Richard Claxton “Dick” Gregory, «l’unico e il solo»
Fervente attivista per i diritti civili, l’umorista Dick Gregory fece d’abrasiva e pionieristica ironia mezzo contro ogni forma d’ingiustizia, negli Stati Uniti divenendo paladino delle comunità afroamericane esternando personali convinzioni, in perseverante stima al rispetto dell’essere umano, con tagliente sarcasmo mirando all’essenza delle problematiche sociali e dunque mai mancando di suscitare riflessioni.
In America, con tutti i suoi mali e difetti, è ancora possibile attraversare la foresta e vedere il sole. Ma tuttora non sappiamo se sta sorgendo o tramontando per il nostro Paese.
Dick Gregory
Negli anni Sessanta anche la comicità penava lungo l’erto cammino verso l’affrancamento dalla discriminazione razziale e difficilmente, ad un afroamericano veniva concesso di esibirsi in un locale frequentato da un pubblico prevalentemente bianco ed all’artista era riservato ruolo di cantore ambulante di foggia giullaresca, finché sul palco non salì l’avanguardista Dick Gregory, uomo dall’umorismo graffiante e stratificato, capace d’oltrepassare, con impareggiabile stile, stereotipi e preconcetti, raggiungendo fama planetaria ed altresì offrendo alla comunità nera, mediante idee e parole, potere di reagire alle angherie.
Dick Gregory, il comico, l’attivista
Richard Claxton “Dick” Gregory nacque nel Missouri, a St. Louis, il 12 ottobre 1932 — secondogenito di Lucille Jefferson (1904-1953) e Presley ‘Big Pres’ Eugene Gregory (1898-1964), il quale padre abbandonò presto la famiglia costringendo la donna a sostenere lunghe ed estenuanti giornate di lavoro al fine di provvedere al mantenimento dei sei figli, in triste sorte inevitabilmente privandoli — dopo la perdita della figura paterna — per gran parte del tempo anche del calore materno, ma nonostante tale avversa situazione, nel giovane Gregory andò germinando un’indole burlesca che gli fu arma — come da lui stesso narrato — già in fanciullezza a fronte di derisioni dei compagni di scuola, un corroborante a non demordere nelle difficoltà da evidenziare, con l’avanzare degli anni, brillanti doti tanto nello studio quanto in ambito sportivo, per cui incipienti virtù ricevette aperto sostegno di insegnanti, ripagati nella fiducia con prova di volontà e talento nella corsa e nello sci di fondo, guadagnando in quest’ultima attività la vittoria nel campionato statale del 1950 ed in epoca liceale — peraltro manifestando brama di giustizia con la partecipazione alle proteste contro la segregazione negli istituti scolastici — conquistando una borsa di studio in corso di frequenza della Southern Illinois University (SIU), periodo in cui continuò a distinguersi sia a livello propedeutico sia sportivo, al punto da ricevere menzione al titolo di migliore atleta-studente dell’annata 1953.
Mia madre era la donna più dolce mai vissuta su questo Pianeta, ma se azzardavi a dirle che Gesù non era cristiano, ti pestava a sangue.
Dick Gregory
A sospendere per un biennio il percorso universitario fu l’arruolamento nell’esercito statunitense nel 1954, contesto nel quale fu inaspettatamente incentivato a liberare innato umorismo dal proprio comandante, quindi iniziando a muovere i primi passi nella recitazione con la divisa militare, subìto osservando positivi riscontri e presto ritrovandosi a vincere in talent show, conseguentemente divenendo presenza fissa in vari teatri dove prese a dilettare il pubblico con incantevole e penetrante dileggio.
Quando ho perso il mio fucile, l’Esercito mi ha fatto pagare 85 dollari. Ecco perché in Marina il capitano affonda insieme alla nave.
Dick Gregory
Congedatosi al termine di diciotto mesi spesi tra le basi militari di Fort Hood, Texas, Fort Lee, Virginia e Fort Smith, in Arkansas, anziché concludere formazione alla SIU, ascoltando intima percezione d’un ateneo propenso a prediligerne predisposizione atletica piuttosto che assecondarne desiderio di conoscenza, Dick Gregory, dopo un breve ritorno in aula, prese decisione di tentare carriera attoriale spinto dalla volontà di ripetere e concretizzare in professione le appaganti esperienze del precedente biennio, dunque traslocando a Chicago e innovativamente irrompendo nella comicità nel medesimo momento scelto da personaggi quali William Henry ‘Bill’ Cosby, Julisu ‘Nipsey’ Russel (1918-2005) e Godfrey MacArthur Cambridge (1933-1976), inserendosi in un panorama artistico risultato perfetto ai firmati sketch, prediletto scettro con cui, oltre ad allietare spirito, prese a scuotere le coscienze sulle tanto care questioni razziali e socio-politiche coeve.
Nel 1958 debuttò invece in veste d’imprenditore con l’inaugurazione del night, Apex Club, malauguratamente però il progetto si risolse in un fallimento che ne minò seriamente le finanze, tuttavia Gregory non si perse d’animo e lavorando di giorno al servizio postale statunitense, proseguì a calcare le scene non disdegnando modesti locali notturni — prevalentemente frequentati da afroamericani — dalla retribuzione di appena 5 dollari a serata e dal 1959, esercitando al Robert Show Bar, dove il suo talento non passò inosservato ai lungimiranti occhi dell’editore di riviste — fondatore e caporedattore del celebre magazine Playboy — Hugh Marston Hefner (1926-2017) il quale, colpito sull’istante, gli propose ingaggio come cabarettista al Playboy Club — catena di locali con gestione a capo della Playboy Enterprises, il primo appunto aperto a Chicago nel 1960 — in temporaneo rimpiazzo sostitutivo, che inizialmente avrebbe dovuto essere di una sola serata, poi, dato il notevole successo registrato, si prolungò dapprima per alcune settimane, poi per un triennio — dell’attore cinematografico e attivista americano, ritenuto uno dei comici più eccellenti, Irwin Corey (1914-2017).
Nel medesimo anno Dick Gregory convolò a nozze con Lillian Smith, ‘Lil’, anch’ella riformatrice sociale e da cui ebbe in dono, durante la lunga unione, ben undici bambini: Michele, Lynne, Pamela, Paula, Stephanie, Gregory, Christian, Miss, Ayanna, Yohance e Richard jr — drammaticamente scomparso ad appena due mesi — figliolanza alla quale, per stessa ammissione dell’umorista, fu soprattutto amor di madre ad occuparsi lungo il percorso educativo, sovvenendo alle inevitabili e durature assenze lavorative del padre.
Il Playboy Club offrì a Gregory occasione di confrontarsi con un pubblico praticamente composto di soli bianchi ed insperatamente, nel susseguirsi degli spettacoli, sfoggiando avanguardista comicità, riuscì nell’ardua impresa d’incontrarne il consenso, parallelamente risollevando la propria situazione economica e così permettendosi finalmente di dedicarsi totalmente all’agognata professione, inanellando una sequela di successi per cui fu accolto in svariati teatri e cabaret arrivando ad apparire sul prestigioso settimanale Time — attualmente il più diffuso al mondo — nonché ad ottenere invito, primo afroamericano, al Tonight Show condotto dall’autore, comico radiofonico e attore cinematografico Jack Harold Paar (1918-2004), frattanto la città di New York avendo avuto l’onore, in una sua breve parentesi nella Grande Mela del 1961, d’ospitare il suo brillante esordio al Blue Angel, night club in attività dal 1943 al 1964 e che, detto Blue Angel Supper Club, si pregiò delle performance di rinomati artisti, su varie discipline, e dove egli debuttò, registrandovi inoltre la traccia At the Blue Angel, poi confluita nel vinile East & West, animoso album in cui a graffiare girando sul piatto furono provocatorie asserzioni sulle spinose argomentazioni che toccavano scomodi eventi quali le ostilità israelo-egiziane, la Guerra fredda, il Ku Klux Klan e quant’altro su cui sferzare pungenti e scaltri motteggi in pieno stile canzonatorio.
Comicità non è altro che dare ritmo a quanto ascolti in strada.
Dick Gregory
Indubbie e notevoli capacità artistiche non lo sottrassero ad avversità, su Gregory difatti piovendo di sovente contestazioni dalle associazioni saldamente ancorate ad concezioni conservatrici, al punto da precludergli di parlare nel campus dell’University of Tennessee, in quanto dai vertici dell’ateneo tacciato di razzismo nei confronti della popolazione di pelle bianca e la diatriba concludendosi a favore dell’attore all’indomani d’acceso scontro in aule di tribunale — partito su denuncia all’istituto da parte degli studenti che lo avevano chiamato — nelle quali la determinazione dell’avvocato e attivista per i diritti civili William Moses Kunstler (1919-1995) ebbe la meglio su qualsiasi tattica d’impedimento, la voce di Richard potendo di conseguenza spandersi nell’aria tramite altoparlanti appositamente installati per concedergli d’esprimersi liberamente, fra arte e parola, nell’aprile del 1970, peraltro un sessennio dopo l’uscita dell’autobiografia — coautore il giornalista sportivo Robert Michael Lipsyte — pubblicata nel settembre 1964 e celebrata da molteplici ristampe, con l’eloquente ed accuratamente scelto titolo, Nigger, opera maturata nella mente di Gregory durante i movimenti a difesa dei diritti civili e con pensiero rivolto alla madre, ad introdurre pagine di vissuti, adornate da numerose fotografie: «Dear Momma — Wherever you are, if ever you hear the word nigger again, remember they are advertising my book».
La graduale impennata di popolarità che negli anni Dick Gregory seppe conquistarsi, gli concesse esprimere con maggior libertà arte e idee passando da programmi televisivi a trasmissioni radiofoniche a diffusione locale e nazionale, assiduamente sferzando battute dal risvolto politico, in costante sostegno della giustizia sociale, ascendendo a riconosciuta personalità nella lotta per i diritti civili, dacché temerariamente autore d’una satira mirata a schernire e colpire l’iniquo sistema mentale e istituzionale dell’epoca, da Gregory sublimata già a partire dalla sera in cui, al 6622 S. Parkway, auspice l’intuito anticonformista di Hefner, al Playboy Club si mostrò degno sostituto d’un collega, di pelle bianca, davanti ad un’intera platea di bianchi, affondando su preconcetti con l’innato estro, sagacia e ardimento che ne avrebbero contraddistinto la parabola esistenziale, sino a destare, al pari d’antecedenti e contemporanee guide verso l’emancipazione, l’attenzione dell’Ufficio Federale d’Investigazione.
Non ho mai creduto a Babbo Natale, perché sapevo che nessun uomo bianco sarebbe venuto nel mio quartiere al calare della notte.
Dick Gregory
Dick Gregory: Mr Sun
Attivismo cagionò a Gregory plurimi arresti corredati di pestaggi che, se in ferite si tramutarono sull’epidermide, nulla poterono sul motivato, liberale e nobile animo, all’opposto rafforzandone l’intimo credo nel rincorrere gli orizzonti, straordinariamente dipinti dall’abbracciata marcia su Washington del 28 agosto 1963 e negli anni circondandosi di frequentazioni d’immane calibro spirituale quali, fra le altre, dell’attivista e politico Medgar Wiley Evers (1925-1963) — assassinato dal Ku Klux Klan dopo ripetuti atti intimidatori, con un colpo d’arma da fuoco alla schiena a vilmente silenziarne il grido antirazzista — oltre all’indimenticabile politico e pastore protestante, capofila del movimento per i diritti civili degli afroamericani, Martin Luther King Jr. (1929-1968) il quale, notoriamente come Evers, ignobile mano strappò alla vita e all’umanità, a questa consegnando messaggio, prospero quant’incessante germoglio e racchiuso nel celebre discorso pronunciato al termine della succitata avanzata sulla capitale statunitense, col fulgente urlo, «I have a dream».
Ulteriori proteste a cui Dick Gregory non mancò partecipare furono le marce in Alabama, da Selma a Montgomery, avvenute il 7, 9 e 21 marzo 1965, rispettivamente in memoria storica appellate Bloody Sunday — poiché gli attivisti presi a manganellate dalle forze dell’ordine locali e statali — Turnaround Tuesday — dall’arretrare del corteo dopo aver attraversato il ponte l’Edmund Pettus di Selma — infine la terza, effettuata solamente a seguito della morte, in data 11 marzo, del pastore unitariano universalista — ossia appartenente all’aggregazione religiosa ove confluiscono le diverse radici cristiane di protestantesimo, unitarianesimo e universalismo — e attivista americano James Joseph Reeb, deceduto a 38 anni poiché barbaramente percosso dai segregazionisti nel corso della seconda protesta, ragion per cui, il giudice federale Lyndon Baines Johnson (1908-1973) si pronunciò, il 17 marzo, a favore dei rimostranti, ufficialmente impedendo l’abrogazione di quanto garantito dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America ed ai tumulti delle interminabili e cruente sommosse, Dick Gregory aderendo con risoluta coscienza, per di più esplicitamente opponendosi alla guerra in Vietnam, condannando l’abominio dell’Apartheid e tantomeno risparmiandosi quando, allo scopo di dare concreto esempio in appoggio alla pubblica istruzione o a cause pacifiste internazionali, si prestò a sfibranti scioperi della fame, uno su tutti attuato nella speranza, rivelatasi vana, di convincere l’ayatollah Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī (1900-1989) a rilasciare membri dell’ambasciata americana tenuti in ostaggio.
Per Gregory, Chicago rimase ininterrottamente la cittadina nella quale tenere bel salde le proprie radici anche in seguito a trasferimenti, nei suoi confini egli ritornando frequentemente e con inesauribile impegno lottando per caldeggiare qualsivoglia sollevamento fondato sul principio d’eguaglianza, la grande metropoli distesa sul lago Michigan essendo tra le basi d’artisti sensibili alle questioni sociali ed in essa il comico-attivista suffragando la nomina a sindaco — posizione per la quale peraltro anch’egli aveva concorso, nel 1967, uscendo sconfitto da Richard Joseph Daley (1902-1976), in carica dal 1955 al 1976 — dell’avvocato Harold Lee Washington (1922-1987), questi vincendo le elezioni grazie al supporto di una coalizione multirazziale di progressisti che gli permise di trionfare sull’avversario repubblicano, Bernard Edward Epton (1921-1987), ma che, dopo quattro anni di governo, disgraziatamente perì d’infarto gettando nello sconforto tanti afroamericani sentitisi fortemente rappresentati ed in migliaia partecipando alla veglia funebre per donandogli ultimo e nostalgico saluto.
La cristallina, generosa e autentica bontà di Dick Gregory ne diffuse sguardo su criticità sia a risvolto cittadino sia planetario, encomiabilmente prodigandosi per migliorare le condizioni degli istituti scolastici dei giovani studenti di colore, fin dalle strutture indirizzate all’infanzia e mal edificate, sovraffollate, contemporaneamente parlando in più occasioni ed eventi alla ricerca di finanziamenti per ricavare le somme necessarie a stipendiare insegnanti, acquistare materiale didattico, oppure ingegnandosi perché fossero fornite derrate alimentari per gli indigenti e moltitudini d’altre iniziative lo videro impegnato in nome dell’altrui dignità, dunque del contrasto al pregiudizio razziale, al disagio patito dalle comunità dei Nativi, alla violenza sulle donne, condannando ogni lesivo, primitivo scempio a tale universale meraviglia, financo abbracciando cause animaliste ed ambientaliste.
Tra cavalleria e indiani, simpatizzavo per quest’ultimi, perché trovavo ingiusto che i libri di storia, quando vinceva la cavalleria parlassero di grande vittoria, mentre nel momento in cui erano gli indiani ad avere la meglio, di un massacro.
Dick Gregory
Il 1973 fu sia annata d’uscita dell’album Caught in The Act, sia di trasferimento della famiglia nel comune di Plymouth, capoluogo — insieme a Brockton— dell’omonima contea del Massachusetts, dove Gregory subì il fascino della filosofia vegetariana divenendo consulente nutrizionale, professione ovviamente svolta senza svestire i panni dell’umorista ed oratore, cercando d’instillare interesse critico nei confronti degli accadimenti mondiali e allo scorrere del tempo facendosi strada nella sua mente la convinzione che dietro gli assassini di Luther King e dei fratelli Kennedy, vi fossero cospirazioni politiche, ancora una volta audacia trasformando in stesura dell’opera, edita nel 1977, Code Name Zorro: The Murder of Martin Luther King Jr, coadiuvato dall’avvocato, autore e documentarista Mark Lane (1927-2016), che undici anni prima aveva scosso l’opinione pubblica con Rush to Judgement (https://www.ibs.it/rush-to-judgement-a-critique-libri-vintage-mark-lane/e/2560907029965), severa critica alla commissione presidenziale “Warren”, istituita il 29 novembre 1963 dal presidente Johnson, per investigare sull’omicidio di John Kennedy.
Il 21 luglio 1979, all’Harvard Stadium di Boston si tenne l’Amandla Festival of Unity, concerto dall’esortante denominazione, «potere», in idioma Zulu e progettato con l’obiettivo di patrocinare ed esaltare l’affrancamento di Namibia, Sudafrica e Zimbabwe, altrettanto perorando l’impegno dei residenti nel debellare le barriere razziali e sul palco — presentatore il navigato attivista bostoniano Mel King — Babatunde Olatunji, Patti LaBelle, Eddie Palmieri, l’ensemble Jabula di Julian Bahula ed immancabile, data la natura dell’evento, l’imperitura gemma di Bob Marley (1945-1981), il quale, diversamente dal solito, esternò infuocate seppur coincise critiche al sistema, sottolineando l’urgenza di un’Africa unita ed emancipata, parole alla cui cosciente e rivoluzionaria essenza s’unì un motivato Dick Gregory, pronunciando discorso ad introduzione dei ritmi in levare del leggendario Tuff Gong — epiteto dal coriaceo significato ed al giamaicano affibbiatogli dalle affamate strade di Trenchtown, sobborgo della capitale Kingston in cui, dalle colline di Nine Mile, dodicenne si trasferì.
Totale libertà d’espressione fu verosimilmente possibile grazie alla decisione degli organizzatori di non usufruire della polizia, affidando il controllo della folla a semplici cittadini addestrati al compito nei sei mesi antecedenti, pertanto ovviando al rischio d’interruzioni e dell’ottusa tagliola della censura spesso abbattutasi sul Padre del Reggae.
Nel 1984, le acquisite conoscenze in ambito di vegetarianismo spinsero Gregory a fondare un’azienda nel settore e un triennio dopo a proporre la vendita di una miscela dietetica che inizialmente gli procurò ingenti guadagni, sciaguratamente dilapidati in sopraggiunte diatribe con i soci d’affari, un disastro finanziario nel 1992 culminato con lo sfratto, ma medesimamente in passate contrarietà, con tempra si risollevò ripartendo in prolifica attività di comico e nel 1998, ebbe il privilegio di rendere omaggio al reverendo King nella giornata commemorantine la nascita, incantando anche l’allora presidente William Jefferson “Bill” Clinton, presente alla celebrazione.
Gioia seguita dalla triste scoperta, nell’anno successivo durante consueta visita di un’ernia procuratasi nell’infanzia, d’essere affetto da inoperabile patologia oncologica, avversità di cui dette pubblicamente notizia ed affrontò, nel 2000 dichiarando, alla rivista Jet di John Harold Johnson (1942-2003) — incentrata sulla cultura e attualità afroamericana — di curarsi assumendo vitamine, erbe e compiendo «otto miglia ogni mattina», miracolosamente osservando la quasi totale remissione del diagnosticato linfoma, nel frattempo continuando ad esibirsi mai dimenticando le ragioni del cuore e a riguardo, persino permettendosi di mettere in atto, nel 2016, uno sciopero della fame protratto un centinaio di giorni, in protesta alle brutalità mosse dalla polizia nei confronti della comunità nera, infine deponendo le armi e silenziando respiro il 19 agosto dl 2017, spirando, ottantaquattrenne, a distanza di una settimana da un ricovero ospedaliero dovuto ad un’infezione batterica, per insufficienza cardiaca, petto lasciando palpitazioni al permanente ricordo d’appassionate stoccate, in deliziosa e derisoria irriverenza, depositarie di verità.
Sulla Hollywood Walk of Fame ne è memoria una stella inaugurata, alla sua presenza, il 2 febbraio 2015, nella volta celeste brillando invece la sua inestinguibile devozione al senso di giustizia e all’amore per tutta l’umanità, in fede a quanto trasmesso dall’Alpha Phi Alpha Fraternity, Inc. (ΑΦΑ), prima confraternita afroamericana, con fondazione risalente al 4 dicembre 1906, dalla quale Dick tirò il suo filo rosso attraverso cui legare a sé ogni uomo incontrato, incoraggiandolo all’ossigenante rincorsa della libertà, senza mai desistere.
Se una volta accettassi l’ingiustizia, diventerei ingiustizia.
Ad esempio, le cartiere emanano un fetore terribile, ma chi vi lavora finisce per non avvertirlo. Ricordate, il dottor King è stato assassinato quando si è adoperato a favore dei netturbini, per perorarne i diritti di lavoratori. Ma loro non riuscivano più sentire l’odore della spazzatura che avevano intorno. Ad essa erano abituati.
Dick Gregory, discorso d’apertura al Black History Month del Bryn Mawr College, 28 febbraio 2013
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