Divina Commedia: Paradiso, Canto XXXI
Carlo Muccioli (1857-1931), Dante e San Bernardo, ca. 1902
Nell’Empireo, Dante contempla l’aureo insieme dei beati, frattanto le angeliche schiere perpetuan volteggi, dai seggi a Colui che d’amor le disseta, ciascuna creatura celeste lasciandosi mirar nel fiammeggiante volto, dorate ali e candide vesti, disegnando sinuose parabole evocanti lo sciamar d’api, dai fiori all’alveare plasmandovi miele e, seppur moltitudine annoverante anime dell’Antico e Nuovo Testamento, danzi frapponendosi tra il poeta, gli eletti costituenti la rosa e la divina luce, a quest’ultima non impedisce di mostrarsi dacché recepita, effondendosi nell’Universo, «secondo ch’è degno» e dunque da nulla contrastata.
L’Alighieri si dona simile paradisiaco orizzonte, quando volgendo sguardo in cerca di Beatrice, desioso di porgerle domande, è sorpreso dal trovarsi accanto un vegliardo dai bianchi indumenti e che, con paterna premura e giovialità, nell’immediato lo rassicura affermando d’esser stato chiamato proprio da lei — nel frattempo adagiatasi al rispettivo scranno — per condurlo durante l’ultimo tratto del viaggio. Senza proferir parola, il dell’Aldilà pellegrino alza gli occhi in cerca di colei alla quale sente di dover il ritorno alla libertà dalla schiavitù del peccato, dedicandole quindi preghiera colma di fidente riconoscenza e non appena terminato appassionato ossequio, il Sommo è dall’anziano esortato a rimirar il giardino dei beati al fin di temprar la vista e così portar a compimento cammino, riuscendo a sostener visione Divina, misericordia per cui — asserisce ancora lo spirito manifestandosi come Bernardo di Chiaravalle — riceverà l’aiuto della Regina del Cielo: Specchio di Giustizia che, splendente oltre «tutta l’altra fonte» ed attorniata da più d’un migliaio d’angeli giubilanti, il vate, invitato a concentrar attenzione in particolar sulle volte più elevate della rosa, all’istante ben distingue, prendendo al contempo coscienza d’assister a tal sublimazione d’ogni meraviglia, da non poterne osar neppur esigua illustrazione, pertanto abbandonandosi a contemplazione medesimamente al santo.
In forma dunque di candida rosa | |
mi si mostrava la milizia santa | |
3 | che nel suo sangue Cristo fece sposa; |
La santa comunità (milizia) dei beati — sposata da Cristo col di Lui sangue — si mostra dunque a Dante sotto forma di Candida Rosa;
Tanto il venticinquesimo Canto di Paradiso quanto quello precedente a questo, accennano al candore delle stole ch’abbiglieranno l’anime elette nel giorno del Giudizio Universale.
La “milizia santa” è la Chiesa trionfante, maritata nel sacrificio del Figlio dio Dio crocifisso, come ben definirono il trentaduesimo e trentatreesimo verso dell’undicesimo Canto di questa Cantica: “la sposa di colui ch’ad alte grida disposò lei col sangue benedetto”.
ma l’altra, che volando vede e canta | |
la gloria di colui che la ’nnamora | |
6 | e la bontà che la fece cotanta, |
sì come schiera d’ape che s’infiora | |
una fïata e una si ritorna | |
9 | là dove suo laboro s’insapora, |
nel gran fior discendeva che s’addorna | |
di tante foglie, e quindi risaliva | |
12 | là dove ’l suo amor sempre soggiorna. |
mentre l’altra — che volando contempla (vede) e glorifica cantando l’Iddio (colui) che l’innamora e la sua bontà che la creò tanto lieta (fece cotanta) — al pari d’uno sciame (sì come schiera) d’api che, di volta in volta (una fïata e una) s’infiorano, per poi far ritorno là dove la sua fatica acquisisce sapore (suo laboro s’insapora), discende nella grande rosa (fior) che s’adorna di molteplici foglie, indi risalendo dove Dio, oggetto del suo amore, eternamente dimora (sempre soggiorna).
La seconda milizia menzionata come “altra” è il drappello angelico, volteggiante nel glorificare l’Altissimo e la benevolenza a Lui intrinseca, nonché della sua dolcezza inebriandosi come l’ape al gustar del polline, in un sacro viavai che rimembra quello dei ministri celesti sulla scala di Giacobbe, di cui delinea il ventunesimo Canto di Paradiso.
Le facce tutte avean di fiamma viva | |
e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, | |
15 | che nulla neve a quel termine arriva. |
Tutti i loro volti rosseggiano come (Le facce tutte avean di) fiamme vive, le ali son dorate e le vesti talmente candide (l’altro tanto bianco), da non poterne eguagliar il biancore nemmen (che nulla a quel termine arriva) la neve.
Le tonalità cromatiche dall’autore attribuite agli angeli sono di verosimile riferimento biblico — riguardo a ciò pullulante di narrazioni in capo a molteplici evangelisti — oltre che all’iconografia medievale di tradizione.
Quando scendean nel fior, di banco in banco | |
porgevan de la pace e de l’ardore | |
18 | ch’elli acquistavan ventilando il fianco. |
Scendendo nella rosa (fior), di gradino (banco) in gradino effondono (porgevan) tutta la pace e l’amore (ardore) ch’essi hanno attinto (ch’elli acquistavan) battendo l’ali (ventilando il fianco).
Il “banco in banco” sul quale transitano tricolori entità angeliche, spandendo “de la pace e de l’ardore” sugli spiriti ivi adagiati, rappresentano i petali della Candida Rosa e l’ordine di beati ad esso corrispondente, l’Alighieri con deliziosa e fine maestria tirando un etereo — sebben concretamente tangibile a feconde fantasie — filo rosso fra il Creatore, le angeliche essenze ed le gaudiose anime, come fossero rispettivamente un’arnia, le sue api ed i petali lor calamitanti in sentor di succulento e prelibato miele.
Il verbo ‘ventilare’ nel significato ad esso attribuito di ‘far vento con le ali’ apparve in similar accezione al quarantanovesimo versetto del diciannovesimo Canto purgatoriale: “Mosse le penne poi e ventilonne”.
Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore | |
di tanta moltitudine volante | |
21 | impediva la vista e lo splendore: |
Nondimeno l’interporsi di cotanta moltitudine angelica fra la Suprema Sommità (’l disopra) e la rosa, non impedisce la contemplazione (vista) del Padre Eterno ed il suo irraggiarsi (splendore):
ché la luce divina è penetrante | |
per l’universo secondo ch’è degno, | |
24 | sì che nulla le puote essere ostante. |
poiché la luce divina penetra nell’Universo in base a quanto si sia meritevoli di riceverne (secondo ch’è degno), per modo che nulla le possa (puote) esser d’ostacolo (ostante).
Nulla ha potere d’annebbiar la visione de “la vista e lo splendore” di Dio, il termine “splendore” designandone la luce riflessa, come delucidato in anteprima dalla nota esplicativa del centonovesimo rigo, in capo all’ormai lontano ventisettesimo Canto di Purgatorio: “E già per li splendori antelucani”.
Questo sicuro e gaudïoso regno, | |
frequente in gente antica e in novella, | |
27 | viso e amore avea tutto ad un segno. |
Questo regno inalterato (sicuro) e lieto (gaudïoso), popolato d’anime dell’Antico (frequente in gente antica) e del Nuovo Testamento (in novella), volge completamente sguardo e caritatevole affetto verso univoco punto (viso e amore avea tutto ad un segno).
Dell’Ente Supremo inteso come unico “segno” a cui orientar la compiutezza degli sguardi, solennemente tratteggiano i Canti ventottesimo e ventinovesimo di Paradiso.
Oh trina luce che ’n unica stella | |
scintillando a lor vista, sì li appaga! | |
30 | guarda qua giuso a la nostra procella! |
Oh luce trinitaria (trina) che tanto compiaci i beati (sì li appaga) scintillando ai lor occhi (vista) da un’unica stella, guarda quaggiù (qua giuso) verso le nostre burrasche (procella)!
Se i barbari, venendo da tal plaga | |
che ciascun giorno d’Elice si cuopra, | |
33 | rotante col suo figlio ond’ella è vaga, |
veggendo Roma e l’ardüa sua opra, | |
stupefaciensi, quando Laterano | |
36 | a le cose mortali andò di sopra; |
Se i barbari — giunti da quelle regioni (venendo da tal plaga) perennemente coperte dall’Orsa Maggiore (che ciascun giorno d’Elice si cuopra), in rotazione (rotante) insieme a suo figlio che smisuratamente ama (ond’ella è vaga) — al veder (veggendo) Roma e le sue mirabili opere (l’ardüa sua opra), furono colti da stupore (stupefaciensi), ai tempi in cui (quando) il Laterano prevalse (andò di sopra) sull’intero mondo (alle cose mortali);
ïo, che al divino da l’umano, | |
a l’etterno dal tempo era venuto, | |
39 | e di Fiorenza in popol giusto e sano, |
di che stupor dovea esser compiuto! | |
Certo tra esso e ’l gaudio mi facea | |
42 | libito non udire e starmi muto. |
di qual stupor dev’esser intriso (dovea esser compiuto) Dante, ch’è asceso alla dimensione celeste dalla terrena (ïo, che era venuto al divino da l’umano), all’eterno dal tempo e da Firenze alla città proba ed integra (Fiorenza in popol giusto e sano)! Senz’ombra di dubbio (Certo), fra sbigottimento (esso) e fervore (’l gaudio), egli sentendo il forte desiderio (mi facea libito) di non ascoltare e non parlare (starmi muto).
L’Alighieri esplode il proprio animo sentitamente invocando la protezione della luce trinitaria — pura e perfetta nel suo esser puntinata in “unica stella”, nel mentre paragonando stupefazione in lui suscitata a quella provata dai “barbari” di fronte alle meraviglie di Roma.
“Elice” — o Calisto — è l’antico appellativo dell’Orsa Maggiore, nella quale venne tramutata la mitologica ed omonima ninfa dei boschi da Giunone, dopo esser stata sedotta ingravidata da Giove e, di conseguenza, scacciata dal sacro bosco della dea Diana, di cui era la prediletta, mentre il figlio Arcade mutò nella limitrofa Boote; ambedue le costellazioni procedono tutti i giorni allo zenit che si trova nell’emisfero boreale, a nord del cinquantacinquesimo parallelo, in tal modo facendogli da copertura.
L’amata “Fiorenza” — sterminate volte richiamata in causa in corso d’opera — viene qui nominata per l’ultima volta con languor d’animo, nostalgico al rimembrarne l’ormai inesistente “popol giusto e sano”.
E quasi peregrin che si ricrea | |
nel tempio del suo voto riguardando, | |
45 | e spera già ridir com’ello stea, |
su per la viva luce passeggiando, | |
menava ïo li occhi per li gradi, | |
48 | mo sù, mo giù e mo recirculando. |
E come il pellegrino (quasi peregrin) che si rigeneri (ricrea) rimirando il santuario (nel tempio riguardando) raggiunto come meta del proprio voto, smanioso di raccontar (e spera già di ridir) com’esso è fatto (ello stea), Dante volge sguardo alla gradinata (menava ïo li occhi per li gradi), nel mentre esplorando (passeggiando) la viva luce dell’Empireo, or in alto, or in basso ed or circolarmente (mo recirculando).
Vedëa visi a carità süadi, | |
d’altrui lume fregiati e di suo riso, | |
51 | e atti ornati di tutte onestadi. |
Il poeta vede visi indotti (süadi) alla carità, rifulgenti di luminosità divina (d’altrui lume fregiati) e del suo diletto (riso), inoltre plasmati alla più eletta rettitudine (e atti ornati di tutte onestadi).
La forma general di paradiso | |
già tutta mïo sguardo avea compresa, | |
54 | in nulla parte ancor fermato fiso; |
L’Alighieri abbraccia col proprio sguardo l’intera (general) struttura (forma) del Paradiso, senz’ancor soffermarsi in alcuna zona in particolare (in nulla parte ancor fermato fiso);
e volgeami con voglia rïaccesa | |
per domandar la mia donna di cose | |
57 | di che la mente mia era sospesa. |
volgendosi con riaccesa brama di sapere, al fin d’interrogarne la propria signora (per domandar la mia donna) in merito a questioni (di cose) nel suo intelletto ancor vacillanti fra dubbi (di che la mente mia era sospesa).
Uno intendëa, e altro mi rispuose: | |
credea veder Beatrice e vidi un sene | |
60 | vestito con le genti glorïose. |
Dante ha un’intenzione, sebben il suo proposito ottenendo inaspettata risposta (Uno intendëa, e altro mi rispuose): egli credeva di veder Beatrice, viceversa apparendogli un’anziano abbigliato come tutte l’anime in gloria (e vidi un sene vestito con le genti glorïose).
Diffuso era per li occhi e per le gene | |
di benigna letizia, in atto pio | |
63 | quale a tenero padre si convene. |
Una benevola (benigna) letizia ne pervade (Diffuso era per) gli occhi e le guance (gene), in amorevole atteggiamento (atto pio) qual quello caratteristico (si conviene) d’un tenero padre.
L’Alighieri ha raggiunto la tanto agognata destinazione, abbracciandone il complesso con zigzagante vagabondar d’occhi e nell’immediato percependosi come un vulcano in procinto d’eruttar in narrazione quanto apparso al suo cospetto, fra cui volti persuasi all’amar il proprio Dio e dello Stesso assorbendo lucente misericordia, straripando irreprensibile ineccepibilità ed alla vista di tutto ciò nel vate ribollendo atavica sete di conoscenza, pertanto cercando la savia sua conduttrice, tuttavia d’amara sorpresa struggendosi cuor al non vederla, a sostituirne presenza un “sene vestito con le genti glorïose”, tanto lieto nelle fattezze quanto paterno nelle gesta.
E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io. | |
Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro | |
66 | mosse Beatrice me del loco mio; |
Dante chiede nell’immediato dove sia l’amata donna (E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io). L’anziano dunque rispondendo (Ond’elli): “Beatrice m’ha convocato (mosse me) dal mio seggio (loco), affinché io possa condurti alla realizzazione della tua ultima aspirazione (A terminar lo tuo disiro);
e se riguardi sù nel terzo giro | |
dal sommo grado, tu la rivedrai | |
69 | nel trono che suoi merti le sortiro». |
e s’elevi sguardo al (riguardi sù nel) terz’ordine (giro)— della Rosa — partir dall’alto (dal sommo grado), tu la rivedrai nello scanno (trono) a lei destinato per virtù (che suoi merti le sortiro)”.
Sanza risponder, li occhi sù levai, | |
e vidi lei che si facea corona | |
72 | reflettendo da sé li etterni rai. |
Dante alza gli occhi senza nulla rispondere, vedendola aureolarsi (che si facea corona) irradiando tutt’intorno i divini raggi (reflettendo da sé li etterni rai).
Al senil spirito, lo smarrito discepolo — e innamorato uomo — pone istantaneo quesito riguardo all’assenza dell’adorata donna, il beato informandolo di farne le veci di guida, su di lei richiesta, poi indicandogli il punto esatto in cui poterla nuovamente rimirare, ovvero nel seggio celeste destinatole per “suoi merti”, indi il taciturno Alighieri guardando in su e potendola osservare coronarsi e riflettere “li etterni rai”.
Da quella regïon che più sù tona | |
occhio mortale alcun tanto non dista, | |
75 | qualunque in mare più giù s’abbandona, |
quanto lì da Beatrice la mia vista; | |
ma nulla mi facea, ché sua effige | |
78 | non discendea a me per mezzo mista. |
Il mortal occhio di chiunque si trovasse immerso nel fondale marino (qualunque in mare più giù s’abbandona), non sarebbe tanto distante (alcun tanto non dista) dall’estremo strato atmosferico ove s’originano i tuoni (Da quella regïon che più sù tona), quanto in Paradiso (lì) la vista di Dante da Beatrice; ma a lui poco importa (nulla mi facea), dacché non gli arriva (discendea a me) offuscata dall’atmosfera (per mezzo mista).
«O donna in cui la mia speranza vige, | |
e che soffristi per la mia salute | |
81 | in inferno lasciar le tue vestige, |
di tante cose quant’i’ ho vedute, | |
dal tuo podere e da la tua bontate | |
84 | riconosco la grazia e la virtute. |
«O donna nella quale si vivifica (vige) la mia speranza e che, per la mia salvezza (salute), sopportasti (soffristi) di lasciar le tue orme (vestige) nell’infernal regno, delle innumerevoli mie visioni (di tante cose quant’i’ ho vedute) son riconoscente al potere (podere) ed alla bontà (bontate) della tua grazia e virtù.
Tu m’hai di servo tratto a libertate | |
per tutte quelle vie, per tutt’i modi | |
87 | che di ciò fare avei la potestate. |
Tu m’hai guidato dalla schiavitù del peccato alla libertà (di servo tratto a libertate), avvalendoti d’ogni percorso o mezzo (per tutte quelle vie, per tutt’i modi) ch’era nelle tue possibilità utilizzare (che di ciò fare avei la potestate).
La tua magnificenza in me custodi, | |
sì che l’anima mia, che fatt’hai sana, | |
90 | piacente a te dal corpo si disnodi». |
Custodisci (custodi) in me tua munificenza (magnificenza), per modo che l’anima mia — che hai riportato all’integrità (che fatt’hai sana), s’affranchi (si disnodi) dal corpo per come più ti garbi (piacente)».
Così orai; e quella, sì lontana | |
come parea, sorrise e riguardommi; | |
93 | poi si tornò a l’etterna fontana. |
Questa l’orazione di Dante (Così orai); e Beatrice (quella), così lontana come sembra (parea), sorride guardandolo (e riguardommi); poi rigirandosi verso l’eterna fontana.
L’ “etterna fontana” è ovviamente l’immortale sorgente prima di Grazia, ovvero l’Onnipotente.
A dispetto alla distanza fisica, la cristallina nitidezza con la quale l’Alighieri distingue la figura della beneamata sua signora surclassa — perforandola al netto d’ogni ostacolo — la dimensione temporale, alla di lei immagine egli dedicando preziose, toccanti ed autentiche parole, rese ancor più intime e complici dal parlarle, per la prima volta, in seconda persona singolare anziché plurale — come segno d’incommensurabile gratitudine all’averlo preso per mano in fidente stretta e traghettato “di servo a libertate”, dall’affabile sorriso della santa congedandosi in un frastornate rimbombo di petto il cui eco oltrepassa i secoli, immortalandosi ad inchiostro come tatuaggio di garbato amore sulla pelle dell’anima.
Percettibile è il distacco, come lo fu — di commovente mestizia — separazione da Virgilio, nella fattispecie tuttavia, sebben aleggiando sensazione d’accorato strappo, restando un vuoto colmo d’euritmico ed inesauribile sentimento.
E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi | |
perfettamente», disse, «il tuo cammino, | |
96 | a che priego e amor santo mandommi, |
vola con li occhi per questo giardino; | |
ché veder lui t’acconcerà lo sguardo | |
99 | più al montar per lo raggio divino. |
E il santo anziano afferma: “Affinché (Acciò) tu concluda (assommi) perfettamente il tuo cammino — al qual scopo m’hanno investito (a che mandommi) preghiera (priego) ed amor santo — vola con con lo sguardo (occhi) per questo giardino; in quanto la sua visione (ché veder lui) ti predisporrà meglio la vista (t’acconcerà lo sguardo più) al rimontar il raggio divino.
E la regina del cielo, ond’io ardo | |
tutto d’amor, ne farà ogne grazia, | |
102 | però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». |
E la Regina del Cielo, sulla Quale riverso totalmente il mio ardente (ond’io ardo tutto) amore, ci concederà qualsivoglia (ne farà ogne) grazia, perch’io sono il Suo fedel Bernardo”.
La cordial anima colloquiante invita Dante a concentrar visione sul roseto, per modo da prepararsi alla successiva apparizione, egli poi presentandosi come San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), monaco cristiano, teologo ed abate francese, fondatore della celeberrima abbazia che porta il suo nome ed uomo il cui misticismo promulgato in somma abnegazione alla Vergine Maria ed alla Santissima Trinità, dal religioso analizzate da un punto di vista dottrinal-concettuale attraverso illimitata cultura ed eccelse facoltà intellettive a lui proprie, probabilmente in ragion delle quali assunto dall’Alighieri come terza guida che lo accompagnerà all’intercessione della Madonna.
Terzogenito di un’antica ed aristocratica famiglia, Bernardo entrò poco più che ventenne nel monastero di Cîteau, da cui si bipartì branca cistercense dell’Ordine benedettino ch’egli ebbe a riformare, divenendone il perno di riferimento e ramificando numerosi cenobi nella penisola italica, ove pose passo a scopo predicatorio, durante l’intera esistenza spendendosi fra il diffonder la parola di Dio ed il ricoprir delicato incarico di sapiente e fidata attività consigliera nei confronti della papale attività, ai posteri lasciando corposa ed erudita opera teologica.
Qual è colui che forse di Croazia | |
viene a veder la Veronica nostra, | |
105 | che per l’antica fame non sen sazia, |
ma dice nel pensier, fin che si mostra: | |
‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, | |
108 | or fu sì fatta la sembianza vostra?’; |
Come colui che magari (forse di) dalla Croazia viene a veder il sudario della Veronica e che per la bramosia (fame) — a lungo nutrita (antica) — di visionarlo, non si stanca di starne in contemplazione (sen sazia) fin a che rimane esposto (si mostra), fra sé e sé pensando (ma dice nel pensier) ‘Gesù Cristo mio Signore, vero (verace) Dio, furono dunque queste (or fu sì fatta) le vostre sembianze?’;
tal era io mirando la vivace | |
carità di colui che ’n questo mondo, | |
111 | contemplando, gustò di quella pace. |
tale appare Dante osservando (tal era io mirando) la vivida (vivace) carità di colui che sulla Terra (’n questo mondo) assaporò (gustò) la pace del Paradiso esercitando la contemplazione.
La “Veronica nostra” è il noto velo — la cui reliquia bizantina preservata nella loggia della vecchia basilica di San Pietro — del quale leggendariamente si narra sia stato utilizzato da una compassionevole donna per asciugare l’insanguinata fronte di Gesù, il telo ricevendone l’impronta.
«Figliuol di grazia, quest’esser giocondo», | |
cominciò elli, «non ti sarà noto, | |
114 | tenendo li occhi pur qua giù al fondo; |
San Bernando riprende a parlare: “Figlio di misericordia, questo stato di beatitudine (quest’esser giocondo) non ti sarà palese (noto) fintantoché mantieni lo sguardo rivolto in basso (tenendo li occhi pur qua giù al fondo);
ma guarda i cerchi infino al più remoto, | |
tanto che veggi seder la regina | |
117 | cui questo regno è suddito e devoto». |
guarda invece l’ordine dei petali fin a quello maggiormente lontano (i cerchi infino al più remoto), cosicché ti sia possibile veder sul proprio seggio (tanto che veggi seder) “la regina a cui questo regno è suddito e devoto”.
Io levai li occhi; e come da mattina | |
la parte orïental de l’orizzonte | |
120 | soverchia quella dove ’l sol declina, |
così, quasi di valle andando a monte | |
con li occhi, vidi parte ne lo stremo | |
123 | vincer di lume tutta l’altra fronte. |
L’Alighieri alza lo sguardo; e come la parte orientale dell’orizzonte di primo mattino surclassa (soverchia) in chiarore quella dove la sfera solare tramonta (declina), così — in una sorta di risalita (quasi andando) con gli occhi da valle a monte — egli vede una zona dell’orlo (parte ne lo stremo) primeggiare in splendore (vincer di lume) tutta la parte a se antistante (l’altra fronte).
E come quivi ove s’aspetta il temo | |
che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, | |
126 | e quinci e quindi il lume si fa scemo, |
così quella pacifica oriafiamma | |
nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte | |
129 | per igual modo allentava la fiamma; |
E come nel punto dell’orizzonte in cui s’attende il carro (temo) mal guidato da Fetonte il Cielo s’illumina in maggior misura (più s’infiamma) — frattanto il bagliore ai suoi lati scemando (e quinci e quindi il lume si fa scemo) — così quella pacifica e fiammeggiante luce (orifiamma) s’avviva nel centro (mezzo), al pari di quanto il fulgore circostante omogeneamente s’attenua (e d’ogne parte per igual modo allentava la fiamma);
Dante nota un segmento del bordo della Candida Rosa sovrastare di luce la gradinata prospiciente, le zone laterali apparendo alquanto meno rischiarate.
e a quel mezzo, con le penne sparte, | |
vid’io più di mille angeli festanti, | |
132 | ciascun distinto di fulgore e d’arte. |
ed attorno a quel punto centrale, con le ali dischiuse (penne sparte), l’Alighieri vede più di mille angeli festosi, differenti fra loro per qualità di luce ed incarico (ciascun distinto di fulgore e d’arte).
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti | |
ridere una bellezza, che letizia | |
135 | era ne li occhi a tutti li altri santi; |
E nell’angelico tripudio di giostre e canzoni (a lor giochi quivi e a lor canti), Dante vede una ridente beltà specchiante felicità (ridere una bellezza, che letizia era) negli occhi di tutti gli altri santi;
e s’io avessi in dir tanta divizia | |
quanta ad imaginar, non ardirei | |
138 | lo minimo tentar di sua delizia. |
e nemmeno se possedesse copiosa ricchezza di risorse nell’esprimersi (s’io avessi in dir tanta divizia), al pari della capacità di percezione a lui in dote (quanta ad imaginar), il fiorentin verseggiatore incorrerebbe nell’azzardo di, anche sol vagamente (non ardirei lo minimo tentar), descriverne la delizia.
Talmente bella, luccicante, potente, inebriante ed ilare è l’immagine centrale di Maria, da far desister l’Alighieri da qualsiasi esperimento descrittivo, eventualmente vano nel riportar degnamente la realtà di cotal portento.
Bernardo, come vide li occhi miei | |
nel caldo suo caler fissi e attenti, | |
141 | li suoi con tanto affetto volse a lei, |
142 | che ’ miei di rimirar fé più ardenti. |
San Bernardo, al subitaneo scorger (come vide) gli occhi di Dante fissar attentamente fervente magnificenza di Maria (nel caldo suo caler), ad Ella volge sguardo erompendo tal passione (tanto affetto) nell’osservarNe grazia, d’accrescer nel poeta — in trama di travolgente venerazione e soave turbamento interiore — sete d’ammirarLa (che ’ miei di rimirar fé più ardenti).
Al penultimo Canto San Bernardo principierà assolvendo alla mansion d’accompagnatore lui affidata : “Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante…”
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