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Giancarlo Siani, il giovane che sfidò la camorra

 

Di Giancarlo Siani, mi resterà impresso il dolore incredulo che suscitò tra i colleghi più giovani. La sera in cui fu ucciso, noi giornalisti più navigati dovemmo sederci alla macchina da scrivere e completare i pezzi dei colleghi che piangevano e non avevano la forza di andare avanti.
Pietro Gargano

Corrispondente da Torre Annunziata per Il Mattino, Giancarlo Siani illustrava la cronaca campana con acribia indagando le ombre di degrado, disoccupazione, traffico di stupefacenti, dunque del confine opaco tra politica e malavita, ogni accadimento osservando attraverso la consapevolezza per cui il fenomeno mafioso, al fine di comprenderne le dinamiche, le risorse e il sostentamento, era da concepire nel complesso sociale e conscio dei rischi, meticolosamente osando analizzare e collegare eventi, giunse ad intuire movimenti e sviluppi della camorra, esito a causa del quale, mentre si trovava a bordo della propria auto, la Citroën Méhari detta spiaggina, nel quartiere partenopeo dell’Arenella, alle 20:30 del 23 Settembre 1985, dieci colpi d’arma da fuoco alla testa gli strapparono la vita all’età di ventisei anni.

All’epoca Napoli pativa la sanguinosa guerra fra la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia appositamente creata per contrastarne il potere ed egemonizzata da Antonio Bardellino, Carmine Alfieri, Valentino Gionta e il clan dei fratelli Ciro, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, affiliati ai Corleonesi di Riina, Liggio, Bagarella e Provenzano.

In una faida che in pochi anni provocò centinaia di vittime, ad avere la peggio furono i cutoliani, tuttavia al contempo saltarono gli equilibri interni alla Nuova Famiglia con Alfieri e Bardellino, in contrapposizione ai Nuvoletta e Valentino Gionta, il quale, non solo ascese rapidamente ai vertici della camorra di Torre Annunziata, ma divenne anche contatto di riferimento di Cosa Nostra, giungendo a muovere miliardi di vecchie lire esercitando il controllo del mercato ittico e del contrabbando di tabacco, oltre ad agire sul traffico di stupefacenti ed edilizia.

Nel 1984 un manipolo d’esponenti dei clan Alfieri e Bardellino — nel frattempo tratto in arresto denunciando tradimento dei Nuvoletta — irruppe nella tenuta di Ciro Gionta, ammazzandolo sotto gli occhi del fratello Valentino che, al contrario, riuscì a fuggire.

Catena di omicidi culminò col massacro rimasto nella memoria come la strage di Sant’Alessandro, quando un commando di Alfieri, su decisione di Bardellino, servendosi di un pullman recante la scritta “giro turistico”, piombò davanti all’allora Circolo dei pescatori dov’erano soliti riunirsi i fedeli dei Gionta e senza troppo badare, mitragliette IMI Uzi e fucili sovietici AK-47 piovvero proiettili sulla folla uccidendo otto persone e ferendone sette, alcune estranee alla faida, mentre ancora una volta, Gionta ne uscì illeso, finendo però intercettato dai Carabinieri l’8 Giugno 1985, nelle vicinanze della villa di Lorenzo Nuvoletta in cui da tempo si rifugiava e tradotto nel carcere di Poggioreale.

Appena due giorni dopo, Il Mattino affidò il compito di esporre la vicenda a Giancarlo Siani, dacché l’unico in grado di darne una visione quanto più esaustiva ed il giornalista, ne scrisse sostenendo che l’incarcerazione era «Il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”».

Siani firmava ormai da un quinquennio articoli inerenti la camorra, dei legami stretti con la politica, pertanto, tali parole, sostenute d’acclamata credibilità di penna, misero in allarme i Nuvoletta, che si vedono scagliare addosso un’accusa che potrebbe portare gravi conseguenze anche nell’alleanza con i corleonesi, in quanto loro ambasciatori in terra campana.

Giancarlo Siani doveva essere ucciso e così è stato, un delitto di mafia che dopo anni di indagini vedrà una prima spiegazione nelle parole rilasciate al pm Armando D’alterio, dal pentito Gabriele Donnarumma, cognato di Valentino Gionta e più avanti in quelle di un altro pentito, Fernando Cataldo.

Per il primo la morte di Giancarlo Siani era una decisione di Riina in accordo con Nuvoletta, mentre Cataldo parlerà solo di quest’ultimi, ma entrambi diranno che il motivo era l’essere stati additati come traditori, un disonore inammissibile.
Secondo i pentiti la decisione trovò un’iniziale opposizione di Gionta, temendo che la colpa sarebbe ricaduta su di lui, ma la sentenza era ormai scritta, così si limitò a chiedere che l’omicidio avvenisse lontano da Torre Annunziata.

L’onore sarebbe stato dunque la causa di tutto, ma dopo anni di indagini è stato appurato che i motivi che hanno portato all’omicidio, siano stati ben altri.

Siani stava facendo profonde indagini circa i rapporti tra politica e mafia nell’area di Torre Annunziata e tra sindaci coinvolti in giri di tangenti e assessori comunali al soldo dei clan, le ricerche lo stavano portando a Napoli, dove la complicità, si stringeva attorno agli appalti per la ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto in Irpinia nel 1980.

«Non si uccide per qualcosa che si è fatto, ma si uccide perché si teme qualcosa, perché qualcosa venga detto»
Bruno Rinaldi, ex-capo della squadra mobile di Napoli

G. Siani

Il 22 Settembre, Il Mattino pubblicò l’ultimo articolo di Giancarlo Siani, mentre quanto segue è ciò che il giornalista scrisse per quel 10 giugno 1985.

Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta.
Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.
Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni.
I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare». La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo.
L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico. Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi.
Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga. È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage.
Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone.
Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei.
A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.
Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino.
Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan.
Torre Annunziata diventa una zona che scotta.
Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati.
Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia».
Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta  salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage. Ancora latitanti il fratello del boss, Ernesto Gionta, e il suocero, Pasquale Donnarumma.

 
 
 
 

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