Olive Oatman, la ragazza dal tatuaggio blu

Olive Oatman (Photo by Hulton Archive/Getty Images)

 
 
Olive Oatman, la donna la cui storia è arrivata sino a giorni nostri attraverso ricordi, parole e così tanti racconti ch’è oggi difficile se non impossibile capire dove finisca la realtà ed inizi la straziante leggenda, della ragazza dal tatuaggio blu.

Figlia dei coniugi Royce e Mary Oatman, Olive nasce nel 1837 e trascorre i suoi primi anni ad Hancock County, Illinois, finché i genitori non decidono di trasferirsi prima in Pennsylvania, nella Contea di Bedford e poi a Independence, nel Missouri.

Aveva cinque fratelli e una sorella di nome Mary Ann e come molti americani del tempo, gli Oatman avevano abbracciato la neonata fede mormona e sarà proprio per questa, che nel 1851, lasceranno tutto per unirsi alla carovana dei Brewsterites, coloro cioè, che avevano scelto come guida spirituale James Colin Brewster.

Fin da bambino, Brewster andava dicendo di avere rivelazioni divine dall’Angelo Moroni, lo stesso che numerose volte faceva visita al padre del mormonismo Joseph Smith e quando nel 1844 questi morì, avrebbe desiderato ottenere la leadership come naturale successore, ma così non andò ed insieme a Hazen Aldrich, uno dei fondatori del movimento degli Ultimi Giorni, provocò uno scisma interno dando luogo ad una parallela Chiesa di Cristo.

Di giorno in giorno, la sua predicazione raccoglieva un numero sempre maggiore di proseliti ed intorno al 1850, parlò di una visione in cui Dio gli aveva annunciato che per i mormoni era giunto il momento di partire alla volta di Basan, la nuova “terra promessa”, ed il 5 agosto, Brewster e James Goodale, consigliere della Chiesa di Cristo, lasciarono il Missouri guidando una carovana composta da circa un centinaio di seguaci, tra cui gli Oatman; ad attenderli l’Arizona.

Lungo il cammino, i dubbi sulla profezia fecero crescere il dissenso e giunti nei pressi di Santa Fe, New Mexico, il gruppo si divise, alcuni cambiarono rotta dirigendosi a nord, altri, tra cui la famiglia di Olive, lasciarono Brewster e scelsero la strada meridionale proseguendo verso Tucson e Socorro, ma una volta arrivati nell’attuale Maricopa County, con alle spalle centinaia e centinaia di chilometri, la maggior parte di loro preferì fermarsi; il cibo scarseggiava, il percorso si faceva sempre più duro e come se non bastasse, andare avanti significava avventurarsi in territori occupati dai nativi americani.
 

Il massacro della famiglia Oatman

Royce Oatman aveva però immaginato tutt’altro destino, desiderava un luogo prospero dove poter crescere i suoi figli e garantir loro un futuro, l’uomo si convinse quindi a continuare verso sud spingendosi nel deserto di Sonora, costeggiando le rive del fiume Gila, ma dopo quattro giorni di viaggio in solitaria, a poco più di un centinaio di chilometri dalla città di Yuma, furono avvicinati da un manipolo di uomini appartenenti alla tribù Yavapai, “il popolo del sole”.

Non se ne conoscono con certezza i dettagli, alcune versioni dicono che i nativi avrebbero fatto richiesta di alimenti, armi e di tabacco, secondo altre si mostrarono ostili dal primo momento, comunque sia andata, l’incontro di quel 18 febbraio 1851 si concluse in un massacro.

Mary, Royce e quattro dei loro figli furono uccisi, riuscì a salvarsi solo il quindicenne Lorenzo, fortuna volle che i nativi lo credessero morto, quando invece aveva perso coscienza a causa delle gravi ferite riportate. Una volta ripresosi, trovò le forze per raggiungere l’insediamento di alcuni mormoni che si erano fermati più a nord e ricevute le prime cure, tornò nel luogo dove si era consumata la carneficina per dare sepoltura ai propri cari. Tra i corpi non trovò quelli delle uniche sorelle, Olive, allora quattordicenne e Mary Ann, di appena sette anni.

Secondo le regole della tribù, alle bambine fu risparmiata la vita, tuttavia, al villaggio degli Yavapai arrivarono dopo essere state picchiate, incatenate e costrette a percorre oltre cento chilometri di deserto, per poi essere trasformate in schiave e vedersi assegnare lavori come trovare cibo, legna da ardere, trasportare acqua ed episodi di sevizie non mancarono neppure da parte dei coetanei, che a quanto pare trovavano diletto persino nel procurar loro bruciature con tizzoni ardenti.
 

L’incontro con i Mohave

Una sofferenza che pareva non potesse aver termine, finché un anno dopo, per i rapporti commerciali ed amichevoli che intercorrevano tra i due popoli, all’accampamento si presentarono alcuni uomini appartenenti ai Mohave, tribù dedita per lo più all’agricoltura, che stanziava lungo le rive del fiume Colorado. Quelle bambine bianche catturarono la loro attenzione ed in cambio di alcuni capi di bestiame, monili, coperte e un po’ di verdure, le portarono via. Ancora una volta, ad attenderle c’era un lungo viaggio nel deserto, ci vollero giorni e giorni prima di giungere dove oggi sorge la città di Needles, California.

Considerando ciò che erano state costrette a subire e sopportare, Olive e la piccola Mary Ann non si aspettavano certo nulla di buono, l’unica idea che passava loro per la mente era quella d’esser state barattate unicamente come schiave ed erano ben lontane dall’immaginare che il futuro sarebbe stato totalmente differente.

Una volta nel villaggio, furono subito accolte con simpatia dalla comunità ed in particolare dalla famiglia del capotribù Espanesay, sia la figlia Topeka, sia la moglie Aespaneo, si mostrarono affettuose e premurose nei loro confronti e come tradizione vuole, vennero tatuate sul mento e sulle braccia.

Captivity of the Oatman GirlsA riguardo, si hanno notizie fra loro discrepanti, sembra infatti che Olive Oatman abbia dichiarato che insieme alla sorella sarebbero state rese schiave anche dai Mohave e nel libro “Captivity of the Oatman Girls” di Royal Stratton, pubblicato per la prima volta il 1° gennaio del 1858, in cui sono raccolti ricordi e pensieri della donna, si afferma che anche il tatuaggio altro non sarebbe stato se non il marchio della schiavitù.Una tesi però, che va in netto contrasto con la tradizione dei nativi americani.

 
 
I tatuaggi venivano effettuati con la tecnica del martellamento e come aghi utilizzavano ossa di pesce, mentre i colori, nella fattispecie il blu, erano ricavati dalle piante.
Avevano molteplici significati, erano amuleti contro spiriti maligni, un modo di instaurare o mantenere un legame con gli antenati, come simbolo di appartenenza ad un particolare popolo, per accompagnare un defunto nel regno dei morti, quindi, quello delle sorelle Oatman era tutt’altro che un segno di prigionia, quanto piuttosto di inclusione e adozione all’interno della tribù, tanto è vero che fu loro cambiato il nome in “clan Oach”, cosa che coinciderebbe anche con il fatto che Aespaneo, fece in modo che alle Oatman fosse dato un appezzamento di terreno coltivabile, concessione ch’era uso fare verso ogni clan, affinché tutti potessero provvedere al proprio sostentamento.

Le sorelle quindi, trascorsero con serenità ed armonia il tempo con i Mohave, l’integrazione con la tribù era totale, a confermarlo c’è anche l’episodio in cui si guardarono bene dal palesarsi ai tecnici ferroviari della Whipple Expedition, uomini di pelle bianca che rimasero per circa una settimana nella valle.

Ad aiutarle in questo c’era anche il fatto che per quanto ne sapevano, erano sole al mondo, ignoravano che il fratello Lorenzo fosse scampato alla furia degli Yavapai e la benevolenza di Aespaneo e Topeka fece il resto. Le due donne non mancarono un istante di attenzioni e negli anni, Olive Oatman, non perse occasione per esprimere il suo affetto e gratitudine nei loro confronti.

In cuor suo, non dimenticò mai di esser sopravvissuta grazie alle premure ricevute, un sentimento che la sorella minore, non avrà modo di testimoniare.

Nel 1855, una grave siccità si abbatté sui territori Mohave, la scarsità di acqua distrusse le coltivazioni, decimò il bestiame e molti membri della comunità non ne uscirono vivi, mentre Olive, se la cavò solo perché Aespaneo, di nascosto al resto della tribù, riuscì a nutrirla abbastanza perché potesse sconfiggere quella fame, contro la quale nulla poté Mary Ann, aveva appena undici anni.
 

Il ritorno di Olive Oatman nella società “bianca”

Nel frattempo, le voci che tra i Mohave vivesse una giovane donna bianca cominciarono a circolare, a queste si univano le incessanti ricerche di Lorenzo ed un giorno, per nome delle autorità di Fort Yuma, al villaggio si presentò un messaggero appartenente alla tribù degli Quechan, con il compito di accertarsi di come stessero realmente le cose. A precisa domanda i Mohave negarono con fermezza, tentarono di nasconderla, ma dietro minacce, il timore di essere scoperti e le possibili conseguenti ripercussioni, li spinsero ad ammettere la verità e ad inviare Olive a Yuma, facendola accompagnare da Topeka.

La sua partenza fu accolta con dolore specialmente da Aespaneo, la donna l’aveva cresciuta alla stregua di una figlia, ma il governo degli Stati Uniti aveva ormai ottenuto il riscatto della ragazza in cambio di qualche coperta, monili, un cavallo bianco e dopo venti giorni di viaggio, Olive fece il suo ingresso al forte tra applausi e cori festanti e non passò molto tempo perché venisse a sapere che Lorenzo era vivo e la stava cercando.

I due poterono finalmente riabbracciarsi e l’incontro non passò certo inosservato.
La notizia fece il giro di tutto l’occidente, diventò un evento e fu allora che Royal Stratton ebbe modo di avvicinarla e scrivere il libro che divenne immediatamente un best seller, tanto che con i proventi delle vendite, la Oatman poté provvedere alle spese universitarie del fratello Lorenzo.

Un libro-intervista alla cui promozione prese parte in prima persona, ma dal quale scaturiva un’immagine fortemente negativa dei nativi americani, descritti come barbari, crudeli, pagine contenenti quelle incoerenze sopracitate circa i tatuaggi, la permanenza con i Mohave, dichiarazioni secondo le quali a rapirla furono gli Apache quando aveva 11 anni, pagine che mancavano di raccontare circa i due figli maschi nati dalla relazione con un nativo della tribù di Espanesay, una maternità che negherà decisamente, ma di cui farà cenno molti anni dopo anche l’amica d’infanzia Susan Thompson, affermando come Olive avesse sofferto per la separazione.

Il fatto è che la società in cui aveva fatto ritorno, non avrebbe capito né accettato la verità di una donna bianca che si era integrata ed era stata benvoluta dai “selvaggi”, una società i cui occhi scrutavano quei tatuaggi che lei cominciò a coprire in ogni apparizione pubblica con veli e creme, anche dopo essersi unita in matrimonio con John Fairchild, un facoltoso banchiere e allevatore di New York, con il quale andò a vivere nella città di Sherman, Texas, adottando una bambina di nome Mamie.

Nel 1903, all’età di 65 anni, Olive Oatman morì a causa di un attacco cardiaco, portando con sé gran parte di una storia mai del tutto raccontata, la cui testimonianza è rimasta impressa anche nelle molte lettere rinvenute dopo la sua scomparsa, scritti dai quali emerge il dolore di una vita solcata da perdite ed abbandoni, il disagio forse anche provato dal capire di non appartenere più a quel mondo che l’aveva nuovamente accolta tra gli applausi, esattamente come il sangue che le scorreva nelle vene le impediva di potersi sentire quello che, forse, il suo cuore aveva ormai imparato ad essere.

The-Blue-Tattoo-The-Life-of-Olive-Oatman

Nel 2011 è stata pubblicata un’altra biografia, dal titolo “The Blue Tattoo: The Life of Olive Oatman”, in cui l’autrice Margot Miffin, basandosi sulle memorie lasciate da chi le fu accanto, su documenti storici tra cui le lettere, descrive l’odissea restituendo una testimonianza ben più fedele di quanto non fosse quella del pastore Stratton e da oltre cento anni, in Arizona, a poco più di cento miglia a sud-est di Las Vegas, lungo la leggendaria Route 66, sorge la cittadina di Oatman.

 
 
 
 

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