Nika Turbina, l’innata poesia di una bambina

 
 
Quello di Nika Turbina non è un nome particolarmente ricordato in ambito letterario, eppure, la sua storia è quella di una bambina dalla poesia innata e potente, la drammatica parabola di una donna divenuta tale anzitempo.

Nika Georgievna Turbina (Ника Георгиевна Турбина) nacque a Yalta, in Crimea, il 17 dicembre 1974. Abbandonata dal padre, cresce nell’artistica famiglia materna: sua nonna Lyudmila Karpova era stata interprete presso l’agenzia governativa per il turismo, il nonno è Anatoli Ignatievich Nikanorin, noto quanto prolifico poeta, mentre la madre Maya Nikanorkina una scultrice.

Si dice che dopo aver balbettato alcune parole nei i primi mesi di vita, sia rimasta in totale silenzio per oltre un anno e mezzo, uscendone repentinamente, per giunta sfoderando una inaspettata proprietà e fluidità di linguaggio, così lasciando naturale stupore tra i parenti. Realtà o leggenda, qualcosa di straordinario si sarebbe manifestato solo poco più tardi.

La piccola era di salute cagionevole, soffriva di asma e non è affatto raro che durante gli attacchi, i bambini abbiano la percezione di non avere il controllo su ciò che gli accade e perciò, avvertano paura. I timori presero ad assalire Nika durante la notte, le difficoltà respiratorie, il senso di soffocamento le provocavano bruschi risvegli, cosicché, cominciò a resistere dal cadere nel sonno rimanendo seduta sul letto e intorno ai quattro anni, si accorse che nei suoi ansiti si confondevano parole, si formavano versi, dalle sue labbra sgorgavano poesie di rara intensità.

L’ispirazione era improvvisa e come non riusciva a trattenere l’intrecciarsi di vocaboli, immagini e metafore, non poteva scrivere e fermare nulla di ciò che sentiva nascere senza neanche capire da dove provenisse. Non era ancora in grado e così spettava alla madre, alla nonna, accorrere al richiamo e appuntare ogni frase sotto dettatura.

Non si trattava del banale riscontrare la capacità di una bambina di comporre, la magia risiedeva nel fatto di doverle riconoscere non solo uno stile maturo, ma soprattutto una lucida e profonda conoscenza del dolore, quasi potesse assorbirne il sapere attraverso il mondo e farne esperienza propria, provando intimamente le varie tinte della sofferenza. Conservando una visione correlata all’età, Nika Turbina possedeva la sensibilità di una donna adulta e di questo, ne era consapevole.

Tutto quello che dovevo, l’ho detto da bambina, nelle mie poesie. Non c’era bisogno che diventassi donna.

Nel 1981, all’età di 7 anni, in una delle sue opere più famose, definiva quella sue poesie come un ‘peso’, «pietre spinte lungo una salita». In lei vi era un’anima pronta ad immergersi nel gioco e un momento dopo a fluttuare fra i grandi temi dell’umana essenza, la morte, l’amore, la guerra.
 

Sono pesi queste mie poesie,
pietre spinte lungo una salita.
Le porterò stremata
allo strapiombo.
Poi cadrò, viso nell’erba,
non avrò lacrime abbastanza.
Smembrerò la strofa
scoppierà in singhiozzi il verso
e si pianterà nel palmo
con dolore anche l’ortica.
L’amarezza di quel giorno
tutta trasmuterà in parola

 

In famiglia erano ben coscienti del valore di quelle poesie ed è grazie all’intraprendenza di Lyudmila Karpova che finiscono per essere letti da Yulian Semyonov, giornalista moscovita, che a partire dagli anni ’50 si dedicò alla scrittura, raggiungendo la notorietà a metà della successiva decade con la serie di romanzi legata al personaggio di Otto Von Stirlitz, nome in codice di Maksim Isaev, personaggio umile e colto ed impegnato in attività di spionaggio contro la Germania di Hitler, dal Time Magazine definito il ‘James Bond russo’. La donna venne a sapere che Semyonov stava dimorando presso l’Hotel Yalta e una volta raggiunto, lo pregò di leggere alcune pagine di un quaderno.

Dopo neppure un mese, componimenti di Nika appaiono sul Komsomolskaya Pravda, quotidiano di spicco dell’Unione Sovietica e subito dopo, venne chiamata al Club degli Scrittori di Mosca (Центральный дом литераторов), tenendo la sua prima lettura pubblica. Non mancò una iniziale e ragionevole diffidenza nei suoi confronti, è comprensibile che al tempo più di qualcuno abbia avuto dubbi sul fatto che una bambina di quell’età, potesse davvero essere l’autrice, o quanto meno l’unica. Lo stesso Evgenij Evtušenko, poeta e romanziere scomparso nel 2017, ammise di averne avuti, ricredendosi solo nel 1983, quando a casa di Boris Pasternak, l’ascoltò leggere le poesie: «Ero scettico anch’io prima di incontrarla, poi le chiesi di recitarmi dei versi e tutti i dubbi che si trattasse di una mistificazione letteraria caddero all’ istante. Solo i poeti possono recitare in quel modo».

Esile e delicata, il sentire di Nika Turbina era viscerale. Osservando l’espressività dei suoi occhi, ascoltando la veemenza con la quale scagliava le parole, tra liberazione e preghiera, scaturisce la sconcertante e innegabile verità di una potenza autentica, oltre la sua totale ed elevata cognizione di quanto scriveva ed enunciava.

 

Nika Turbina: «I versi per me sono come l’ aria»

Nel 1984 viene stampata la prima raccolta ‘Черновик(Bozza), a scrivere la prefazione è proprio di Evtušenko, il cui contributo fu anche quello di organizzare incontri in tutta l’Unione Sovietica e l’attenzione catturata, oltre alle migliaia di copie vendute – 30mila solo i dischi con le sue interpretazioni – oltrepassò i confini. Tradotto in decine di lingue, in Italia apparve con il titolo ‘Quaderno di appunti’, a cura di Evelina Pascucci e pubblicato da Edizioni del Leone. L’anno successivo, in occasione del festival internazionale ‘Poeti e Pianeta Terra’, la piccola Nika Turbina è a Venezia, ad attenderla, il premio speciale Leone d’oro per la poesia.

Un filo immaginario adesso la univa ad Anna Achmàtova, poeta russo (e mai poetessa), la quale definì la città lagunare  “Colombaia d’oro” e che fin ad allora era stata l’unica ad aver ricevuto tale riconoscimento. Prima donna ad essere entrata nei classici della letteratura del suo Paese, amore clandestino di Amedeo Modigliani e l’Anna di tutte le Russie per Marina Cvetaeva, anch’ella indimenticabile scrittrice dalla drammatica esistenza, che dipinse la poesia come «qualcosa che dentro di noi vuole disperatamente essere», per cui un impeto inconscio al di sopra d’ogni volontà e sentimento.

«I versi per me sono come l’ aria» affermava Nika Turbina, «la vita e il dolore sono come l’ aria, e non si può stare senza respirare». Aveva 10 anni, l’aspetto ne tradiva le opere, la visione, in lei e nei suoi poemi il senso dolente dell’essere è dirompente, esattamente come attenta era l’osservazione del mondo e profonda l’analisi introspettiva.

Nika Turbina, Leone d'oro, Venezia

Nel 1988 viaggia negli Stati Uniti, promuovere il libro, tiene pubbliche letture, occasioni che le danno modo di incontrare Iosif Brodskij, saggista e drammaturgo che era appena stato insignito del Nobel per la letteratura. L’anno successivo recitò insieme a Nina Ruslanova nel film ‘Это было у моря’ (È successo sul mare), diretto da Ayan Shakhmaliyeva e nel 1991, a Mosca, viene pubblicata la seconda raccolta ‘Ступеньки вверх, ступеньки вниз(Passi verso l’alto, passi verso il basso), quando la luce dei riflettori stava ormai affievolendosi e lei cercando il suo posto nel mondo.

La poetessa sta facendosi ormai adulta senza mai esser stata bambina e ad una connaturale ed estrema sensibilità, corrisponde una fragilità spesso superiore, fatale. Prova abbandono, solitudine, va incontro ad un esaurimento nervoso, se ne va di casa, vive l’amore in modo travagliato, eccede con l’alcol, finché nella notte fra il 13 e 14 maggio del 1997, precipita dal balcone della sua abitazione al 5°piano.

E’ miracolosamente viva, a salvarla un provvidenziale albero che ne attutì la caduta, tuttavia, riportò numerose fratture e gravi lesioni alla colonna vertebrale, per le quali, furono necessarie svariate operazioni chirurgiche e un lungo periodo di convalescenza. prima di potersi dire completamente ristabilita.

Una volta ristabilita, non senza problemi permanenti alla schiena e conseguenti difficoltà di deambulazione, trascorse gli anni successivi in disparte, in completo anonimato, studiando, interessandosi di radio, teatro, TV, continuando a scrivere e pubblicare poesie. La sua storia scivolò nell’oblio e vi rimase fino all’11 maggio 2002, quando in circostanze del tutto simili a quelle di cinque anni prima, la sua vita s’interruppe per sempre.

Il nome di Nika Turbina tornò improvvisamente a fare notizia. Sulla sua vita privata presero a circolare informazioni spesso contrastanti, a tratti maliziose e che volevano si chiudesse il sipario con l’ultimo e più letterario atto che il poeta, lo scrittore o l’artista, è chiamato a compiere per porre fine alla proprie sofferenze ed inquietudini.

I presenti, incluso il compagno, affermarono che Turbina era seduta sul davanzale, come per altro sembra avesse abitudine, e improvvisamente venne presa dal vuoto. Come non è certo che nel 1997 abbia tentato il suicidio, allo stato attuale è quindi doveroso lasciare il punto interrogativo sul fatto che la sua scomparsa, possa essere conseguenza di un tragico e fatale incidente.
 

«Una persona deve capire che la vita non è lunga. E se dà valore alla propria vita, allora questa vita sarà lunga e, se davvero lo merita, sarà eterna, persino dopo la morte»

 

Io voglio un anno intero
in un istante,
ridurre tutto il tempo
in un minuto.
Lo voglio! Voglio! Voglio!
Perché vi fate scudo
delle mani, spaventati?
Non voglio
che la vita sfugga!
La Terra soffoca di grida,
ma ho tempo
da impegnare ancora
per il bene.
O, genti!
Vi imploro di scordare l’odio,
di volgervi alla gioia degli incontri,
di lasciare l’acqua pura
dare voce ai fiumi
e una pioggia buona
qui cadere,
non altrove.
E l’attimo?
Lasciate
sia di nascita
e non di morte.

 

***

 

Scricchiola qualcosa in questo mondo finto.

La vita scola rapida nei tubi.
Come un rivoletto d’acqua, esagerando,

cade dal balcone
vanta d’aver fatto lui da testimone

alla storia della «Creazione»
Uno, di passaggio, dà una mano:

giunto a caso ha letto versi

dedicati a me,

pensieri arditi chiusi nelle rime,

sfiorando appena le parole,
 dunque?
Ha ragionato audace,
con intelligenza sulla vita

nel subbuglio di profondi
inchini familiari.

Ha tracciato a un vetro di finestra

il mio destino,

un guazzo di colori,

che si lava via con lacrime di sale.

Ho rimescolato anch’io
la vita lungo i tubi,

affrettandomi in un rivoletto d’acqua.

 

***

 

In piedi sui confini
dove perdi il contatto
con il mondo.
Si gettano quei ponti innanzi
quando scocca mezzanotte:
inflessibile è il tempo.

In piedi sui confini:
solo un passo ancora,
avanti!, verso l’immortalità.

Se mi volto, scopro dietro me
quei giorni che mi han dato tanta luce.

E non so decidermi
a quel passo,
ma mi mette fretta il tempo.
Con il far del giorno
si oscura la mia stella,
la linea si richiude in un istante.

 

***

 

Son fiaccati i venti freddi.

Hanno messo Cristo in una croce nel cortile.

Van qua e là come cinghiali,
i bambini
 sopra un’erba secca
che non è la loro terra. 
Scopa uno spazzino i marciapiedi.

Non c’è più luce nella lampada da notte.

Il sangue perso alla memoria,
a gocce,

non ha più da tempo alcun colore.

 

***

 

Io sono una bambola rotta.
Si sono scordati di mettermi
un cuore nel petto.
E al buio, in un angolo, inutile,
abbandonata.
E come una bambola rotta
al mattino ho ascoltato
i bisbigli di un sogno:
“dormi, tesoro, dormi
e voleranno gli anni
e al tuo risveglio
di nuovo vorranno
prenderti in braccio
cullarti per gioco,
e troverà il suo battito
il cuore”
E’ solo tremendo
aspettare.

 

***

 

Mi hanno tormentata le parole nuove.

Ora qui tralascio qualche lettera,

ora lì un accento manca.

Mi sono vantata a lungo
di quella che ho scordato.

Così facile da dire.

Mi regala il suo valore il tempo

– che è l’Amore –

nel presentimento della quiete.

 

***

 

Chi sono io?
Di chi gli occhi quando guardo nel mondo?
Di amici, familiari, belve, alberi ed uccelli?
Di chi le labbra per bere rugiada
dalla foglia caduta sulla strada?
Di chi le braccia per stringere il mondo,
così fragile, indifeso?
La voce è persa in quella tormenta,
campi, diluvi, boschi e notte.
Chi sono in tutto questo, io?
Dove cercare in me?
E come dar risposta a tutte queste voci,
alla natura?

 

 
 
 
 

Traduzioni di Federico Federici

 
 
 
 

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