Glassarmonica, il suono magnetico e soave del cristallo
Batter asticelle sull’estremità di ciotole in legno, porcellana, metallo o vetro per emetterne suoni è antica usanza orientale, parte della quale in Europa venne descritta, illustrata e commentata, da numerosi eruditi rinascimentali, in primis dal compositore lodigiano, teorico musicale, cantore e umanista, Franchino Gaffurio (1451-1522), che fra le pagine di Theorica musicae (1492) raffigurò Pitagora (ca. 580/570 a.C. – 495 a.C.) nell’atto di percuoter sei campane e altrettanti bicchieri, entrambi i gruppi d’oggetti riportando identiche cifre e numeri interi — ovvero 4-6-8-9-12-16 — suggerendo precisa correlazione fra volume del liquido e accordi musicali.
Nel corso del tempo, più studiosi s’interessarono al fenomeno in generale, assemblando rudimentali e similari strumenti, inconsapevolmente ispirando futura invenzione della Glassarmonica.
Quando nel mondo si genera un suono autentico, esso produce centinaia di echi.
John A. Shedd
Pisa, 15 febbraio 1564: dall’unione del teorico musicale, compositore e liutaio santamariammontese, Vincenzo Galilei (1520 circa – 1591) con la villese Giulia Venturi degli Ammanati (1538-1620), nacque, primogenito di sette figli, Galileo, destinato a lasciare di sé magnifica parabola d’astronomo, fisico, matematico, filosofo e, a ragion ritenuto “padre della scienza moderna”, assoluto protagonista della rivoluzione scientifica.
Fra i molteplici campi che ne attrassero l’acuto ingegno, Galileo Galilei si dedicò anche all’arte pittorica, scultorea, letteraria, nonché con diligente minuzia spendendosi nello studio dell’acustica, approfondendo le oscillazioni del suono, rivelando la relazione sussistente fra la sua frequenza e la lunghezza d’una corda in vibrazione, inoltre caldeggiando, parimenti al padre, l’evoluzione di stile che sul finire del XVI secolo stava avvenendo nella musica: innovarne il rapporto con i testi era indubitabile assunto comune ai promotori della seconda pratica, corrente così denominata dal compositore cremonese, Claudio Giovanni Antonio Monteverdi (1567-1643), con mero intento di contraddistinguersi dai colleghi Gioseffo Zarlino (1517-1590) e Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) — viceversa fautori della prima pratica — nel sostenere che una maggior libertà scrittoria avrebbe dato origine ad un linguaggio sonoro evocativo e di conseguenza più idoneo a suscitar emozioni.
L’opera musicale di Monteverdi segna il principio dell’espressione lirica moderna. Seguendola più da vicino […] si vedrà come il musicista va sempre liberandosi dall’arido schematismo declamatorio dei fiorentini per affermare la sua complessa personalità che non si stanca, non esaurisce le forze e dal secolo, da l’ambiente in cui vive in immediata corrispondenza, trae sempre nuovo alimento.
Guido Pannain
Totalmente affascinato da qualsivoglia realtà si potesse scandagliare per giungere a inedite verità e svecchiare le preesistenti, Galileo Galilei appurò — pressoché replicando quanto all’incirca una decade prima sperimentato dal politico, filosofo, saggista e giurista, Francis Bacon (1561-1626) — che sfregando un polpastrello sul bordo di bicchieri in cristallo riempiti d’acqua, un suono s’effondeva in propagazione nella stessa, al rilievo facendo cenno in Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali, autorevole trattato — in prima edizione originale nel 1638, a Leida — la cui struttura redatta in forma dialogica ed attorno ad un dialogo scientifico protrattosi sei giorni, immaginato nel veneziano Palazzo Morosini Sagredo e tramite il quale si scambiano differenti opinioni tre personaggi, ovvero Simplicio, erudito accademico d’impronta conservatrice; Salviati, ricercatore di stampo progressista; infine Sagredo, con ruolo di mediatore del trio.
Durante la prima giornata trascorsa fra le storiche mura in affaccio sul Canal Grande, il Salviati si rivolge a Sagredo, dicendogli: «Ed ora, mosso da i quesiti di V. S., penso che potrò dirvi qualche mio pensiero sopra alcuni problemi attenenti alla musica, materia nobilissima, della quale hanno scritto tanti grand’uomini e l’istesso Aristotele, e circa di essa considerar molti problemi curiosi; talché se io ancora da così facili e sensate esperienze trarrò ragioni di accidenti maravigliosi in materia de i suoni, posso sperare che i miei ragionamenti siano per esser graditi da voi» — e dopo approfonditi chiarimenti sull’oscillazione dei pendoli, aggiungendo — «Esempio che dichiara ’l mio intento non meno acconciamente di quel che questa mia premessa si accomodi a render la ragione del maraviglioso problema della corda della cetera o del cimbalo, che muove e fa realmente sonare quella non solo che all’unisono gli è concorde, ma anco all’ottava e alla quinta. Toccata, la corda comincia e continua le sue vibrazioni per tutto ’l tempo che si sente durar la sua risonanza: queste vibrazioni fanno vibrare e tremare l’aria che gli è appresso, i cui tremori e increspamenti si distendono per grande spazio e vanno a urtare in tutte le corde del medesimo strumento, ed anco di altri vicini: la corda che è tesa all’unisono con la tocca, essendo disposta a far le sue vibrazioni sotto ’l medesimo tempo, comincia al primo impulso a muoversi un poco; e sopraggiugnendogli il secondo, il terzo, il ventesimo e più altri, e tutti ne gli aggiustati e periodici tempi, riceve finalmente il medesimo tremore che la prima tocca, e si vede chiarissimamente andar dilatando le sue vibrazioni giusto allo spazio della sua motrice. Quest’ondeggiamento che si va distendendo per l’aria, muove e fa vibrare non solamente le corde, ma qualsivoglia altro corpo disposto a tremare e vibrarsi sotto quel tempo della tremante corda; sì che se si ficcheranno nelle sponde dello strumento diversi pezzetti di setole o di altre materie flessibili, si vedrà, nel sonare il cimbalo, tremare or questo or quel corpuscolo, secondo che verrà toccata quella corda le cui vibrazioni van sotto ’l medesimo tempo: gli altri non si muoveranno al suono di questa corda, né quello tremerà al suono d’altra corda. Se con l’archetto si toccherà gagliardamente una corda grossa d’una viola, appressandogli un bicchiere di vetro sottile e pulito, quando il tuono della corda sia all’unisono del tuono del bicchiere, questo tremerà e sensatamente risonerà. Il diffondersi poi ampiamente l’increspamento del mezzo intorno al corpo risonante, apertamente si vede nel far sonare il bicchiere, dentro ’l quale sia dell’acqua, fregando il polpastrello del dito sopra l’orlo; imperò che l’acqua contenuta con regolatissimo ordine si vede andar ondeggiando: e meglio ancora si vedrà l’istesso effetto fermando il piede del bicchiere nel fondo di qualche vaso assai largo, nel quale sia dell’acqua sin presso all’orlo del bicchiere; ché parimente, facendolo risonare con la confricazione del dito, si vedranno gl’increspamenti nell’acqua regolatissimi, e con gran velocità spargersi in gran distanza intorno al bicchiere: ed io più volte mi sono incontrato, nel fare al modo detto sonare un bicchiere assai grande e quasi pieno d’acqua, a veder prima le onde nell’acqua con estrema egualità formate, ed accadendo tal volta che ’l tuono del bicchiere salti un’ottava più alto, nell’istesso momento ho visto ciascheduna delle dette onde dividersi in due; accidente che molto chiaramente conclude, la forma dell’ottava esser la dupla».
Tanto Bacon quanto Galilei furono plausibilmente avvantaggiati da una discreta condizione economica a merito della quale poterono avere a disposizione bicchieri in cristallo con cui misurarsi; situazione nient’affatto scontata, poiché il prezioso materiale — creato nel 1450 — aveva prezzi estremamente proibitivi e che iniziarono a diminuire tra il 1650 e il 1750.
Aghnamallagh, 1695 circa: nell’irlandese Contea di Monaghan principiò storia di Richard Pockrich — altrimenti Poekrich o Puckeridge — intraprendente visionario che, ricevute ingenti somme alla scomparsa del padre, non esitò ad riversare in diverse imprese, tra le quali un birrificio-distilleria a Islandbridge, allevamenti di selezionate specie d’oche in terreni appunto acquistati a Wicklow od ancora lanciando proposte come la bonifica di paludi per piantarvi vigneti, avanzando idee in campo urbano, sanitario, politico e sociale, suggerendo ad esempio di sollevare i senzatetto dall’inumano ed inammissibile, vivere di strada, mediante piani d’investimento sul lavoro e così restituire loro la dovuta dignità.
Utopista intriso d’altruismo, tenacia ed ecletticità, in Richard Pockrich convissero poliedriche passioni, a livello artistico fervida creatività sentitamente avvincendolo a “suonar bicchieri”, posizionandoli, secondo ampiezza di calice, l’uno accanto all’altro ed inizialmente, in antico stile, adoperando sottili bastoncini, poi di null’altro servendosi se non le dita — appositamente inumidite — e venendo talmente rapito dall’effondersi di suadente voce, da impegnare prologo d’esistenza a quella sorta d’armonica in vetro ch’egli — frattanto sommerso dai debiti a causa d’esito negativo delle deficitarie iniziative imprenditoriali tentate — decise di promuovere attraverso concerti in Irlanda e Inghilterra, esordendo pubblicamente il 3 maggio 1743 allo Smock Alley Theatre di Dublino, arricchendo le proprie esibizioni con l’apporto vocale di un cantante e raggiungendo un gratificante grado di notorietà a cui, purtroppo, mise improvvisamente fine tragico fato, il musicista perendo nel 1759 a causa d’un incendio divampato nella stanza dove alloggiava, nei pressi del Royal Exchange di Londra.
Miscellanee, rotocalchi, opere e spettacoli postumi, ne avrebbero presto immortalato nome in riferimento al peculiare cristallofono distrutto dalle fiamme e da lui precedentemente battezzato Angelic organ, in seguito e nelle varianti anche detto Glasspiel o Glass Harp e dal 1914 annoverato nella famiglia degli idiofoni a frizione, secondo Classificazione Hornbostel–Sachs.
Nel 1745/46, il compositore lirico tedesco Christoph Willibald Gluck (1714-1787) tenne un trionfale concerto interpretando, accompagnato da orchestra, opera per violino e clavicembalo, con un modello di Verrillon costituito da 26 bicchieri armonizzati in base al quantitativo d’acqua immessovi, in volontà di mostrarne la capacità d’eguagliar suddetti strumenti e attribuendosene ideazione, sebben non vi sia certezza assoluta — o quantomeno non si possa escluder a priori — che ispirazione sia viceversa sorta prendendo spunto dal contemporaneo Richard Pockrich.
Boston, 17 gennaio 1706: nella capitale del Massachusetts ebbe natali, Benjamin Franklin, nel novero dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America ed in memoria anche poiché contraddistinto da spirito dinamico, curioso ed oltre a ruolo politico-diplomatico, interesse e partecipazione offrendo in ambito giornalistico, tipografico, scientifico, occupandosi d’anatomia, meteorologia, musica e per di più architettando dispositivi riguardanti svariati settori.
Conoscente ne era il chimico e filosofo naturale britannico, Edward Hussey Delaval (1729-1814), il quale da ammaliato spettatore di Richard Pockrich, si cimentò in sperimentazioni sull’Angelic Organ, indirettamente dando modo all’estroso Benjamin Franklin di concepire inedito prototipo.
Nel suo vivere eziandio, palesava dei gusti delicati. Indifferente ai piaceri della tavola, deliziavasi in modo particolare, della musica e dell’armonia, onde augumentava gli istrumenti. La dolcezza del suo carattere, la modestia, la benignità de’ suoi modi, lo rendeano caro alle persone intelligenti, dimodoché egli traeva diletto dai libri, dalla filosofia e dalle conversazioni, ora ministrando consolazioni agli afflitti, ora abbandonandosi all’espressione di un’innocente ilarità.
George Bancroft su Benjamin Franklin
Assiduo frequentatore di sale da concerto, Benjamin Franklin, opportunità di ascoltare Delaval ebbe a Cambridge, nel 1761 — frattanto l’inglese Anne Ford (1737-1824), icona femminile e talentosa polistrumentista, pubblicava la guida Instructions for Playing on the Musical Glasses: so that Any Person, who has the least Knowledge of Music, or a good Ear, may be able to perform in a few Days, if not in.a few Hours — ed occasione gli fu di apprezzare il canto del cristallo, pensando da prima analisi che delle coppe, spessore e dimensioni, avrebbero potuto emettere determinate sonorità senza necessità d’acqua all’interno e, fermamente convinto d’idea, la concretizzò incaricando Maestro del vetro, Charles James, di modellarne 37 — previamente calcolandone frequenza su diametro e chiedendone alcuni con bordo tinto secondo altezza della nota — dopodiché, evitando contatto tra i calici, li dispose concentricamente ed in orizzontale montandoli su un fuso, dunque generando movimento tramite pedale alla stregua delle macchine da cucire: a differenza degli strumenti fin ad allora concepiti — con bicchieri affiancati ed in posizione verticale — meccanismo permetteva suonarne una decina simultaneamente.
Durante la rotazione a costante velocità del mandrino, le dita dovevano sfregare le calotte, giostrandosi tra il suono grave delle più grandi — posizionate a destra — e quello acuto delle più piccole, sulla sinistra: a indirizzare l’interprete su diesis e bemolle, erano appunto le bande colorate che generavano le alterazioni dell’intonazione.
Originariamente, Benjamin Franklin lo battezzò Glasschord — definizione successivamente identificante altro strumento a lui ispirato — e in un secondo momento, nel desiderio di riagganciare la parola italiana «Armonia», coniando il vocabolo «Glass Harmonica» — denominazione ovviamente variando conformemente ad idioma ed in Penisola assumendo somigliante titolo di «Glassarmonica» — e via corrispondenza, manifestandone entusiasmo all’amico, fisico, matematico e monaco monregalese, Giovanni Battista Beccaria (1716-1781).
Atteso debutto si concretizzò nel 1762: a suonar la Glassarmonica fu l’inglese, rinomata cantante e musicista — in particolare flauto e clavicembalo — Marianne Davies (ca. 1743-1818), che in seguito la presentò — insieme alla sorella e soprano classico Cecilia (ca. 1756-1836) — in propagandistiche tournée.
Benjamin Franklin mantenne con Marianne Davies un durevole rapporto epistolare e per lei dispose fabbricazione d’una seconda Glassarmonica, affinché anch’egli ne avesse una da far conoscere oltre confine, dove positivo e immenso riscontro, specialmente in Germania, non tardò ad arrivare, diafana e pacata musicalità riecheggiando gloriosa, inebriando spettatori in più nazioni e incuriosendo chiunque avesse la fortuna d’ascoltarla.
Lodevolmente abile nel suonar la Glassarmonica su insegnamenti del compositore Joseph Aloys Schmittbaur (1718-1809) ed a farla conoscere in Europa nel corso d’un tour decennale, incantando letterari, personalità artistiche e reali, fu la celebre Marianne Kirchgeßner (1769-1808): nativa di Bruchsal, comune tedesco situato nel land del Baden-Württemberg, si consacrò al variopinto e sconfinato universo delle note sospinta della madre, in tenera età, seguendone insegnamenti, iniziando a sfiorare tasti del pianoforte e corde del salterio, precocemente perciò sviluppando parallelamente a sensibilità musicale, la percezione aptica che — arma nel confronto con la cecità a cui vaiolo la condannò appena quattrenne — l’avrebbe contraddistinta quando nel 1771, a lezione dal compositore e Konzertmeister, Joseph Aloys Schmittbaur (1718 -1809), incontrò l’armonica di cristallo, confermando vocazione a merito della quale a soli vent’anni, con una lunga tournée, inaugurò mirabile parabola professionale; sorte però le si mostrò ancora e fatalmente avversa, interrompendone cammino quand’ella ancor trentanovenne, nulla tuttavia potendo sull’incanto del legame intessuto con la musica fin dalla fanciullezza e sugli imperituri traguardi tagliati in fede a connaturata indole.
Tra i tanti a comporre per Glassarmonica, nientemeno che Ludwig van Beethoven (1770-1827) e Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), autore di Adagio solistico in do maggiore e dell’opera da Einstein definita «di bellezza ultraterrena», Adagio e rondò in do minore, ove ad accompagnare l’armonica in vetro, il genio salisbughese volle flauto, oboe, viola e violoncello. Espressamente scritta nel 1791 per Kirchgeßner, ella l’eseguì dapprima al prestigioso Kärntnertortheater di Vienna, poi a Londra, deliziando in ambedue le occasioni un ammaliato pubblico e quindi registrando ennesimo successo.
Al giungere del diciannovesimo secolo, fascino della Galssarmonica andò lentamente spegnendosi, in parte a causa della maggior ampiezza delle nascenti sale da concerto pubbliche, sfavorevole all’acustica di più strumenti d’allora e difatti, al fine di rispondere alle nuove esigenze, laddove possibile sottoposti a modifiche e l’armonica in vetro, privata dell’amplificazione assicurata dall’ormai smarrita intimità dei locali, ma restia ad essere riprogettata, precipitò nell’oblio, pur mantenendo estimatori ed indimenticabile, Gaetano Domenico Maria Donizetti (1797-1848), compositore tra i più autorevoli dell’Ottocento e che invero, ruolo le donò in Lucia di Lammermoor — prima rappresentazione il 26 settembre 1835, al Teatro San Carlo di Napoli — come sfondo alla “scena della pazzia” del principale soprano, nell’intento di evidenziarne i toni inquieti.
A sopraggiunta impopolarità contribuì la divulgazione della teoria per cui la Glassarmonica sarebbe stata in grado di produrre effetti negativi sulla psiche, del critico musicale Johann Friedrich Rochlitz (1769-1842) arrivando monito a mezzo stampa, sull’influente periodico tedesco Allgemeine Musikalische Zeitung: «The harmonica excessively stimulates the nerves, plunges the player into a nagging depression and hence into a dark and melancholy mood that is apt method for slow self annihilation. If you are suffering from any kind of nervous disorder, you should not play it; if you are not yet ill you should not play it; if you are feeling melancholy you should not play it».
Indagine su eventuali ripercussioni del suono sulla mente era peraltro già stata effettuata stata da parte del filosofo, gesuita, storico e museologo, Athanasius Kircher (1602-1680) e trascritta in Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni, in X libros digesta, saggio redatto in lingua latina fra il 1644 e il 1649, pubblicato a Roma nel 1650 e costituito da due tomi, rispettivamente di sette ed otto libri, nel settimo dei quali l’autore dichiarò come la musica potesse esordire diseguali moti d’animo, a seconda dello stato umorale di ciascuno, suffragando concetto con sperimentazioni sulle vibrazioni in differenti liquidi, versati in cinque calici.
Aggiuntiva allerta ai suonatori di Glassarmonica venne a diffondersi all’insinuato dubbio che il continuo poggiar mani sul vetro — all’epoca ancor contenente massicce quantità di piombo — potesse provocare saturnismo, cosicché, tra difficoltà strutturali e supposizioni mediche che s’allargarono a macchia d’olio al punto da far sorger derivate superstizioni sovente assenti di fondamento, la Glassarmonica rimase in ombra quasi un centennio.
Dal palco dello storico Teatro dell’Opera di Vienna, il 10 ottobre 1919, Richard George Strauss (1864-1949) andò in scena con Die Frau ohne Schatten, composta nel 1917: nell’organico orchestrale, uno dei 164 elementi previsti era la Glassarmonica, in timida rinascita, poiché l’amplificazione dei microfoni e le recenti tecniche in essere al ventesimo secolo, ne avevano annullato i precedenti limiti e moderni studi scientifici certificato che il vetro privo di piombo, non sarebbe stato in alcun modo nocivo per la salute.
Progressivamente, alla Glassarmonica iniziarono ad appassionarsi studenti, musicologi e musicisti, registi, romanzieri e chiunque bramasse riportare in auge dimenticati strumenti del passato e fra questi, il vetraio — fondatore della Glass Music International — Gerhard B. Finkenbeiner (1930-1999): nel 1984, dopo trent’anni di paziente dedizione, la ricostruì, brevettando modelli al quarzo nel laboratorio attualmente condotto dai familiari e risvegliandone globale interesse ed affezione.
Negli archivi del Franklin Institute di Filadelfia — attentamente preservato e raramente esposto — è custodito un modello originale di Benjamin Franklin, colui che alla Glassarmonica s’abnegò, dotandola d’un suono limpido, vellutato e celestiale, riscoperto ed oggigiorno riproposto nel mondo da esecutori d’ogni dove, a seducente soavità sonora votati.
Chiunque suoni uno strumento con amore, dedizione assoluta e attenzione per quello che sta facendo, ha tutto.
Mike Oldfield
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