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Divina Commedia: Paradiso, Canto XII

Guglielmo Giraldi, Manoscritto Urbinate Latino 365, XV secolo

 
Sul finire del discorso di Tommaso d’Aquino, gli spiriti sapienti riprendono precedente moto circolare attorno a Beatrice e Dante, ma nel mentre compiono rotazione, il Cielo del Sole s’illumina d’una seconda corona, la quale, contornando la presente, alla stessa s’accorda in canti soavi ed intensi sfolgorii, assieme evocando, d’aspetto ed esaltazione cromatica, mobili arcobaleni.

All’arrestarsi di danze, dalle dodici anime in essa raccolte, solenne si eleva voce di colui che, in seguito, si presenterà come San Bonaventura, desioso di narrare l’esistenza di San Domenico, ritenendolo personalità degna d’accostamento all’appena celebrato Francesco d’Assisi, dunque guide spirituali meritevoli di medesimo onore ed glorificazione, per essersi votate alla custodia della Chiesa.

Egli ne principia parabola dal soffio divino che il Santo ha ricevuto quando ancora nel ventre materno, indi descrivendone l’infanzia in precoce venerazione, dopodiché la formazione e l’inflessibile determinazione a contrastar eresie minanti la cristianità, donando così ai confratelli dimostrazione eccelsa di dedizione, eredità difatti da loro raccolta seguitamente alla di lui scomparsa.

Apologia quindi conclude, tessendo plauso all’ascetico Poverello d’Assisi e riflettendo sul deragliamento di taluni proseliti — giudicati deplorevoli per non aver mantenuto fede alla Congregazione costituita dall’umile frate — in particolare indicando, in quanto rei d’eccessiva mitigazione della Regola spirituale fondante, Ubertino da Casale e Matteo d’Acquasparta.

In ultimo, Bonaventura svela la propria identità, presenta le altre undici anime appartenenti alla seconda corona e ringraziamento porge a San Tommaso, riconoscendogli merito d’aver declamato la virtuosa esistenza di Francesco ed in tal modo esortandolo a lodare Domenico. L’Alighieri dunque, eletto a comporre universale poema, concepisce ispirata trama narrativa esaltante i Padri dell’Ordine Francescano e Domenicano, conferendola a loro illustri ed opposti discepoli.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Paradiso, Canto XII • Salvador Dalí (1904-1989), Il canto degli spiriti sapienti, 1965 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Salvador Dalí (1904-1989), Il canto degli spiriti sapienti, 1965

 

Sì tosto come l’ultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
3 a rotar cominciò la santa mola;

Non appena la luce (fiamma) benedetta è in procinto di pronunciare (come per dir tolse) l’ultima parola per dir tolse), la sacra corona riprende rotazione (a rotar cominciò la santa mola);

e nel suo giro tutta non si volse
prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
6 e moto a moto e canto a canto colse;

e ancora non ha ultimato completamente il proprio roteare (nel suo giro tutta non si volse) quando una seconda la circoscrive (prima ch’un’altra di cerchio chiuse), accordandosi alla stessa in movimento e melodia (e moto a moto e canto a canto colse);

La “benedetta fiamma” è Tommaso d’Aquino e mentre lo stesso sta ultimando sermone, gli spiriti del gruppo riprendono a girare, la corona metaforizzata come una “mola”, una macina da mulino, frattanto materializzandosi una seconda corona di beati.

canto che tanto vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube,
9 quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.

Un canto che, per mezzo di (in) quelle soavi trombe (dolci tube), smisuratamente surclassa (tanto vince) quello delle nostre muse e delle nostre sirene (serene), al pari della luminosità primaria della sfera solare (quanto primo splendor) rispetto a quella riflessa (quel ch’e’ refuse).

Le ugole celesti effondono una melodia che, in soavità, sovrasta quelle terrene, di muse e sirene, come il raggio solare diretto batte in luminosità il suo riflesso, il Sole simbolizzando la luce della misericordia divina, nel suo tenue riverberar nella mente umana.

Come si volgon per tenera nube
due archi paralelli e concolori,
12 quando Iunone a sua ancella iube,
nascendo di quel d’entro quel di fori,
a guisa del parlar di quella vaga
15 ch’amor consunse come sol vapori,
e fanno qui la gente esser presaga,
per lo patto che Dio con Noè puose,
18 del mondo che già mai più non s’allaga:

Similmente a come, attraverso una debole nebbia, s’inarcano (volgon) due arcobaleni paralleli e congruenti nelle tonalità (concolori) — quando Giunone impartisce ordini (iube) alla sua ancella, da quello interiore generandosi l’esteriore (nascendo di quel d’entro quel di fori), allo stesso modo in cui si forma la voce (a guisa del parlar) di quella vagabonda (vaga) che consumò (consunse) l’amore come la sfera solare fa con i vapori — profetizzando all’umanità (e fanno qui la gente esser presaga) che il mondo mai più s’inonderà (allaga), in base all’accordo stipulato fra Dio e Noè:

Mitologicamente discorrendo, è Iride, l’ancella di Giunone la quale, nel suo esplicare ruolo di messaggera sul mondo, su precise disposizione della dea, scendendo sullo stesso disegnava l’arcobaleno nel cielo.

L’arcobaleno esterno, meteorologicamente si forma riflettendosi in quello interno ed a tal fenomeno viene paragonata l’errabonda voce della ninfa Eco, la “vaga” che, per Amore di Narciso, come narrato nelle ovidiane metamorfosi, non essendo corrisposta si consumò completamente, di lei rimanendo un soffio vocale che ancora girovaga per l’etere boschivo, in ripercussione sulle altrui voci.

così di quelle sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
21 e sì l’estrema a l’intima rispuose.

così volteggiano intorno a Dante e Beatrice (volgiensi circa noi) le due corone formate da (ghirlande di) quelle eterne anime (quelle sempiterne rose), l’esterna accordandosi all’interna (e sì l’estrema a l’intima rispuose).

La rotazione degli spiriti sapienti è concentrica e gli stessi vengono paragonati a delle “rose”, fiore per eccellenza assimilato alla beatitudine.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Paradiso, Canto XII • Gustave Doré (1832-1883), La visione dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso di Dante Alighieri a cura di Henry Francis Cary (1772-1844), 1889 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Gustave Doré (1832-1883)
La visione dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso di Dante Alighieri, 1889

 

Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
24 luce con luce gaudïose e blande,
insieme a punto e a voler quetarsi,
pur come li occhi ch’al piacer che i move
27 conviene insieme chiudere e levarsi;

Dopo (Poi) che la danza (’l tripudio) e il contemporaneo giubilo esultante (l’altra festa grande), sia nel contrappunto del canto che nel reciproco fiammeggiar delle anime (sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce), gioiose ed amorevoli (gaudïose e blande), si cheta nel medesimo istante e con concorde volontà (insieme a punto e a voler quetarsi), proprio (pur) come le palpebre non possono che chiudersi (li occhi conviene insieme chiudere) e riaprirsi (levarsi), in base al loro comune reagire alo stimolo che ne provoca il movimento (ch’al piacer che i move);

La concordanza fra le due corone è descritta con tal intensità, da risultar percettibile all’immaginazione del lettore che riesca ad immedesimarsi appieno nelle vicende riportate.

del cor de l’una de le luci nove
si mosse voce, che l’ago a la stella
30 parer mi fece in volgermi al suo dove;

dall’intimo d’uno dei nuovi sfavillanti spiriti (del cor de l’una de le luci nove) si leva (mosse) una voce e l’Alighieri, nell’orientarsi verso di lei (in volgermi al suo dove), si percepisce come (che parer mi fece) l’ago direzionato alla stella polare;

Deliziosa è la similitudine con la bussola, orientata alla sua stella come il pellegrino alla voce che s’erge improvvisa dal santo drappello.

e cominciò: «L’amor che mi fa bella
mi tragge a ragionar de l’altro duca
33 per cui del mio sì ben ci si favella.

e la stessa voce, iniziando a parlare (cominciò): “Lo spirito di carità che m’abbellisce (L’amor che mi fa bella) mi sprona a conversar (tragge a ragionar) dell’altra guida (de l’altro duca) in omaggio al quale (per cui) s’è tanto ben parlato della mia esistenza (del mio sì ben ci si favella).

Il “duca” menzionato è San Domenico, in nome del quale Tommaso magnificò, sol un Canto fa, san Francesco d’Assisi, pertanto lo spirito parlante s’appresta a contraccambiare gentilezza.

Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:
sì che, com’elli ad una militaro,
36 così la gloria loro insieme luca.

È corretto (Degno) che, menzionando uno dei due (dov’è l’un), si citi anche (s’induca) l’altro: per modo (sì) che, come ambedue militarono per uno scopo comune (com’elli ad una militaro), così la loro gloria insieme rifulga (luca).

L’essercito di Cristo, che sì caro
costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna
39 si movea tardo, sospeccioso e raro,
quando lo ’mperador che sempre regna
provide a la milizia, ch’era in forse,
42 per sola grazia, non per esser degna;

L’esercito di Cristo, che riarmare (a rïarmar) contro il Male costò un’immane sacrificio (sì caro), procedeva con lentezza (si movea tardo) dietro alla croce (a la ’nsegna), tentennante (sospeccioso) e ridotto nelle presenze (raro), quando Dio, perpetuo regnante, (lo ’mperador che sempre regna), venne in soccorso di quella (provide a la) milizia, che si trovava in stato di precarietà (ch’era in forse), esclusivamente come atto di misericordia (per sola grazia), non perché la stessa ne avesse merito (per esser degna).

La locuzione “sì caro costò” rimanda alla crocifissione di Cristo, immolatosi per la salvezza degli uomini, data il sempre più indebolito seguito dei fedeli.

e, come è detto, a sua sposa soccorse
con due campioni, al cui fare, al cui dire
45 lo popol disvïato si raccorse.

e, come già raccontato (è detto), spalleggiò la Chiesa (soccorse a sua sposa) con due principi (campioni), sulle quali azioni e parole (al cui fare, al cui dire), il popolo deviato (lo popol disvïato) si riscattò (raccorse).

I due “campioni” son ovviamente San Francesco e San Domenico, ovverosia i “due principi”, come vennero definiti al trentacinquesimo versetto del precedente Canto: “due principi ordinò in suo favore”.

In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
48 di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percuoter de l’onde
dietro a le quali, per la lunga foga,
51 lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
siede la fortunata Calaroga
sotto la protezion del grande scudo
54 in che soggiace il leone e soggioga:

In quella regione (parte) ove il mite (dolce) Zefiro si alza a dischiudere i boccioli (surge ad aprire le novelle fronde) dei quali (che) si vede ricoprire (rivestire) tutta l’Europa, a breve distanza dalle coste sulle quali s’infrangono le (non molto lungi al percuoter de l’) onde dietro alle quali, a volte, il sole si cela allo sguardo umano (lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde), per il lungo tratto (la lunga foga) percorso, s’adagia (siede) la fortunata cittadina di Calaroga, sotto la protezione del grande scudo gentilizio sul quale (in che) il leone sta sotto (soggiace) e sta sopra (soggioga):

“Zefiro” è vento di Ponente e il litorale battuto “de l’onde” potrebbe essere, ma senza certezza alcuna, il golfo di Biscaglia, o di Guascogna, parte dell’Atlantico le cui acque lambiscono coste francesi e spagnole, mentre non è certamente inconfutabile, anche se verosimile, che con “Calaroga” l’autore si riferisca a Caleruega, città natia di San Domenico.

Il “grande scudo” è l’araldico emblema della casata di Castiglia e León, in effetti suddiviso in quattro settori, nella parte sinistra il leone rimanendo posizionato sotto la raffigurazione del castello dorato, viceversa a destra, essendo nel quarto superiore, rimanendogli sopra.

L’avverbio “talvolta” potrebbe avere un significato ch’esula dal letterale, vale a dire indicando il solstizio d’estate, in maniera corrispondente a come, al medesimo verso, il cinquantunesimo, l’antecedente Canto designa gli equinozi: “come fa questo talvolta di Gange”.

dentro vi nacque l’amoroso drudo
de la fede cristiana, il santo atleta
57 benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;

in Calaroga (dentro) nacque il devoto amante (l’amoroso drudo) della fede cristiana, il santo campione (atleta) clemente (benigno) nei confronti dei suoi seguaci (amici) e impietoso (crudo) con i suoi nemici;

Il fatto d’esser “benigno a’ suoi e a’ nemici crudo” riaggancia l’indulgenza di San Domenico nei confronti dei suoi seguaci e l’opposta severità destinata agli eretici.

e come fu creata, fu repleta
sì la sua mente di viva vertute,
60 che, ne la madre, lei fece profeta.

e non appena la sua anima (mente) venne forgiata (fu creata), fu talmente riversata (sì repleta) di vivificante virtù (viva vertute), da corredare sua madre, quando lui ancora nel suo ventre, di capacità profetiche (lei fece profeta).

La madre di San Domenico, quand’ancora in stato di gravidanza, si dice avesse sognato un cane bianco e nero — colori dell’Ordine domenicano — con in bocca una fiaccola che avrebbe incendiato il mondo, in positiva valenza simbolica.

Poi che le sponsalizie fuor compiute
al sacro fonte intra lui e la Fede,
63 u’ si dotar di mutüa salute,
la donna che per lui l’assenso diede,
vide nel sonno il mirabile frutto
66 ch’uscir dovea di lui e de le rede;

Dopo che le nozze (sponsalizie) fra San Domenico (intra lui) e la Fede si concretizzarono (fuor compiute) al sacro fonte battesimale, ove (u’) si dotarono vicendevolmente di salvezza (si dotar di mutüa salute), la donna che per lui fornì il consenso (l’assenso diede), vide in sogno (nel sonno) i risultati stupefacenti (il mirabile frutto) che sarebbero scaturiti (ch’uscir dovea di) da lui e dai suoi eredi (de le rede);

La “donna che per lui l’assenso diede” fu la sua madrina di battesimo e il consenso dato è quello celebrante le nozze fra lui e la Fede; a lei in sogno San Domenico apparve con una stella in fronte, una sulla nuca ed uno sciame d’api attorno alla bocca, onirico vaticinio di sapiente dottrina e suprema oratoria in capo al suo figlioccio.

e perché fosse qual era in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo
69 del possessivo di cui era tutto.

e affinché il suo nome corrispondesse alla sua indole (e perché fosse qual era in costrutto), da qui (quinci) scese l’ispirazione (si mosse spirito) a chiamarlo (nomarlo) con il (del) possessivo di colui a cui apparteneva totalmente (era tutto).

Domenico fu detto; e io ne parlo
sì come de l’agricola che Cristo
72 elesse a l’orto suo per aiutarlo.

Domenico fu chiamato (detto); e io ne parlo così come fosse l’agricoltore (de l’agricola) che Cristo prescelse (elesse) al fi d’essergli aiuto (per aiutarlo) nel fortificare il suo orto.

Il nome Domenico deriverebbe dunque da ‘Dominicus’, “possessivo” di ‘Dominus’, ossia Dio, a cui San Domenico appartiene in toto; a lui il Padre Eterno affidò la sincrona tutele e della sua celeste vigna (orto), al fin di corroborarla.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Paradiso, Canto XII • Claudio Coello (1642-1693), San Domenico, 1685 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Claudio Coello (1642-1693), San Domenico, 1685

 

Ben parve messo e famigliar di Cristo:
ché ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
75 fu al primo consiglio che diè Cristo.

E fu subito evidente (Ben parve) il suo esser ambasciatore (messo) e domestico (famigliar) di Cristo: dacché (ché) il primo amore che in lui si palesò (fu manifesto), fu al primo consiglio datogli dal Figlio di Dio (che diè Cristo).

Il “primo amor che ’n lui fu manifesto” non è dato sapere a quale evento in particolare si connetta, molteplici, difatti, sono le situazioni presenti fra le pagine evangeliche che potrebbero essere inerenti a tal asserzione.

Spesse fïate fu tacito e desto
trovato in terra da la sua nutrice,
78 come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.

Varie volte (Più fïate) fu sospreso (scoperto) dalla sua nutrice, sveglio (desto) e silenzioso (tacito), inginocchiato a terra, come a dir (dicesse): ‘Io son venuto a questo’.

Certo è che il Domenico infante parrebbe — come da formale agiografia trascritto — aver trascorso la maggior parte delle sue notti genuflesso in preghiera, al servizio del Creatore predestinato.

Oh padre suo veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
81 se, interpretata, val come si dice!

Oh, quanto suo padre era veramente Felice! Oh, quanto veramente la madre era Giovanna, se l’interpretazione etimologica (interpretata) del suo nome (Grazia di Dio) è corretta (val come si dice)!

La felicità è congrua al nome del padre, lo stesso appellandosi Feliz de Guzmán; la madre fu invece Juana de Asa (1135-1205) e fu il giurusta italiano, nonché esperto in diritto canonico, Uguccione da Pisa (?-1210) ad attribuire al nome “Giovanna” il significato di ‘Grazia Dei’.

Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
di retro ad Ostïense e a Taddeo,
84 ma per amor de la verace manna
in picciol tempo gran dottor si feo;
tal che si mise a circüir la vigna
87 che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.

Non per perseguire benefici mondani (per lo mondo), aspirando ai quali ora ci s’affligge (per cui mo s’affanna) seguendo le orme (di retro) d’Ostïense e Taddeo, ma per amore della vera (verace) sapienza, ch’è manna dal cielo, in breve (picciol) tempo San Domenico conseguì laurea (gran dottor si feo); talché (tal che) si mise a vigilare (circüir la vigna) la vigna della Chiesa, che presto appassisce (tosto imbianca), se il vignaiolo è inadempiente (reo).

“Ostïense e Taddeo” furono rispettivamente l’esimio cardinale Enrico da Susa (1200-1271) e il medico fiorentino Taddeo d’Alderotto (1215-1295), menzionati per trasferire il discorso sull’assillante inquietudine, di taluni individui, nel conseguire risultati in ambito di giurisprudenza o medicina, nella brama di potere e guadagno, all’opposto di quanto avvenne per San Domenico, assetato di sapere in maniera pura, senza secondi fini.

E a la sedia che fu già benigna
più a’ poveri giusti, non per lei,
90 ma per colui che siede, che traligna,
non dispensare o due o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
93 non decimas, quae sunt pauperum Dei,
addimandò, ma contro al mondo errante
licenza di combatter per lo seme
96 del qual ti fascian ventiquattro piante.

E al soglio di San Pietro (la sedia) — che in passato fu più munifico (fu già benigna) verso i poveri onesti (giusti) e non per proprie colpe, quanto a causa del pontefice (non per lei, ma per colui che siede), il quale tradisce l’originario virtuoso cammino (traligna) — non chiese (addimandò) di poter devolvere la metà, oppure un terzo (non dispensare o due o tre per sei) alle elemosine, né la rendita anticipata del primo beneficio ecclesiastico privo di titolare (non la fortuna di prima vacante), nemmeno le decime destinate ai bisognosi di Dio (non decimas, quae sunt pauperum Dei), ma l’autorizzazione (licenza) di opporsi alle eresie (contro al mondo errante) in nome della dottrina (per lo seme) da cui sono nate le ventiquattro anime che ti circondano (del qual ti fascian ventiquattro piante).

Secondo l’usanze dei tempi, agli indigenti veniva destinata solamente una parte di quanto a loro dovuto, ma a San Domenico non interessarono minimamente gli introiti materiali dei quali avrebbe potuto approfittare e giovarsi, egli adoperandosi con tutto se stesso a sostegno della Fede, dalla quale origine hanno tratto gli spiriti delle due corone attornianti l’Alighieri.

Poi, con dottrina e con volere insieme,
con l’officio appostolico si mosse
99 quasi torrente ch’alta vena preme;

Poi, sorretto tanto dalla dottrina, quanto dalla volontà (e con colere insieme), su autorizzazione a papale (l’officio appostolico) si mosse come (quasi) un torrente sgorgante da una fonte d’alta montagna (ch’alta vena preme);

e ne li sterpi eretici percosse
l’impeto suo, più vivamente quivi
102 dove le resistenze eran più grosse.

e con impetuoso rigore (l’impeto suo) colpendo (percosse) le eretiche sterpaglie (ne li sterpi eretici), più energicamente (vivamente) nelle zone ove l’avversioni erano maggiormente caparbie (quivi dove le resistenze eran più grosse).

Nella sua fidente e tenace attività, San Domenico agì con la stessa veemenza di un corso d’acqua discendente da un elevato promontorio e le sue azioni furono maggiormente risolute ove l’opposizione era più determinata.

Di lui si fecer poi diversi rivi
onde l’orto catolico si riga,
105 sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Dallo stesso (Di lui) si diramarono in seguito svariati ruscelli (fecer poi diversi rivi) dei quali s’irriga (onde si riga) l’orto della Chiesa (catolico), per modo (sì) che i suoi arbusti (arbuscelli) ne vengano ravvivati (stan più vivi).

I discepoli domenicani portarono avanti l’opera del loro maestro, da esso diramandosi come rigeneranti rigagnoli.

Se tal fu l’una rota de la biga
in che la Santa Chiesa si difese
108 e vinse in campo la sua civil briga,
ben ti dovrebbe assai esser palese
l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
111 dinanzi al mio venir fu sì cortese.

Se tale fu una ruota della biga sulla quale (in che) la Santa Chiesa si riparò (difese), vincendo in campo aperto la sua guerra (briga) civile, ben ti dovrebbe esser alquanto chiaro (assai palese) l’eccellenza dell’altra ruota, nei confronti della quale Tommaso (di cui Tomma), prima ch’io giungessi, (dinanzi al mio venir) fu tanto amorevole (sì cortese).

Ma l’orbita che fé la parte somma
di sua circunferenza, è derelitta,
114 sì ch’è la muffa dov’era la gromma.

Ma il solco tracciato dalla (l’orbita che fé la) parte esterna (somma) della sua circonferenza, è stato abbandonato (derelitta), cosicché, ove un tempo v’era tartaro (la gromma), ora c’è muffa.

La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
117 che quel dinanzi a quel di retro gitta;

La famiglia francescana (sua), che seguiva scrupolosamente il cammino del suo fondatore (si mosse dritta coi piedi a le sue orme), s’è talmente traviata (è tanto volta), da portar il piede davanti verso quello dietro (che quel dinanzi a quel di retro gitta);

e tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
120 si lagnerà che l’arca li sia tolta.

e presto (tosto) dal raccolto (de la ricolta) ci si renderà conto (vedrà) della mala coltura, quando la gramigna (il loglio) si lagnerà d’esser stata estromessa dal granaio (che l’arca li sia tolta).

Le due ruote della “biga” — ossia il carro romano preso a metafora come rifugio della Chiesa — sono di nuovo figurazioni di San Francesco e san Domenico, tuttavia la ruota a rappresentazione dell’Ordine francescano ormai lasciando un derelitto, par scarsità di frati fedeli, in larga parte deviati dall’iniziale cammino, ragion per la quale presto si vedranno estromessi dal Paradiso, celeste silo in cui quanto seminato verrà raccolto in base alle precedenti modalità di coltivazione.

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
123 u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’;

D’accordo (Ben dico), chi attentamente sfogliasse (cercasse a foglio a foglio) il nostro libro (volume) dell’Ordine, ancor troverebbe (troveria) alcune pagine (carta) sulle quali (u’) leggerebbe ‘Io son quel che son sempre stato (ch’i’ soglio)’;

ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
là onde vegnon tali a la scrittura,
126 ch’uno la fugge e altro la coarta.

ma ciò non arriverà (fia) da Casale Monferrato, tantomeno da Acquasparta, colà da dove provengono (là onde vegnon), come interpreti delle Regola francescana (a la scrittura), due tali ch’uno la schiva (fugge) e l’altro l’inasprisce (la coarta).

Certamente ancor sono presenti frati francescani completamente devoti e con invariata condotta (I’ mi son quel ch’i’ soglio), ma sicuramente fra loro non rientra il predicatore francescano e teologo Ubertino da Casale (1259-1325/1329), condannato per eresia, tantomeno il cardinale francescano, filosofo, e teologo Matteo d’Acquasparta (1240-1302), l’uno eccessivamente elusivo della Regola, l’altro esageratamente esacerbante sulla stessa.

Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
129 sempre pospuosi la sinistra cura.

Io son l’anima (vita) di Bonaventura da Bagnoregio che, esercitando le mie elevate cariche (ne’ grandi offici), ho sempre posposto (pospuosi) l’interesse nei confronti dei beni materiali (la sinistra cura).

Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), cardinale, filosofo e teologo italiano, oltre che insegnante alla parigina Sorbonne; fu generale dell’Ordine francescano a partire dal 1257 e ricoprì alte cariche, avendo premura di lasciare sempre in secondo piano la mondanità rispetto alla spiritualità.
 

Dante Alighieri, Divina Commedia: Paradiso, Canto XII • Fra Silvestro dei Carmelitani Scalzi (1830-1901), San Bonaventura si prostra al Sacro Cuore di Gesù, 1874 • Terzo Pianeta • https://terzopianeta.info
Fra Silvestro dei Carmelitani Scalzi (1830-1901), San Bonaventura si prostra al Sacro Cuore di Gesù, 1874

 

Illuminato e Augustin son quici,
che fuor de’ primi scalzi poverelli
132 che nel capestro a Dio si fero amici.

Qui si trovano (son quici) Illuminato e Agostino, che furono i primi a farsi scalzi e devoti alla povertà (poverelli), coloro che, nel cingersi nel cordiglio del saio (capestro) a Dio si resero cari (fero amici).

Il religioso italiano Illuminato da Rieti (? – dopo il 1280) e Agostino di Assisi, furono, insieme a Bernardo di Quintavalle, Egidio e Silvestro, i primissimi discepoli di San Francesco, formanti il primo nucleo dell’Ordine francescano.

Ugo da San Vittore è qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
135 lo qual giù luce in dodici libelli;

Ugo da San Vittore è qui con loro (elli), così come Pietro Mangiadore e Pietro Spano, la cui nomea terrena riluce (lo qual giù luce) in dodici libri (libelli);

Ugo di san Vittore (1096/1097-1141), o Hugues de Saint-Victor, fiammingo, teologo, cardinale, filosofo e vescovo cattolico francese che si distinse per immane cultura e per misticismo agostiniano.

Pietro Comestore (1100-1179), o Pietro di Troyes, anche detto “Pietro Mangiadore”, teologo e scrittore francese il cui epiteto derivava dalla sua incredibilie ingordigia nei confronti dei libri.

Pietro Spano (1226 circa-1277), o Pietro di Giuliano da Lisbona, alias Papa Giovanni XXI, la cui fama terrena scaturisce da dodici testi, da lui redatti al titolo ‘Summulae logicales”, significativo manuale universitario medievale sulla logica aristoteliana.

Natàn profeta e ’l metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
138 ch’a la prim’arte degnò porre mano.

Qui si trovano Natàn Profeta e il metropolita (’l metropolitano) Crisostomo, poi Anselmo e quel Donato che si dedicò allo studio della grammatica (ch’a la prim’arte degnò porre mano).

Natàn, profeta ebraico e scriba operativo ai tempi del biblico re David (1040 a.C. circa – 970 a.C. circa), prima al suo servizio e poi a quello di Salomone, come competente in predizioni sulle sorti regali.

San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407), ossia Giovanni d’Antiochia, vescovo, arcivescovo di Costantinopoli e teologo greco, la cui eloquenza e retorica nell’omiletica gli valsero appunto l’epiteto Crisostomo, in greco antico, «bocca d’oro».

Anselmo d’Aosta (1033-1109), o Anselmo di Canterbury, o ancora Anselmo di Le Bec, filosofo, teologo e arcivescovo cattolico franco, titolare del trattato ‘Cur Deus Homo?’.

Elio Donato, grammatico romano vissuto nel quarto secolo, oltre che maestro dell’eccellente traduttore, scrittore e teologo San Girolamo (347-420).

Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
141 di spirito profetico dotato.

Qui si trova (è) Rabano, e mi risplende affianco (lucemi dallato) l’abate calabrese (calavrese) Gioacchino (Giovacchino), dotato di spirito profetico.

San Rabano Mauro Magnenzio (776/780 – 856), fu abate benedettino di Fulda, erudito carolingio e arcivescovo di Magonza.

Infine Giovacchino da Fiore (1130/1135 – 1202), teologo, scrittore e abate italiano, che dapprima appartenne all’Ordine cistercense — fondato dal monaco benedettino Roberto di Molesme (1029-111) nel 1098 —in seguito a capo d’un suo personale Ordine, detto il ‘florense’.

Ad inveggiar cotanto paladino
mi mosse l’infiammata cortesia
144 di fra Tommaso e ’l discreto latino;

A incentivarmi nella sublimazione cotale (Ad inveggiar cotanto) paladino della Chiesa, mi mossero l’appassionata garbatezza (l’infiammata cortesia) e la sua eminente esposizione (’l discreto latino);

145 e mosse meco questa compagnia».

muovendo (e mosse) questi beati spiriti (questa compagnia) insieme a me”.

Bonaventura conclude in ennesimo ringraziamento a Tommaso d’Aquino, dal suo precedente narrare incoraggiato, insieme agli spiriti della sua corona, pronti a proclamare il loro consenso con entusiaste danze ed euritmici canti.

Al lettore sarà dedicato prossimo incipit: “Imagini, chi bene intender cupe quel ch’i’ or vidi – e ritegna l’image, mentre ch’io dico, come ferma rupe…”
 
 
 
 

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