Thelonious Monk, l’alba del genio alle luci del Minton’s Playhouse
È incantevole anche soltanto immaginare che fortuiti incontri possano smuovere cuori a ritmo di Jazz, sulle quali note, interiormente tonanti, vi(b)rano palpiti fra animi il cui legame — da fato tessuto — s’ordirà indissolubilmente.
Nulla è prevedibile.
In alcun modo è dato averne previa percezione.
Eppur tutto meravigliosamente accade.
Ci si ode.
Ci si pervade.
Ci si accompagna.
E ci si rivive, funamboli sul proprio destino.
Lascia che la vita accada.
Sylvia Plath
All’incirca un quadriennio avanti la composizione di ‘Round Midnight del 1944, propizia tappa del percorso esistenziale di Thelonious Monk era stato l’accennato Minton’s Playhouse — ai tempi sito al primo piano del Cecil Hotel, 210 West 118th Street — fondato nel 1938 dal sassofonista tenore Henry Minton e divenuto storico ritrovo di musicisti antesignani del Bebop i quali, riunendosi dopo l’orario di chiusura in estemporanee e prolifiche jam sessions, avrebbero svilupparono il nascente sottogenere attraverso confronti e sperimentazioni, portandolo prestotempo alla ribalta grazie all’inventiva dei principali esponenti John Birks ‘Dizzy’ Gillespie (1917-1993) e Charles ‘Charlie’ Christopher Parker, Jr. (1920-1955) — d’epiteto ‘Bird’ — oltre che di Charles ‘Charlie’ Henry Christian (1916-1942), Kenny Clarke, Earl Rudolph ‘Bud’ Powell (1924-1966), Roy David Eldridge (1911-1989), Maxwell Lemuel Roach (1924-2007), Oscar Pettiford (1922-1960), Teddy Hill (1909-1978), Miles Davis, Fats Navarro ‘Fat Girl’ (1923-1950), Idrees Sulieman (1923-2002), Mary Lou Williams, Tadley ‘Tadd’ Ewing Peake Dameron (1917-1965), Oran Thaddeus ‘Hot Lips’ Page (1908-1954), Arthur ‘Art’ Blakey (1919-1990), Edward ‘Sonny’ Stitt (1924-1982), Carlos Wesley ‘Don’ Byas (1912-1972), Dexter Keith Gordon (1923-1990) e tanti altri che s’avvicendarono nell’atipica avventura, intrinsecamente stimolante, da ogni jazzmen arricchita d’individuale apporto.
Navigato sia in ambito musicale che in campo manageriale per pregressa direzione del The Rhythm Club e ben conscio di vissuti, bisogni da esprimere, necessità economiche ed aspirazioni dei jazzisti in quegli anni, Henry Minton s’era mosso nell’intento di fare dell’omonimo locale un luogo che ne accogliesse pratiche, proposte, desideri e soprattutto — egli essendo il primo delegato afroamericano dell’organizzazione sindacale American Federation of Musicans Local 802 — salvaguardarli da sanzioni allora previste per i partecipanti alle jam sessions after-hours e pertanto creando un “rifugio” in cui fosse loro possibile, con gratificante arbitrio, avanzare idee, imbracciare strumenti ed intersecarne suoni in cadenzati, armonici, estesi e veloci ritmi fin a quel momento inesplorati; certo di porre staffetta in mani che ne avrebbero fidentemente protratto analoga politica gestionale ed ampliato bacino d’utenza, sul finire del 1940 affidò timone a Teddy Hill che seguitando a favorire aggregazione musicale, floride cooperazioni e prolifici confronti, seppe rendere fecondo un terreno su cui, non di rado, i migliori jazzisti si “sfidavano” in compiacenti ed elettrizzanti competizioni, amichevolmente dileggiandosi e frattanto radicando, specie in colleghi di nuova leva, spettacolari, istruttive ed instillanti esibizioni, ciò eruttando una magia sinfonica senza pari.
Forte d’esperienze sviluppate nella sua orchestra, attiva dal 1934 al 1939 e di cui avevano fatto parte il trombettista Joseph ‘Joe’ Guy (1920-1962) ed il batterista Kenny Clarke, Teddy Hill affidò a quest’ultimo incarico d’ingaggio che portò Nicholas ‘Nick’ Fenton (ca.1918 – ?) al basso e — come già narrato — Thelonious Monk al pianoforte, dando vita all’House Band del Minton’s, con alternanza di più ospiti, ad esempio, i succitati Dizzy Gillespie e Charlie Christian, chitarrista elettrico, d’eccelsa e progressistica bravura, nel periodo assoldato da Benny Goodman su segnalazione del produttore e talent scout John Henry Hammond (1910-1987), ma sfortunatamente falciato da una severa forma di tubercolosi — diagnosticatagli un biennio innanzi — che ne decretò precoce dipartita, purtroppo rapendolo dal mondo appena venticinquenne; ciò non ostante ed in barba ad infausta sorte, fugace passaggio lasciò in eredità avanguardista metodo stilistico.
A farne primariamente tesoro e ad ispirarsene fu — caso vuole battezzato ad egual nome — Charlie Parker, del quale Thelonious Monk e Kenny Clarke intuirono il potenziale bop, ammirandolo a tal punto da decidere, in seguito a diniego di Teddy Hill in risposta alla loro richiesta d’annoverarlo nel gruppo, di retribuirlo attingendo ai propri compensi ed il Minton’s pregiandosi d’ulteriore fuoriclasse, d’illimitati orizzonti artistici.
Non riuscivo più a sopportare le armonie stereotipate che allora venivano continuamente impiegate da tutti. Continuavo a pensare che doveva esserci qualche cosa di diverso. A volte riuscivo a sentire qualcosa, ma non ero in grado di suonarlo…Quella notte improvvisai a lungo su Cherokee. Mentre lo facevo mi accorsi che impiegando come linea melodica, gli intervalli più alti degli accordi, mettendovi sotto armonie nuove, abbastanza affini, stavo suonando improvvisamente ciò che per tutto quel tempo avevo sentito dentro di me. Rinacqui a nuova vita.
Charlie Parker
(Hear me talkin’ to ya. La storia del jazz raccontata dagli uomini che l’hanno fatta)
Attirando pubblico da ogni dove e furoreggiando per un abbondante trentennio, il Minton’s rappresentò per i neoboppers una sorta di palestra sul cui ring evolversi, vicendevolmente ascoltandosi, imparandosi ed in parallelo divertendosi nelle succitate “sfide” fra virtuosi, in un baratto di ritornelli da brivido: famose erano le Monday Celebrity Nights, serate programmate di lunedì, dacché giorno libero dei musicisti, nonché sovvenzionate da Frank Schiffam, impresario dell’Apollo Theater e favorevole stimante del modernjazz, difatti offrendo palco, anteriormente calcato in esclusiva dalle Big Bands, ad emergenti orchestre, una su tutte quella sperimentale — nella quale militarono anche Parker e Gillespie — ad oggi ritenuta una fra le più importanti nel panorama Jazz del Novecento, accanto a quelle dirette da Duke Ellington, Count Basie, Alton Glenn Miller (1904-1944), Earl ‘Fatha’ Hines e dal ‘The King of Swing’ Benny Goodman.
A termine spettacolo, le celebrità dell’Apollo Theater si spostavano al Minton’s — fra le cui mura venivano inoltre serviti gratuitamente cena e drink’s — dilettandosi tra l’assaporare nuovi ascolti e il suonare insieme: bandleaders, solisti e spettatori s’integravano a mo’ di tasselli d’un puzzle dalla sfaccettata melodia; in tal e fibrillante atmosfera s’era per l’appunto trovato immerso Thelonious Monk, magistralmente sagace nell’assorbire — quanto un’assetata spugna le marine acque — l’altrui bagaglio musicale, filtrandolo, elaborandolo, indi forgiandosi a peculiare, impareggiabile e rivoluzionario stile hard-swining, in origine bistrattato.
Ad irrefrenabile fama di Parker e Gillespie, non corrispose però equivalente ascesa di Monk, ciò dovuto tanto all’inintelligibilità delle sue interpretazioni pianiste quanto all’istintivo temperamento ribelle, non puntuale ed estremamente riservato, di conseguenza egli restando ai margini della popolarità rispetto a Bird e Dizzy, perlomeno fino al menzionato incontro con Coleman Hawkins, il quale lo inserì nel proprio quartetto ed il cui profondo apprezzamento gli funse da rassicurante porto e blocco di partenza, tant’è vero che, da lì ad un triennio, Thelonious siglò contratto con la casa editrice discografica Blue Note Records — all’epoca in principio d’espansione — registrando per la prima volta in qualità di leader e dimostrando indubbio talento compositivo, tuttavia i suoi brani ottenendo tiepida risonanza commerciale ed inevitabilmente rallentandone cammino carrieristico, benché mai annientandone dignitosa fierezza e inossidabili mire.
In medesima annata convolato a nozze con Frances Nellie Smith (1921-2002) e il 27 dicembre 1949 divenuto padre di Thelonious Sphere ‘T.S.’ Monk III, il neo genitore necessitava di maggiori introiti, ricavati da saltuari concerti fra una band e l’altra, contemporaneamente mai desistendo nel sacralmente udire quanto petto gli sussurrasse riguardo a personale concezione del Jazz, in salda fede a se stesso.
Nell’agosto del 1951, fu protagonista d’un evento dai rovinosi risvolti: Monk era in auto con Bud Powell, quando ad un controllo da parte di poliziotti, vennero rinvenute sostanze narcotiche all’interno dell’abitacolo: per proteggere l’amico — reo di possesso — Thelonious rinunciò a testimoniare contro di lui; generoso gesto gli costò il ritiro, per un lungo sessennio, della New York City Cabaret Card, dunqu’egli non potendosi più esibire all’interno della Grande Mela, ma rivitalizzante sostegno gli venne elargito dal pianista e compositore Randolph Edward Weston (1926-2018), tramite il qual Thelonious Monk fu introdotto in locali di alcuni afroamericani a Brooklyn, oltre all’esibirsi in teatri e club periferici per la prima parte degli anni Cinquanta.
Nel 1952 Thelonious Monk passò all’etichetta Prestige Records, restandole in affido per il successivo biennio, nel mentre replicando esperienza genitoriale con la nascita di Barbara (1953-1984), affettuosamente, Boo-Boo.
1954: Thelonious Monk si trova in volo, nella traversata dell’Atlantico che lo condurrà a Parigi per lavoro, inconsapevole del fatto che una baronessa londinese lo stia cercando da anni nell’ardente brama di conoscerlo e stringergli mano, per non lasciarla mai più…
Continua…
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