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Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXXI

Cristóbal Rojas (1857-1890), Dante e Beatrice sulle rive del Lete, 1889

 
Dal rivolgersi agli angeli, Beatrice passa al diretto interpellar l’intimorito pellegrino che, innanzi a lei, sembra rimpicciolirsi dalla vergogna, tassativamente biasimato dalla stessa la quale, dopo aver descritto ai messi celesti le di lui vicissitudini terrene, ora vorrebbe, addirittura sembrandone pretenziosa, oltre che risentita e, chissà, forse gelosa, ricevere precise delucidazioni da parte di Dante, con allegato mea culpa e successivo pentimento.

I due stanno ancora sulle opposte rive del Letè, ma nonostante la distanza, l’Alighieri vive uno stato emotivo talmente devastante da non riuscir quasi a proferir parola, titubanza che in Beatrice si fa benzina sul fuoco, la donna incalzandolo nel ricordargli che il fiume non ha ancor cancellato le sue malefatte dalla mente, ch’egli dovrebbe quindi portarle alla luce, verbalizzandole di suo pugno e di conseguenza ricevendo clemenza divina.

Ecco quindi che, sciolto in viso e gola da pianto e profondi sbuffi di malincuore, il discepolo riesce nell’intento d’ammettere le proprie devianze terrene, ma una volta alzato lo sguardo ed incontrato quello di Beatrice, dopo essersi estasiato della sua mirabile e aumentata bellezza, il rimorso di non averla onorata come avrebbe dovuto lo divora fin a fargli perdere i sensi, l’uomo risvegliandosi fra le braccia di Matelda ed immerso nel Letè fino al collo, dove la donna lo inabisserà completamente, purificandolo.

Pronto per posar passo sulla medesima sponda dov’è situata Beatrice, alla stessa Dante sarà condotto in un primo tratto dalle quattro ballerine appartenenti al sacro corteo e poi dalle altre tre danzatrici posizionate dalla parte opposta del carro, che finalmente lo privilegeranno dell’osservar da vicino la donna amata, prima lor pregandola di svelare anche la sua bocca, testimone d’assoluta beltà quanto i suoi occhi smeraldini, nel riflesso dei quali l’Alighieri nota, con concreto stupore, il grifone nelle sue due sembianze e, impossibilitato a narrarne realisticamente, decidendo di rivolgersi direttamente al lettore, oltre secolo trascinandolo nella scena.

Il sipario cala sulla deflagrazione cardiaca di Dante al visionar le labbra della sua bella, quella bocca che nessun’arte poetica sarebbe in grado di descrivere degnamente, elevata all’eternità dall’emozione intrinseca alle sue parole, riecheggianti fra palpiti e terzine, in assoluto, puro e sincero omaggio alla sua donna, amata oltre tempo, oltre dimensione.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXXI • Ary Scheffer (1795-1858), Dante e Beatrice, 1851 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Ary Scheffer (1795-1858), Dante e Beatrice, 1851

 

«O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
volgendo suo parlare a me per punta,
3 che pur per taglio m’era paruto acro,
ricominciò, seguendo sanza cunta,
«dì, dì se questo è vero; a tanta accusa
6 tua confession conviene esser congiunta.»

“O tu che ti trovi sull’altra sponda del (se’ di là dal) fiume sacro”, riprende a dire (ricominciò) Beatrice, proseguendo nel discorso senza alcun indugio (seguendo sanza cunta) e rivolgendo le sue parole (volgendo suo parlare) direttamente (per punta) all’Alighieri (me), le quali (che), sebben di riflesso (pur per taglio), gli erano parse asprigne (m’era paruto acro), “dì, dì se quant’ho narrato (questo) corrisponde a verità (è vero); di fronte a tali accuse (a tanta accusa) è opportuno annettere (conviene esser congiunta) una tua confessione (confession).

Beatrice sostiene che, riguardo alle sue imputazioni nei confronti di Dante, sia necessario che lo stesso integri una personale confessione.

Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
9 che da li organi suoi fosse dischiusa.

L’energia vitale dell’Alighieri (la mia virtù) è talmente sconvolta (tanto confusa), da smuovergli (si mosse) la voce, tuttavia silenziandola ancor prima (e pria si spense) che possa venire emessa dagli (fosse dischiusa da li) organi preposti al vocalizzare (suoi).

A Dante, nel tentar di parlare, si soffoca la voce in gola.

Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
Rispondi a me; ché le memorie triste
12 in te non sono ancor da l’acqua offense».

Beatrice denota breve pazienza (Poco sofferse); poi dicendo (disse): “A cosa stai pensando? Rispondimi; dato che la memoria dei tuoi peccati (ché le memorie triste) in te non è (sono) ancor stata cancellata (offense) dalle acque (da l’acqua)”.

Il dantesco peccare non è scivolato nell’oblio, non essendosi il pellegrino ancor adagiato nelle acque del Letè, pertanto una Beatrice dal tono perentorio, lo incita ad ammettere quanto lui stesso ben ricorda delle sue azioni terrene.

Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca,
15 al quale intender fuor mestier le viste.

Sbalordimento (Confusione) e timore (paura) miscelate (miste) fra loro (insieme) gli sospingono (mi pinsero) un tal “sì” a fil di labbra (fuor de la bocca), che per comprenderle era necessario scrutarle con lo sguardo (al quale intender fuor mestier le viste).

Una prima affermazione dell’Alighieri è talmente impercettibile, da esser quasi necessario leggergli il labiale.

Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
18 e con men foga l’asta il segno tocca,
sì scoppia’ io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
21 e la voce allentò per lo suo varco.

Come la balestra rompe (frange) tanto la corda quanto (e) l’arco, quando il colpo viene scoccato tendendo eccessivamente (scocca da troppa tesa), di conseguenza raggiungendo il bersaglio (e il segno tocca) con minor energia (men foga), similmente Dante si spezza sottoposto a medesimo e greve carico (sì scoppia’ io sottesso grave carco), fuoriuscendogli (sgorgando fuori) lacrime (lagrime) e sospiri, e la voce sfiatando debole dalla sua bocca (allentò per lo suo varco).

In meravigliosa similitudine fra arco e freccia, l’autore della Commedia descrive il suo personaggio come colui che, colto da estrema tensione emotiva, si rompe il fiato, viceversa abbondando aneliti e pianto.

Ond’ella a me: «Per entro i mie’ disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
24 di là dal qual non è a che s’aspiri,
quai fossi attraversati o quai catene
trovasti, per che del passare innanzi
27 dovessiti così spogliar la spene?

Quindi Beatrice (Ond’ella) allo stesso (me): “Attraverso quello che fu il tuo desiderio nei miei confronti (Per entro i mie’ disiri), che t’orientava (menavano) ad amare quel (amar lo) bene oltre al quale (di là dal qual) null’altro esiste a cui aspirare (non è a che s’aspiri), che tipo di fossati trasversali (quai fossi attraversati) o che tipo d’impedimenti (quai catene) trovasti, per effetto dei quali (che) tu sia stato spinto ad abbandonare in tal modo la speranza (dovessiti così spogliar la spene) di proseguire (del passare innanzi)?

Con l’espressione “lo bene di là dal qual non è a che s’aspiri”, Beatrice si riferisce alla pura beatitudine che deriva unicamente nel tendere a Dio, ragion per cui la donna, incredula, si chiede quali possano esser state le cause di un allontanamento dallo stesso, da parte dell’Alighieri.

E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
30 per che dovessi lor passeggiare anzi?».

E quali agevolazioni (agevolezze) o quali vantaggi (vantaggi) ti si mostrarono (mostraro) innanzi a beni di altra natura (na la fronte de li altri), perché tu ti sentissi di dover (per che dovessi) passeggiare al lor cospetto (anzi)?

Con medesima e curiosa perplessità ella vorrebbe sapere nello specifico quale tipo di beneficio Dante possa aver tratto da dedicarsi ad altro.

Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
a pena ebbi la voce che rispuose,
33 e le labbra a fatica la formaro.

In seguito all’aver sfiatato un mesto (Dopo la tratta d’un amaro) sospiro, a malapena il discepolo entra in possesso della (a pena ebbi la) voce per poter rispondere (che rispuose), la sua bocca (e le labbra) faticosamente verbalizzandola (a fatica la formaro).

Piangendo dissi: «Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
36 tosto che ’l vostro viso si nascose».

Piangendo, egli afferma (disse): “Le cose poste davanti al mio sguardo (presenti) deviarono il mio cammino (volser i miei passi) con il loro mendace piacere (col falso lor piacer), non appena la vostra vista mi venne celata (tosto che ’l vostro viso si nascose).

Prima e sofferta ammissione dell’Alighieri esprime il suo essersi abbandonato ad alternative seduzioni, dopo la scomparsa di Beatrice.

Ed ella: «Se tacessi o se negassi
ciò che confessi, non fora men nota
39 la colpa tua: da tal giudice sassi!

Ed ella: “Se anche dovessi tacere (tacessi) o negare (negassi) ciò che stai confessando (confessi), il tuo peccare (la colpa tua) non rimarrebbe ignoto (fora men nota): considerando (da tal) il giudice che la conosce (sassi)!

Se anche il martoriato l’Alighieri non non dichiarasse le proprie colpe, Beatrice ne verrebbe comunque a conoscenza tramite l’Onnipotente, che tutto sa.

Ma quando scoppia de la propria gota
l’accusa del peccato, in nostra corte
42 rivolge sé contra ’l taglio la rota.

Ma quando l’accusa del peccato erompe per bocca di chi l’ha commessa (scoppia de la propria gota), nel foro celeste (in nostra corte) la ruota (rota) gira controtaglio (rivolge sé contra ’l taglio).

Ad ogni modo, il palesarsi di Dante riguardo ai propri vizi, gli varrà indulgenza da parte dell’Altissimo, metaforizzato in sembianze d’arrotino che mitiga la lama giudicante, per avvenuta ammissione.

Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
45 udendo le serene, sie più forte,
pon giù il seme del piangere e ascolta:
sì udirai come in contraria parte
48 mover dovieti mia carne sepolta.

Tuttavia, dato che ora (mo) porti (porte) imbarazzo (vergogna) dei tuoi sbagli (del tuo errore), e affinché alla prossima occasione (perché altra volta), al percepir seduzioni (udendo le serene), tu sia maggiormente temprato (sie più forte), metti a semina il tuo pianto (pon giù il seme del piangere) e ascolta: in tal modo apprenderai (sì udirai) come avresti dovuto orientarti (mover dovieti) in opposta direzione (contraria parte), a seguito della mia dipartita (mia carne sepolta).

La locuzione “pon giù il seme del piangere” potrebbe altresì essere interpretata come un deporre ed arrestare il pianto, anche se Beatrice non parrebbe intenzionata, sul momento, a tranquillizzare il povero ed abbacchiato uomo.

Mai non t’appresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io
51 rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;

Mai avvenne che arte o natura t’avessero mostrato (t’appresentò) un oggetto di desiderio (piacer) egualmente bello al mio corpo in carne ed ossa (quanto le belle membra in ch’io rinchiusa fui), e che ora si consuma sottoterra (so’ ’n terra sparte);

e se ’l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
54 dovea poi trarre te nel suo disio?

e se la suprema beltà (’l sommo piacer) così (sì) ti venne meno (fallio) a causa della (per la) mia morte, qual altra cosa terrena (mortale) t’avrebbe in seguito tratto (dovea poi trarre te) nella rete del suo desiderio (desio)?

Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
57 di retro a me che non era più tale.

Avresti assolutamente dovuto (Ben ti dovevi), dopo il (per lo) primo dardo (strale) a te inflitto dalla fallacità terrena (de le cose fallaci), elevarti dietro (di retro) a me, dato il mio non esser più fugace (che non era più tale).

La donna continua affermando che mai femminil figura pareggiò la sua avvenenza corporea, dunque persistendo nel voler a tutti i costi sapere qual altro piacere, dopo di lei, possa aver attratto l’Alighieri, inoltre aggiungendo come lo stesso avrebbe dovuto non distogliere la mente da lei, anche dopo la sua precoce morte, essendo che dalla stessa avrebbe dovuto trarre la lezione della caducità materiale.

Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar più colpo, o pargoletta
60 o altra novità con sì breve uso.

Mai avrebbe dovuto gravarti il volo (Non ti dovea gravar le penne in giuso), esponendoti ad ulterior percossa (ad aspettar più colpo) del destino, o una giovane donna (pargoletta) o qualsivoglia avventura d’effimera durata (altra novità con sì breve uso).

Secondo suo biasimevole parere, infatti, mai dante avrebbe dovuto farsi ingannare ulteriormente, votandosi al giovane gentil sesso; la “pargoletta” è verosimile possa esser stata una donna amata dall’Alighieri, apparsa nelle ‘Rime’, mentre la “novità con sì breve uso” potrebbe star ad indicare esperienze scrittorie e studi filosofici intrapresi dal poeta, poi denigrati.

Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
63 rete si spiega indarno o si saetta».

Solamente un uccellino di primo pelo attende la seconda oppure la terza botta (Novo augelletto due o tre aspetta); ma al cospetto degli occhi dei (ma dinanzi da li occhi d’i) pennuti più navigati, si spiegano (spiega) reti o lanciano frecce (si saetta) invano (indarno)”.

A Dante vien perfin dato del pennuto privo d’esperienza che, appunto in quanto non più novellino, mai avrebbe dovuto farsi irretire da qualsivoglia godimento.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXXI • Henri Jean Guillaume Martin (1860-1943), Dante Rencontre Béatrix, 1898 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Henri Jean Guillaume Martin (1860-1943), Dante rincontra Beatrice, 1898

 

Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
66 e sé riconoscendo e ripentuti,
tal mi stav’io; ed ella disse: «Quando
per udir se’ dolente, alza la barba,
69 e prenderai più doglia riguardando».

Come (Quali) fanciulli che, vergognandosi (vergognando) se ne stanno (stannosi) silenziosi (muti) e con sguardo basso (con li occhi a terra), ascoltando rimproveri, poi sentendosi in colpa (e sé riconoscendo) e provando intenso pentimento (ripentuti), tale e quale se ne sta l’Alighieri (tal mi stav’io); e Beatrice asserendo (ed ella disse): “Considerata la tu sofferenza al sol ascoltarmi (Quando per udir se’ dolente), alza il mento (la barba), e guardandomi (riguardando) aumenterà il tuo tormento (prenderai più doglia)”.

La donna infierisce senza remora alcuna, quasi compiacendosi del graduale accrescimento dello strazio di cui lei stessa sta gestendo le redini.

Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento
72 o vero a quel de la terra di Iarba,
ch’io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
75 ben conobbi il velen de l’argomento.

Con minor (men di) resistenza si farebbe sradicare (dibarba) una robusta quercia (robusto cerro), o vero da (al) un vento delle nostre zone (nostral) o vero da quello di provenienza africana (a quel de la terra di Iarba), rispetto a quanta forza richiede a Dante sollevare (ch’io non levai) il mento su invito di Beatrice (al suo comando); e nel di lei riferisi (chiese) al (il) viso col nome di (per la) barba, egli ben percepisce l’acidità dell’espressione linguistica utilizzata (ben conobbi il velen de l’argomento).

La “la terra di Iarba” rimanda al mitologico Iarba, re africano dei Getuli, popolo nomade dell’Africa nord orientale; dopo aver donato alla dea Didone la terra sulla quale erigere Cartagine, il re la chiese in moglie, venendo rifiutato, come decanta il sesto libro dell’Eneide.

Fra rimproveri ed astiosità di linguaggio, il bistrattato Alighieri è a tal punto avvilito da faticar ad alzare lo sguardo quasi avessero i suoi occhi radicato nel terreno.

E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
78 da loro aspersïon l’occhio comprese;

E appena Dante ha levato il suo volto (come la mia faccia si distese), lo sguardo si rende conto (l’occhio comprese) che gli angeli (quelle prime creature) hanno smesso il loro (lor) spandere fiori (posarsi da loro aspersïon);

e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
81 ch’è sola una persona in due nature.

e i suoi occhi (le mie luci), ancor un tantin esitanti (poco sicure), vedono (vider) Beatrice rivolta verso il grifone (volta in su la fiera) ch’è solo (sola) una persona in due nature.

Il grifone, metà aquila e metà leone, è simbolo unitario e duplice di Cristo.

Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi più sé stessa antica,
84 vincer che l’altre qui, quand’ella c’era.

Benché velata (Sotto ’l suo velo) e sull’altra sponda del Letè (oltre la rivera), all’Alighieri ella pare surclassare quella che fu nel passato (vincer pariemi più sé stessa antica), vincendo ancor di più su tutte le altre donne in terra (vincer che l’altre qui), rispetto a quand’ancora era vivente (ella c’era).

La bellezza della sua amata, a Dante appare di gran lunga accresciuta, apparendogli potenziata rispetto ai tempi i cui la conobbe ed amplificata rispetto a quanto lo fosse al confronto con altre dame dell’epoca.

Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
che di tutte altre cose qual mi torse
87 più nel suo amor, più mi si fé nemica.

In quello stesso istante (ivi) l’Alighieri è talmente corroso dall’orticaria del rimorso (Di penter sì mi punse l’ortica) che, di tutte le cose terrene (altre) quella che maggiormente l’aveva inebriato (qual mi torse più nel suo amor), è ora quella che disprezza maggiormente (più mi si fé nemica).

La più piacevole tentazione alla quale Dante s’abbandonò, ora viene detestata e punge sul cuore come un orticante.

Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
90 salsi colei che la cagion mi porse.

Una botta di sopraggiunta consapevolezza (Tanta riconoscenza) colpisce al cuore l’Alighieri (il cor mi morse) al punto da farlo cadere svenuto (ch’io caddi vinto); e come in quel momento si muta (quale allora femmi), lo può saper (salsi) solo colei che n’è stata cagione (la cagion mi porse).

Ovviamente, avendo perso i sensi Dante non può sapere cosa gli sia successo in quel preciso frangente.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXXI • Salvador Dalí (1904-1989), Il pentimento di Dante, 1965 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Salvador Dalí (1904-1989), Il pentimento di Dante, 1965

 

Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
la donna ch’io avea trovata sola
93 sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».

Poi, al ridistribuir del cuore sangue agli organi periferici (quando il cor virtù di fuor rendemmi), egli vede (vidi) sopra di lui (me) la donna che precedentemente aveva trovato in tutta solitudine (ch’io avea trovata sola), e la stessa gli sta dicendo (dicea), ripetendolo due volte, in tono alquanto concitato, di reggersi forte a lei (Tiemmi, tiemmi!).

La “donna ch’io avea trovata sola” è la dolce Matelda.

Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
96 sovresso l’acqua lieve come scola.

La stessa l’ha immerso (Tratto m’avea) nel fiume fino alla (infin la) gola, procedendo (sen giva) nel trascinarselo (e tirandosi me) dietro sulla superficie dell’(sovresso l’)acqua, leggera (lieve) come una gondola (scola).

Quando fui presso a la beata riva,
‘Asperges me’ sì dolcemente udissi,
99 che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.

Non appena appressatosi alla (Quando fui presso a la) beata riva, l’Alighieri sente (udissi) intonare ‘Asperges me’ in una maniera così soave (sì dolcemente), dal non riuscire a fissarlo a memoria (che nol so rimembrar), tantomeno di narrarne (non ch’io lo scriva).

La “beata riva” si contrappone simbolicamente a quella dannata dell’Acheronte.

La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
102 ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

Matelda (La bella donna) s’apre in un abbraccio (ne le braccia aprissi); cinge il capo di Dante (abbracciommi la testa) e lo sommerge (mi sommerse) per modo da fargli (ove convenne ch’io) bere (inghiottissi) quell’(l’)acqua.

La misericordiosa Matelda sottopone l’Alighieri ad abluzione nel Letè.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXXI • Tiburzio 'Ezio' Anichini (1886-1948) Purgatorio, XXXI, 1918 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Tiburzio ‘Ezio’ Anichini (1886-1948) Purgatorio, XXXI, 1918

 

Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
dentro a la danza de le quattro belle;
105 e ciascuna del braccio mi coperse.

Indi la donna lo leva (mi tolse) dall’acque, e bagnato lo introduce nella (m’offerse dentro a la) danza delle quattro belle; e ognuna di loro (ciascuna) lo sovrasta (mi coperse) con un (del) braccio.

Le “quattro belle” sono le ballerine, di vermiglio abbigliate a emblema di carità, che danzano di fianco alla ruota sinistra del carro, come descritto nella quarantaquattresima terzina di due Canti fa: “Da la sinistra quattro facean festa, in porpore vestite, dietro al modo d’una di lor ch’avea tre occhi in testa”, rappresentanti le Virtù Cardinali.

«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
108 fummo ordinate a lei per sue ancelle.

“Noi siam ninfe in codesto luogo (qui) e siamo stelle nel cielo; prima (pria) che Beatrice discendesse sul (al) mondo, fummo a lei destinate (ordinate) come (per) sue ancelle.

Le stesse asseriscono d’esser ninfe in Purgatorio e stelle nel cielo, votate alla beata donna.

Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
111 le tre di là, che miran più profondo.»

Ti condurremo (Merrenti) ai (a li) suoi occhi; me nella lieta luce custodita al loro interno (nel giocondo lume ch’è dentro) aguzzeranno i tuoi le tre donne che stanno dall’altra parte (di là), le quali possiedono vista più perforante (miran più profondo).

Le “tre di là”, quindi alla destra del carro ed a personificazione delle tre Virtù Teologali, sono le tre danzatrici tricolori, come riportato fra il centoventunesimo ed il centoventiseiesimo verso del Canto suddetto: “Tre donne in giro da la destra rota venian danzando; l’una tanto rossa ch’a pena fora dentro al foco nota; l’altr’era come se le carni e l’ossa fossero state di smeraldo fatte; la terza parea neve testé mossa”.

Così cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
114 ove Beatrice stava volta a noi.

Così iniziano (cominciaro) a cantare (cantando); in seguito accompagnando Dante (e poi seco menarmi) al cospetto (petto) del grifone (grifon), ove Beatrice si trova verso rivolta di loro (stava volta a noi).

Disser: «Fa che le viste non risparmi;
posto t’avem dinanzi a li smeraldi
117 ond’Amor già ti trasse le sue armi».

Le stesse affermando (Disser): “Evita di risparmiarti nell’osservare (Fa che le viste non risparmi); t’abbiamo (avem) posto davanti agli (dinanzi a li) smeraldi dai quali l’Amore ti colpì con i suoi dardi (ond’Amor già ti trasse le sue armi)”.

Da quegli “smeraldi” intesi come occhi di Beatrice, s’evincerebbe, in campo assolutamente ipotetico, che la stessa possa aver avuto occhi di verde tonalità.

Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
120 che pur sopra ’l grifone stavan saldi.

Migliaia di desideri (Mille disiri), ardenti (caldi) più d’una (che) fiamma, calamitano gli (strinsermi li) occhi dell’Alighieri a quelli luccicanti (li occhi rilucenti) di Beatrice, che sono costantemente (pur) fissi (saldi) in direzione del (sopra ’l) grifone.

Dante riesce a render appieno l’emozione di due sguardi che s’intrecciano dopo lunga attesa, gli stessi appiccicandosi in una sorta di collante d’animo in romantica apertura d’iridi, ch’esplode i sensi.

Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
123 or con altri, or con altri reggimenti.

Come un sole (il sol) in uno (lo) specchio, similmente (non altrimenti) la doppia belva (fiera) si riflette all’interno degli occhi di Beatrice (dentro vi raggiava), or con una (altri), or con l’altra forma (atri reggimenti).

Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
quando vedea la cosa in sé star queta,
126 e ne l’idolo suo si trasmutava.

Pensa, lettore (lettor), s’io abbia potuto non sbalordirmi (mi maravigliava), al veder il grifone (quando vedea la cosa) in sé apparire immutato (star queta), viceversa trasmutarsi (e si trasmutava) nella sua immagine riflessa (ne l’idolo suo).

Nello sguardo di Beatrice il grifone si manifesta alternando la sua doppia conformazione, sconcertando l’Alighieri l’osservarne all’opposto un’unica natura osservandolo direttamente, disorientamento che lo coglie a un punto tale da farlo rivolgere ai suoi amati lettori, come sempre coinvolgendoli in maniera interattiva nella narrazione.

Mentre che piena di stupore e lieta
l’anima mia gustava di quel cibo
129 che, saziando di sé, di sé asseta,
sé dimostrando di più alto tribo
ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
132 danzando al loro angelico caribo.

Frattanto (Mentre) che l’anima dell’Alighieri (mia), traboccante meraviglia e gioia (piena di stupore e lieta), assapora (gustava di) quel cibo che, di sé saziandola (saziando), al contempo di sé la rende assetata (asseta), le (l’) altre tre donne, dimostrandosi (sé dimostrando), nei movimenti (ne li atti), con maggior elevatezza (di più alto), avanzano (si fero avanti), danzando al ritmo della (al) loro angelica canzone ballata (angelico caribo).

Le tre ballerine tricolori sembrano posseder movenze di maggior eleganza rispetto alle quattro colleghe.

Il “caribo” è una canzone danzata, letteralmente derivante dal provenzale ‘garib’, un componimento musicale privo di parole, utilizzato appunto come base danzante.

«Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi»,
era la sua canzone, «al tuo fedele
135 che, per vederti, ha mossi passi tanti!

“Volgi, Beatrice, volgi i (li) tuoi santi occhi” — recita la loro melodia (era la sua canzone) — “ al tuo fedele uomo il quale (che), per vederti, ha percorso un lungo cammino (mossi passi tanti)!

Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
138 la seconda bellezza che tu cele.»

Per grazia celeste concedi a (fa) noi la grazia di svelargli (che disvele a lui) la tua bocca, per modo che possa riconoscere (sì che discerna) la seconda bellezza che tu celi (cele)”.

La bocca di Beatrice viene definita “seconda bellezza”, plausibilmente seguendo agli occhi.

O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l’ombra
141 sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
144 là dove armonizzando il ciel t’adombra,
145 quando ne l’aere aperto ti solvesti?

O riverbero (isplendor) di vivida (viva) luce divina (etterna), chi mai s’è impallidito (palido si fece) sotto l’ombra del (di) Parnaso, o bevve alla sua sorgente (in sua cisterna), a tal punto (sì), da non lasciarsi sopraffare da totale smarrimento (paresse aver la mente ingombra), nel tentativo di descriverti (tentando a render te) per come sei apparsa (qual tu paresti), in quel posto (là) dove il cielo (ciel), con la sua perfetta armonia (armonizzando), t’ha adornato (t’adombra), quando, svelandoti, ti diffondesti totalmente nell’aria circostante (ne l’aere aperto ti solvesti)?

Farsi “sotto l’ombra sì di Parnaso” e bere “in sua cisterna” significa rispettivamente adoperarsi in discipline poetiche e cogliere elegiaca ispirazione.

 
In passaggio di scena, un Dante ancor esterefatto, fra sé e sé sussurra: “Tant’eran li occhi miei fissi e attenti a disbramarsi la decenne sete, che li altri sensi m’eran tutti spenti”…
 
 
 
 

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