Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij: impressioni d’Arte
Quando dipingere è musica ed il suono è pittura
Custodito fra le neorinascimentali mura del museo d’arte monacense, Städtische Galerie im Lenbachhaus, l’ammaliante Impressione III (Concerto), «Импрессия III (Концерт)», olio su tela disteso in 77,5 per 100 centimetri, dall’estro del pittore moscovita, naturalizzato francese, Vasilij Vasil’evič Kandinskij, egli da ispirazione colto all’assister ad uno spettacolo del compositore viennese, Arnold Franz Walther Schönberg, auspice di legame, in trama di musica e pittura, anche suggellato da intensa e durevole corrispondenza.
Il centro della tavolozza è un luogo speciale, poiché vi giacciono le vestigia dei colori, ormai andati ad adempiere il proprio compito, su tele vagando attraverso necessarie e distanti dalla propria origine, incarnazioni. Un mondo scaturito da quadri dipinti e casualmente determinato per effetto delle misteriose energie all’artista estranee. Devo molto a siffatti accadimenti: sono stati maestri come nessuno avrebbe mai potuto. Spesso rimanevo ore ad osservarli, con stupore ed amore. Talvolta avevo la sensazione che il pennello, strappando con volontà inflessibile frammenti ai colori, vivide creature, effondesse particolari e melodiosi suoni. Evento simile a quanto si potrebbe immaginar di provare in un enigmatico laboratorio di un alchimista.
Vasilij Kandinskij
La scelta di una scala musicale su cui concepire un brano, utilizzando soprattutto le note della stessa — nondimeno trascurando totalmente le altre — è denominato «sistema notale» e nel XX secolo, avanguardista nella semiografia, infrangendone le regole, fu Arnold Schönberg, nel 1920 ideando la tecnica di composizione dodecafonica — sebben antecedentemente vagheggiata dal concittadino, Joseph Matthias Hauer (1883-1959) — fondata sull’equivalenza armonica dei dodici semitoni (intervallo minimo fra due note), posti a medesima distanza e senza alcuna gerarchia fra note; teoria dall’illuminato austriaco presentata nel 1923, in articolo dal titolo, Komposition mit 12 Tonen.
Dopo molti tentativi infruttuosi durante un periodo di circa dodici anni, gettai le basi per un nuovo procedimento di costruzione musicale che sembrava adatto a sostituire le differenziazioni strutturali un tempo garantite dalle armonie tonali.mChiamai tale procedura Metodo di Composizione con Dodici Toni in Rapporto Soltanto l’Una con l’Altra. Esso consiste principalmente nell’uso costante ed esclusivo d’una serie di dodici note differenti. Naturalmente, nessuna nota viene ripetuta all’interno della sequenza, la quale impiega tutte le dodici note della scala cromatica, seppure in un ordine diverso. Non è in alcun modo identico alla scala cromatica: curiosamente ed errando, molti parlano di «sistema» riguardo alla scala cromatica. Il mio non è un sistema, ma soltanto un metodo, ovvero un modus di applicare regolarmente una formula prestabilita. Un metodo può, tuttavia non necessariamente, essere una delle conseguenze di un sistema. Inoltre, non sono l’inventore della scala cromatica; qualcun altro deve avere affrontato questo compito tanto tempo fa.
Arnold Schönberg
Al nome ebraico, Avraham, nacque il 13 settembre 1874, secondogenito dei cinque figli del commerciante, originario di Szécsény, Samuel Schönberg (1838-1889) e della praghese insegnante di pianoforte, Pauline Nachod (1848-1921): modesta condizione economica non impedì al fanciullo di ricevere educazione didattica, concentrandosi in particolare in letteratura, al contempo esaudendo indole musicale iniziando, ad appena otto anni, a studiare violino, scoperto a merito di un compagno di scuola e così volando verso i naturali orizzonti, egli difatti presto imparando a suonare anche la viola e precocemente cimentandosi nella composizione, nonostante le difficoltà di reperire spartiti ed accedere a produzioni discografiche a causa dei costi elevati. Tuttavia, quindicenne, prematura scomparsa del padre, sconfitto da infezione polmonare alla vigilia di Capodanno, a dolore aggiunse obbligo d’interromper scuola ed attività per intraprender impiego di commesso nel privato istituto di credito Werner & Co, all’ovvio fine di contribuire al sostentamento familiare.
Costrizione e adattamento — ben lontani dal cristallizzarsi a malinconica rassegnazione — durarono un quinquennio, in Arnold Schönberg musical incanto imponendosi su qualsivoglia alternativa volgendone sguardo in direzione di Berlino, primo passo di una lunga e radiosa carriera alla quale donò esistenza, dibattendosi tra docenza e creazione, nonché abbandonandosi, negli istanti liberi, a seduzione di pittura e quindi vivendo in ascolto d’intimo sentire, sinché, nel 1933, avvento del nazismo ne infranse serenità, mediante promulgazione della Legge per il ripristino della funzione pubblica professionale, strappandogli cattedra e persecuzioni costringendolo alla fuga a Boston e poi a Los Angeles, dove, acquisita cittadinanza americana nel 1940, indomo all’insulto antisemita subìto, tornò all’insegnamento — mantenendo ruolo fino al 1944 — altrettanto lasciando genio compositivo continuar prolificamente a comunicare ed in californiana terra adottiva, concludendo mirabile parabola, allorché in voler di sorte, accanto alla seconda moglie cuore sopì battito — non senza accordargli facoltà d’accomiatarsi dall’accanto seconda moglie Gertrud Bertha Kolish (1898-1967), proferendo, «Armonia» — il 13 luglio 1951, all’età, apparentemente non casuale, di 76 anni: fatalmente invero, a tredici minuti esatti della mezzanotte, dunque al pari del principio, epilogo nel segno d’un numero nei confronti del quale, Schönberg, soffrendo di triscaidecafobia, aveva da sempre manifestato timorosa avversione, si narra, tanto profonda ed incontrollabile da evitare di pronunciarlo e ad inchiostro siglarlo, coniando a sostituzione “12a”, nonché titolando opera, peraltro rimasta incompiuta e su cui lavorò tra il 1926 e il 1932, Moses und Aron, sottraendo quindi vocale al nome del sommo sacerdote del popolo ebraico, affinché la somma delle lettere non restituisse 13.
Per il bue simil metro di giudizio è rilevante, in quanto la scelta è soltanto temporanea: d’inverno apprezza il fieno, senza tuttavia rifiutare l’erba. Ma il musicista impreparato e scevro di talento manca di tempo: conosce le tendenze e taluna rifiuta con medesima disinvoltura con cui altre accetta.Si potrebbe pensare di poter educare siffatto musicista, mostrandogli quanto è da considerarsi stabile e transitorio, di valore e inutile, orpello e sostanza, l’autentico e l’imitazione. Come detto però, in analoga situazione, «si impara soltanto ciò ch’è comunque possibile compiere». Se fosse altrimenti, non vi sarebbe perché di musicisti che, ritenendo di conoscere Bach, scrivono fughe colme di passione e polifonie anonime, inconsistenti, mancanti di spirito contrappuntistico; esaltano la leggiadria di Mozart ed incatenano poi goffi costrutti di due battute; pur avendo sentito parlare della logica beethoveniana, compongono irriflessivamente; consci dell’arte elaborativa motivica di Brahms, ne prendono ad esempio soltanto l’apparente atteggiamento «conservatore»; irragionevolmente pongono su medesimo piano Händel e Bach, oppure Gluck e Mozart; sostengono e avversano tonalità o atonalità, evitando la questione del pensiero rappresentato e del suo valore.
Pertanto, mentre il bue compie sensatamente scelta sul foraggio, al musicista privo di radici manca la capacità naturale di distinguere e quindi, non sa trarre giovamento dal quotidiano nutrimento […] Comporre è innanzitutto arte d’inventare un pensiero musicale e l’idonea conseguente rappresentazione. E poiché il “come” della rappresentazione è indubbiamente sintomo del “che cosa” del pensiero, si dovrebbe immaginar nel musicista un’adeguata capacità di riconoscere il pensiero in sé.
Arnold Schönberg, Sulla questione del moderno insegnamento di composizione, 1929
Erede di Lidija Ivanovna Tičeeva (1840-1910) e del facoltoso mercante di tè, proveniente dalla Siberia Occidentale, Vasilij Sil’vestrovič (1832-1926), il 16 dicembre 1866, all’ombra del Cremlino, Vasilij Kandinskij s’affacciò sul mondo ignaro d’esser destinato a divenir faro dell’Astrattismo, fondamenti in disegno — nonché di musica dando canto a violoncello — ricevendo dalla sorella maggiore della madre, Elizaveta (1834-1903), presso la cui dimora di Odessa, nel 1971 si traferì a conseguenza del divorzio dei genitori.
Nell’immediato pittura non catturò l’interesse di Vasilij Kandinskij, contrariamente al diritto, egli difatti nel 1886 s’inoltrò fra i meandri della scienza giuridica e quattro anni più tardi, ventiseienne, pervenne a laurea in Giurisprudenza, medesimo 1892 in cui portò all’altare la cugina di secondo grado, Anna Čimjakina (ca.1860-1900), appunto conosciuta nei corridoi dell’ateneo di Mosca. Nel frattempo magnetismo dell’arte ne andava conquistando sensibilità e nel 1896, l’esortò a rifiutar offerta d’una cattedra all’estone Università di Tartu, per dirigersi a Monaco di Baviera, eleggere dimora lo storico e verdeggiante quartiere Schwabing — al tramontar del diciannovesimo secolo epicentro d’artisti provenienti da ogni angolo del Pianeta — e frequentarne la rinomata Accademia di Belle Arti, trovando guida nell’illustre pittore simbolista-espressionista, architetto, scultore e illustratore tedesco, Franz von Stuck (1863-1928).
Immerso in atmosfera culturalmente trascinante, nel 1901, coll’intento di promuovere il rinnovamento artistico tramite laboratori e mostre, Kandinskij fondò l’associazione Phalanx, dapprima insegnandovi, dopodiché assumendone la direzione ed iniziativa, propizia fu all’incontro, sfociato in passionale relazione, con l’allieva Gabriele Münter (1877-1962), all’epoca già nota fotografa e nell’organizzazione impegnata in scultura, incisione e pittura, disciplina di cui, d’acchito rivelando sublime predisposizione, s’eleverà ad insigne esponente. In condivisione d’idee e propositi, assieme viaggiarono, si dedicarono alla xilografia, riscoprirono il vetro come supporto di dipinti addentrandosi nella tecnica di tradizione bavarese, Hinterglasmalerei. Nel 1908, acquistarono una villa a Murnau am Staffelsee, in Alta Baviera, presto divenendo luogo di confronto d’una moltitudine di personalità artistiche, oltreché rifugio dove Kandinskij, bramoso d’esplorare territori sconosciuti, si concentrò nell’uso dei colori permettendo ad estro sperimentare e nel 1910, portando a compimento dipinto a matita, china ed acquerello, intessuto su di un fluire armonico e policromatico protagonista del quale, danza di rosso ed azzurro, opera dalla critica stessa identificata, alba dell’astrattismo.
Il rosso è un colore caldo e tende a espandersi; l’azzurro è freddo e tende a contrarsi. Kandinskij non applica la legge dei contrasti simultanei, ma la verifica; si serve di due colori come di due forze controllabili che possono essere sommate o sottratte e, secondo i casi, cioè secondo gli impulsi che riceve, si avvale di entrambi affinché si limitino o si esaltino a vicenda. Ci sono anche segni lineari, filiformi; sono, in un certo modo, indicazioni di movimenti possibili, sono tratti che suggeriscono la direzione ed il ritmo delle macchie che vagano sulla carta. Danno movimento a tutto l’acquerello.
Giulio Carlo Argan
Vasilij Kandinskij, d’inedita espressività intese la scaturente musicalità, personale concezione dell’astrattismo esortandolo prediliger Impressioni, Improvvisazioni e Composizioni, a descrizione delle proprie creazioni, relativamente riferendo termini a dipinti dall’aperta influenza del mondo esteriore, piuttosto che il getto pittorico sgorgante, opposto ad attività compositiva zelantemente progettata, dunque natura, inconscio ed intelletto diramandosi su tre categorie, indi, a partire dal 1911 — contestualmente la costituzione del gruppo Der Blaue Reiter, in compartecipazione con Münter, Alexej von Jawlensky, Paul Klee, August Macke, Franz Marc, Marianne von Werefkin ed altri ancora — l’astrattismo configurandosi unica plausibile prospettiva, egli intuendo — come narrato nelle intense pagine de Lo spirituale dell’arte — quanto il nesso tra forme e cromie possa produrre un trascendente tremito in vibrazione diretta sull’anima.
Vissuto in fibrillante e feconda devozione all’Arte, Vasilij Kandinskij rimpatriò al deflagrar del primo conflitto mondiale ed in suolo natio, nel 1917, in seconde nozze convolò con Nina Nikolaeva Andreevskaja (1893-1980) e a distanza d’un anno, la coppia trasferendosi a Berlino e rimanendovi sinché nel 1933, guardarono alla Francia e si stabilirono a Neuilly-sur-Seine, cittadina adagiata sulla riva destra della Senna nella quale l’artista, dopo aver ulteriormente variato stile conferendo ai lavori maggior mobilità e simbolismo, edito poesie e saggi, il 13 dicembre 1944, settantasettenne, si spense concedendosi all’eterno.
Presta ascolto alla musica, apri i tuoi occhi alla pittura, e smetti di pensare. Chiediti solamente se il tuo lavoro ti ha permesso di passeggiare all’interno di un mondo fin qui sconosciuto. Se la risposta è sì, che cosa vuoi di più?
Vasilij Kandinskij
In Vasilij Kandinskij, convinzione che all’osservar un’opera, emozione suscitassero soprattutto linee e colori captati, scaturì contemplando Les Meules, serie di quadri rappresentanti covoni di grano, a firma dell’impressionista, Claude-Oscar Monet (1840-1926), in essi ravvisando, scrutandoli da lontano, una sorta d’indefinita figura dorata eppur inaspettatamente sussultando ed avvolgente turbamento, responsabile ultimo del sorgere di visione astratta, percepì il 2 gennaio 1911, assistendo, a Monaco di Baviera, ad un concerto per pianoforte e quartetto d’archi dell’allora ritenuto sobillatore d’animi e non plebiscitariamente apprezzato, Arnold Schönberg.
Nel magistrale dipinto Impressione III (Concerto), Vasilij Kandinskij riuscì nell’eccelsa impresa di traslare la musica a pittura, quasi restituendone i suoni al primo sguardo: a padroneggiare nella parte superiore è un triangolo corvino, a rappresentazione del pianoforte verso cui tendono variopinti spettatori lievemente incurvati all’ascolto e in ipotizzabile plauso, avvolti da una vivace fascia gialla sullo sfondo verosimilmente metaforizzante la spiritualità effusa dalla melodia — come fosse un rigenerante manto solare — il tutto raffigurato con il solo uso dei tre colori primari, del bianco e del nero, inoltre rispetto al precedente acquerello il soggetto non discostandosi interamente da una riproduzione realistica, tuttavia plasmandola secondo rivoluzionari criteri pittorici esposti con soggettività, parallelamente l’interlocutore visivo assorbendone in maniera arbitraria e correlata a esclusiva interiorità.
Pianista della serata fu Etta Werndorff, la cui sagoma dal quadro difficilmente ravvisabile, all’opposto discernibile nei due schizzi preparatori, parimenti ad altri membri dell’orchestra, posizionati a sinistra, forse riconducibili al Rosé Quartet, quartetto d’archi fondato nel 1882 dal violinista Arnold Josef Rosé (1863-1946); il letteo triangolo sulla cui vetta s’adagia un cerchio purpureo, s’è teorizzato possa essere il soprano Marie Gutheil-Schoder (1874-1935), nell’ovvia incertezza riguardo a verità assolute, inequivocabile risultando invece la graduale perdita di elementi realistici nel passare dal primo schizzo al dipinto definitivo, sia a livello oggettistico che prospettico, ciò denotando un incessante processo evolutivo in Vasilij Kandinskij il quale — a sedici giorni dall’evento — intraprese denso e amichevole scambio di missive con Arnold Schönberg, fino al 1936.
Indescrivibilmente sbalordito e affascinato, Vasilij Kandinskij gli confessò in sincera stima d’aver respirato composizioni da cui trapelava istintivo e meraviglioso affrancamento dalle ufficiali regole della musica classica, identica molla in lui tesa al fine di temerariamente sconfinare nella pittura in appagante e fantasiosa libertà, raggiunta dal pittore in errante galoppo fra instancabili ricerche, sagaci prove ed eccentriche sperimentazioni, egli abbigliandosi di quanto dipinto e provando a condurre il pubblico al suo interno, prendendolo per mano in un viaggio sublime, unico e ridestante, con ardor sostenendo quanto le persone dovessero «sparire lì dentro», un luogo in cui note e gradazioni si fondano in ovattato suono, ristorante sui sensi.
L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.
Pablo Picasso
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