Divina Commedia: Paradiso, Canto XXIX
Washington Allston (1779-1843), Beatrice Portinari (dettaglio), 1819
Parimenti alla durata dell’istante in cui, sott’influsso delle costellazioni d’Ariete e Bilancia, Luna e Sole indugian sulla linea dell’orizzonte prima d’alternarsi sulla volta celeste cambiando emisfero, Beatrice fissa in sorridente silenzio il baglior che aveva catturato l’attenzion di Dante, dopodiché, affermando di conoscer i desideri dominanti i pensieri del poeta mediante la mente Creatrice, principia ad enarrar come, perché e quando l’Onnipotente ebbe a concepire le intelligenze angeliche, altresì raccontando la subitanea ribellione destata da Lucifero, dall’arcangelo Michele vinto e — assieme ai seguaci — gettato sulla Terra come l’Alighieri al centro d’essa l’ha trovato confitto in conclusion di viaggio agli inferi, mostrando quindi l’entità che invece riverentemente riconoscendo d’esser stati plasmati dalla bontà suprema, restarono fedeli all’Altissimo e pertanto, dalla grazia illuminante e dal merito individuale, elevati a contemplarlo eternamente.
Sebben Beatrice ritenga ormai il vate in possesso di nozioni tali da comprendere autonomamente le schiere degli angeli, date le inesattezze tramandate sugli stessi da taluni studiosi, aggiunge chiosa al fin d’illustrarne reale essenza, giungendo quindi a condannare la tendenza di pensatori, a divulgare insegnamenti infondati e contraddittori, su trasporto della mera brama d’apparir sapienti, reità tuttavia minormente disdegnata — sostiene — del consapevole stravolgimento delle Sacre Scritture, i predicatori ignorando il sangue versato per donare al mondo la parola Divina e dai pulpiti seminando menzogne, tra i credenti, la qual ignoranza non costituisce scusante, anzi, ne arrischia la salvezza spirituale.
Infine, ella abbandonando digressione e riportando dialogo sugli angeli, ne definisce la moltitudine, tanto elevata da non poter esser nemmen immaginata dall’umano intelletto, ciascun Messo peculiarmente recependo fulgore di Dio e di conseguenza restituendoGli amore, Egli perciò, magnanima potenza manifestando, in siffatta molteplicità si riflette rimanendo Uno.
Quando ambedue li figli di Latona, | |
coperti del Montone e de la Libra, | |
3 | fanno de l’orizzonte insieme zona, |
quant’è dal punto che ’l cenìt inlibra | |
infin che l’uno e l’altro da quel cinto, | |
6 | cambiando l’emisperio, si dilibra, |
tanto, col volto di riso dipinto, | |
si tacque Bëatrice, riguardando | |
9 | fiso nel punto che m’avëa vinto. |
Quando entrambi i figli di Latona, uno in congiunzione (coperti) con l’Ariete (del Montone) — l’altro con la Bilancia (de la Libra) — divengono contemporaneamente cintura (fanno insieme zona) dell’orizzonte, per il tempo che trascorre (quant’è) dall’istante in cui (dal punto che) lo zenit li mantiene in equilibrio (’l cenìt inlibra) fintantoché sia l’un che l’altro, cambiando emisfero (l’emisperio), non si liberano (si dilibra) da quella cintola (cinto), per il medesimo tempo (tanto) Beatrice, il cui volto è dipinto dal suo stesso sorriso (di riso), si silenzia (tacque), rimirando fissa in quel (riguardando fiso nel) punto da lei indicato in precedenza a Dante (che m’avëa vinto).
I figli della mitologica dea greca Latona — generati con Zeus — sono Apollo e Diana, rispettivamente personificazioni del Sole e della Luna che l’Alighieri prende ad esempio per indicare quanto il tempo che intercorre fra le ultime parole pronunciate da Beatrice e le imminenti, sia veramente breve, al pari di quello del tramonto solare o del sorgere lunare, il poeta mai mancando di sottolineare la bellezza del femmineo viso, impreziosito dal di lei ammaliante sorridere.
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, | |
quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto | |
12 | là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. |
Poi dicendo: “Io esprimo, senza nulla chiederti (dico, e non dimando), quant’è tuo desiderio sentire (quel che tu vuoli udir), dacché il mio percepirlo (perch’io l’ho visto) là ove ogni luogo (ubi) ed ogni tempo (quando) s’appuntano.
La Santa e magnanima guida inizia un’articolata esposizione che durerà ben quarantacinque terzine, anticipando al proprio protetto quello ch’egli già sa, ovvero il risponder agli undici quesiti che gli balenano in mente, senza bisogno che le vengano verbalizzati, dato l’ormai nota facoltà di leggerli e percepirli attraverso l’Ente Supremo, nel quale spazio e tempo si fanno punto.
Non per aver a sé di bene acquisto, | |
ch’esser non può, ma perché suo splendore | |
15 | potesse, risplendendo, dir ‘Subsisto’, |
in sua etternità di tempo fore, | |
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, | |
18 | s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. |
Non è per accrescere la propria felicità (aver a sé di bene acquisto) — eventualità peraltro impossibile (ch’esser non può) — che l’eterno amore si chiuse (s’aperse) in nuove essenze amanti (amor), ma affinché la sua luce riflessa (splendore), in esse rifrangendosi (risplendendo), potesse affermare d’esistere (dir ‘Subsisto’), nella sua eternità surclassando ogni dimensione temporale e spaziale (di tempo fore, fuor d’ogne altro comprender) ed in unica fede alla propria volontà (come i piacque).
La prima risposta riguarda il motivo alla base della creazione degli angeli, da Dio forgiati nel nobile intento di aprirsi, plasmarsi e moltiplicarsi in altre entità d’amore, al contempo nell’elevato ed esclusivo dichiarar il proprio esistere in piena autonomia, al di là di qualsiasi dimensione ed in eterno.
Né prima quasi torpente si giacque; | |
ché né prima né poscia procedette | |
21 | lo discorrer di Dio sovra quest’acque. |
Non che precedentemente se ne stesse (Né prima si giacque) in una sorta d’ozio (quasi torpente); poiché il divino generar (ché lo discorrer di Dio sovra quest’acque) avvenne (procedette) al di fuori del tempo (né prima né poscia).
Non essendo correlato a nessuna ciclicità temporale, l’Iddio prima dell’atto creativo non giaceva nell’inoperosità, agendo sempre e comunque in un sorta d’atemporalità.
Il “discorrer di Dio sovra quest’acque” rimanda al versetto biblico della ‘Genesi’ — ‘et spiritus Dei ferebatur super aquas’ — verosimilmente “quest’acque” rappresentando il Primo Mobile e il suo relizzarlo nell’ottica d’una commutazione dell’eternità in tempo.
Forma e materia, congiunte e purette, | |
usciro ad esser che non avia fallo, | |
24 | come d’arco tricordo tre saette. |
Forma e materia — tanto miscelate, quanto allo stato puro (congiunte e purette) — vennero originate scevre da qualsivoglia imperfezione (usciro ad esser che non avia fallo), al pari di tre frecce (saette) che vengano scoccate da un arco a tre corde (tricordo).
E come in vetro, in ambra o in cristallo | |
raggio resplende sì, che dal venire | |
27 | a l’esser tutto non è intervallo, |
così ’l triforme effetto del suo sire | |
ne l’esser suo raggiò insieme tutto | |
30 | sanza distinzïone in essordire. |
E come un raggio di sole si riflette (resplende) nel vetro, nell’ambra o nel cristallo, in maniera tale (sì) dal non sussister (è) temporali intermezzi (intervallo) fra il suo giunger alla superficie ed in essa totalmente diffondersi (che dal venire a l’esser tutto), così il triplice (’l triforme) effetto della Creazione s’irraggia (raggiò) dal suo Signore (sire) — in modo simultaneo (insieme tutto) — nella propria creatura (ne l’esser suo), senza soluzione di continuità alcuna nell’iniziare (sanza distinzïone in essordire).
Concreato fu ordine e costrutto | |
a le sustanze; e quelle furon cima | |
33 | nel mondo in che puro atto fu produtto; |
L’ordine e la struttura (costrutto) dell’Universo vennero creati (Concreato fu) insieme alle tre categorie di sostanza; e quelle nelle quali si palesò (fu prodotto) l’atto puro, vennero predestinate al luogo più elevato del Creato (furon cima nel mondo);
pura potenza tenne la parte ima; | |
nel mezzo strinse potenza con atto | |
36 | tal vime, che già mai non si divima. |
la pura potenza ebbe a sostare (tenne) nella parte più bassa (ima) dell’Universo; nel mezzo atto e potenza s’unirono (strinse) così strettamente (tal vime), che giammai si divideranno (divima).
Terza delucidazione spiega cosa creò l’Onnipotente con le sue mani, ossia la forma e la materia, disgiunte o in combinazione fra loro, un triplo prodotto — scevro d’ogni difetto — paragonato a tre dardi in sincrono scocco dall’arco a metaforizzare l’essenza il trilaterale “effetto del suo sire” che s’espande compiutamente nella sua creatura, pervadendola nell’attimo, talché “ordine e costrutto” del Cosmo vennero modellati insieme alle tre tipologie di sostanza: all’Empireo — “cima nel mondo” — furono destinate alle Intelligenze celesti, custodi di “puro atto”; nella zona più sottostante, vale a dire quella infralunare — “la parte ima” — vennero collocate creature destinatarie della “pura potenza”, dando origine al mondo sensibile; infine l’indissolubile combinazione tra pura forma e puro atto vennero posizionate “nel mezzo”, nalla meraviglia dei Cieli nel loro sacro etere.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto | |
di secoli de li angeli creati | |
39 | anzi che l’altro mondo fosse fatto; |
San Girolamo (Ieronimo) ne scrisse asserendo che le entità angeliche (de li angeli) vennero create molti (lungo tratto di) secoli prima (anzi) che venisse forgiato (fosse fatto) il mondo terrestre (l’altro);
ma questo vero è scritto in molti lati | |
da li scrittor de lo Spirito Santo, | |
42 | e tu te n’avvedrai se bene agguati; |
ma la verità da me espressa (questo vero) è trascritta, in svariate pagine (molti lati), da scrittori instillati dallo Spirito Santo, e tu lo potrai constatare leggendone con estrema attenzione (te n’avvedrai se bene agguati);
e anche la ragione il vede alquanto, | |
che non concederebbe che ’ motori | |
45 | sanza sua perfezion fosser cotanto. |
ed anche la ragione dà riprova della tesi (li vede alquanto), ragione alla quale sarebbe peraltro impossibile ammettere (che non concederebbe) che gli angeli motori siano stati (fosser) imperfetti (sanza sua perfezion) per cotanto tempo.
Sul quando Dio ebbe a creare gli angeli, la versione di Beatrice — fondata sulla consonanza — contrasta con quella del biblista, traduttore, teologo e monaco cristiano romano San Girolamo (347-420), il quale sosteneva che fra la creazione degli angeli e quella del mondo fossero trascorsi molti secoli, tuttavia quanto asserito dalla Santa donna sarebbe inequivocabilmente testimoniato da quanto scritto nell’Antico Testamento da “li scrittor de lo Spirito Santo”, nonché potendo confermarlo anche l’intelletto, ragionando sul fatto che se il mondo fosse stato realmente creato dopo svariato tempo rispetto alle Intelligenze motrici dei Cieli, le stesse non avrebbero potuto assolvere al loro ruolo fin da subito ed il che non sarebbe possibile, in quanto nate perfette e quindi adempiendo alla mansione loro preposta fin dall’origine.
Or sai tu dove e quando questi amori | |
furon creati e come: sì che spenti | |
48 | nel tuo disïo già son tre ardori. |
Ora tu sai dove e quando e come furono create queste intelligenze angeliche (questi amori): per modo che tre brame (ardori) siano state appagate (spenti) nella tua sete di sapere (nel tuo disïo).
Né giugneriesi, numerando, al venti | |
sì tosto, come de li angeli parte | |
51 | turbò il suggetto d’i vostri alimenti. |
Tantomeno, contando (Né, numerando), giungeresti (giugneriesi) al numero venti con la medesima celerità (sì tosto) con cui una parte d’angeli turbò i sottostanti elementi terrestri (il suggetto d’i vostri alimenti).
Irrisorio fu invece l’arco temporale passato tra la Creazione e la caduta degli angeli ribelli, al punto che se ne impiegherebbe maggiormente contando da uno a venti.
L’altra rimase, e cominciò quest’arte | |
che tu discerni, con tanto diletto, | |
54 | che mai da circüir non si diparte. |
L’altra parte d’angeli rimase, principiandosi (e cominciò) nella contemplazione divina (quest’arte) — che tu osservi (discerni) — con una gioia tale (tanto diletto) da non verificarsi la minima sosta (che mai non si diparte) nel vorticar (da circüir) intorno all’Altissimo.
Principio del cader fu il maladetto | |
superbir di colui che tu vedesti | |
57 | da tutti i pesi del mondo costretto. |
Ragione di precipitazione (Principio del cader) dai Cieli fu la riprovevole superbia (il maledetto superbir) di colui che tu vedesti gravato (costretto) di tutti i pesi del mondo.
Ciò che accadde in seguito agli angeli devoti ed a quelli avversi fu che i primi continuarono a sostare nell’Empireo in atto di perenne adorazione, viceversa i secondi precipitando a causa del “maladetto superbir” di Lucifero.
Quelli che vedi qui furon modesti | |
a riconoscer sé da la bontate | |
60 | che li avea fatti a tanto intender presti: |
Quelli che vedi qui in Paradiso ebbero l’umiltà (furon modesti) di considerarsi grati alla bontà (a riconoscer sé da la bontate) celeste che li creò adeguati alla percezione d’elette verità (avea fatti a tanto intender presti):
per che le viste lor furo essaltate | |
con grazia illuminante e con lor merto, | |
63 | sì c’hanno ferma e piena volontate; |
indi la loro visione di Dio venendo incrementata sia tramite (per che le viste lor furo essaltate) grazia illuminante che per corrispettivo merito (e con lor merto), per modo da renderli custodi d’una volontà tanto ferrea quanto conforme (sì c’hanno ferma e piena volontate);
Gli angeli buoni vennero premiati con il potenziamento nella visone vivifica e merito ne fu il loro riconoscersi debitori della bontà celeste; tale curiosità — la settima che Beatrice amorevolmente sbroglia e soddisfa — nasce nella mente di Dante in quanto, essendo negli angeli stata effusa bontà assoluta nell’atto della Creazione, egli si chiede in cosa possa consistere il riconoscimento loro elargito per buon comportamento.
e non voglio che dubbi, ma sia certo, | |
che ricever la grazia è meritorio | |
66 | secondo che l’affetto l’è aperto. |
non voglio che in te sorgano perplessità (dubbi) a riguardo, ma sii convinto (certo) del fatto che la ricezione della grazia è soggetta a merito, in base alla caritatevole predisposizione (secondo che l’affetto l’è aperto).
Omai dintorno a questo consistorio | |
puoi contemplare assai, se le parole | |
69 | mie son ricolte, Sanz’altro aiutorio. |
A questo punto (Omai) — se hai ben elaborato (ricolte) le mie parole — per quanto concerne la comunità angelica (dintorno a questo consistorio) dovresti esser in grado di riflettere opportunamente (puoi contemplare assai) senza nessun altro aiuto (aiutorio).
Ma perché ’n terra per le vostre scole | |
si legge che l’angelica natura | |
72 | è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, |
ancor dirò, perché tu veggi pura | |
la verità che là giù si confonde, | |
75 | equivocando in sì fatta lettura. |
Ma visto che sulla Terra, all’interno delle vostre scuole (scole) viene insegnato che l’angeliche essenza (natura) è provvista d’intelletto (tal, che ’ntende), memoria (si ricorda) e volontà (vole), altro (ancora) ne dirò, perché tu veda chiaramente (veggi pura) la verità che laggiù appare incerta (si confonde), equivocando siffatti insegnamenti (in sì fatta lettura).
Queste sustanze, poi che fur gioconde | |
de la faccia di Dio, non volser viso | |
78 | da essa, da cui nulla si nasconde: |
Queste entità angeliche (sustanze), da che beneficiano della visione (poi che fur gioconde de la faccia) di Dio, mai smisero di contemplarLo (non volser viso da essa), al quale nulla è celato (si nasconde):
però non hanno vedere interciso | |
da novo obietto, e però non bisogna | |
81 | rememorar per concetto diviso; |
va da sé che la loro percezione della realtà mai s’interrompe (però non hanno vedere interciso) per aggiunta d’un nuovo oggetto (da novo obietto) di conoscenza, derivandone quant’esse non abbiano necessità di rimembrare (e però non bisogna rememorar) concetti assimilati nel tempo (per concetto diviso);
sì che là giù, non dormendo, si sogna, | |
credendo e non credendo dicer vero; | |
84 | ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. |
ad ogni modo sul mondo (sì che là giù), si sogna ad occhi aperti (non dormendo), asserendo una verità (dicer vero) in buona od in cattiva fede (credendo e non credendo); tuttavia in quest’ultimo caso albergando maggior (ma ne l’uno è più) colpa e vergogna.
Ottava decifrazione menziona la capacità di ricordare delle Intelligenze angeliche, la bella Beatrice dapprima rassicurando l’Alighieri sulle competenze teoriche che ormai dovrebbe aver acquisto sul filo dell’esegesi fin qui tratteggiata in campo angelico, al punto da non necessitare d’ulteriore supporto, nondimeno la donna preferendo aggiungere precisazioni che vadano a correttamente illustrare erronee interpretazioni che nelle sedi scolastiche terrestri vengono proposte in maniera alquanto confusionaria, riportando in dote agli angeli capacità mnemonica, ella dichiarando quant’essi non abbiano bisogno alcuno di rimembrare, poiché costantemente fissi nello sguardo divino — ch’è inesauribile e somma fonte di piacere — dunque peccando di menzogna chi affermi il contrario, in proporzione macchiandosi di maggior colpa colui che sbagli con cognizion di causa.
Voi non andate giù per un sentiero | |
filosofando: tanto vi trasporta | |
87 | l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! |
Voi non intraprendete un percorso univoco (andate giù per un sentiero) nelle discipline filosofiche (filosofando): tanto vi trascina (trasporta) la smania d’apparire (l’amor de l’apparenza) ed il timore di non riuscir nei vostri propositi (e ’l suo pensiero)!
E ancor questo qua sù si comporta | |
con men disdegno che quando è posposta | |
90 | la divina Scrittura o quando è torta. |
Tuttavia, ancor ancora tutto ciò quassù è tollerato (si comporta) con minor (men) sdegno di quello riservato al posporre (che quando è posposta) le Sacre (divina) Scritture o all’alterarne il significato (quando è torta).
Non vi si pensa quanto Sangue costa | |
seminarla nel mondo e quanto piace | |
93 | chi umilmente con essa s’accosta. |
Sulla Terra non ci si sofferma a riflettere (non vi si pensa) su quanto Sangue sia costato divulgare la parola di Dio (seminarla) nel mondo e quanto a Lui garbino coloro che ad essa umilmente s’uniformino (accosta).
Per apparer ciascun s’ingegna e face | |
sue invenzioni; e quelle son trascorse | |
96 | da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. |
Pur d’apparire ciascuno s’ingegna e s’inventa deduzioni (face sue invenzioni); le quali vengon diffuse dai predicatori (quelle son trascorse da’ predicanti), mettendo a tacere il Vangelo ( e ’l Vangelio si tace).
Un dice che la luna si ritorse | |
ne la passion di Cristo e s’interpuose, | |
99 | per che ’l lume del sol giù non si porse; |
Talun sostiene (Un dice) che durante la passione del Cristo la Luna invertì il proprio corso (si ritorse), interponendosi fra la Terra ed il Sole, per modo che la radiazione luminosa di quest’ultimo non arrivasse sulla sfera terrestre (’l lume del sol giù non si porse);
e mente, ché la luce si nascose | |
da sé: però a li Spani e a l’Indi | |
102 | come a’ Giudei tale eclissi rispuose. |
ed afferma il falso (e mente), essendo che la luce si nascose da sé: dacché (però) tale eclissi fu visibile (rispuose) sia dalla Spagna che dall’India (a li Spani e a l’Indi), così come dalla Giudea (a’ Giudei).
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi | |
quante sì fatte favole per anno | |
105 | in pergamo si gridan quinci e quindi: |
Non vi son in (ha) Firenze (Fiorenza) tanti Lapi e Bindi quante siffate fandonie (sì fatte favole) ogni anno vengono gridate ai quattro venti (si gridan quinci e quindi) dal pulpito (in pergamo); “Lapi e Bindi”, corrispondevano rispettivamente ai diminutivi di ‘Iacopo’ e ‘Aldobrandino’, nomi che al termine del Duecento par fossero tanto comuni entro i confini del capoluogo toscano, da risultar propri d’almen 2500 individui, diffusione dunque, dal poeta ironicamente equiparata alla mole di stoltezze pronunciate dagli alboni.
sì che le pecorelle, che non Sanno, | |
tornan del pasco pasciute di vento, | |
108 | e non le scusa non veder lo danno. |
cosicché le pecorelle, ignare (che non Sanno), rientrano dal pascolo (tornan del pasco) intrise di frottole (pasciute di vento), e non fa loro da scusante (non le scusa) il fatto di non rendersi conto del (veder lo) danno.
Non disse Cristo al suo primo convento: | |
‘Andate, e predicate al mondo ciance’; | |
111 | ma diede lor verace fondamento; |
e quel tanto sonò ne le sue guance, | |
sì ch’a pugnar per accender la fede | |
114 | de l’Evangelio fero scudo e lance. |
Alla sua prima collettività cristiana (al suo primo convento) Cristo non disse: ‘Andate, e predicate al mondo ciance’; viceversa le fornì (ma diede lor) il dogma della verità (verace fondamento); e quel dogma (tanto) risuonò nelle bocche degli Apostoli (sonò ne le sue guance) a tal punto, che nei conflitti sostenuti per diffondere (sì ch’a pugnar per accender) la fede, s’armarono esclusivamente del Vangelo (de l’Evangelio fero scudo e lance).
Ora si va con motti e con iscede | |
a predicare, e pur che ben si rida, | |
117 | gonfia il cappuccio e più non si richiede. |
Ora si girovaga predicando (si va a prediccare) con motteggi (motti) e facezie (iscede), e purché chi ascolti alquanto se la spassi (pur che ben si rida), il predicatore gonfia il cappuccio e null’altro ha da chiedere (più non si richiede).
Ma tale uccel nel becchetto s’annida, | |
che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe | |
120 | la perdonanza di ch’el si confida: |
Ma nella punta del cappuccio (becchetto) s’annida un tale uccellaccio che se il popolo lo (’l vulgo il) vedesse, comprenderebbe a che razza d’indulgenze s’affida (vederebbe la perdonanza di ch’el si confida):
per cui tanta stoltezza in terra crebbe, | |
che, Sanza prova d’alcun testimonio, | |
123 | ad ogne promession si correrebbe. |
al fin di lucrar le quali copiosa (per cui tanta) stoltezza s’incrementò (crebbe) sulla Terra, che, senza convalida ecclesiastica alcuna (sanza prova d’alcun testimonio), s’accorrerebbe a qualsivoglia promessa (ad ogne promession si correrebbe).
Di questo ingrassa il porco Sant’Antonio, | |
e altri assai che sono ancor più porci, | |
126 | pagando di moneta Sanza conio. |
Di quest’ingenuità Sant’Antonio ingrassa il porco e molteplici (assai) altri porci che sono ancor più porci, pagando con falsa (senza conio) moneta.
Quattordici le terzine dal Sommo affidate alla voce dell’amata, al fin di muover biasimo verso inattendibili omelisti e pensatori, dapprincipio condannando terrene scuole filosofiche fondate su “l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero”, anziché ligiamente attenersi alla Rivelazione, unica fonte di fede, compiendo così atto d’irriverenza — Beatrice puntualizza — tuttavia tollerato dai Cieli più di quanto non lo sia travisar volontariamente le Sacre Scritture, seminando deleterie falsità, quali, a titolo d’esempio, l’invenzione della sfera lunare che “si ritorse ne la passion di Cristo e s’interpuose per che ’l lume del sol giù non si porse”, evento smascherato da quanto riportato sull’evento dai Vangeli, ovverosia d’un eclissi percepita ben oltre la Terrasanta.
I predicatori — prosegue invettiva — in luogo della verità propinano torbide menzogne ed evangelizzano “con motti e con iscede”, invece di percorrere sentiero tracciato dagli Apostoli, in costante ascolto degli insegnamenti impartiti da Cristo.
L’espressione “gonfia il cappuccio e più non si richiede” indica un frate che tronfio del consenso suscitato nel popolo, non badava ad altro ed altrettanto lo sprovveduto “vulgo”, laddove al contrario fosse stato in grado d’intraveder il demonio — “tale uccel” — celato dall’abito talare, ben avrebbe compreso la degradante vacuità di determinate indulgenze ed assoluzioni, malauguratamente dilaganti e fautrici d’un facilismo da cui traeva economico profitto l’Ordine di Sant’Antonio Abate (251-356) — anacoreta nella Tebaide ai giorni di Costantino ( 274-337), ritenuto fondatore del monachesimo cristiano e dall’iconografia canonica, dacché patrono degli animali domestici, raffigurato con accanto il diavolo tentatore dai suidi caratteri — all’epoca dell’Alighieri prosperante in Europa grazie ad una remunerativa attività d’allevamento suini sovvenzionato dalle parcelle di monaci guaritori, in particolare dell’herpes zoster, altrimenti appunto detto Fuoco di Sant’Antonio, oltreché dai ricavati del traffico di remissioni.
Ma perché siam digressi assai, ritorci | |
li occhi oramai verso la dritta strada, | |
129 | sì che la via col tempo si raccorci. |
Ma dato che abbiam deviato abbastanza dal discorso (perché siam disgressi assai), riporta (ritorci) ormai attenzione (li occhi) verso la retta via (dritta strada), così che il discorso (la via) s’abbrevi in relazione al (si raccorci con) il tempo a disposizione.
Questa natura sì oltre s’ingrada | |
in numero, che mai non fu loquela | |
132 | né concetto mortal che tanto vada; |
La specie angelica (Questa natura) talmente s’accresce d’ordine in ordine (s’ingrada in numero), dal non esistere linguaggio (che mai fu loquela), tantomeno concezione umana (né concetto mortal) idonea al concepirla (che tanto vada);
e se tu guardi quel che si revela | |
per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia | |
135 | determinato numero si cela. |
e se tu valuti profondamente (guardi) quanto rivelato da Daniele (quel che si revela per Danïel), t’accorgerai (vedrai) che nelle moltitudini (’n sue migliaia) delle quali parla, si cela un numero ben preciso (determinato).
Quanti sono gli angeli è impossibile quantificarlo, Beatrice affrontando il discorso in maniera solerte, dato il non esser ancora molto il tempo che lei e Dante trascorreranno nel Primo Mobile ed a tal proposito esortandolo a riprender “la giusta strada”, intesa come itinerario discorsivo, nonché spronandolo a concentrarsi su quanto asserì il profeta Daniele sull’argomento, narrando d’aver sognato Dio, al cui servizio migliaia di servitori: ‘millia millium ministrabant ei, et decies millies centena milia adsistebant ei’ — ‘migliaia di migliaia lo servivano, e diecimila volte centomila stavano al suo cospetto’.
La prima luce, che tutta la raia, | |
per tanti modi in essa si recepe, | |
138 | quanti son li splendori a chi s’appaia. |
La luce di Dio (prima), che s’irradia su tutta la natura angelica (tutta la raia), viene dalla stessa captata in tante modalità (per tanti modi in essa si recepe), quanti son i singoli angeli sui quali si rifrange (li splendori a chi s’appaia).
Onde, però che a l’atto che concepe | |
segue l’affetto, d’amar la dolcezza | |
141 | diversamente in essa ferve e tepe. |
Onde, considerando come alla cognizione di Dio consegua l’amarlo (però che a l’atto che concepe segue l’affetto, la soavità della beatitudine (d’amar la dolcezza) si differenzia per intensità d’ardore (diversamente in essa ferve e tepe).
Vedi l’eccelso omai e la larghezza | |
de l’etterno valor, poscia che tanti | |
144 | speculi fatti s’ha in che si spezza, |
145 | uno manendo in sé come davanti». |
Adesso puoi ormai vedere la suprema altezza (Vedi l’eccelso omai) e la magnificenza divina (larghezza de l’etterno valor), dopo l’aver creato molti specchi (poscia che tanti speculi fatti tanti s’ha) nei quali (in che) si ripartisce (spezza), pur mantenendo la propria unità (uno manendo in sé) come prima (davanti) di crearli”.
Se gli angeli siano tutti uguali è il silente quesito conclusivo, la luce di Dio spandendosi su tutte le sue creature e da ciascuna d’esse venendo assorbita in maniera differente, commisurata all’amore nei suoi confronti, sempre successivo alla visione e da quest’ultima spiegazione l’Alighieri dovrebbe captare l’incommensurabile meraviglia divina, capace di suddivider la propria luce in tutto il Creato, pur “uno manendo in sé come davanti”.
Fra l’ombra della sfera terrestre principierà il prossimo Canto: “Forse semilia miglia di lontano ci ferve l’ora sesta, e questo mondo china già l’ombra quasi al letto piano…”
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