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Divina Commedia: Purgatorio, Canto XVIII

Gian Giacomo Macchiavelli (1756-1811)
La Divina Commedia con tavole in rame, 1820

 
In quarta Cornice, fra accidiosi, Virgilio osserva scrupolosamente il suo protetto, incitandolo ad esprimersi qualora in lui sostino ancora incertezze, allora Dante trova il coraggio di chiedere ulteriori chiarimenti sulla natura dell’amore, a cui il maestro riferisce qualsiasi azione, sia essa benevola o malevola.

Virgilio lo informa del naturale tendere dell’anima a ciò che suscita in essa diletto, dalla ragione spinta a tendere verso l’oggetto del proprio piacere e d’essere questo un amore di tipo naturale, discorso che al discepolo aumenta incomprensioni, in quanto se l’anima è condotta all’amare da predisposizioni originarie, va da sé che i tal modo ne derivi l’impossibilità ad esser suscettibile di giudizio, sia esso positivo o negativo, ed al suo manifestar ciò il duca introduce il discorso del libero arbitrio e dell’intelletto che si deve far guardiano sulle scelte da prendere in riferimento al bene, non volendo comunque approfondire un discorso che la savia guida ritiene esulare dalle sue competenze, in quanto prerogativa di Beatrice, alla quale il pellegrino potrà porre qualsiasi questione a riguardo.

Ormai trascorsa la mezza ed illuminati da luccichio lunare, l’Alighieri è sul punto d’abbandonarsi ad un apparente stato di sonnolenza, avendo appagato Virgilio ogni sua richiesta, quando una comitiva di spiriti sfreccianti come saette li raggiunge e due di loro urlano esempi di sollecitudine in contrapposizione all’accidia, riportando alla luce antiche vicissitudini della Santissima Vergine e guerriglie dell’impavido Cesare, chiudendo il discorso un abate con i suoi racconti, sui quali Dante s’assopisce inconsapevolmente.

Codesto Canto è simmetrico al diciassettesimo al quale si collega, aprendo il sipario con una parte dottrinale, seguita da narrazione, in maniera capovolta rispetto al precedente e il palco è interamente destinato a Virgilio, colui che con assoluta calma, intuizione, sapienza e comprensione, riesce ogni volta a sfondare le titubanze d’un Dante spesso reticente all’aprirsi, tuttavia poi sempre disponibile a lasciarsi condurre per mano tra i meandri dell’oltretomba e dei suoi protagonisti, in costante ascesa, fisica e spirituale.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XVIII • Divina Commedia con il commento di Cristoforo Landino, 1487 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Divina Commedia con il commento di Cristoforo Landino, 1487

 

Posto avea fine al suo ragionamento
l’alto dottore, e attento guardava
3 ne la mia vista s’io parea contento;

L’illustre maestro (l’alto dottore) ha (aveva) concluso (posto fine) il proprio discorso (al suo ragionamento), e con attenzione scruta (attento guardava) nello sguardo di Dante (ne la mia vista) al fine di comprendere se lo stesso sia soddisfatto (s’io parea contento);

e io, cui nova sete ancor frugava,
di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
6 lo troppo dimandar ch’io fo li grava’.

e l’Alighieri (io), nel quale ancor nuovo desiderio di sapere (nova sete) martella (frugava), non esterna parola (di fuor tacea), fra sé e sé (e dentro) ragionando (d’idea) sulla possibilità (Forse) che eccessive richieste (lo troppo dimandar) da parte sua (ch’io fo) possano tediare Virgilio (li grava).

Ma quel padre verace, che s’accorse
del timido voler che non s’apriva,
9 parlando, di parlare ardir mi porse.

Ma quell’autentico (verace) padre, che s’accorge (s’accorse) delle titubanze del suo protetto all’aprirsi maggiormente (del timido voler che non s’apriva), parlando, lo sprona a trovare il coraggio d’esprimersi (di parlare ardir mi porse).

Il vate incita Dante, pur già intuendone i dubbi, allo scopo di scioglierne timidezza, come peraltro avvenuto anche in quarantesima e quarantunesima terzina del quindicesimo Canto di Purgatorio: “Lo duca mio, che mi potea vedere far sì com’om che dal sonno si slega, disse: «Che hai che non ti puoi tenere, ma se’ venuto più che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?».”

Ond’io: «Maestro, il mio veder s’avviva
sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro
12 quanto la tua ragion parta o descriva.

Di conseguenza l’Alighieri (Ond’io) afferma: “Maestro, la mia vista (il mio veder) si vivifica a tal punto nel tuo sapere (s’avviva sì nel tuo lume), da farmi chiaramente distinguere (ch’io discerno chiaro) tutto ciò che i tuoi ragionamenti (quanto la tua ragion) separano o analizzano (parta o descriva).

Però ti prego, dolce padre caro,
che mi dimostri amore, a cui reduci
15 ogne buono operare e ’l suo contraro».

Pertanto (però) ti prego, dolce padre caro, di spiegarmi la nozione dell’(che mi dimostri)amore, a cui tu rapporti (reduci) ogni buona azione (ogne buono operare) e il (’l) suo contrario (contraro)”.

«Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci
de lo ’ntelletto, e fieti manifesto
18 l’error de’ ciechi che si fanno duci.

“Rivolgi a (Drizza ver’) me gli arguti occhi (l’agute luci) della mente (de lo ’ntelletto), e ti sarà evidente ( fieti manifesto) l’errore (error) dei (de’) ciechi che esigono di condurre (si fanno duci) altri ciechi.

La guida affidata a non vedenti rimanda, come narrato nel Vangelo secondo Matteo, di quanto Gesù riporse ai suoi discepoli riguardo al loro accennare a scribi e farisei, affermando che chiunque spallò tani dalla via della salvezza, non possa far altro che affiancare uomini menzogneri ed insieme agli stessi prendere la via della perdizione: “Sinite illos caeci sunt et duces caecorum caecus autem si caeco ducatum praestet ambo in foveam cadunt” – “Lasciateli, sono ciechi e guide di ciechi, ma un cieco se offre una guida ad un cieco, entrambi cadono in una fossa”.

L’animo, ch’è creato ad amar presto,
ad ogne cosa è mobile che piace,
21 tosto che dal piacere in atto è desto.

L’anima (animo), alla quale è insita, dalla creazione, la predisposizione ad amare (ch’è creato ad amar presto), propende (è mobile) verso ogni (ad ogne) cosa bella (che piace), non appena (tosto che) la sua indole viene risvegliata (è desto) dalla bellezza (dal piacere), la stessa attitudine tramutandosi in azione (atto).

Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
24 sì che l’animo ad essa volger face;

La vostra percettibilità (apprensiva) trae (tragge) l’immagine mentale (intenzione) dell’oggetto che piace dalla realtà oggettiva (da esser verace), rielaborandola interiormente (e dentro a voi la spiega), per modo (sì) che l’anima (animo) si direzioni (volger face) ad essa;

e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
quel piegare è amor, quell’è natura
27 che per piacer di novo in voi si lega.

e se, una volta a lei rivolta (rivolto), l’anima a quell’immagine tende (inver’ di lei si piega), quel protendersi (piegare) è amore (amor), quello (quell’) è stimolo naturale (natura) che, per bellezza (piacer) anzitutto (di novo) a (in) voi si congiunge (lega).

Poi, come ’l foco movesi in altura
per la sua forma ch’è nata a salire
30 là dove più in sua matera dura,
così l’animo preso entra in disire,
ch’è moto spiritale, e mai non posa
33 fin che la cosa amata il fa gioire.

Poi, al pari del fuoco (come ’l foco) che si muove verso l’alto (movesi in altura), per la sua stessa natura che lo spinge (la sua forma ch’è nata) a salire là dove può maggiormente conservarsi (più dura) nella (in) materia (matera) a lui omogenea (sua), così l’anima (animo) infatuata (preso) si fonde nel desiderio (entra in disire), ch’è impulso spirituale (moto spiritale), e mai desiste (non posa) fintantoché (fin che) l’oggetto bramato (la cosa amata) non le rende gioia (il fa gioire).

Nella medievale concezione fisica, si riteneva che il fuoco s’elevasse ne tentativo d’immettersi nella sfera del fuoco oltre atmosfera, in tal maniera eternandosi in essa, per corrispondenza materiale.

Per moto spirituale s’intende un agire in piena consapevolezza; discorrendo di ciò, Virgilio ora si sta riferendo all’ ‘amor ex animo’ e non più all’ ‘amor naturalis’, differenze fra i quali sono state esposte in calce al novantatreesimo versetto del precedente Canto.

Or ti puote apparer quant’è nascosa
la veritate a la gente ch’avvera
36 ciascun amore in sé laudabil cosa;

Or ti dovrebbe esser palese (puote apparer) quanto sia celata (quant’è nascosa) la verità (veritate) a coloro che dichiarano (la gente ch’avvera) esser ogni (ciascun) amore cosa lodevole per se stessa (in sé laudabil);

però che forse appar la sua matera
sempre esser buona, ma non ciascun segno
39 è buono, ancor che buona sia la cera.»

magari (forse) gli stessi ritenendo (però che forse appar) che la sua materia prima (matera) sia (esser) sempre buona, ma non ogni sigillo (ciascun segno) si può dar per scontato che sia (è) buono, solo per il fatto (ancor) che sia buona la cera”.

La metafora riportata esplica come non sia sufficiente che la cera sia d’ottima qualità, al fine d’ottenere un buon sigillo, necessariamente intervenendo la capacità d’azione nell’intero procedimento, come nella vita.

«Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,
rispuos’io lui, «m’ hanno amor discoverto,
42 ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;

Il pellegrino gli risponde (rispuos’io lui). “I tuoi sermoni (Le tue parole) e la mia mente (’l mio ingegno) che tenta di seguirli (seguace), m’hanno chiarito (discoperto) il concetto dell’amore (amor), ma questo (ciò) m’ha fatto sorgere perplessità aggiuntive (di dubbiar più pregno);

ché, s’amore è di fuori a noi offerto
e l’anima non va con altro piede,
45 se dritta o torta va, non è suo merto.»

poiché (ché), se l’(s’)amore ci (a noi) viene prescritto (offerto) dall’esterno (è di fuori) e l’anima non può agire al di fuori della propria natura (non va con altro piede), se intraprende (va) la retta (dritta) via o quella errata (torta), non è merito (merto) suo”.

Non avendo la savia guida specificato d’esser passato a ragionare d’amore d’animo e non d’amore naturale, Dante viene avvolto da totale confusione.

Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta
48 pur a Beatrice, ch’è opra di fede.

 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XVIII • Dante Gabriel Rossetti (1828–1882), Beata Beatrix, 1864-70 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Dante Gabriel Rossetti (1828–1882), Beata Beatrix, 1864-70

 
E Virgilio gli (Ed elli a me) ribatte: “È mia facoltà dirti (dir ti poss’io) solamente quanto sia accessibile alla ragione (Quanto ragion qui vede) naturale; per quanto la sconfini (da indi in là) dovrai rimetterti (t’aspetta) solamente (pur) a Beatrice, dal momento ch’è argomento (opra) di fede.

Virgilio può esplicare al suo allievo tutto quanto non entri in discorsi trascendentali, per i quali l’unica anima alla quale rivolgersi sarà quella di Beatrice, atta ad affrontare temi prettamente teologici, nella chiara corrispondenza fra il paterno conduttore e la ragione, da una parte, tra la beata donna e la fede, dall’altra.

Ogne forma sustanzïal, che setta
è da matera ed è con lei unita,
51 specifica vertute ha in sé colletta,
la qual sanza operar non è sentita,
né si dimostra mai che per effetto,
54 come per verdi fronde in pianta vita.

Ogni (Ogne) anima umana (forma sustanzïal), che nonostante sia dal corpo (è da matera) separata (setta), allo stesso rimane (ed è con lei) unita, ospita (ha colletta) in sé una peculiare inclinazione (specifica vertuto) la quale (qual), se non manifestata tramite azioni (sanza operar), non viene (è) percepita (sentita), tantomeno (né) mai si mostra (dimostra) se non (che) per i suoi effetti (effetto), come la vita di una pianta si avverte attraverso (per) le sue verdi fronde.

Però, là onde vegna lo ’ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
57 e de’ primi appetibili l’affetto,
che sono in voi sì come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
60 merto di lode o di biasmo non cape.

Per questo (Però), l’umanità non sa (omo non sape) da dove venga la conoscenza (là onde vegna lo ’ntelletto) delle originarie verità (prime notizie) e l’amore (l’affetto) dei primi oggetti di piacere (de’ primi appetibili), che sono in voi attecchiti come l’attitudine (studio) dell’ape a fare il miele; e questo (questa) istinto (voglia) primario (primo) non è soggetto a merito (cape merto) o biasimo.

Le “prime notizie” sarebbero i ‘prima principia universalia’ sostenuti dal frate domenicano Tommaso d’Aquino (1225-1274) in Summa Theologiae, opera accennata un Canto fa, sulla falsariga degli aristotelici ‘prôta noémata’, ovvero l’intrinsecità creazionistica che ipotizza l’anima e l’idea unificate all’origine, rispettivamente la prima come oggetto d’intuito della seconda, secondo tale assunto derivandone immunità tanto alla lode quanto al rimprovero, in seguito all’agire.

Or perché a questa ogn’altra si raccoglia,
innata v’è la virtù che consiglia,
63 e de l’assenso de’ tener la soglia.

Ora (Or), affinché a questa pulsione primaria tutte le altre s’uniformino (ogn’altra si raccoglia), v’è innata la ragione (virtù che consiglia), che deve vagliare le scelte in entrata (e de l’assenso de’ tener la soglia).

L’intelletto viene simbolizzato come un portiere in grado di valutare quali atteggiamenti ritenere benevoli o nocivi.

Quest’è ’l principio là onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
66 che buoni e rei amori accoglie e viglia.

È questa la capacità (Quest’è ’l principio) dalla quale attingere la vostra possibilità all’esser giudicati (là onde si piglia ragion di meritare in voi), a seconda (secondo) che accolga o disdegni (accoglie e viglia) amori buoni o malsani (rei).

Color che ragionando andaro al fondo,
s’accorser d’esta innata libertate;
69 però moralità lasciaro al mondo.

Color che con la ragione approfondirono la questione (ragionando andaro al fondo), si resero conto di codesta (s’accorser d’esta) libertà (libertate) innata all’uomo; perciò (però) hanno lasciato (lasciaro) in eredità al mondo la filosofia morale (moralità).

“Color che ragionando andaro al fondo” furono i grandi filosofi del passato.

Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
72 di ritenerlo è in voi la podestate.

Quindi (Onde), anche supponendo (poniam) che ogni (ogne) amore (amor) che s’accende dentro di (a) voi abbia a sorgere (surga) secondo (che di) necessità, è in voi il potere (podestate) decisionale d’accreditarlo (ritenerlo) o meno.

Il presentarsi d’amori che provengano da causa maggiore, non impedisce la capacità d’accoglierli o respingerli.

La nobile virtù Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e però guarda
75 che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».

Tale (La) elevata (nobile) facoltà, Beatrice la ricollega al (intende per lo) libero arbitrio, e adoperati (e parò guarda) di tenerlo bene a memoria (che l’abbi a mente), se te ne dovesse accennare (s’a parlar ten prende).”

Virgilio raccomanda all’Alighieri di tener ben a memoria alcuni concetti assimilati durante l’intero tragitto, per non trovarsi in situazioni d’imbarazzante difetto nei confronti di Beatrice.

La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer più rade,
78 fatta com’un secchion che tuttor arda;

La luna, verso la mezzanotte passata, (quasi a mezza notte tarda), con il suo aspetto simile a quello d’un calderone ardente (fatta com’un secchion che tuttor arda), fa apparire a Dante e Virgilio (facea le stelle a noi parer) le stelle più opache (rade);

L’intenso bagliore lunare ombreggia la luminosità stellare.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XVIII • Giovan Battista Galizzi (1882-1963), La Divina Commedia nel testo critico della Società Dantesca Italiana, 1944 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Giovan Battista Galizzi (1882-1963)
La Divina Commedia nel testo critico della Società Dantesca Italiana, 1944

 

e correa contra ’l ciel per quelle strade
che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
81 tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.

e risale al contrario il moto rotatorio del cielo (correa contra ’l ciel) sul percorso (per quelle strade) infiammate dalla sfera solare (che ’l sole infiamma) quando il cittadino romano (allor che quel da Roma) lo vede tramontare (il vede quando cade) fra Sardegna e Corsica (tra ’ Sardi e ’ Corsi).

E quell’ombra gentil per cui si noma
Pietola più che villa mantoana,
84 del mio carcar diposta avea la soma;

E quell’anima cortese (ombra gentil) per la quale (cui) Pietola è maggiormente nota (si noma) di qualsiasi altra provincia mantovana (più che villa mantoana), s’è alleggerito del peso (diposta avea la soma) addossatogli dal circo (del carcar) di Dante (mio).

“Quell’ombra gentil per cui si noma Pietola più che villa mantoana” è ovviamente il sommo poeta mantovano, in quanto Pietola (odierna frazione di Borgo Virgilio) è usualmente fatta coincidere con la remota Andes, virgiliana terra natia.

Il discepolo, ritenendosi appagato, ha come l’impressione che Virgilio si sia tolto dalle spalle il fardello della moltitudine di delucidazioni a lui ruchieste.

per ch’io, che la ragione aperta e piana
sovra le mie quistioni avea ricolta,
87 stava com’om che sonnolento vana.

indi Dante (per ch’io), la cui mente ha ben interiorizzato (che la ragione e da ricolta) in maniera chiara e precisa (aperta e piana) quanto richiesto tramite i suoi quesiti (sovra le mie quistioni), s’atteggia (stavo) come colui (com’om) che vaneggi (vana) al piombar de sonno (sonnolento).

Le incertezze dell’Alighieri devono averlo talmente intriso si smarrimento, da provocargli, una volta sciolto ogni dubbio, una sorta di repentino intorpidimento intellettivo.

Ma questa sonnolenza mi fu tolta
subitamente da gente che dopo
90 le nostre spalle a noi era già volta.

Ma questa sonnolenza gli viene levata improvvisamente (mi fu tolta subitamente) da alcuni spiriti (gente) che, da dietro (dopo) le spalle dei due viandanti, si precipitano celermente verso di loro (a noi era già volta).

E quale Ismeno già vide e Asopo
lungo di sé di notte furia e calca,
93 pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
cotal per quel giron suo passo falca,
per quel ch’io vidi di color, venendo,
96 cui buon volere e giusto amor cavalca.

E come Ismeno e Asopo già videro (vide) una furiosa folla (furia e calca) correre di notte lungo le loro sponde (di sé), ogniqualvolta (pur che i Tebani (te anche) avessero bisogno (uopo) di Bacco, in egual modo la compagine giunge a falcate attraverso quella Cornice (cotal per quel giron suo passo falca), per quel poco che Dante riesce a discernere di coloro (per quel ch’io vidi di color) che sopraggiungono (venendo) incalzati (cavalca) dalla buona volontà (buon volere) e da amore equilibrato (giusto amor).

Direttamente da narrazione della Tebaide del poeta romano Publio Papinio Stazio (45 circa – 96 circa), i fiumi Ismeno e Asopo di Beozia, storica regione dell’antica Grecia, concedevano suolo ai tebani anni ogniqualvolta, invocanti Bacco, si dedicavano ad orge rituali, accorrendo sul luogo come forsennati.

“Per quel ch’io vidi” si riferisce alla scarsa visibilità notturna, comunque permessa, seppur in maniera differente a come lo sarebbe durante il giorno, per benedetta concessione dell’astro lunare.

Tosto fur sovr’a noi, perché correndo
si movea tutta quella turba magna;
99 e due dinanzi gridavan piangendo:
«Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
102 punse Marsilia e poi corse in Ispagna».

In breve avvicinano Dante e Virgilio (Tosto fur sovr’a noi), essendo che tutto quel grande drappello (perché tutta quella turba magna) si muove (movea) correndo; e due penitenti, posti davanti (dinanzi) gridano (gridavan) piangendo: “Maria si dirige (corse) frettolosamente (con fretta) verso (a la) montagna; e Cesare, per soggiogare Ilerda, percosse (punse) Marsiglia e poi fuggì (corse) in Spagna (Ispagna)”.

Si manifestano gli esempi di sollecitudine, come virtù contrapposta all’accidia:

Maria, da poco ricevuta l’Annunciazione dell’Angelo Gabriele riguardo al suo prossimo divenir madre di Gesù per opera dello Spirito Santo, si recò speditamente in visita ad Elisabetta, presso l’abitazione di Zaccaria, viaggiando attraverso i monti della Giudea, come narrato nel Vangelo secondo Luca, per sostenere la cugina, anch’essa gravida, data l’età avanzata di quest’ultima; non appena scambiatesi il saluto le due donne, la creatura nel grembo d’Elisabetta si fece percepire in movimento, allietando la stessa ed esplodendone entusiasmo nell’augurar benedizione alla Beata Vergine ed al ‘frutto del suo grembo’;

Valore militare è protagonista del secondo esempio, evocante un Gaio Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.) in corso di guerra civile il quale, nel 49 a.C., assediò dapprima Marsiglia, s’avventò sulla campagna di Lerida, battendosi contro le milizie spagnole di Pompeo, indi riparò in confini spagnoli, come riportato nella Farsaglia del poeta romano Marco Anneo Lucano (39-65);

«Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
per poco amor», gridavan li altri appresso,
105 «che studio di ben far grazia rinverda.»

“Presto, presto (Ratto, ratto), che non si perda tempo per scarsità d’amore (poco amor)” – gridano gli altri spiriti accanto (appresso) – “che la solerzia nel ben operare (studio di ben) rinvigorisca (rinverda) la grazia”.

«O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
108 da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;
111 però ne dite ond’è presso il pertugio.»

“O anime (gente) nelle quali ardore intenso (fervore aguto) ora forse supplisce (adesso ricompie) a negligenza e indugio, che da voi vennero utilizzati tiepidamente a fin di bene (per tepidezza in ben far messo), costui, ch’è vivente (questi che vive), e certamente non vi sto mentendo (certo i’ non vi bugio) a riguardo, desidera risalire (vuole andar sù), non appena risorga la luce solare (pur che ’l sol ne riluca); vogliate dunque (però) mostrarci (ne dite) pertanto ove si trova l’ingresso alla scala più vicino (ond’è presso il pertugio)”.

Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: «Vieni
114 di retro a noi, e troverai la buca.

Queste sono (furon) le parole che il duca rivolge loro; e uno (un) di quegli spiriti (spirti) risponde (disse): “Seguici (Vieni di retro a noi, e troverai la fenditura (buca).

Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
che restar non potem; però perdona,
117 se villania nostra giustizia tieni.

È in noi tale smania di sbrigarci (siam di voglia a muoverci sì pieni), da non riuscire a fermarci (che restar non potem); quindi perdonaci (però perdona), qualora tu percepisca come oltraggio (se villania tieni) il nostro adempimento (nostra giustizia).
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Purgatorio, Canto XVIII • Franco Ferraris (1932), La Divina Commedia di Gustave Doré, 1991 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Franco Ferraris (1932), La Divina Commedia di Gustave Doré, 1991

 

Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
120 di cui dolente ancor Milan ragiona.

Io fui abate a (in) San Zeno a Verona, sotto l’impero (lo ’mperio) del buon Barbarossa, del quale (di cui) Milano (Milan) ancor oggi si rammenta con dolore (ragiona dolente).

Scarse notizie in proposito lasciano come unica informazione attendibile che il peccatore parlante fu priore alla veronese badia di San Zeno, nella seconda metà del dodicesimo secolo, durante il governo di Federico I Hohenstaufen (1122-1190), alias Federico Barbarossa, re d’Italia e imperatore del Sacro Romano Impero, a cui l’abate riconosce bontà, pur rammentandone l’aver distrutto Milano nel 1162, per insurrezione nei confronti dell’autorità imperiale.

E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
che tosto piangerà quel monastero,
123 e tristo fia d’avere avuta possa;

E vi è un tale che ha già un piede nella (l’un piè dentro la) fossa, che fra non molto tempo (tosto) rimpiangerà (piangerà) quel monastero, rammaricandosi d’aver abusato del proprio potere (e tristo fia d’avere avuta possa);

perché suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
126 ha posto in loco di suo pastor vero».

perché ha posto come abate, a sostituzione di chi avrebbe dovuto esserlo (in loco di suo pastor vero), su figlio, fisicamente menomato (mal del corpo intero), e, peggio, nella (de la) mente, nato illegittimo (e che mal nacque)”.

Colui che invece parrebbe aver già “l’un piè dentro la fossa” fu il condottiero Alberto I della Scala (1245?-1301), signore di Verona dal 1277 al 1301 il quale, per abuso di potere, nel 1292 mise a capo del monastero il figlio Giuseppe (1263-1314), nonostante non fosse suo figlio legittimo, quest’ultimo rivelatosi un incallito e disonesto malfattore.

Io non so se più disse o s’ei si tacque,
tant’era già di là da noi trascorso;
129 ma questo intesi, e ritener mi piacque.

L’Alighieri non sa se il peccatore abbia continuato o meno il suo racconto (Io non so se più disse o s’ei si tacque), avendo lo stesso abbondantemente superato lui e Virgilio (tant’era già di là da noi trascorso), tuttavia, di quel poco appreso Dante ha piacere a rimembrarne (ma questo intesi, e ritener mi piacque).

E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
disse: «Volgiti qua: vedine due
132 venir dando a l’accidïa di morso».

E colui che gli viene in soccorso ogni qualvolta ve ne sia necessità (E quei che m’era ad ogne uopo soccorso), ovvero Virgilio, lo sprona (disse) a girarsi da quella parte (Volgiti qua) e posare sguardo su un paio d’anime (vedine due) le quali, correndo (venir), deplorano (dando di morso) il peccato dell’(a l’)accidia.”

Di retro a tutti dicean: «Prima fue
morta la gente a cui il mar s’aperse,
135 che vedesse Iordan le rede sue.

Le stesse, dietro (Di retro) a tutto il gruppo, affermano: “Coloro ai quali s’aprì il mare (la gente a cui il mar s’aperse), morirono (due morta) prima che il Giordano (Iordan) potesse vedere (vedesse) i loro eredi (le rende sue).

La terzina rimanda ala ribellione degli ebrei in ritirata dall’Egitto, e di colori i quali, ribelli a Mosé ed alla miracolosa apertura del Mar Rosso, morirono orribilmente nel deserto di Paran, prima che il Giordano potesse vedere i loro discendenti, ossia prima che il popolo eletto giungesse in Terra Promessa.

E quella che l’affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d’Anchise,
138 sé stessa a vita sanza gloria offerse».

E quella che non riuscì a sopportare (non sofferse) fino alla (a la) fine le fatiche (l’affanno) col figlio d’Anchise, si destinò (offerse sé stessa) ad una (a) vita priva (sanza) gloria.”

Commiserazione dei troiani che, come cantato nell’Eneide, rifiutandosi d’affiancare il figlio d’Anchise nel suo lungo e faticoso viaggio verso il Lazio, sostarono in Sicilia guadagnando perenne vanagloria.

Poi quando fuor da noi tanto divise
quell’ombre, che veder più non potiersi,
141 novo pensiero dentro a me si mise,
del qual più altri nacquero e diversi;
e tanto d’uno in altro vaneggiai,
144 che li occhi per vaghezza ricopersi,
145 e ’l pensamento in sogno trasmutai.

Una volta affrancatesi quelle anime dai due poetanti (Poi quando fuor da noi tanto divise quell’ombre), al punto da (tanto che) non poterle (potersi) più vedere (veder), un nuovo (novo) pensiero s’insinua nella mente dell’Alighieri (dentro a me si mise), da quale ne derivano (del qual nacquero) altri, numerosi (più) e differenti (diversi); e Dante vaneggia talmente fra tali perplessità (e tanto d’uno in altro), d’arrivare a coprirsi lo sguardo (che li occhi ricopersi) come sia sotto effetto del sonno che confonde la mente (vaghezza), trasmutando (trasmutai) il contenuto della riflessione (e ’l pensamento) in sogno.

In piena tratta onirica avverrà il passaggio al Canto successivo, quando “Ne l’ora che non può ’l calor dïurno intepidar più ’l freddo de la luna, vinto da terra, e talor da Saturno…”
 
 
 
 

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