Divina Commedia: Paradiso, Canto XXV
Giovanni di Paolo di Grazia (1398-1482), Manoscritto Yates Thompson, 1444-1450
Dante affida a genesi di Canto esprimer il proprio risentimento per la subita separazione dalla terra natia, esprimendo quindi il desiderio di varcarne nuovamente le porte in veste di riconosciuto poeta, levatura conquistata in componimento di Commedia, per cui spera ricever corona d’alloro a dispetto di coloro che gli arrecarono dolore.
Nell’ottavo Cielo dunque, al vate e a Beatrice, amata guida nell’ascesa tra sfere celesti, dalla fulgida ruota dei beati appare san Giacomo a rappresentazione della virtù teologale della speranza, così come nel precedente Canto san Pietro introdusse la fede, nel successivo toccando invece a San Giovanni introdurre la carità.
Dopo una breve introduzione di Beatrice in preventiva risposta al secondo dei tre quesiti posti dallo spirito all’Alighieri, un gentile colloquiare principia fra lui ed il vate, a quest’ultimo venendo richieste delucidazioni ed approfondimenti personali sulla tal virtù ed al suo pronunciarsi a riguardo, san Giovanni reagendo con frizzante letizia e pullulante brillio, contagioso gaudio a cui s’aggrega la totalità dei beati presenti e allegria d’atmosfera sul cui sfondo, all’improvviso, appare uno spirito d’una luminescenza da far invidia a qualsiasi stella, dalla sua luce parlando l’anima di san Giovanni.
Dante lo scruta insistentemente, cercando d’individuarne le sembianze fisiche, ma null’altro ottenendo se non momentanea cecità, allorché il beato gli rammenta che ad eccezion della Beata Vergine e di Cristo, a nessuno è dato compiere ingresso nell’Empireo, in anima e corpo, quest’ultimo dunque rimanendo sulla Terra almen fin al Giorno del Giudizio.
A tali parole, in cuor dell’Alighieri piomban improvvisi amarezza e smarrimento, poiché cercando il volto di Beatrice, gli occhi ancor abbagliati non gli permetton d’incontrarlo benché le sia accanto e nemmen l’esser nel Regno Celeste, ove beatitudine impera, sottrae l’innamorato da profonda commozione, il sé poeta pellegrino, incantevolmente dipinto d’umane sfumature.
Se mai continga che ’l poema sacro | |
al quale ha posto mano e cielo e terra, | |
3 | sì che m’ha fatto per molti anni macro, |
vinca la crudeltà che fuor mi serra | |
del bello ovile ov’io dormi’ agnello, | |
6 | nimico ai lupi che li danno guerra; |
Qualor capitasse (Se mai continga) che il poema sacro al quale han posto mano cielo e terra, al punto da macerarmi (sì che m’ha fatto macro) nello scriverlo, vinca sulla crudeltà che m’estromette (fuor mi serra) dal bell’ovile ov’io — sgradito (nimico) ai lupi che lo distruggono (li danno guerra — vissi inerme come un agnello assopito (dormi’);
Dante menziona la Commedia, dipingendola consacrazione del proprio talento ed in virtù della quale vorrebbe aver occasione di muover nuovamente passo sul suolo della meravigliosa e soave patria ov’egli trascorse pacifica esistenza, prima che la meschinità nemica lo esiliasse; quindi “bell’ovile” diviene Firenze ed egli il mite “agnello” che in serenità vi dimorò finché cacciato dai facinorosi concittadini, paragonati a “lupi” feroci e distruttivi.
con altra voce omai, con altro vello | |
ritornerò poeta, e in sul fonte | |
9 | del mio battesmo prenderò ’l cappello; |
vantando maggior prestigio (voce omai) e con differente vello, ritornerò da poeta, sul mio fonte battesimale (del mio battesmo) m’incoronerò d’alloro (prenderò ’l cappello);
però che ne la fede, che fa conte | |
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi | |
12 | Pietro per lei sì mi girò la fronte. |
dacché (però che) fu lì ch’entrai (quivi intra’ io) nella fede, che rende l’anime familiari (fa conte) a Dio e poi, per quella medesima fede (lei) san Pietro mi cinse (girò) la fronte.
L’Alighieri dunque sogna compier ritorno in terra natia da consacrato verseggiatore ed incanutito (con altro vello), inghirlandasi d’alloro nel battistero di San Giovanni, dove s’unì al Padre Eterno tramite la medesima fede per la quale san Pietro l’ha coronato di beata luce.
Indi si mosse un lume verso noi | |
di quella spera ond’uscì la primizia | |
15 | che lasciò Cristo d’i vicari suoi; |
Indi un’anima luminosa s’appressa a Dante e Beatrice (si mosse un lume verso noi), fuoriuscendo da quella ruota (spera) dalla quale s’era affrancato il capostipite (ond’uscì la primizia) dei vicari di Cristo (suoi) da Lui lasciati sul mondo.
e la mia donna, piena di letizia, | |
mi disse: «Mira, mira: ecco il barone | |
18 | per cui là giù si vicita Galizia». |
e la sua signora (mia donna), traboccante gioia (colma di letizia), dice all’Alighieri: “Guarda, guarda: ecco il barone per il quale sulla Terra (cui là giù) si visita (vicita) la Galizia”.
Uno spirito sfavillante avvicina Dante e Beatrice che, palesemente festosa, lo esorta a volgere lo sguardo verso l’apostolo San Giacomo “il Maggiore” (5 a.C. – 44 d.C.), venerato attraverso pellegrinaggi nel santuario galiziano di Santiago de Compostela.
Sì come quando il colombo si pone | |
presso al compagno, l’uno a l’altro pande, | |
21 | girando e mormorando, l’affezione; |
Così come quando un colombo si posa vicino (pone presso) al proprio compagno, vicendevolmente manifestandosi affetto (l’uno a l’altro pande l’affezione), girandosi intorno e tubando (mormorando);
così vid’ïo l’un da l’altro grande | |
principe glorïoso essere accolto, | |
24 | laudando il cibo che là sù li prande. |
similmente il vate vede i gloriosi santi accogliersi vicendevolmente (così vid’ïo l’un da l’altro grande principe glorïoso essere accolto), lodando il divino nutrimento che nel regno celeste (cibo che là sù) li sazia (prande).
I due beati in reciproca gioiosa accoglienza sono per l’appunto, San Pietro e San Giacomo.
Ma poi che ’l gratular si fu assolto, | |
tacito coram me ciascun s’affisse, | |
27 | ignito sì che vincëa ’l mio volto. |
Ma una volta terminati i convenevoli (poi che ’l gratular si fu assolto), entrambi si piazzano silenti (ciascun s’affisse tacito) dirimpetto all’Alighieri (coram me).
Ridendo allora Bëatrice disse: | |
«Inclita vita per cui la larghezza | |
30 | de la nostra basilica si scrisse, |
fa risonar la spene in questa altezza: | |
tu sai, che tante fiate la figuri, | |
33 | quante Iesù ai tre fé più carezza». |
Allora Beatrice — sorridendo — riprende a parlare: “Celebre anima (Inclita vita) che scrivesti della sontuosità del nostro regno celeste (per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse), rammenta (fa risonar) la speranza (spene) a questa quota (altezza) di Paradiso: tu la conosci (sai), perché la figurasti tante volte (fiate) quante quelle che Gesù mostrò maggior predilezione (fè più carezza) per voi tre”.
È l’adorata guida a porre cortese richiesta a San Giacomo, lui chiedendo di rievocar la seconda virtù teologale, effondendone l’eco nel Cielo delle Stelle Fisse e la “larghezza della nostra basilica” da lei accennata si riferisce all’ ‘Epistula Iacobi’, Lettera rivolta agli ebrei convertiti, contenuta nel Nuovo Testamento e tradizionalmente attribuita a Giacomo Il Giusto (?-62), sebbene ricercatori ne conferiscano paternità a Giacomo Il Minore (5-62), nonostante detta ipotesi sia concordemente contestata da esegeti biblici delle Chiese d’Oriente ed Occidente.
I “tre” prediletti del Signore furono gli apostoli, poi santificati, Pietro, Giacomo e Giovanni, rispettivamente rappresentanti Fede, Speranza e Carità.
«Leva la testa e fa che t’assicuri: | |
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo, | |
36 | convien ch’ai nostri raggi si maturi». |
“Alza il capo, cercando di calmarti (Leva la testa e fa che t’assicuri): poiché chiunque giunga (vien) quassù del mortal mondo, s’adatterà necessariamente alla nostra luce (convien ch’ai nostri raggi si maturi)”.
Questo conforto del foco secondo | |
mi venne; ond’io leväi li occhi a’ monti | |
39 | che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. |
Questo il confortante sprone rivolto a Dante dalla seconda anima (Questo conforto del foco secondo); di conseguenza egli alzando lo sguardo verso i (ond’io leväi li occhi a’) monti che poco prima glielo avevano abbassato per eccesso di bagliore (li ’ncurvaron pria col troppo pondo).
San Giacomo caldeggia il pellegrino affinch’egli levi lo sguardo a lui e a san Pietro — appellati “monti” in omaggio alla lor nobile levatura — l’Alighieri assecondandolo ed osservandoli.
«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti | |
lo nostro Imperadore, anzi la morte, | |
42 | ne l’aula più secreta co’ suoi conti, |
sì che, veduto il ver di questa corte, | |
la spene, che là giù bene innamora, | |
45 | in te e in altrui di ciò conforte, |
dì quel ch’ell’è, dì come se ne ’nfiora | |
la mente tua, e dì onde a te venne». | |
48 | Così seguì ’l secondo lume ancora. |
“Premesso che per sua stessa grazia il nostro imperatore vuole che tu — prima di passar a miglior vita (anzi la morte) — ti confronti (affronti) con i suoi più eletti dignitari (conti), nell’aula più segreta del suo reame, per modo (sì) che, tastata la veridicità (veduto il ver) di questa corte, la speranza, che sul mondo terreno arde di vero amore (là giù bene innamora), possa in te e negli altri rinvigorirsi (di ciò conforte), dimmi cos’è per te la speranza (dì quel ch’ell’è), dimmi quanta te ne fiorisce nella mente (dì come se ne ’nfiora), infine dimmi da dove ti scaturì (e dì onde a te venne)”. Queste le aggiuntive parole della seconda anima (Così seguì ’l secondo lume ancora).
In assoluto e devoto rispetto alla volontà di Dio (Imperadore) nell’aver permesso all’Alighieri di visitare l’Oltretomba da vivente ed ora di colloquiare con due dei suoi maggiori rappresentanti, san Giacomo gli chiede di definire la speranza, quanta ne possegga e dove ne abbia attinto all’origine.
E quella pïa che guidò le penne | |
de le mie ali a così alto volo, | |
51 | a la risposta così mi prevenne: |
E quella pia a guida che guidò le penne delle ali di Dante tanto in alto (a così alto volo), lo precede nel rispondere (a la risposta così mi prevenne):
Beatrice risponde al posto del suo protetto
«La Chiesa militante alcun figliuolo | |
non ha con più speranza, com’è scritto | |
54 | nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: |
“La Chiesa militante non ha alcun figliolo con maggior speranza, com’è scritto nel Sole che s’irradia (raggia) sull’intera (tutto) nostra comunità (stuolo):
però li è conceduto che d’Egitto | |
vegna in Ierusalemme per vedere, | |
57 | anzi che ’l militar li sia prescritto. |
perciò gli è stato concesso il passaggio (conceduto che vegna) dall’Egitto in Gerusalemme per vederne prima che la morte gli sopraggiunga (anzi che ’l militar li sia prescritto).
Ella parla dell’Alighieri come di colui in cui la speranza sia al massimo livello, ragion per cui viaggio gli è stato accordato ed il passar dall’Egitto a Gerusalemme rimanda alla celebre lettura del ‘Salmo 113’ — ‘In exitu Israel de Aegypto’, in una sorta di transito da un esilio terreno alla città santa.
Li altri due punti, che non per sapere | |
son dimandati, ma perch’ei rapporti | |
60 | quanto questa virtù t’è in piacere, |
a lui lasc’io, ché non li saran forti | |
né di iattanza; ed elli a ciò risponda, | |
63 | e la grazia di Dio ciò li comporti». |
Io demando a lui risposta sulle altre due questioni (punti) che gli sono state affidate (dimandati), ma non tanto affinché tu ne venga a conoscenza, ma perch’egli (ei) riporti (rapporti) quanto questa virtù ti compiaccia (t’è in piacere), dacché i due punti non gli saranno ostici (forti), tantomeno motivo d’arrogante ostentazione (iattanza); quindi egli a ciò risponda, e possa la grazia di Dio essergli di sostegno (ciò li comporti)”.
Beatrice anticipa a san Giacomo la seconda risposta, poi aggiungendo che lascerà carta bianca a Dante, per quanto riguarda le altre due domande a lui poste e questo non perché san Giacomo debba scoprire quanto già sa per visione divina, ma perché l’Alighieri possa parlare —con sostegno d’Iddio — e poi narrare in Terra quanto la speranza sia cara alla santa e fulgente anima.
Come discente ch’a dottor seconda | |
pronto e libente in quel ch’elli è esperto, | |
66 | perché la sua bontà si disasconda, |
«Spene», diss’ io, «è uno attender certo | |
de la gloria futura, il qual produce | |
69 | grazia divina e precedente merto. |
Come lo studente (discente) che per accondiscender l’insegnante sia tempestivo ed entusaista nel rispondergli sulla materia nella quale è maggiormente preparato (ch’a dottor seconda pronto e libente in quel ch’elli è esperto), perché si palesi (disasonda la sua bravura (bontà), Dante risponde: “La speranza è fidente aspettativa (uno attender certo) della futura beatitudine (gloria) e tal attesa è originata (il qual produce) dalla grazia divina e dai meriti ottenuti (precedente merto).
Da molte stelle mi vien questa luce; | |
ma quei la distillò nel mio cor pria | |
72 | che fu sommo cantor del sommo duce. |
Questo barlume di verità (questa luce) mi viene da innumerevoli fonti celesti (molte stelle); ma quella che l’instillò per prima (quai la distillò pria) nel mio cuore fu il sommo cantore del sommo Signore.
‘Sperino in te’, ne la sua tëodia | |
dice, ‘color che sanno il nome tuo’: | |
75 | e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? |
Sommo cantor il quale, nel suo inno (ne la sua tëodia), dice: ‘Sperino in te coloro che conoscono (sanno) il tuo nome’: e chi è che lo ignora (nol sa), se possiede (s’elli ha) la mia fede?
In ribattuta a quesito, l’Alighieri, percependosi al pari d’un allievo bramoso d’accontentare il docente — principia dando alla speranza significato di fiduciosa aspettazione della letizia eterna, proveniente tanto dalla misericordia divina quanto dai meriti accumulati e che la sorgente di tal virtù risiede in molte fonti celesti, sebben per lui la prima sia stata in Re David, quel “sommo cantor” il cui inno recita: ‘Et sperent in te qui noverunt nomen tuum, quoniam non deriliquisti quaerentes te, Domine’ — ‘E sperino in te coloro che hanno conosciuto il tuo nome, perché tu non hai mai abbandonato chi ti cercava, Signore’.
Tu mi stillasti, con lo stillar suo, | |
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, | |
78 | e in altrui vostra pioggia repluo». |
Anche tu m’instillasti — al par suo —la speranza con la tua epistola (ne la pistola poi); così da esserne io intriso (pieno), spandendo sul prossimo (repluo in altrui) la vostra pioggia”.
Ulteriore fonte di speranza per Dante — ch’egli è pronto a diffondere sul mondo al suo ritorno — fu la succiutata ‘Epistula Iacobi’
Mentr’io diceva, dentro al vivo seno | |
di quello incendio tremolava un lampo | |
81 | sùbito e spesso a guisa di baleno. |
Durante il discorso dell’Alighieri (mentr’io diceva), all’interno del vivifico (dentro al vivo) seno di quel chiarore (quello incendio) serpeggia (tremolava) un lampo fulmineo (sùbito) e denso (spesso), a guisa d’un baleno.
Mentre Dante discorre, san Giacomo s’illumina repentinamente e vistosamente.
Indi spirò: «L’amore ond’io avvampo | |
ancor ver’ la virtù che mi seguette | |
84 | infin la palma e a l’uscir del campo, |
vuol ch’io respiri a te che ti dilette | |
di lei; ed emmi a grato che tu diche | |
87 | quello che la speranza ti ’mpromette». |
Indi asserendo (spirò): “È volontà (vuol) dell’amore nel qual io ardo (avvampo) ancora di quella virtù che mi condusse (seguette) fin al martirio ed alla morte (la palma e a l’uscir del campo), ch’io mi rivolga (respiri) a te che di quella speranza t’appaghi (ch’io respiri a te che ti dilette); e ti sarei (ed emmi) grato che tu mi confidasti (diche) cosa la speranza ti promette”.
Brioso, un san Giacomo ciecamente votato alla speranza sia in vita che in punto di morte, chiede all’Alighieri quali ripromesse si sia fatto sulla tal virtù.
E io: «Le nove e le scritture antiche | |
pongon lo segno, ed esso lo mi addita, | |
90 | de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. |
E Dante: “Il Nuovo ed Antico Testamento (Le nove e le scritture antiche) assicurano l’obiettivo (pongon lo segno) delle anime predilette dall’Altissimo (che Dio s’ha fatte amiche) e questo obiettivo indica l’oggetto della mia speranza (ed esso lo mi addita).
Dice Isaia che ciascuna vestita | |
ne la sua terra fia di doppia vesta: | |
93 | e la sua terra è questa dolce vita; |
Isaia afferma che ciascun’anima beata sarà doppiamente abbigliata (fia di doppia vesta) nella sua terra: e la sua terra è questa vita di beatitudine (dolce);
e ’l tuo fratello assai vie più digesta, | |
là dove tratta de le bianche stole, | |
96 | questa revelazion ci manifesta». |
e tuo fratello — là dove tratteggia (tratta) delle bianche stole — ci rende manifesta questa rivelazione in manie alquanto (assai) più definita (digesta)”.
L’Alighieri fa delle Sacre Scritture il punto di partenza e d’arrivo d’ogni cristiano che sia fedele alla speranza, poi citando Isaia sul concetto d’ogni anima che, nel regno celeste, si riapproprierà del rispettivo corpo e quel “tuo fratello” nominato è san Giovanni Evangelista (ca.10-98), autore dell’ ‘Apocalisse’, fra le cui pagine gli spiriti si presentano all’Eterno con “bianche stole”.
E prima, appresso al fin d’este parole, | |
‘Sperent in te’ di sopr’a noi s’udì; | |
99 | a che rispuoser tutte le carole. |
E l’Alighieri ha appena terminato di pronunciare (appresso al fin) queste parole, quando sopra di loro s’ode ‘Sperent in te’; a cui rispondono tutte le corone (carole) dei beati danzanti.
L’incipit dell’inno è il medesimo della venticinquesima terzina ed il termine “carola” già apparve — a definizione delle corone — al sedicesimo versetto del precedente canto, con relativa spiegazione dell’antico ballo a girotondo che fu.
Poscia tra esse un lume si schiarì | |
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, | |
102 | l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. |
Poi tra loro un beato risplende a tal punto (Poscia tra esse un lume si schiarì sì) che, se la Costellazione del Cancro possedesse una stella di pari chiarore (avesse un tal cristallo), per quel mese sarebbe sempre giorno (l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì).
Per rendere al lettore il grado di lucentezza della sopraggiunta anima, Dante ne descrive la potenziale facoltà di rischiarare a giorno un intera costellazione.
E come surge e va ed entra in ballo | |
vergine lieta, sol per fare onore | |
105 | a la novizia, non per alcun fallo, |
così vid’io lo schiarato splendore | |
venire a’ due che si volgieno a nota | |
108 | qual conveniesi al loro ardente amore. |
E come una serena fanciulla (vergine lieta) si alza intraprendendo le danze (surge ed entra in ballo), esclusivamente per render omaggio alla novella sposa (sol per fare onore a la novizia), al netto del peccar di vanità (non per alcun fallo), così l’Alighieri vede quel luccichio sfolgorante (schiarato) procedere (venire) verso quei due spiriti volteggianti, con ritmo che si conforma (che si volgieno a nota qual conveniesi) attorno al loro ardente spirito di carità (amore).
Misesi lì nel canto e ne la rota; | |
e la mia donna in lor tenea l’aspetto, | |
111 | pur come sposa tacita e immota. |
E lì — nel canto e nel ballo a ruota — s’immette (Misesi); e Beatrice (la mia donna) fissando il trio (in lor tenea l’aspetto), silente (tacita) ed immobile (immota) quasi come se (pur) la sposa sia lei.
L’immagine dello spirito che piroetta leggiadro, lieto e scintillante, paragonato ad una giovincella danzante è splendidamente graziosa e delicata, al punto da lasciarsi vedere nella sua densa ed elegiaca rappresentazione, breccia anche nell’animo di Beatrice, che osserva il tutto completamente rapita e raccolta.
«Questi è colui che giacque sopra ’l petto | |
del nostro pellicano, e questi fue | |
114 | di su la croce al grande officio eletto.» |
“Questo è colui che posò il capo (giacque) sopra il petto del nostro pellicano e colui che venne scelto (fue eletto) al nobile ruolo (grande offcio) di fare le veci del Cristo crocifisso (di su la croce)”.
La donna mia così; né però piùe | |
mosser la vista sua di stare attenta | |
117 | poscia che prima le parole sue. |
Questo quanto detto da Beatrice (La donna mia così); ma non per questo il suo sguardo distogliendo dagli apostoli più di quanto fosse distolto prima di parlare (né però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parol sue).
Trattasi di san Giovanni Evangelista — presentato da una Beatrice ancor ammaliata — colui che durante l’ultima cena poggiò il capo sul petto del Cristo e che ne assunse le veci come figlio di Maria.
Il “pellicano” rimanda all’antica credenza che voleva il volatile risorgere e popi nutrire i propri piccoli aprendosi il petto.
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta | |
di vedere eclissar lo sole un poco, | |
120 | che, per veder, non vedente diventa; |
Come colui che scruta (ch’adocchia) e si sforza d’osservar una parziale eclissi solare (s’argomenta di vedere eclissar lo sole un poco), fin a divenir cieco a furia d’insistere nel volerla vedere (che, per veder, non vedente diventa);
tal mi fec’io a quell’ ultimo foco | |
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli | |
123 | per veder cosa che qui non ha loco? |
parimenti s’atteggia Dante innanzi a quella terza anima fiammante (tal mi fec’io a quell’ ultimo foco), fin al sentirsi dire (mentre che detto fu): “Perché t’abbagli per veder qualcosa che qui in Paradiso non c’è (cosa che qui non ha loco)?
In terra è terra il mio corpo, e saragli | |
tanto con li altri, che ’l numero nostro | |
126 | con l’etterno proposito s’agguagli. |
Il mio corpo è polvere (terra) sulla Terra, e seguiterà ad esserlo per molto tempo (saragli tanto) insieme agli altri corpi, fintantoché il numero di noi beati (nostro) non collimerà (s’agguagli) con il disegno dell’Onnipotente (l’etterno proposito).
Con le due stole nel beato chiostro | |
son le due luci sole che saliro; | |
129 | e questo apporterai nel mondo vostro». |
Con anima e corpo (le due stole) solamente due son le anime (luci) che ascesero (saliro) ai Cieli; e di questo riferirai (apporterai) nel mondo terreno (vostro)”.
Al faticoso sforzo dell’Alighieri di vedere il corpo di san Giovanni, costui gli chiede come mai s’ostini a voler vedere “cosa che qui non ha loco”, dato l’esser le sue spoglie mortali in Terra e lì restandovi ancor a lungo — secondo decreti divini — e le uniche due persone ad aver potuto accedere ai Cieli con anima e corpo essendo Gesù e la Santa Vergine Maria, la cui ascensione all’Empireo è delineata nel ventitreesimo Canto di Paradiso.
A questa voce l’infiammato giro | |
si quïetò con esso il dolce mischio | |
132 | che si facea nel suon del trino spiro, |
sì come, per cessar fatica o rischio, | |
li remi, pria ne l’acqua ripercossi, | |
135 | tutti si posano al sonar d’un fischio. |
A queste parole (voce) l’infiammato giro di danza s’arresta (quïetò) insieme alla soave mescolanza (con esso il dolce mischio nel suon) originata dal canto (che si facea nel suon) della triplice voce (spiro), così come, per stoppare (cessar) la fatica o scansare un pericolo, i remi, che prima venivano immersi e poi riemersi dall’acqua ( pria ne l’acqua ripercossi), si bloccano in simultanea (tutti si posano) al fischiar (al sonar) d’un fischio.
Ahi quanto ne la mente mi commossi, | |
quando mi volsi per veder Beatrice, | |
138 | per non poter veder, benché io fossi |
139 | presso di lei, e nel mondo felice! |
Ahi quanto Dante rimane sconquassato nell’animo (ne la mente mi commossi), al volgersi (mi volsi) per veder Beatrice ed al saper di non poterla vedere, benché essendole affianco (io fossi presso di lei), oltre che nel mondo dei beati!
La voce di san Giovanni blocca ballate e melodie, ma a rimaner alquanto sconvolto e muto è l’Alighieri quando, sulla scia delle ultime parole udite, rammaricato si volge a Beatrice nella consapevolezza di non poterla vedere e di ciò nostalgicamente commuovendosi, nonostante si trovi in Paradiso, a lei accanto.
Sarà san Giovanni a riprender parola al prossimo incipit: “Mentr’ io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento…”
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