Storie di fantasmi americani. Dalla Casa Bianca a Basa
Non esiste paese la cui tradizione popolare non abbia leggende di fantasmi, spiriti innocui o maligni che si aggirano fra boschi, abitano castelli oppure dimore lasciate cadere in stato di abbandono proprio a causa del manifestarsi di inquietanti presenze, attraverso suoni, rumori, voci. Tutti eventi che almeno nella maggior parte dei casi sono frutto di suggestione, immaginazione, ma tal volta, potrebbe non essere la mente a ingannare gli occhi.
Una residenza che tutto il mondo conosce e che da secoli sembra sia popolata da fantasmi, ad esempio, è la Casa Bianca e tra i primi a dirlo, fu Harry Truman. Vi abitò per 8 anni a partire dal 1945 e due mesi dopo aver varcato la soglia, il 12 giugno, alla moglie Bess scriveva: «Mi siedo qui in questa vecchia casa e lavoro sugli affari esteri, leggo relazioni, scrivo i discorsi – mentre ascolto i fantasmi camminare su e giù per il corridoio e persino qui nello studio. I pavimenti scricchiolano, le tende si muovono avanti e indietro – Posso solo immaginare che siano i vecchi Andy (Jackson) e Teddy (Roosevelt) che parlano di Franklin (Roosevelt). O James Buchanan e Franklin Pierce che discutono su chi sia stato più inutile per il paese. E quando Millard Fillmore e Chester Arthur si uniscono, il baccano è quasi insopportabile. Ma continuo a lavorare ancora.»
Per decenni, le famiglie che da fine ‘700 cominciarono a vivere alla Casa Bianca, hanno sofferto guerre, carestie, malattie, quindi non ci sarebbe da meravigliarsi se alcune anime non avessero trovato pace.
Il primo abitante è stato John Adams, 2° presidente degli Stati Uniti. Vi entrò con la consorte Abigail nel 1797 e proprio il suo fantasma è stato più volte avvistato nell’attuale East Room, la stanza che all’epoca risultava essere la più calda e meno umida e per questo, da lei utilizzata per stendere il bucato. Successivamente è stata adibita ai ricevimenti e pare che già i membri dell’amministrazione di William Taft, 27° presidente, riferivano di averla vista con indosso un cappello e uno scialle ricamato, mentre altri, hanno persino aggiunto che il suo arrivo, sia anticipato dal diffondersi di una fragranza.
Non è l’unica First Lady a girovagare per la Casa Bianca, a farle compagnia Dolley Payne, moglie di James Madison, eletto nel 1809. Fu lei ad aver dato vita al famoso Giardino delle Rose e proprio a difesa degli amati fiori si fece vedere per la prima volta. Accadde quando, oltre un secolo dopo, Edith Bolling, consorte del 28° presidente Woodrow Wilson, chiamò dei lavoranti per togliere il roseto e come questi si misero all’opera, apparse un’infuriata Dolley che li mise in fuga.
Altro fantasma collerico, come irascibile e polemico è stato spesso descritto in vita, è quello di Andrew Jackson, in carica dal 1829 al 1837. Ricordato per aver spezzato il potere elitario di intellettuali e latifondisti sulla struttura politica, ma anche per le vessazioni protratte nei confronti dei popoli nativi, Jackson sopravvisse alla fine del suo mandato solo 8 anni, ma due decadi dopo, fece ritorno nelle stanze presidenziali. A testimoniarlo fu nientemeno che Mary Todd, moglie di Abraham Lincoln. Diceva di sentirlo perfino bestemmiare e negli anni successivi, altri hanno affermato di averne udito la gutturale risata e di averlo visto sdraiato sul suo letto, in quella che oggi è la Queen’s Bedroom, considerata la camera in assoluto più infestata.
Molti altri presidenti sembra non abbiano la lasciato quelle stanze, John Tyler, William Henry Harrison, pare che Thomas Jefferson sia solito suonare il violino nella Yellow Oval Room. Lillian Rogers Parks, sarta dalla carriera trentennale presso la Casa Bianca, nel libro di memorie pubblicato nel 1961, ha raccontato la storia di un cameriere che affermava di aver sentito una voce proveniente dalla Yellow Oval Room, pronunciare «sono Mr. Burns». David Burns era il possidente che aveva ceduto gran parte del terreno dov’è poi sorta la dimora presidenziale e durante l’amministrazione Truman, una guardia udì una frase del tutto simile. Pensando si trattasse dell’allora il Segretario di Stato James Byrnes, andò a cercarlo, per scoprire che quel giorno era assente.
Nel corso del tempo, membri dello staff, hanno dichiarato di aver visto anche Anna Surrat bussare alla porta della Casa Bianca implorando di vedere Andrew Johnson. Sua madre era Mary Surrat, prima donna negli Stati Uniti ad essere condannata a morte per impiccagione, pena capitale che le venne inflitta perché ritenuta complice nell’assassinio di Lincoln. Prima che venisse giustiziata, sua figlia cercò in ogni modo di convincere il presidente a concedere la clemenza, ma non vi riuscì ed ogni 6 luglio, giorno precedente l’esecuzione, torna per chiedere che venga risparmiata la vita della madre e persino i residenti della vicina H Street, dove visse, ne sentono il pianto.
Il fantasma più celebre, è proprio quello di Lincoln, eletto 16° presidente degli Stati Uniti nel 1860. Sconvolta dalla perdita del figlio Willie, Mary Todd si rivolse a un medium nel tentativo di comunicare con lui. Tenne sedute spiritiche alla Casa Bianca e dopo un iniziale scetticismo, partecipò anche il presidente.
D’altra parte l’interesse per l’ultraterreno è stato lui stesso a rivelarlo, in più occasioni. Nel 1842, in una lettera indirizzata al fraterno amico Joshua Speed, scrisse di aver «sempre avuto una forte tendenza al misticismo». La sera delle elezioni, in attesa dei telegrammi che lo avrebbero informato sull’esito delle elezioni, raccontò che dal divano dov’era seduto, rivolse lo sguardo verso uno specchio e vide la sua immagine a figura intera con due volti. Si alzò di scatto, ma la visione svanì nel nulla, tornando nuovamente reale non appena si riaccomodò posando gli occhi sul vetro di un bicchiere.
Vide quello che viene definito doppelgänger, ovvero il duplicato reale o spettrale di una persona. Nel suo caso, il doppione che nel riflesso gli era accanto, appariva con il volto più terreo ed emaciato di quanto non lo fosse già lui naturalmente. Ne rimase turbato, riferì l’episodio alla moglie, ed entrambi interpretarono l’evento come un terribile presagio: sarebbe stato eletto per un secondo mandato, ma non lo avrebbe portato a termine.
Dalla sua morte, avvenuta il 15 aprile 1965, sono davvero molte le persone che negli anni hanno dichiarato di averne visto lo spirito e la prima del lungo elenco fu Grace Goodhue, moglie del presidente Calvin Coolidge. Secondo quanto riferì, lo notò mentre era affacciato da una finestra della Stanza Ovale, intento ad osservare in direzione di Gettysburg, dove ebbe luogo una delle battaglie più importanti della guerra di secessione americana.
La presenza di Lincoln fu avvertita anche dalla consorte di Lyndon Johnson, Claudia Alta Taylor, maggiormente conosciuta con il soprannome datole dalla governante quand’era bambina: Lady Bird, coccinella. Raccontò di averlo visto una notte mentre guardava un programma televisivo incentrato sul suo omicidio.
Negli anni ’60, Eleanor Roosevelt, durante la più che decennale presidenza del marito Franklin, pur dichiarando di non averlo mai visto, varie volte disse di averne avvertito la presenza, mentre la sua segretaria Mary Eben, così come molti altri, non ebbe timore a raccontare di aver visto il fantasma di Lincoln seduto sul letto e d’esser fuggita strillando dalla paura.
Non solo ai ‘provvisori inquilini’ è capitato di veder fantasmi, anche Guglielmina, regina dei Paesi Bassi, durante la sua permanenza alla Casa Bianca affermò che a notte fonda, sentì bussare alla porta della sua camera e quando andò ad aprire, si trovò di fronte Abraham Lincoln con tanto di cilindro. L’immagine la terrorizzò a tal punto che perse i sensi.
Con lei, anche il primo ministro britannico Winston Churchill, più volte ospite alla Casa Bianca durante la Seconda Guerra Mondiale, testimoniò che uno spettrale Lincoln seduto accanto al caminetto gli apparì mentre stava comodamente fumando il proverbiale sigaro nella sua stanza.
Suggestione, leggende, tutto può essere, ma fuori dalle mura presidenziali, a fine ‘800, in West Virginia e più esattamente nella contea di Greenbrier, accadde qualcosa che ancora oggi non ha trovato una spiegazione logica.
Testimonianze di fantasmi
Elva Zona Heaster, aveva solo 23 anni quando a luglio del 1897 morì per sopraggiunte complicazioni durante la gravidanza, o almeno questa fu la causa ravvisata dal medico legale. Poco si conosce della sua precedente vita, se non che due anni prima aveva dato alla luce un bambino nato da una fugace relazione, per poi innamorarsi e sposare Erasmus ‘Edward’ Stribbling Trout Shue, un 37enne da poco giunto nella contea in cerca di fortuna.
Il corpo senza vita della ragazza fu rinvenuto da un fattorino, Andy Jones, giunto a casa di Zona per una commissione. Lo trovò in fondo alle scale con il viso rivolto sul pavimento, i piedi uniti, un braccio lungo il fianco e l’altro piegato sullo stomaco.
Corse ad avvertire il marito e poi la madre Mary Jane, la quale cercò di contattare il Dr. George Knapp. Quest’ultimo arrivò dopo un’ora, quando Shue aveva già portato il corpo della moglie al piano di sopra e dopo averla adagiata sul letto matrimoniale, si era occupato anche della vestizione. Benché tradizione voleva fosse compito delle donne preparare i defunti alla sepoltura.
Il Dr. Knap iniziò ad esaminare la salma, ma data la disperazione del marito che in lacrime non si allontanava dalla consorte, terminò anzitempo. Dapprima adducendo che il decesso era dovuto ad esaurimento, dopodiché, come detto, per problemi derivanti dalla gravidanza.
«Il diavolo l’ha uccisa», sbottò la madre. Non le era mai andata a genio quell’unione con Shue.
Una volta riposta nella bara, fra dolore e nervosismo, l’uomo mise al collo della moglie la sciarpa da lei preferita e adagiò un cuscino accanto alla sua testa, dopodiché, la salma venne poi avvolta con lenzuolo bianco.
Zona fu sepolta nel cimitero metodista il 24 Gennaio 1897, dopo 24 ore dal decesso.
Il giorno seguente, Mary Jane, che aveva prelevato il lenzuolo prima che la bara fosse chiusa, si recò a casa del genero per darglielo, ma questi rifiutò di accettarlo. Non le rimase che tornarsene a casa e tenerlo come ricordo. Si accorse però che emanava un odore particolare e così riempì una bacinella con l’intenzione di lavarlo. Come lo immerse l’acqua si fece rossa e sbalordita la donna sobbalzò all’indietro. Il tessuto sembrava sanguinare e lei non poteva credere ai suoi occhi. Con una brocca andò a prelevare altra acqua pensando che fosse quella ad esser sporca e lo lavò ancora, ritentò con acqua calda, lo stese al sole, ma il lenzuolo non tornò al suo iniziale candore.Interpretò l’evento come un segno che la figlia non era morta per cause naturali e ogni giorno pregò affinché in un modo o nell’altro le raccontasse cosa accadde davvero. Andò implorando per settimane finché nel buio di una sera, il fantasma di Zona le apparve, tornado da lei per 4 notti consecutive. Le rivelò essere stata vittima di continue violenze da parte del marito ed una sera, quella sera, alla vista di una tavola sguarnita di carne per cena, Shue cadde in preda ad una rabbia incontrollabile e mani alla gola le spezzò il collo.
Senza timore d’esser creduta pazza, Mary Jane andò dal procuratore John Alfred Preston rivelandogli quanto le era capitato e nonostante le ovvie perplessità, ordinò la riesumazione. Oltre i lividi da strangolamento immediatamente coperti da abito e sciarpa, l’autopsia, effettuata il 22 Febbraio, evidenziò la rottura della prima e della seconda vertebra ed uno schiacciamento della trachea.
Edward Shue venne imputato di omicidio e tratto in arresto.
Non aveva alibi, ma le prove a suo carico erano del tutto inesistenti. C’era solo la narrazione di un fantasma e chiaramente Preston non voleva che saltasse fuori durante il processo, avrebbe tolto credibilità e fatto crollare l’impianto accusatorio.
Portò in tribunale una schiera di testimoni pronti a giurare sulla condotta violenta dell’uomo, tuttavia nessuno poteva asserire di averlo visto ammazzare Zona con i propri occhi. Fu l’avvocato difensore a giocare a favore della controparte, chiedendo di ascoltare Mary Jane.
Senza indugi la donna sciorinò la sua verità, o meglio, la verità del fantasma della figlia e la giuria non esitò a crederle. Il verdetto vide Edward Shue condannato all’ergastolo e solo perché la natura delle prove era quantomeno insolita, altrimenti sarebbe andato incontro alla pena capitale. Fu condotto nel penitenziario di Moundsville, Virginia, dove morì il 13 marzo del 1900 a causa di una epidemia.
Non è dato sapere se i giurati dettero realmente credibilità alla storia. Durante il processo venne fuori che Shue aveva già due matrimoni alle spalle e mentre il primo si era concluso con un divorzio per violenze domestiche, la seconda moglie era morta in circostanze mai chiarite. Un passato quindi, che potrebbe aver inciso sul giudizio finale, ma vero è, che l’omicidio di Elva Zona
Heaster, non sarebbe mai emerso se la madre non avesse visto o immaginato il suo fantasma.
Fu il primo caso in cui una corte degli Stati Uniti accettò come testimonianza provante quella di un essere dell’aldilà, ma non l’ultima, accadde nuovamente a distanza di 80 anni esatti.
Teresita Basa, il fantasma che incastrò l’omicida
Era la sera del 21 febbraio 1977, quando i vigili del fuoco di Chicago vennero chiamati per spegnere l’incendio sviluppatosi in un appartamento posto al 15° piano di un immobile situato nel quartiere di Lincoln Park. Una volta entrati trovarono l’abitazione sottosopra e nel soggiorno, riverso a terra sotto un materasso e un mucchio di abiti in fiamme, rinvennero il cadavere di una donna con un coltello da cucina in pieno petto.
Si trattava della 47enne Teresita Basa, fisioterapista respiratorio presso l’Edgewater Hospital originaria delle Filippine.
Intervenuti sul posto, gli agenti della polizia videro che non c’era alcun segno di scasso, per cui la vittima conosceva il suo carnefice. Nella casa non trovarono altro indizio se non un promemoria con la scritta “Prendi i biglietti del teatro per A.S.” e l’autopsia, nei giorni seguenti accertò che non vi era stata alcuna violenza sessuale, fugando i dubbi dovuti al fatto che la donna era stata trovata nuda.
Dopo mesi, le ricerche non avevano prodotto alcun risultato, tutto era rimasto invariato: il proprietario di quelle iniziali era ancora avvolto nel mistero; parenti e conoscenti interrogati avevano tutti presentato alibi inoppugnabili e il caso sembrava ormai inesorabilmente destinato all’archiviazione.
In agosto però, Joseph Stachula, l’agente investigativo che dirigeva le indagini, venne contattato telefonicamente da Jose Chua, un collega della donna.Lo informò che sua moglie Remibias, molto amica di Basa e anche lei terapista all’Edgewater Hospital, da qualche tempo aveva cominciato ad avere visioni, fare incubi, fino ad arrivare ad essere letteralmente posseduta dal suo spirito.
Tutto era iniziato dopo che per gioco, Remibias disse che prima o poi Teresita le sarebbe apparsa in sogno rivelandole l’identità della persona che l’aveva uccisa e la notte stessa, mentre era nel dormiveglia, qualcosa la spinse ad aprire gli occhi e si trovò davanti il suo fantasma. Con il trascorrere dei giorni, sempre di più ne assunse gli aspetti caratteriali, il modo di parlare, finché non cadde in preda al delirio attaccando a parlare in uno spagnolo che neanche conosceva.
Il marito le domandò chi fosse la persona che aveva di fronte e la risposta lo lasciò più sconcertato di quanto già non lo fosse: «Sono Teresita, Teresita Basa.» Dopodiché lo spronò ad andare alla polizia perché il suo omicida era ancora a piede libero. Chua era sconvolto e la voce si fece ancor più concitata, affermando che l’assassino era Allen Showery, un inserviente dell’ospedale.
Stachula ovviamente stentava a prendere sul serio quella storia, ma la voce di Basa non tardò a fornire ulteriori dettagli che potevano essere verificati senza troppe difficoltà: «Dopo che mi ha ucciso, ha preso i miei gioielli e li ha dati alla sua ragazza». Non mancando di indicare le persone che quei gioielli, avrebbero potuto riconoscere.
Per quanto improbabile, per l’investigatore era l’unica possibilità e si decise a seguirla. Dai colleghi di Teresita venne a sapere che quella sera Showery avrebbe dovuto recarsi da lei per aggiustarle la televisione. L’uomo fu interrogato e ammise che gli era stato chiesto il favore, ma dichiarò che la donna aveva poi rimandato e commise il fatale errore di aggiungere che se n’era stato in casa ad aggiustare l’impianto elettrico. Subito dopo venne ascoltata la compagna e convivente Yanka Kamluk, la quale disse che non c’era stato alcun guasto e a precisa domanda, rispose di aver effettivamente ricevuto in regalo un anello e un pendente.
Immediatamente vennero convocate le persone che la voce di Basa aveva indicato come coloro che avrebbero potuto identificarli e nessuno ebbe esitazioni.
Ormai alle strette, Allen Showery confessò di essere l’autore del delitto. Credendola benestante voleva rubarle i soldi, così, dopo averla uccisa mise l’appartamento a soqquadro, ma sfortunatamente per lui trovò appena 30 dollari. A quel punto, volendo inscenare un omicidio a sfondo sessuale, le strappò i vestiti, prese il materasso dalla camera da letto e glielo gettò sopra.
Il 21gennaio 1979, dopo che la difesa aveva tentato di rendere nulla, agli effetti giuridici, la testimonianza ultraterrena, ebbe inizio il processo passato alla storia come ‘la voce dell’oltretomba’. Messa davanti a circostanze che avevano dell’assurdo, la giuria non riuscì ad emettere il verdetto e il procedimento fu presto sospeso e poi annullato. In attesa di un secondo processo, il 23 febbraio, contro il parere dei propri avvocati, Allen Showery si dichiarò colpevole e fu condannato a 22 anni di reclusione per omicidio, rapina e incendio doloso.
Nel 1983 gli fu concessa la libertà condizionale.
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