Divina Commedia: Paradiso, Canto XXIV
Lajos Gulácsy (1882-1932), Incontro di Dante e Beatrice, ca. 1905
Ancor nel Cielo delle Stelle Fisse, Beatrice, delicatamente domanda alle anime presenti di elargir sapienza all’Alighieri, giacché per divina misericordia in Paradiso prima della morte e da fulgido rotear di beati, devozione e caritatevole amore impressi in appello, rapiscono l’attenzione di San Pietro, beato al quale ella rivolge allora richiesta di comprovar la profonda fede nell’ Eterno intimamente custodita dal vate. L’Apostolo, pur conscio che Dante abbia in sé integre le tre virtù teologali — poiché in grado di legger nella mente di Dio — senza indugi accoglie preghiera concedendogli in tal modo l’opportunità di glorificar proprio la fede a merito di cui si accede al Regno dei Giusti e difatti, principia dialogo sollecitando il poeta a fornir di essa definizione.
Con solennità e dottrina il Sommo dissertando, raccoglie entusiasta approvazione — conferma d’una destinazione sempre più vicina e percettibile — di San Pietro, spirito maestro sfolgorante clemenza ed elevata autorità, al quale grazia scrittoria dantesca quasi riesce ad infonder lieve parvenza umana, persin d’infante tratteggiandone il gioioso temperamento fra canti e danze, restituendo al contempo immagine della serenità, quantunque immersa nella maestosità, paradisiaca.
«O sodalizio eletto a la gran cena | |
del benedetto Agnello, il qual vi ciba | |
3 | sì, che la vostra voglia è sempre piena, |
se per grazia di Dio questi preliba | |
di quel che cade de la vostra mensa, | |
6 | prima che morte tempo li prescriba, |
ponete mente a l’affezione immensa | |
e roratelo alquanto: voi bevete | |
9 | sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa.» |
“O comunità dei beati invitata al banchetto nuziale (sodalizio eletto a la gran cena) dell’Agnello benedetto, il quale vi nutre in modo (ciba sì) che la vostra fame sia (voglia è) sempre sazia (piena), se per grazia di Dio costui (questi) pregusta ciò (preliba di quel) che cade dalla vostra mensa prima che la morte gli abbia ingiunto scadenze temporali (tempo li prescriba), prendete in considerazione la sua immane brama (ponete mente a l’affezione immensa) ed irroratelo un poco (roratelo alquanto): voi bevete sempre dalla sorgente da cui proviene ciò che indirizza il suo pensare (del fonte onde vien quel ch’ei pensa)”.
Così Beatrice; e quelle anime liete | |
si fero spere sopra fissi poli, | |
12 | fiammando, volte, a guisa di comete. |
Così afferma Beatrice; e quelle anime liete si posizionano a cerchio intorno a dei perni (si fero spere sopra poli) fissi, fiammeggiando e ruotando come (fiammando, volte, a guisa di) comete.
La beata guida apre il Canto in cortese implorazione alla comunità degli spiriti beati, la cui metafora eucaristica un convito ove il “benedetto Agnello” menzionato è l’Agnus Dei di matrice evangelista — secondo Giovanni — ovvero all’Agnello di Dio riferito al Cristo in veste di vittima sacrificale a redenzione dei peccati dell’umanità tutta e Beatrice, ben consapevole di quanto della sua misericordia divina si nutrano e s’appaghino le anime elette, ad esse chiede che il proprio protetto, graziato dall’Altissimo con il privilegio del suo viaggio nell’Oltretomba da vivente, possa partecipare a quella “gran cena” che simbolizza l’eterna salvezza, l’estasiata reazione dei beati portandoli a piroettare fiammanti, come ruotando attorno ad un cardine fisso ed al contempo rilucendo “a guisa di comete”.
E come cerchi in tempra d’orïuoli | |
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente | |
15 | quïeto pare, e l’ultimo che voli; |
E come le rotelle nell’ingranaggio degli orologi (cerchi in tempra d’orïuoli) girano per modo che, a chi le osservi (pon mente), la prima appaia quasi ferma (’l primo quïeto pare), mentre l’ultima sembra che voli;
così quelle carole, differente- | |
mente danzando, de la sua ricchezza | |
18 | mi facieno stimar, veloci e lente. |
così quelle corone (carole) volteggianti su tempi diversi (differente-mente danzando), una più celere e l’altra più rallentata (veloci e lente), permettono all’Alighieri di (mi facieno) stimar il grado della loro beatitudine (de la sua ricchezza).
Il paragone raffronta — sulla linea delle interpretazioni più accreditate — gli ingranaggi di un orologio, il centrale quasi fermo ed i rimanenti più celeri, con velocità differenti fra loro che son dantesca e peculiare allegoria dei vari gradi di beatitudine.
Le “carole” erano medievali danze di gruppo, ballate in una sorta di girotondo, con percussioni e canti di sottofondo e nelle quali solitamente i ballerini giravano circolarmente tenendosi per mano.
Di quella ch’io notai di più carezza | |
vid’io uscire un foco sì felice, | |
21 | che nullo vi lasciò di più chiarezza; |
Da (Di) quella ruota danzante che Dante nota come la maggiormente preziosa (di più carezza), il pellegrino vede fuoriuscire una luce tanto lieta (vid’io uscire un foco sì felice), da non lasciarsene dietro nessun altra parimenti luminosa (che nullo vi lasciò di più chiarezza);
e tre fïate intorno di Beatrice | |
si volse con un canto tanto divo, | |
24 | che la mia fantasia nol mi ridice. |
e per tre volte (fïate) ruota (si volse) intorno a Beatrice con un inno talmente eccelso (canto tanto divo), che la facoltà immaginativa (fantasia) del poeta non riesce a restituirlo (nol mi ridice).
L’Alighieri individua la “carola” più “carezza”, ossia la più grande, gioiosa e lesta rispetto a tutte le altre che, sul filo d’un canto d’indescrivibile magnificenza, avvicenda la donna amata in triplice rotear.
Però salta la penna e non lo scrivo: | |
ché l’imagine nostra a cotai pieghe, | |
27 | non che ’l parlare, è troppo color vivo. |
Per tal ragione (Però) la penna salta questa parte e Dante non ne scrive: poiché l’immaginazione umana (l’imagine nostra) — nonché le parole (non che ’l parlare) — son di tinta eccessivamente accesa (è troppo color vivo), per la bellezza di quell’inno (a cotai pieghe).
La visione è talmente sublime da esser il dantesco inchiostro invalidato nel riportarne adeguatamente, la penna dell’autore passando oltre.
«O santa suora mia che sì ne prieghe | |
divota, per lo tuo ardente affetto | |
30 | da quella bella spera mi disleghe.» |
“O mia santa sorella che ci preghi con cotanta devozione (sì ne prieghe divota), è per la tua ardente carità (affetto) che mi slego (disleghe) de quella bella ruota (spera)”.
Poscia fermato, il foco benedetto | |
a la mia donna dirizzò lo spiro, | |
33 | che favellò così com’i’ ho detto. |
Non appena arrestatosi (Poscia fermato), la beata fiamma (foco benedetto) orienta il fiato verso Beatrice (dirizzò lo spiro a la mia donna), parlando come appena riportato dall’Alighieri (che favellò così com’i’ ho detto).
A parlare è lo spirito più beato il quale, smosso dalla sentita e caritatevole affezione della donna, si rende benevolmente disponibile ad affrancarsi dal santo drappello per accondiscenderla.
Ed ella: «O luce etterna del gran viro | |
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, | |
36 | ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, |
tenta costui di punti lievi e gravi, | |
come ti piace, intorno de la fede, | |
39 | per la qual tu su per lo mare andavi. |
Ed ella: “O eterna del grande uomo (viro) al quale il Nostro Signore lasciò le chiavi di questa magnifica letizia (gaudio miro), ch’egli (ei) si portò sulla Terra, metti alla prova (tenta) costui su argomentazioni accessorie o sostanziali (di punti lievi e gravi), come più ti garba, riguardo alla (intorno de la) fede, grazie alla quale tu camminavi (andavi) sulle acque del (su per lo) mare.
S’elli ama bene e bene spera e crede, | |
non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi | |
42 | dov’ogne cosa dipinta si vede; |
A te non è oscuro (occulto) s’egli (elli) metta ben in pratica fede, speranza e carità (ama bene e bene spera e crede), essendo il tuo sguardo fisso ove tutte le cose si vedono riflesse (dov’ogne cosa dipinta si vede);
ma perché questo regno ha fatto civi | |
per la verace fede, a glorïarla, | |
45 | di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». |
ma poiché il regno del Cieli (nostro) s’è popolato (ha fatto civi) per mezzo della vera (verace) fede, al fin di glorificarla (a glorïarla) sarà opportuno che gli sia consentito discorrerne (di lei parlare è ben ch’a lui arrivi)”.
La “luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi” è l’apostolo san Pietro (I secolo a.C. – 64/67 d.C.), a cui vennero affidate le chiavi del Paradiso, le medesime che, nell’ultimo versetto in chiusura del precedente Canto, vennero definite “le chiavi di tal gloria”.
All’anima Beatrice chiede d’esaminare la preparazione di Dante in materia delle tre virtù teologali, premettendo quanto al santo nulla sia celato, vedendo tramite l’Onnipotente, tuttavia ella ritenendo appropriato che all’Alighieri sia elargita la possibilità di pronunciarsi personalmente a riguardo, per modo da glorificare la propria fede in maniera diretta.
L’espressione “per la qual tu su per lo mare andavi” rimanda al noto episodio evangelico — secondo Matteo — in cui si narra del camminar di Gesù sulle lacustri acque di Tiberiade, con un Pietro talmente intriso di fede che, su chiamata del Maestro, a lui s’avvia, egli stesso marciando sulla superficie del lago.
Sì come il baccialier s’arma e non parla | |
fin che ’l maestro la question propone, | |
48 | per approvarla, non per terminarla, |
così m’armava io d’ogne ragione | |
mentre ch’ella dicea, per esser presto | |
51 | a tal querente e a tal professione. |
Così come il baccelliere si predispone mentalmente (baccialier s’arma) e non parla fino a che l’insegnante non ha proposto la tesi da discutere (fin che ’l maestro la question propone), a scopo d’elaborazione (per approvarla), ma non per tirarne conclusioni (terminarla), parimenti Dante si prepara rielaborando ogni argomentazione (così m’armava io d’ogne ragione) — mentre Beatrice sta parlando (ch’ella dicea) — per risultare pronto (esser presto) ad interagire con tal esaminatrore (querente) e su tal materia (professione).
Mentre ascolta la sua Beatrice, un fremente e teso Alighieri ripassa mentalmente le proprie conoscenze, al fin di mostrarsi convenientemente istruito e, per l’appunto, paragonato ad un “baccialier”, termine ricalcante il ‘bachelier’ che ai tempi era in voga utilizzar presso la facoltà teologica dell’università parigina, per indicare lo studente a fine percorso di studi che fosse in procinto d’affrontar la discussione della tesi proposta dal docente, suffragandola con valide trattazioni.
«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: | |
fede che è?». Ond’io levai la fronte | |
54 | in quella luce onde spirava questo; |
“Dimmi, o buon cristiano, palesati (fatti manifesto): la fede che cos’è?”. Quindi Dante solleva il viso verso (Ond’io levai la fronte in) quello spirito splendente (luce) dal quale provengono queste parole (onde spirava questo);
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte | |
sembianze femmi perch ïo spandessi | |
57 | l’acqua di fuor del mio interno fonte. |
poi si volge a Beatrice, ed ella facendogli immediato cenno affich’egli spurghi tutte le sue perplessità interiori (essa pronte sembianze femmi perch ïo spandessi l’acqua di fuor del mio interno fonte).
Alla domanda di san Pietro di spiegare quale sia per lui la definizione della fede, l’Alighieri cerca il rassicurante sguardo dell’amata, da lei spronato ad aprirsi senza timor alcuno, pertanto fra santo e discepolo iniziando una lunga, intima e profonda conversazione.
«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», | |
comincia’ io, «da l’alto primipilo, | |
60 | faccia li miei concetti bene espressi.» |
Dante inizia dicendo (comincia’ io): “La grazia divina che mi concede di professar la mia fede (dà ch’io mi confessi) al cospetto del suo capofila (da l’alto primipilo), mi sia d’aiuto ad esprimermi chiaramente (faccia li miei concetti bene espressi).
Letteralmente il vocabolo “primipilo” — derivante dal latino ‘centurio primi pili’ ed appartenente al linguaggio militare romano — significa ‘centurione del primo manipolo di veterani’, qui riferito a san Pietro per sottolinearne il ruolo di primo pontefice della Chiesa e guida spirituale dei fedeli.
E seguitai: «Come ’l verace stilo | |
ne scrisse, padre, del tuo caro frate | |
63 | che mise teco Roma nel buon filo, |
fede è sustanza di cose sperate | |
e argomento de le non parventi; | |
66 | e questa pare a me sua quiditate». |
E prosegue (seguitai): “Come ne scrisse, o padre, la penna veritiera (’l verace stilo) del tuo caro fratello (frate) che insieme a te condusse (mise teco) Roma sulla retta via della fede (nel buon filo), la fede è il fondamento sostanziale d’ogni speranza (sustanza di cose sperate) e il presupposto concettuale dal quale s’evince l’esistenza di quanto non è visibile (argomento de le non parventi); e questa a me pare sia la sua essenza (quiditate)”.
L’Alighieri avanza una prima risposta accennando alla fede sulla linea della concezione del “caro frate”, apostolo e martire, san Paolo (4 d.C. – 67 d.C.), secondo il quale la fede è, da un lato, il principio sostanziale della speranza umana e, dall’altro, il presupposto concettuale a cui riferisri per poter credere a ciò ch’è invisibile.
Allora udi’: «Dirittamente senti, | |
se bene intendi perché la ripuose | |
69 | tra le sustanze, e poi tra li argomenti». |
Allora Dante sente (udì) dire in risposta: “Tu pensi in maniera corretta (Dirittamente senti), se ben intendi perché san Paolo ripose la fede dapprima fra le sostanze, e poi fra gli argomenti”.
E io appresso: «Le profonde cose | |
che mi largiscon qui la lor parvenza, | |
72 | a li occhi di là giù son sì ascose, |
che l’esser loro v’è in sola credenza, | |
sopra la qual si fonda l’alta spene; | |
75 | e però di sustanza prende intenza. |
E l’Alighieri in immediata ribattuta (appresso): “I profondi misteri divini (Le profonde cose) che qui in Paradiso mi si svelano (largiscon lor parvenza), son talmente arcani (sì ascose) agli occhi di coloro che stanno sulla Terra (di là giù), da esserne la sussistenza ammissibile esclusivamente per atto di fede (l’esser loro v’è in sola credenza), sopra la quale si fonda la speranza della salvezza eterna (l’alta spene); ecco il motivo per il quale la fede prende il nome si sostanza (e però di sustanza prende intenza).
E da questa credenza ci convene | |
silogizzar, sanz’avere altra vista: | |
78 | però intenza d’argomento tene». |
Ed è da questa fede (credenza) ch’è per noi mortali opportuno dedurre (ci convene silogizzar) ogni verità, in quanto non v’è alternativa possibile, data l’assenza d’altre percezioni (sanz’avere altra vista): pertanto, in questo caso la fede assume la denominazione d’argomento”.
San Pietro comunica dapprima a Dante l’esattezza della sua prima enunciazione riguardo alla fede, poi desiderando assicurarsi ch’egli abbia correttamente compreso il senso della classificazione che san Paolo ne fece, or catalogandola “tra le sustanze” or “tra li argomenti”, allor l’Alighieri specificando come sulla Terra siano talmente inaccessibili gli enigmi celesti, da potervi porre credenza esclusivamente tramite una forte fede, considerata come unica possibilità d’eterna salvezza dell’anima e, di conseguenza, conducendo esistenza ragionando per modo da trarre qualsiasi ragionamento dalla stessa, quindi la fede essendo prima “sustanza di cose sperate” e poi “argomento de le non parventi”.
Allora udi’: «Se quantunque s’acquista | |
giù per dottrina, fosse così ’nteso, | |
81 | non lì avria loco ingegno di sofista». |
Allora Dante sente dire: “Se tutto ciò che sulla Terra viene appreso tramite (quantunque s’acquista giù per) dottrina, venisse perfettamente compreso (fosse così ’nteso), in materia (lì) non vi sarebbe (avria) spazio per ragionamenti da sofisti (loco ingegno di sofista)”.
Così spirò di quello amore acceso; | |
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa | |
84 | d’esta moneta già la lega e ’l peso; |
Queste quanto detto da quell’anima ardente di carità (Così spirò di quello amore acceso); indi la stessa aggiungendo (soggiunse): “La lega ed il peso di questa moneta ti son ben passate fra le mani (Assai bene è trascorsa);
ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». | |
Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, | |
87 | che nel suo conio nulla mi s’inforsa». |
ma dimmi se tu ne hai nella tua borsa”. Dunque l’Alighieri (Ond’io): “Sì ne ho, e di così lucicante (lucida) e tonda da non nutrir alcun dubbio (nulla mi s’inforsa) riguardo al suo conio”.
San Pietro ribatte col dir che se sul mondo non vi fossero misteri, qualsivoglia sofismo non sussisterebbe e, sebben compiacendosi delle risposte finora date da Dante, il beato, dopo avergli reso atto della sue precise conoscenze sia a livello concettuale (lega) che teologico (peso), porgendo domanda schietta al proprio allievo, senza mezzi termini da lui desiderando sapere se questa famigerata fede la possegga o meno (ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa) e l’Alighieri — mantenendosi sulla medesima metafora monetaria — replicando d’averne “sì lucida e sì tonda”, da non sorgergli alcuna perplessità concernente il suo valore (conio).
Appresso uscì de la luce profonda | |
che lì splendeva: «Questa cara gioia | |
90 | sopra la quale ogne virtù si fonda, |
onde ti venne?». E io: «La larga ploia | |
de lo Spirito Santo, ch’è diffusa | |
93 | in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, |
è silogismo che la m’ha conchiusa | |
acutamente sì, che ’nverso d’ella | |
96 | ogne dimostrazion mi pare ottusa». |
Subito dopo (Appresso), dalla profonda luce che lì risplendeva, fuoriescono (uscì) tali parole: “Questa preziosa gemma (cara gioia) sulla quale si fonda ogni altra virtù, da dove ti giunse?”. E Dante: “La copiosa pioggia (larga ploia) dello Spirito Santo — della quale s’inondano Antico e Nuovo Testamento (ch’è diffusa in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia) —è sillogismo che m’ha condotto a questa conclusione (la m’ha conchiusa) in maniera tanto suadente (acutamente sì), da farmi sembrare debole (mi pare ottusa) ogni dimostrazione al suo confronto (’nverso d’ella).
Io udi’ poi: «L’antica e la novella | |
proposizion che così ti conchiude, | |
99 | perché l’hai tu per divina favella?». |
L’Alighieri poi sente dire: “La premessa formata dall’Antico e Nuovo Testamento (L’antica e la novella proposizion che di ciò tanto (così) ti persuade (conchiude), per qual motivo la ritieni parola (perché l’hai tu per favella) divina?
E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, | |
son l’opere seguite, a che natura | |
102 | non scalda ferro mai né batte incude». |
E Dante: “La prova che m’avvalora (mi dischiude) la verità (’l ver) è il ripetersi d’eventi (son l’opere seguite) per i quali (a che) la natura non possiede di mezzi o capacità operative adeguate (non scalda ferro mai né batte incude)”.
Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura | |
che quell’opere fosser? Quel medesmo | |
105 | che vuol provarsi, non altri, il ti giura». |
All’Alighieri vien (fummi) risposto: “Dimmi, chi t’assicura sul fatto che quei miracoli siano accaduti davvero (quell’opere fosser)? Te ne dà garanzia (il ti giura) quel medesimo testo — e non altri — la cui attendibilità ancor dev’esser dimostrata (che vuol provarsi)”.
«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», | |
diss’io, «sanza miracoli, quest’uno | |
108 | è tal, che li altri non sono il centesmo: |
Dante afferma: “Se il mondo si convertì (rivolse) al cristianesimo senza il riscontro dei miracoli, questo fatto è di per sé un miracolo tale (quest’uno è tal), da non valerne la centesima parte (non sono il centesmo) tutti gli altri:
ché tu intrasti povero e digiuno | |
in campo, a seminar la buona pianta | |
111 | che fu già vite e ora è fatta pruno.» |
difatti tu entrasti in campo povero e digiuno, per seminar la buona pianta che un tempo era (fu già) vite ed ora è divenuta (fatta) un pruno”.
L’ultima parte del confidenziale colloquiar porta san Pietro ad indagare su quali siano le fonti dalle quali l’Alighieri carpisce la propria fede, Dante portando a testimonianza le Sacre Scritture ed i miracoli d’Iddio, all’ulteriore provocazione dall’anima, che gli chiede com’egli possa esser certo che tali fenomeni soprannaturali siano effettivamente avvenuti, l’Alighieri adducendo il fatto che se tutti gli uomini avessero fede in ciò che non si vede, senza che mai nessun miracolo sia realmente accaduto, la situazione di per sé sarebbe già miracolosa.
Finito questo, l’alta corte santa | |
risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ | |
114 | ne la melode che là sù si canta. |
Terminato questo discorso, l’elevata e schiera degli spiriti (l’alta corte santa) intona, risuonandolo di ruota in ruota (risonò per le spere) un ‘Te Deum laudamus’ (‘Dio laudamo’) nel genere melodico tipico del Paradiso (ne la melode che là sù si canta).
Il ‘Te Deum laudamus’ è incipit del celeberrimo inno non-biblico, in omaggio e gratitudine alla Santissima Trinità, melodia che Dante già udì accedendo al Purgatorio, come descritto nella quarantasettesima terzina del nono Canto purgatoriale: “Io mi rivolsi attento al primo tuono, e ‘Te Deum laudamus’ mi parea udire in voce mista al dolce suono”.
E quel baron che sì di ramo in ramo, | |
essaminando, già tratto m’avea, | |
117 | che a l’ultime fronde appressavamo, |
ricominciò: «La Grazia, che donnea | |
con la tua mente, la bocca t’aperse | |
120 | infino a qui come aprir si dovea, |
sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; | |
ma or convien espremer quel che credi, | |
123 | e onde a la credenza tua s’offerse». |
E quell’insigne dignitario del regno celeste (baron) il quale, esaminando l’Alighieri, l’ha appena accompagnato (già tratto m’avea) di questione (ramo) in questione, in maniera graduale (sì) quasi raggiungendo il punto conclusivo dell’esame (che a l’ultime fronde appressavamo), riprende a parlare, asserendo: “La grazia divina — che si mostra propensa (donnea) nei confronti della tua mente — t’ha fatto parlare fino (la bocca t’aperse infino) a qui per come avresti dovuto parlare (come aprir si dovea), per modo ch’io approvi quanto fuoriuscito dalla tua bocca (ciò che fuori emerseI); ma or è giunto il momento (cinvien) che tu renda esplicito l’oggetto della tua fede (espremer quel che credi), nonché la fonte delle tue credenze (e onde a la credenza tua s’offerse)”.
San Pietro, designato col termine feudale “baron” a conferma della sua dignitaria posizione celeste, desidera che in ultimo Dante confidi quali siano realmente i fondamento da cui origina il suo credo.
Il verbo “donnea”, deriva dal provenzale ‘domnejar’, vale a dire ‘corteggiare una dama’, qui usato per evidenziare benevolenza del Padre Eterno nei confronti dell’Alighieri.
«O santo padre, e spirito che vedi | |
ciò che credesti sì, che tu vincesti | |
126 | ver’ lo sepulcro più giovani piedi», |
comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti | |
la forma qui del pronto creder mio, | |
129 | e anche la cagion di lui chiedesti. |
Dante inizia a rispondere: “O santo padre, e spirito che ora vedi ciò in cui avesti fede da vivente (ciò che credesti) con tanto fervore (sì), da primeggiare — con chi era più giovane di te (più giovani piedi) — nella corsa verso il (che tu vincesti ver’ lo) sepolcro di Cristo, tu vuoi ch’io ora manifesti l’essenza della mia fede (la forma qui del pronto creder mio), oltre all’origine del mio credo (e anche la cagion di lui chiedesti).
Premesso che la parafrasi di tal terzina è oggetto di perplessità, in quanto non perfettamente corrispondente al resoconto evangelico secondo Giovanni, colui ch’ebbe “più giovani piedi” e sul quale san Pietro ebbe la meglio, sarebbe l’apostolo Giovanni (10 d.C. circa – 98 d.C. circa) con cui egli si diresse al sepolcro di Cristo, entrando per primo, dopo aver saputo dalla Maddalena ch’era vuoto.
E io rispondo: Io credo in uno Dio | |
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, | |
132 | non moto, con amore e con disio; |
E io rispondo: Io credo in un unico (solo) ed eterno Dio, immobile (non moto) forza motrice di tutti i Cieli (che tutto ’l ciel move), nei quali effonde amore e stimola desiderio (con disio) di Sé;
e a tal creder non ho io pur prove | |
fisice e metafisice, ma dalmi | |
135 | anche la verità che quinci piove |
per Moïsè, per profeti e per salmi, | |
per l’Evangelio e per voi che scriveste | |
138 | poi che l’ardente Spirto vi fé almi; |
e del tal credo non ho solamente (pur) prove fisiche e metafisiche, ma me lo profonde (dalmi) anche la verità che da quassù (quinci) spiove sul mondo tramite Mosé, profeti e salmi, Vangelo (l’Evangelio) ed attraverso voi apostoli che ne scriveste mossi dall’ardore dello Spirito Santo che vi vivificò (poi che l’ardente Spirto vi fé almi);
e credo in tre persone etterne, e queste | |
credo una essenza sì una e sì trina, | |
141 | che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. |
e credo in tre persone eterne, che credo costituiscano un’unica essenza, così una e trina, da indulgere d’essere coniugata (che soffera congiunto) tanto al ‘sono’ quanto all’ ‘è’ (este).
Il Dio trino — di predicati verbali discorrendo — si presta ad esser coniugato sia alla prima che alla terza persona singolare.
De la profonda condizion divina | |
ch’io tocco mo, la mente mi sigilla | |
144 | più volte l’evangelica dottrina. |
La dottrina evangelica m’imprime (sigilla) in più parti (volte) della mente la certezza dell’imperscrutabile natura (De la profonda condizion) divina della quale ho appena accennato (ch’io tocco mo).
Quest’è ’l principio, quest’è la favilla | |
che si dilata in fiamma poi vivace, | |
147 | e come stella in cielo in me scintilla.» |
Questo è il principio della mia fede, questa è la scintilla (favilla) che poi s’accresce (si dilata) in viva (vivace) fiamma, e come una stella nel cielo in me sfavilla (scintilla)”.
In conclusiva enunciazione, l’Alighieri elenca minuziosamente ogni matrice del proprio credere, inoltre facendo cenno a quel Dio trinitario in lui fortemente radicato, nell’incrollabile convinzione della sua inesplorabilità, in lui marchiata dalla dottrina evangelica e dalla parola apostolica.
Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, | |
da indi abbraccia il servo, gratulando | |
150 | per la novella, tosto ch’el si tace; |
Come il padrone (’l segnor) il quale — dopo aver ascoltato da domestico (servo) quanto lo compiace (quel che i piace), di conseguenza (da indi) abbracciandolo e con lui congratulandosi (gratulando) per la notizia (novella) ricevuta, non appena egli finisce di parlare (tosto ch’el si tace);
così, benedicendomi cantando, | |
tre volte cinse me, sì com’io tacqui, | |
153 | l’appostolico lume al cui comando |
così, benedicendo Dante cantando, l’apostolico e luminoso beato ai cui quesiti (l’appostolico lume al cui comando) egli aveva risposto (io avea detto), per tre volte gli ruota intorno (cinse me), al di lui silenziarsi (sì com’io tacqui), dal tanto che gli son state gradite le sue parole!
Dopo le ultime parole dell’Alighieri e come un “segnor” estremamente grato al proprio “servo”, san Pietro, in preda ad estasiato compiacimento, esterna la propria soddisfazione cantando e benedicendo un Dante parimenti emozionato e gioioso dell’averlo felicitato.
154 | io avea detto: sì nel dir li piacqui! |
Discorso introduttivo al prossimo Canto uscirà per bocca del fiorentin verseggiatore riguardo alla somma Commedia: “Se mai continga che ’l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m’ha fatto per molti anni macro…”
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