell’India essendo di frequente intarsiata e decorata, estetica elegantemente abbellendolo giacché destinato ad esibizioni di corte, al cospetto d’esigenti nawwāb o ràjah, tenendolo sulle ginocchia o su un piano d’appoggio.

Le 96/130 corde, talvolta rivestite, si differenziano fra loro in diametro e materiale — ottone, bronzo, ferro, acciaio — e scorrono su 24/30 capotasti fatti in osso di cammello, mentre i ponti sono suddivisi in due o più file, situate sui lati della cassa; le bacchette sono simili alle succitate, ma con peso e volume decisamente superiori.
 
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Santur iracheno

Reperibile con difficoltà dopo la Guerra del Golfo (1990-1991), il santûr dell’Iraq — suonato in piccole orchestre di genere musicale folkloristico Al Chalghi al Baghdadi — a livello melodico e strutturale si pone a metà strada fra quello dell’Iran e il Santoor dell’India, difatti 23/25 ponti di quercia — medesimo materiale delle bacchette — reggendo, tramite capotasti in metallo, 80/92 corde, allungate su una tavola armonica di compensato oppure faggio, dai multiformi fori; albicocco, noce o arancio sono i legni adoperati per la cassa.
 

Santur turco

A detenere il primato di corde — ben 160 — fu l’ormai scomparso Santur alaframga, o franzis, inizialmente modificato dalla popolazione turca nell’hamaili Santur — e in un secondo tempo, considerando l’incompatibilità del nuovo prototipo con l’interpretazione della musica nazionale, venendo rimpiazzato dal moderno Santur Alaturka, o Turki, tuttavia anche al Santur turco ben presto sostituendosi strumenti similari, ma con maggior modulazione di note, com’è al contrario era in grado il Quanun, o Kanun, classico cordofono arabo a 78 corde su piano di pergamena, pizzicate attraverso plettri in corno.
 
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Santouri greco

A diversificarsi da tutti i precedenti è il Santouri greco, databile al diciannovesimo secolo e giunto per mezzo di coloro i quali — in fuga dall’Impero ottomano (1299-1922) e provenendo soprattutto dalla turca Smirne — ripararono in terra ellenica, arricchendone cultura musicale con uno strumento di grandi proporzioni, con cassa in faggio, palissandro laminato o acero, tavola armonica in larice o abete, una coppia di fori esagonali, attorniati da sei fori circolari e 115 corde frazionate in sei sessioni; per l’elevato numero di ponti — raggruppati in cinque serie — il Santouri greco è molto più vicino al cordofono composto cimbalom che agli altri Santur e fra gli ispirati docenti che ne insegnarono pratica, spicca il nome del compianto Aristeidis Moschos (1930-2001) e stimata interprete ne è tuttora la cantante ateniese Areti Ketime, classe 1989, le cui dita si mossero sulle sue vibranti corde fin dai sei anni d’età.
 

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Foto: Strange Traveler, cc by-sa 4.0

 

 
Dalla notte dei tempi in cui veniva assemblato con pietre e cortecce — poi inserite in sacche di pelle caprina — il Santur ha intrapreso lunghi viaggi, girovagando per il Pianeta, mutando ed incontrando culture, catturando attenzione in solo ed in ensemble, con ogni nota il singolare cordofono dall’intenso ed infinito suono ammantando di toccante ed ancestrale spiritualità.

La musica, bella o brutta, seria o ignorante, santa o puttana, è lunga. E non ti abbandona. È il rumore dell’anima. E ti si attacca alla pelle e al cuore per non lasciarti più.
Mina

 
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Saeed Sabet e Mohammad Esmaili

 
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Dariush Saghafi e Jahangir Mohammadi

 
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Homayoun Sakhi al Rubab, Rahul Sharma al Santur e Salar Nader al Tabla

 
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