Divina Commedia: Paradiso, Canto XIII
Eugen Eduard Schäffer (1802-1871), Dante in Paradiso, XIX secolo
Alighieri apre Canto esortando i lettori ad impegno immaginativo per cogliere la meraviglia da egli vissuta, del movimento rotatorio delle corone di spiriti sapienti, al fine suggerendo di tentar visualizzazione delle quindici stelle più brillanti dell’arcata celeste, in aggiunta alle sette dell’Orsa Maggiore ed alle due maggiormente sfolgoranti del Piccolo Carro, benché ammettendo, spettacolo d’astri sia modesto in raffronto allo sfolgorio effuso dai beati in roteante danza.
Dalle schiere, nuovamente si leva voce di Tommaso d’Aquino, fermamente e benevolmente deciso — dopo aver già analizzato con Dante incomprensioni riguardo all’Ordine domenicano — a dissipare dalla di lui mente il secondo dubbio sorto in riferimento alla sagacia di Salomone, indi partendo col descrivere l’atto della Creazione attraverso l’amore della Santissima Trinità, la quale a sua volta, mantenendosi il Dio padre, il Cristo e lo Spirito Santo perennemente inscindibili, s’irraggia discendendo per i nove Cieli ed imprimendo suggello sulla totalità delle creature, sebben sulle stesse gli influssi celesti riflettano l’orma divina in maniera più sbiadita e differente fra una creatura e l’altra, ad eccezion della Beata Vergine, di Gesù suo figlio e d’Adamo, in quanto le uniche tre creazioni per mano diretta di Dio, rappresentanti la perfezione assoluta, dacché non soggette ad influenza celeste secondaria.
Spiegata questa prima parte, Tommaso trasla discorso su Salomone, all’Alighieri rimarcando quanto la sua richiesta di sapienza rivolta all’Onnipotente non sia stata posta per ricevere la virtù assoluta, ma esclusivamente per essere in grado di regnare con giustizia, questo il significato che d’Aquino diede al verbo “surse” quando definì il sovrano ineguagliabile, ascrivendolo alle sue capacità di governo, pertanto sia l’affermazione di d’Aquino che le convinzioni di Dante trovando fondatezza.
Tal equivoco, dovrebbe farsi tesoro nell’animo e nella memoria del sommo poeta, salvaguardandolo dall’errore del pregiudizio, a lungo andare deleterio sulla lucidità mentale ed a tal proposito Tommaso dirigendosi alla conclusione del Canto con una breve carrellata di esempi che dall’avventatezza furono travolti, quand’invece mai si dovrebbe pronosticare la giustizia divina sulla base delle azioni osservate in terra, redenzione e dannazione potendo improvvisamente intercambiarsi.
Quarantasette sono le terzine che completano, insieme al verso conclusivo, un Canto puramente dottrinale e didascalico, dando modo all’Alighieri d’introdurre il concetto della predestinazione che verrà pienamente affrontato nel Cielo di Giove, mano a mano il pellegrino avvicinandosi sempre più alla beatitudine dell’estatica visione divina.
Imagini, chi bene intender cupe | |
quel ch’i’ or vidi – e ritegna l’image, | |
3 | mentre ch’io dico, come ferma rupe -, |
quindici stelle che ’n diverse plage | |
lo ciel avvivan di tanto sereno | |
6 | che soperchia de l’aere ogne compage; |
Chi desideri comprendere appieno (bene intender cupe) quanto da me visionato nel preciso frangente (quel ch’i’ or vidi) — mentre io ne racconto (ch’io dico) fissando l’immagine alla mente (e ritegna l’image) come una salda pietra (ferma rupe) —, immagini quindici stelle che, distribuite in varie regioni celesti (’n diverse plage), ravvivano (avvivan) il cielo di cotanto bagliore (tanto sereno), da primeggiare (che soperchia) su qualsivoglia compagine (ogne compage) nebulosa dell’atmosfera (de l’aere);
imagini quel carro a cu’ il seno | |
basta del nostro cielo e notte e giorno, | |
9 | sì ch’al volger del temo non vien meno; |
immagini quel carro al cui moto, notturno e diurno (e notte e giorno), è sufficiente (basta) lo spazio (il seno) del cielo boreale (nostro), per modo che, per quanto conduca il suo timone (ch’al volger del temo) mai tramonta (non vien meno);
Dante invita i suoi lettori a sforzarsi d’immaginare l’inenarrabile, incitandoli a scolpirsi nella memoria quanto concesso alle sue facoltà d’esporre e richiamando la loro attenzione stelle più luminose della volta celeste, partendo da quelle quindici che vennero inserite nella prima di sei classi di grandezza — nel ‘Liber de aggregationibus stellarum’ — da Abū l-ʿAbbās Aḥmad ibn Kathīr al-Farghānīuno (800/805-861), ossia Alfragano, dal nome latinizzato Alfraganus, tra i più stimati scienziati e astronomi del diciannovesimo secolo.
imagini la bocca di quel corno | |
che si comincia in punta de lo stelo | |
12 | a cui la prima rota va dintorno, |
aver fatto di sé due segni in cielo, | |
qual fece la figliuola di Minoi | |
15 | allora che sentì di morte il gelo; |
immagini le due stelle poste all’imboccatura (la bocca) di quel corno che si propaga (comincia) dalla punta dell’asse celeste (de lo stelo) attorno al quale ruota il Primo Mobile (a cui la prima rota va dintorno) e immagini che le ventiquattro stelle abbiano tratteggiato (fatto di sé) due costellazioni (segni) nella volta celeste (in cielo), come quelle (qual) in cui si tramutò (fece) la figliola di Minosse (Minoi), quando percepì d’essere in procinto di morire (allora che sentì di morte il gelo);
Nelle quarantacinque stelle della seconda classe rientrano le sette che formano la Costellazione dell’Orsa Maggiore — il suo grande carro attuando globale percorso nell’ansa dell’emisfero celeste settentrionale, indi costantemente situato nel polo artico — e le altre due citate rappresentano la coppia più lucente dell’Orsa Minore, l’Alighieri visualizzandola come un “corno” il cui vertice coincidente con la Stella polare e i due sfavillanti astri posizionati più in basso, sula sua “bocca”.
Nella totalità, ventiquattro sono le stelle più luccicanti menzionate al fin di paragonarle alle numericamente corrispettive anime delle due corone, per vagheggiar le quali si dovrebbe mentalmente concepirle come il tracciato d’un paio di costellazioni (segni) mitologicamente rapportate a quelle disegnate dalla “figliuola di Minoi”, quell’Arianna che, lasciata da Teseo, trovandosi in punto di morte sulla scia del tormento amoroso, venne assunta in Cielo sottoforma di corona; l’episodio è d’ovidiana provenienza, sebben fra le pagine delle ‘Metamorfosi’ si racconti del dio Bacco che nella Costellazione della Corona trasformò il diadema della disperata donna, e non la stessa.
e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, | |
e amendue girarsi per maniera | |
18 | che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; |
i raggi d’ogni costellazione s’accavallano (e l’un ne l’altro aver li raggi suoi) e la loro rotazione avviene in modo da (e amendue girarsi per maniera) procedere l’una in un verso, l’altra in quello opposto (che l’uno andasse al primo e l’altro al poi);
Le due corone sono concentriche, seppur alternative interpretazioni le intendano rotanti nella medesima direzione, ma a differenti velocità, dunque parafrasando “al primo” ed “al poi” come ‘più celere’ e ‘più lento’.
e avrà quasi l’ombra de la vera | |
costellazione e de la doppia danza | |
21 | che circulava il punto dov’io era: |
e questa immagine nemmen sarà in grado d’eguagliare (avrà quais) l’ombra di quella (de la) costellazione e del suo duplice volteggiare (de la doppia danza) che gira in torno al (circulava il) punto dove si trova Dante:
poi ch’è tanto di là da nostra usanza, | |
quanto di là dal mover de la Chiana | |
24 | si move il ciel che tutti li altri avanza. |
poiché la visione trascende a tal punto la capacità immaginativa umana (poi ch’è tanto di là da nostra usanza), da esser lo scarto pari al rapporto intercorrente fra la velocità di movimento del fiume (quanto di là dal mover de la) Chiana e quella della più celere di tutte le sfere celesti (si move il ciel che tutti li altri avanza).
Dopo essersi industriati per anche sol parzialmente raggiungere decantata visione, ai lettori non resta che filare amaramente la consapevolezza dell’impossibilità di riuscire nella fantomatica impresa, dati gli insuperabili limiti delle facoltà immaginative umane che rendono il divario fra le due talmente ampio, da esser correlato a quello esistente fra l’aretino fiume Chiana – nel Medioevo alquanto fiacco e spesso impaludato nell’omonima valle — e il più spedito dei Cieli, il Primo Mobile, “che tutti li altri avanza”.
Lì si cantò non Bacco, non Peana, | |
ma tre persone in divina natura, | |
27 | e in una persona essa e l’umana. |
Lassù non si decanta (cantò) Bacco, tantomeno Apollo (non Peana), ma tre persone in un’unica natura divina, oltre che, nella stessa, quella (e in una persona essa), l’umana.
In quel Cielo non si tessono lodi a Bacco o ad Apollo — il cui inno in onore, cantato in tempi di giubilo come invocazione, era il “Peana” — ma si venera la Santissima Trinità, nell’arcano dell’unione fra il divino e l’incarnazione del Cristo.
Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; | |
e attesersi a noi quei santi lumi, | |
30 | felicitando sé di cura in cura. |
Il canto (’l cantare) e la rotazione (’l volger) giungono a compimento (Compié sua misura); e quei santi spiriti (lumi) rivolgono completa attenzione verso l’Alighieri e Beatrice (attesersi a noi), gioendo del fatto di traslare da una funzione all’altra (felicitando sé di cura in cura).
Gli spiriti sapienti manifestano aperta gioia nel rivolgersi all’affiatata coppia.
Ruppe il silenzio ne’ concordi numi | |
poscia la luce in che mirabil vita | |
33 | del poverel di Dio narrata fumi, |
e disse: «Quando l’una paglia è trita, | |
quando la sua semenza è già riposta, | |
36 | a batter l’altra dolce amor m’invita. |
Poi (poscia) rompe il silenzio, originatosi all’interno delle armonizzate anime (ne’ concordi numi), la luce che a Dante aveva raccontato (in che narrata fumi) la mirabile vita del poverello di Dio, dicendo: “Quando la prima parte del grano (l’una paglia) è stata trebbiata (trita) e una volta i suoi chicchi (la sua semenza) accatastati (quando è già riposta) nel granaio, carità (dolce amor) mi sprona (m’invita) a batter l’altra.
La “luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi” è l’anima di Tommaso d’Aquino, precedente narratore del panegirico di San Francesco ed ora sentitamente disposto a proseguire nel suo sermone con l’obiettivo di sciogliere il secondo dubbio che attanaglia la mente del pellegrino, nella deliziosa metafora ‘grano-perplessità’, ‘risposte-chicchi’ e ‘mente-granaio’, con la quale la mente torna ai due quesiti posti da Dante riguardo alle due, ormai note, equivoche affermazioni del beato: “u’ ben s’impingua se non si vaneggia” — attestazione spiegata e, di conseguenza, accantonata (l’una paglia è trita quando la sua semenza è già riposta) e “a veder tanto non surse il secondo”, locuzione ancor d’amorevolmente chiarire (a batter l’altra dolce amor m’invita).
Tu credi che nel petto onde la costa | |
si trasse per formar la bella guancia | |
39 | il cui palato a tutto ’l mondo costa, |
e in quel che, forato da la lancia, | |
e prima e poscia tanto sodisfece, | |
42 | che d’ogne colpa vince la bilancia, |
quantunque a la natura umana lece | |
aver di lume, tutto fosse infuso | |
45 | da quel valor che l’uno e l’altro fece; |
Tu credi che nel petto d’Adamo — dal quale venne estratta (onde si trasse) la costola (costa) al fin di crear (per formar) la bella guancia di Eva, il cui peccato di gola (palato) costò caro prezzo all’intera umanità (a tutto ’l mondo), e inoltre nel petto (in quel) che, perforato dalla lancia, in tal maniera redimendo totalmente (tanto sodisfece) i torti, passati e futuri (e prima e poscia), degli uomini, così da controbilanciare (vince la bilancia) qualsivoglia (d’ogne) colpa — sia stata effusa (fosse infuso), dalla misericordia divina (da quel valor) che entrambi creò (l’uno e l’altro fece), tutta la sapienza (aver di lume) ch’è lecito (lece) alla natura umana possedere;
e però miri a ciò ch’io dissi suso, | |
quando narrai che non ebbe ’l secondo | |
48 | lo ben che ne la quinta luce è chiuso. |
e pertanto ti meravigli (però miri) di quanto da me precedentemente affermato (a ciò ch’io dissi suso), quando asserii (narri) che la beata anima racchiusa nella (lo ben chiuso ne la) quinta luce della corona fu impareggiabile (non ebbe ’l secondo).
Dante reputa difatti che avendo l’Ente Supremo riversato il massimo grado di saggezza nelle due creature da lui direttamente forgiate, senz’alcun influsso celeste di mezzo, sia inverosimile che in Salomone sia stata infusa identica virtù in maniera inimitabile e il suo dilemma nasce appunto sul verbo “surse”, enunciato da Tommaso e qui ripreso in “ebbe”, ambedue le frasi assumendo il medesimo significato, vale a dire il fatto che il terzo re d’Israele fu incomparabile.
Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, | |
e vedräi il tuo credere e ’l mio dire | |
51 | nel vero farsi come centro in tondo. |
Ora presta estrema attenzione (apri li occhi) a quel ch’io ti rispondo, cosicché t’accorgerai (e vedräi) di come le tue certezze (il tuo credere) e le mie dichiarazioni (’l mio dire) siano equidistanti dalla verità (nel vero farsi come centro in tondo).
D’Aquino anticipa all’Alighieri come il parere d’entrambi abbia pieno fondamento.
Ciò che non more e ciò che può morire | |
non è se non splendor di quella idea | |
54 | che partorisce, amando, il nostro Sire; |
Sia la creature immortali che quelle mortali (Ciò che non more e ciò che può morire) non sono altro che il riverbero (è se non splendor) di quell’idea che il nostro Signore (Sire) partorisce, amando;
ché quella viva luce che sì mea | |
dal suo lucente, che non si disuna | |
57 | da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, |
per sua bontate il suo raggiare aduna, | |
quasi specchiato, in nove sussistenze, | |
60 | etternalmente rimanendosi una. |
dato che (ché) quella viva luce che proviene (mea) dalla sua paterna luminosità (dal suo lucente), in modo tale (sì) da non disunirsi (si disuna) da chi l’ha generata (lui), tantomeno dallo Spirito Santo che, insieme a loro forma un trio (né da l’amor ch’a lor s’intrea), per sua bontà (bontate) incanala (aduna) i suoi raggi (il suo raggiare), quasi a specchiarvisi (specchiato), in nove essenze (sussistenze), al contempo mantenendo in eterno la propria unità (etternalmente rimanendosi una).
Quindi discende a l’ultime potenze | |
giù d’atto in atto, tanto divenendo, | |
63 | che più non fa che brevi contingenze; |
Quindi, di sfera in sfera (d’atto in atto), discende giù fino ai più bassi livelli del creato (a l’ultime potenze), moderandosi a tal punto (tanto divenendo), da concepire solamente effimere (che più non fa che brevi) contingenze;
e queste contingenze essere intendo | |
le cose generate, che produce | |
66 | con seme e sanza seme il ciel movendo. |
e queste contingenze sono (essere), in base a quello che intendo dire, le cose generate, ovvero quelle prodotte dal moto celeste (il ciel movendo), con o senza seme.
Viene illustrato il principio della creazione in base al quale, nel mistero della Trinità, il Dio padre genera il proprio figlio (idea) in atto d’amore tramite lo Spirito Santo, i tre fra loro essendo indivisibili e il medesimo atto s’irradia nelle nove sfere celesti senza mai recedere dalla sua unità trina, lo stesso raggiungendo anche gli stadi più fondi, nei quali non potendo che ridursi alla produzione di “brevi contingenze”, siano esse derivate dal moto dei Cieli oppure dalla presenza o meno di un seme, ovverosia animali e vegetali o minerali.
La cera di costoro e chi la duce | |
non sta d’un modo; e però sotto ’l segno | |
69 | idëale poi più e men traluce. |
La materia prima (cera) di codeste creature (costoro) e i Cieli che la plasmano (chi la duce) non sono omogenee (sta d’un modo); di conseguenza le stesse poi riflettendo (e però traluce) in maggior o minor misura (più e men) il suggello del Padre Eterno (sotto ’l segno idëale).
Ond’elli avvien ch’un medesimo legno, | |
secondo specie, meglio e peggio frutta; | |
72 | e voi nascete con diverso ingegno. |
Ragion per la quale accade che una pianta della stessa (Ond’elli avvien ch’un medesimo legno, secondo) specie, dia frutti migliori o peggiori (meglio e peggiori) di altri;
Essendo che ogni Cielo agisce in base a quanto gli proviene da quello superiore, il loro influsso non è uniforme, pertanto stampando il sigillo divino di riflesso, provenendo la diversità fra le varie creature, anche nel caso di esemplari appartenenti alla stessa specie, come ben dimostrano i differenti frutti di due alberi identici per varietà.
Se fosse a punto la cera dedutta | |
e fosse il cielo in sua virtù supprema, | |
75 | la luce del suggel parrebbe tutta; |
Se tutta la materia prima venisse condotta alla perfezione (fosse a punto dedutta) e qualora gli influssi celesti agissero sempre alla lor massima potenzialità (fosse il cielo in sua virtù supprema), la luminosa impronta (la luce del suggel) del Creatore si paleserebbe integralmente (parrebbe tutta) in tutto il creato;
ma la natura la dà sempre scema, | |
similemente operando a l’artista | |
78 | ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. |
ma la natura restituisce continuamente il suo suggello in maniera parziale (la dà sempre scema), operando similmente all’artista al quale trema la mano nella pratica della sua (ch’a l’abito de l’) arte.
Madre Natura non rende il conio divino in maniera ineccepibile, come del resto avviene per l’artista nel tentativo di riprodurre fedelmente la realtà, modificata dal tremolio delle sue mani i fase d’opera.
Però se ’l caldo amor la chiara vista | |
de la prima virtù dispone e segna, | |
81 | tutta la perfezion quivi s’acquista. |
Però, qualora (se) l’amor divino (caldo) instilli (dispone) e fissi (segna) il cristallino stampo (la chiara vista) della somma (prima) virtù, in tali frangenti (quivi) si raggiungerà (s’acquista) il culmine della (tutta la) perfezione.
Così fu fatta già la terra degna | |
di tutta l’animal perfezïone; | |
84 | così fu fatta la Vergine pregna; |
così alla materia terrestre venne accordato il massimo livello di (fu fatta già la terra degna) perfezione di un essere vivente (animal); così venne (fatta pregna) fecondata la Beata Vergine;
sì ch’io commendo tua oppinïone, | |
che l’umana natura mai non fue | |
87 | né fia qual fu in quelle due persone. |
motivo per cui apprezzo (ch’io commendo) la tua opinione, per il quale assunto (che) la natura umana mai non fu (fue), tantomeno sarà (né fia) mai perfetta come nel caso di (qual fu in) quelle due persone.
Or s’i’ non procedesse avanti piùe, | |
‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ | |
90 | comincerebber le parole tue. |
S’io ora smettessi (non procedesse avanti piùe) di parlare, tu mi chiederesti nell’immediato (comincerebber le parole tue): ‘Dunque, com’è possibile che Salomone (costui) fosse impareggiabile?’
Il calco divino si concretizza in perfezione solo in caso di Suo tocco diretto, come avvenne per Maria, per Gesù e per Adamo (in quelle due persone) come effettivamente sostenuto dall’Alighieri e se Tommaso dovesse troncare a questo punto il suo discorrere, lo stesso Dante sarebbe pronto a chiedergli ulteriori precisazioni riguardo a Salomone.
Ma perché paia ben ciò che non pare, | |
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, | |
93 | quando fu detto ‘Chiedi’, a dimandare. |
E affinché ti arrivi con chiarezza quanto ancor t’è oscuro (Ma perché paia ben ciò che non pare, rifletti (pensa) su chi era, nonché sulla ragione (e la cagion) che lo spinse (’l mosse) nel chiedere (a dimandare), quando gli venne proposto di chiedere (fu detto: ‘Chiedi’).
Non ho parlato sì, che tu non posse | |
ben veder ch’el fu re, che chiese senno | |
96 | acciò che re sufficïente fosse; |
Non mi sono pronunciato in una modalità (parlato sì) che ti celasse (che tu non posse ben veder) il suo ruolo di regnante (ch’el fu re), colui che chiese la sapienza necessaria per esser altezza della propria funzione sovrana (acciò che re sufficïente fosse;
non per sapere il numero in che enno | |
li motor di qua sù, o se necesse | |
99 | con contingente mai necesse fenno; |
Salomone fece richiesta di senno, non tanto per sapere quante fossero (il numero in che enno) le angeliche intelligenze motrici del Paradiso (li motor di qua sù), o se una premessa necessaria ed una (necesse con) contingente abbiano mai dato origine (fenno) ad una conseguenza necessaria (necesse).
non si est dare primum motum esse, | |
o se del mezzo cerchio far si puote | |
102 | trïangol sì ch’un retto non avesse. |
non per sapere se sia possibile supporre l’esistenza d’un moto primo (si est dare primum motum esse), o se nel semicerchio si possa inscrivere (del mezzo cerchio far si puote) un triangolo sprovvisto (non avesse) d’angolo retto.
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, | |
regal prudenza è quel vedere impari | |
105 | in che lo stral di mia intenzion percuote; |
Indi (Onde), se valuti in maniera approfondita (note) ciò ch’io dissi e quanto appena detto (questo), ti renderai conto che quella sapienza impareggiabile (quel vedere impari) della quale era mia volontà parlare (in che lo stral di mia intenzion percuote) è la prudenza regale;
e se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari, | |
vedrai aver solamente respetto | |
108 | ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. |
e se tu ripensi con mente evacua (drizzi li occhi chiari) al ‘surse’ che pronunciai, t’accorgerai del suo esclusivo riferirsi all’attività dei regnanti (vedrai aver solamente respetto ai regi), che son molti, ma rari son quelli buoni.
A tal proposito d’Aquino sottolinea all’Alighieri di ben riflettere su quale fosse il ruolo di Salomone sulla terra, aggiungendo di non avergli mai parlato in modo da non palesarglielo, da qui guidando Dante al comprendere quanto la richiesta d’assennatezza del re, fosse stata esposta all’Altissimo esclusivamente a fini governativi e non per questioni — irrisolvibili dal terreno intelletto — in ambito teologico (il numero in che enno li motor di qua sù), logico (se necesse con contingente mai necesse fenno), fisico (si est dare primum motum esse) oppure geometrico (se del mezzo cerchio far si puote trïangol sì ch’un retto non avesse); se il discepolo valutasse attentamente quanto ascoltato, ne potrebbe perciò dedurre come l’oggetto di quanto domandato dal sovrano, fosse una sagacia destinata al buon governo inoltre ora probabilmente in grado d’attribuire al verbo “surse” il reale significato inteso da Tommaso e unicamente legato a tale mansione reggente, in una sorta di “prudenza regale”.
Con questa distinzion prendi ’l mio detto; | |
e così puote star con quel che credi | |
111 | del primo padre e del nostro Diletto. |
Interpreta il mio parlare (prendi ’l mio detto) sulla scia di (Con) questa distinzione; per modo ch’esso possa accordarsi (e così puote star) con le tue credenze (quel che credi) riguardo ad Adamo (del primo padre) e del nostro Cristo (Diletto).
E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, | |
per farti mover lento com’uom lasso | |
114 | e al sì e al no che tu non vedi: |
E questo ti sia sempre d’ammonimento a procedere con piedi di piombo, per farti avanzare con la lentezza propria a colui che sia spossato (mover lento com’uom lasso), nel proferire, in un senso o nell’altro (e al sì e al no), su argomentazioni a te ancora dubbie (che tu non vedi):
ché quelli è tra li stolti bene a basso, | |
che sanza distinzione afferma e nega | |
117 | ne l’un così come ne l’altro passo; |
dacché profondamente stolto si dimostra (ché è tra li stolti bene a basso) colui (quelli) che affermando o negando, manca di riflettere (sanza distinzione) in entrambe le situazioni (ne l’un così come ne l’altro passo);
perch’elli ’ncontra che più volte piega | |
l’oppinïon corrente in falsa parte, | |
120 | e poi l’affetto l’intelletto lega. |
in quanto un giudizio affrettato (l’oppinïon corrente) sovente induce ad errate convinzioni (più volte piega in falsa parte), le quali poi radicandosi impediscono di mutare pensiero.
L’Alighieri ora possiede gli strumenti per intrecciare le sue considerazioni a quelle di d’Aquino, avendo l’accortezza di far sì che questa esperienza gli sia da monito a non cadere nelle tentazione di giudizi avventati i quali, qualora abitudinari, intrappolerebbero la mente, offuscandone l’oggettiva capacità di valutazione.
Vie più che ’ndarno da riva si parte, | |
perché non torna tal qual e’ si move, | |
123 | chi pesca per lo vero e non ha l’arte. |
Peggio che invano abbandona la costa (Vie più che ’ndarno da riva si parte), chi vada a pesca di verità (per lo vero) senza averne le capacità (e non ha l’arte), perché non torna nel medesimo stato in cui era partito (tal qual e’ si move).
Tale atteggiamento ricalcherebbe, allegoricamente discorrendo, quello d’un pescatore inesperto che vada a caccia di verità, ritornando a punto di partenza con le mani ricolme d’ingannevoli scempiaggini.
E di ciò sono al mondo aperte prove | |
Parmenide, Melisso e Brisso e molti, | |
126 | li quali andaro e non sapëan dove; |
E di codesti fatti (di ciò) sono lampanti esempi (aperte prove), nel mondo, Parmenide, Melisso, Brisso e molti altri, i quali s’avventurarono senza saper (andaro e non sapëan) dove;
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti | |
che furon come spade a le Scritture | |
129 | in render torti li diritti volti. |
egualmente fecero (sì fé) Sabellio, Arrio e quegli stolti che agirono (furon) come spade nei confronti delle (a le) Scritture, nello sfigurarne il reale aspetto (in render torti li diritti volti).
Famigerati esempi a spasso per il pianeta, ne furono:
il filosofo greco antico Parmenide di Elea (544 a.C./541 a.C. oppure 515 a.C./510 a.C. – 450 a.C.) e il suo discepolo, oltre che militare, Melisso di Samo (470 a.C. – 430 a.C.), ai quali Aristotele criticava la teorie pensanti, secondo lui fondate su errati principi;
il Brisone matematico greco antico Brisone di Eraclea (450 a.C. circa. – 390 a.C. circa), biasimato per le sue inesatte quadrature del cerchio;
l’eretico Sabellio di Pentapoli (?-256 circa), uno dei maggiori rappresentanti della dottrina teologica chiamata ‘monarchianesimo’ e negante l’esistenza della Santissima Trinità, motivo per il quale il movimento religioso venne condannato nel concilio di Alessandria del 261 e Sabellio scomunicato;
fu invece il concilio di Nicea, nel 325, a infligger pena al dogma sostenuto da Ario (280 circa – 336), celeberrimo negatore della consuntanzialità fra Padre e Figlio.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure | |
a giudicar, sì come quei che stima | |
132 | le biade in campo pria che sien mature; |
Non sia (sien) la gente, aggiungo (ancor), troppo sicura nello sputar verdetti (a giudicar), così come coloro (quei) che stimano i valore della biada ancor prima che sia matura nel campo;
ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima | |
lo prun mostrarsi rigido e feroce, | |
135 | poscia portar la rosa in su la cima; |
ch’io ho visto il pruno apparir intorpidito dal freddo (lo prun mostrarsi rigido) e spinoso (feroce) per tutto l’inverno, poi sbocciare (poscia portar) la rosa sulla sua cima;
e legno vidi già dritto e veloce | |
correr lo mar per tutto suo cammino, | |
138 | perire al fine a l’intrar de la foce. |
e ho visto la barca (legno) percorrere (correr) il mare dritta e celere (veloce) per l’intera durata della sua rotta (tutto suo cammino), naufragare (perire) in ultimo (al fine) all’entrata del porto (a l’intrar de la foce).
Tutto ciò dovrebbe esser sensato sprone, per l’intera umanità, a non trarre inconfutabili certezze a priori, l’esperienza terrena fornendo esempi concreti di vicissitudini conclusesi in barba alle migliori previsioni.
Non creda donna Berta e ser Martino, | |
per vedere un furare, altro offerere, | |
141 | vederli dentro al consiglio divino; |
Non credan donna Berta e ser Martino, che basti vedere un tale che ruba (per furare), e un altro che si spende in beneficenza (offerere), per prevedere come saranno giudicati da Dio (vederli dentro al consiglio divino);
I nomi “donna Berta” e “ser Martino” venivano usati nel Medioevo come epiteti destinati a persone di poco conto che s’inneggiavano con saccente tracotanza.
142 | ché quel può surgere, e quel può cadere» |
Poiché l’uno potrebbe redimersi, mentre l’altro finire in dannazione (ché quel può surgere, e quel può cadere).
Prossimo sipario s’alzerà sul moto centrifugo della’acqua: “Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro movesi l’acqua in un ritondo vaso, secondo ch’è percosso fuori o dentro…”
Alcune immagini inserite negli articoli pubblicati su TerzoPianeta.info, sono tratte dalla rete ed impiegate al solo fine informativo. Nel rispetto della proprietà intellettuale, sempre, prima di valutarle di pubblico dominio, vengono effettuate approfondite ricerche del detentore dei diritti d’autore, con l’obiettivo di ottenere autorizzazione all’utilizzo, pertanto, laddove richiesta non fosse avvenuta, seppur metodicamente tentata, si prega comprensione ed invito a domandare immediata rimozione, od inserimento delle credenziali, mediante il modulo presente nella pagina Contatti.